OFTALMOLOGIA 1.CENNI DI ANATOMIA L’apparato visivo, che origina embriologicamente dal sistema nervoso centrale, è costituito da una serie di strutture che comprendono a livello periferico i due bulbi oculari e a livello centrale la corteccia cerebrale occipitale e una catena di neuroni che trasporta l’informazione visiva dal tessuto retinico alla corteccia cerebrale, la via ottica. I bulbi o globi oculari sono due strutture periferiche e costituiscono la prima parte dell’apparato visivo. Sono di forma quasi sferica con un diametro antero-posteriore di 24 mm (nella media della popolazione)e sono costituiti da 3 strati ognuno dei quali ha caratteristiche e funzioni specifiche. Lo strato più esterno è la sclera, un tessuto bianco di origine connettivale, molto resistente, con funzioni di sostegno e di protezione per tutto il bulbo e in particolare nei confronti degli strati interni, più delicati e più importanti funzionalmente. La sclera nella sua porzione anteriore subisce nel corso dell’embriogenesi delle modifiche nella composizione e nella disposizione degli elementi connettivali che la costituiscono e acquista una particolare caratteristica: la trasparenza. La porzione anteriore della sclera in virtù delle sue peculiari caratteristiche, pur appartenendo allo strato sclerale, viene considerata e descritta come una struttura indipendente e viene chiamata cornea. La cornea costituisce il sesto anteriore del globo oculare, è una struttura trasparente e costituisce un importantissimo mezzo diottrico. Infatti la cornea essendo trasparente consente ai raggi luminosi di entrare nel globo oculare e conferisce loro una certo grado di convergenza, che, sommata alla convergenza data dal cristallino, secondo mezzo diottrico dell’occhio, consente alla maggior parte dei raggi luminosi di andare a fuoco sulla retina. Per poter essere trasparente la cornea possiede un’altra particolare caratteristica la avascolarità. Non ci sono infatti vasi sanguigni che vascolarizzano la cornea la quale riceve gli elementi necessari al suo metabolismo dal film lacrimale, che bagna la sua parte superficiale, e dall’umor acqueo, che riempie la camera anteriore del bulbo oculare e che bagna la sua porzione posteriore. La cornea ha uno spessore di circa 550 μm ed è costituita dai seguenti strati: l’epitelio corneale, lo strato più superficiale, la membrana di Bowman, lo stroma, lo strato più rappresentato, la membrana di Descemet, l’endotelio, lo strato più interno. Lo strato intermedio del globo oculare è la uvea. Costituita da tessuto connettivo lasso, l’uvea è lo strato vascolare del globo: attraverso l’ uvea infatti arrivano i vasi responsabili della perfusione degli strati più interni dell’occhio. La porzione posteriore dell’uvea viene chiamata coroide. Essa è la più rappresentata, è un tessuto vascolare ed ha prettamente funzioni nutritizie. Le porzioni anteriori dell’ uvea acquistano caratteristiche particolari e formano il corpo ciliare e l’iride. Il corpo ciliare ha due fondamentali funzioni: produce l’umor acqueo ed è responsabile del meccanismo dell’accomodazione. Infatti grazie alle fibre zonulari le contrazioni del muscolo ciliare vengono trasmesse al cristallino che modifica così la sua forma e il suo potere diottrico (meccanismo dell’accomodazione). L’iride è la porzione più anteriore della coroide, è un diaframma con la capacità di stringere (miosi) o aumentare (midriasi) il proprio diametro regolando in questo modo la quantità di luce che può raggiungere gli strati retinici interni. Questa regolazione è sotto il controllo della innervazione parasimpatica (miosi) e ortosimpatica (midriasi). L’iride ha una pigmentazione variabile negli individui da marrone scura a cerulea, in base alla quantità di pigmento melaninico presente. L’iride rappresenta l’elemento responsabile del colore che noi comunemente attribuiamo agli occhi. La retina è lo strato più interno ed è di natura nervosa. È costituito da elementi cellulari diversi che si dispongono in 10 strati. La retina è il tessuto deputato a raccogliere le radiazioni luminose grazie alla presenza dei fotorecettori, cellule nervose modificate in grado di innescare una reazione biochimica ogni volta che un fotone li colpisce. Da questa reazione biochimica nasce l’impulso nervoso che viene trasmesso alla catena di neuroni che dai fotorecettori retinici arriva fino alla corteccia occipitale. Esistono due tipi di fotorecettori , i coni presenti soprattutto nella porzione posteriore centrale della retina chiamata macula, responsabili della massima acutezza visiva e della visione diurna, e i bastoncelli, presenti in tutta la restante parte della retina, responsabili della visione periferica e della visione in condizioni di scarsa luminosità. Considerando ora il globo oculare nella sua tridimensionalità, esso è rappresentabile come una sfera cava divisibile al suo interno schematicamente in tre spazi considerabili separatamente uno dall’altro: la camera anteriore, la camera posteriore e la camera vitrea. La camera anteriore è la porzione di globo oculare delimitata anteriormente dalla cornea e posteriormente dall’iride nella sua porzione periferica e dalla faccia anteriore del cristallino nella sua porzione centrale. Il contenuto della camera anteriore è costituito da umor acqueo. La camera posteriore è delimitata anteriormente dalla superficie posteriore dell’iride (perifericamente) e dalla superficie posteriore del cristallino (centralmente) e posteriormente dalla jaloide anteriore, sottile membrana che riveste anteriormente il vitreo. La camera vitrea è la più ampia e costituisce da sola circa l’80% del volume dell’intero globo oculare. È in rapporto anteriormente con la camera anteriore e posteriormente con la retina. Il suo contenuto è il vitreo. I due globi oculari sono inseriti nelle ossa del massiccio facciale. La porzione di massiccio facciale deputata ad accogliere i bulbi oculari prende nome di orbita. L’orbita è una regione pari e simmetrica del massiccio facciale deputata ad accogliere e proteggere le strutture che costituiscono l’apparato visivo. La forma che si attribuisce all’orbita è quella di un tronco di piramide con la base rivolta in avanti e l’apice rivolto verso l’interno, in corrispondenza dell’emergenza del nervo ottico dal foro ottico. Dell’orbita si descrive il contorno esterno (cornice orbitaria), il tetto, il pavimento, la parete laterale e la parete mediale. La cornice orbitaria è formata dall’osso frontale superiormente, dall’osso zigomatico nella porzione infero-laterale e dall’osso mascellare nella porzione infero-mediale. Il tetto è costituito nei due terzi anteriori dall’osso frontale e nel terzo inferiore dalla piccola ala dello sfenoide. Nella porzione antero-laterale è presente una depressione che accoglie la ghiandola lacrimale. Il tetto separa l’orbita dal seno frontale (anteriormente) e dalla fossa cranica anteriore (posteriormente). Un difetto congenito o post traumatico della parete ossea che costituisce il tetto dell’orbita può causare una proptosi pulsante per la trasmissione della pulsazione del liquor agli spazi orbitari. La parete laterale è costituita nel terzo anteriore dall’osso zigomatico e nei due terzi posteriori dalla grande ala dello sfenoide. Il pavimento è costituito principalmente dall’osso mascellare che ne rappresenta la porzione anteromediale. La porzione antero-laterale è costituita dell’osso zigomatico mentre la porzione posteriore è costituita per una piccola parte dall’osso palatino. Il pavimento è la parete dell’orbita più frequentemente sede di fratture (fratture blow-out). In particolare la regione più fragile è costituita dalla porzione postero mediale dell’osso mascellare. Il pavimento dell’orbita forma anche il tetto del seno mascellare pertanto patologie a carico del seno mascellare come neoplasie o infezioni possono dare un secondario interessamento orbitario. La parete mediale è costituita principalmente dall’osso lacrimale anteriormente e dalla lamina papiracea dell’etmoide posteriormente. Partecipano alla formazione della parete mediale anche il corpo dello sfenoide, posteriormente alla lamina papiracea e l’osso mascellare, che costituisce la porzione anteriore della fossa lacrimale. La parete mediale anteriormente presenta una doccia, la fossa lacrimale, che accoglie il sacco lacrimale. La lamina papiracea per il suo modesto spessore e a causa della sua porosità è frequentemente sede di fratture. Inoltre non costituisce una valida barriera nei confronti di processi infettivi a carico dei seni etmoidali cosicché frequentemente la sinusite etmoidale può dare origine a cellulite orbitaria. Nella porzione posteriore l’orbita presenta tre fori che mettono in contatto la regione orbitaria con la fossa cranica: il foro ottico, la fessura orbitaria superiore e la fessura orbitaria inferiore. Il foro ottico dà passaggio al nervo ottico, all’arteria oftalmica e a un contingente di fibre nervose simpatiche provenienti dal plesso carotideo interno. Attraverso la fessura orbitaria superiore passano i rami lacrimale, frontale e naso ciliare del nervo oftalmico (I branca del nervo trigemino), il nervo oculomotore comune, il nervo trocleare, il nervo abducente, la vena oftalmica superiore, il ramo superiore della vena oftalmica inferiore e un contingente di fibre nervose simpatiche provenienti dal plesso cavernoso. La fessura orbitaria inferiore dà passaggio al nervo mascellare (II branca del nervo trigemino), all’arteria infraorbitaria e al ramo inferiore della vena oftalmica inferiore. L’orbita contiene il bulbo oculare, la muscolatura oculare estrinseca con la propria innervazione, il nervo ottico, le strutture vascolari arteriose e venose, il sistema di sostegno costituito da setti fibrosi e fasce di tessuto connettivo, il grasso peribulbare e la ghiandola lacrimale. Il contenuto dell’orbita deve essere considerato come un’appendice del sistema nervoso centrale. La retina infatti è costituita da tessuto nervoso formatosi da un’estroflessione del diencefalo mentre gli involucri fibrovascolari che circondano la retina sono considerati omologhi delle meningi. La retina, attraverso gli assoni delle cellule multipolari che formano il nervo ottico, è collegata al chiasma e quindi al diencefalo. Inoltre a livello del nervo ottico i rivestimenti fibrovascolari del bulbo oculare continuano nelle meningi. Lo stretto legame tra strutture oculari e sistema nervoso centrale dipende dallo sviluppo embriologico dell’apparato visivo. L’occhio primitivo si forma infatti da un’estroflessione peduncolata del diencefalo, la vescicola ottica. La retina è pertanto una struttura di origine diencefalica e il nervo ottico costituisce il collegamento tra occhio e sistema nervoso centrale. 2.MUSCOLI E MOVIMENTI OCULARI I movimenti oculari vengono divisi in tre gruppi le duzioni, le versioni e le vergenze. Quando parliamo di duzioni ci riferiamo ai movimenti di un occhio considerato singolarmente. Le duzioni sono per definizione movimenti monoculari. Essi sono l’adduzione (movimento verso l’interno), l’abduzione (movimento verso l’esterno), l’elevazione (movimento verso l’alto), la depressione (movimento verso il basso), l’intorsione (rotazione del bulbo verso l’interno attorno al suo asse antero-posteriore), l’extorsione (rotazione del bulbo verso l’esterno attorno al suo asse antero-posteriore). Le versioni sono movimenti binoculari simultanei e coniugati, sono cioè movimenti di entrambi gli occhi nella stessa direzione. Essi sono la destroversione e la levoversione (movimento di entrambi gli occhi verso destra e verso sinistra), la sursumversione e la infraversione (movimento di entrambi gli occhi verso l’alto e verso il basso ), la sursumversione e l’infraversione verso destra (movimento di entrambi gli occhi verso l’alto a destra e verso il basso a destra), la sursumversione e l’infraversione verso sinistra (movimento di entrambi gli occhi verso l’alto a sinistra e verso il basso a sinistra). Le vergenze sono movimenti binoculari simultanei e disgiunti, cioè movimenti di entrambi gli occhi in direzioni opposte. Comprendono la convergenza, che è il movimento simultaneo dei due occhi verso l’interno e la divergenza ,che è il movimento simultaneo dei due occhi verso l’esterno partendo da una posizione di convergenza. Il movimento di convergenza viene stimolato quando si fissa un oggetto che si avvicina verso gli occhi di chi osserva, mentre il movimento di divergenza viene stimolato quando si fissa un oggetto vicino che si allontana. I movimenti oculari sono possibili grazie al’azione dei muscoli estrinseci dell’occhio: il retto mediale, il retto laterale, il retto superiore, il retto inferiore, il grande obliquo e il piccolo obliquo. Il retto mediale origina all’apice dell’orbita, dall’anello di Zinn e si inserisce a livello sclerale a 5,5 mm dal limbus. La sua unica azione è l’adduzione. Il retto laterale origina all’apice dell’orbita, dall’anello di Zinn e si inserisce a livello sclerale a 7,0 mm dal limbus. La sua unica azione è l’abduzione. Il retto superiore origina dall’anello di Zinn e si inserisce a 8,0 mm dal limbus. La sua azione primaria è l’elevazione e le sue azioni secondarie sono l’adduzione e l’intorsione. Il retto inferiore origina dall’anello di Zinn e si inserisce a 6,5 mm dal limbus. La sua azione primaria è la depressione e le sue azioni secondarie sono l’adduzione e l’extratorsione. L’obliquo superiore origina dall’apice orbitario supero-medialmente rispetto al forame ottico, decorre in avanti in rapporto con la parete mediale dell’orbita fino ad arrivare alla troclea, un anello fibroso attraverso il quale il muscolo passa e dopo il quale cambia direzione portandosi indietro e medialmente per inserirsi in posizione retroequatoriale a livello del quadrante supero-temporale. La sua azione primaria è l’intrarotazione e le sue azioni secondarie sono la depressione e l’abduzione. L’obliquo inferiore è l’unico muscolo che origina davanti al bulbo. Infatti tutti i muscoli oculari originano dall’apice orbitario e si portano in avanti per inserirsi nella sclera bulbare, il piccolo obliquo invece nasce dal pavimento dell’orbita in posizione mediale e si porta in dietro e lateralmente per inserirsi in posizione retro equatoriale a livello del quadrante infero-temporale. L’azione primaria è l’extorsione, le sue azioni secondarie sono l’elevazione e l’abduzione. 3.VIE OTTICHE Le informazioni sensitive relative agli stimoli luminosi sono raccolte dallo strato nervoso del bulbo oculare, la retina. In particolare i coni e i bastoncelli sono le cellule deputate a raccogliere e a trasmettere le informazioni al sistema nervoso centrale. Questa trasmissione di informazioni tra un organo periferico e il sistema nervoso centrale avviene grazie a una serie di collegamenti nervosi che prende il nome di via ottica. L’informazione luminosa dopo la prima recezione ad opera dei fotorecettori, viene trasmessa alle cellule bipolari, cellule nervose costituenti lo strato intermedio retinico, e da qui alle cellule ganglionari, cellule nervose costituenti lo strato profondo della retina. Le cellule ganglionari possiedono dei dendriti, terminazioni che raccolgono l’informazione in entrata proveniente dalla cellula bipolare e un assone terminazione che veicola l’informazione in uscita dalla cellula. Gli assoni di tutte le cellule ganglionari si riuniscono a formare il nervo ottico, struttura nervosa che costituisce il primo importante elemento delle vie ottiche. Ogni nervo ottico è costituito da una serie di fibre, prolungamento degli assoni delle cellule ganglionari, che veicolano le informazioni di ciascun punto retinico. Le fibre che veicolano le informazioni di alcune aree retiniche hanno un comportamento particolare, in particolare le fibre che trasmettono le informazioni del settore temporale e del settore nasale della retina. I nervi ottici fuoriescono dal polo posteriore, attraversano l’orbita e si impegnano nel foro ottico con una direzione dall’esterno verso l’interno, convergendo in un'unica struttura nervosa di grande interesse anatomico e clinico, il chiasma. A livello del chiasma le fibre del nervo ottico assumono un decorso particolare: le fibre provenienti dai settori temporali mantengono un decorso omolaterale, mentre le fibre provenienti dai settori nasali decussano assumendo un decorso contro laterale. Le fibre nervose che fuoriescono dal chiasma si chiamano tratti ottici e veicolano le informazioni nervose dal chiasma ai corpi genicolati laterali dove avviene la sinapsi tra l’assone della cellula ganglionare e i dendriti delle cellule nervose della sostanza grigia del corpo genicolato. Gli assoni di queste cellule veicolano le informazioni alla corteccia occipitale attraverso una sistema di fibre chiamate radiazioni ottiche. La stazione finale di raccolta e elaborazione dell’informazione visiva è la scissura calcarina della corteccia occipitale, in particolare le aree 17, 18 e 19 di Brodman. 5.POSIZIONI ANOMALI DEL CAPO (PAC) Una posizione anomala del capo può essere dovuta a problemi muscolo-scheletrici oppure può essere associata a problemi oculari. Al fine di chiarire l’eziologia di una PAC può essere utile eseguire una mobilizzazione passiva del capo: se la mobilità passiva è nella norma più probabilmente l’origine della PAC potrebbe essere oculare. Le posizioni anomale del capo possono essere di tre tipi: rotazione, chin-up o chin-down (verso l’alto o verso il basso), inclinazione. Lo scopo per cui il paziente assume una PAC è quello di conservare la visione binoculare singola, evitare la diplopia, stabilizzare un nistagmo (posizionando gli occhi a livello del “null point”) o di migliorare un difetto rifrattivo. Il paziente con PAC si trova in una di queste condizioni: strabismo incomitante: i pazienti con strabismo incomitante riescono a mantenere gli occhi in asse nella posizione di sguardo dove lo strabismo è ridotto o annullato grazie alla PAC. Per esempio in caso di paralisi del VI nervo cranico di destra il paziente presenterà una deviazione verso l’interno dell’occhio destro nella destroversione ed occhi paralleli nella levoversione (versione verso sinistra), per cui adotterà una posizione del capo ruotata verso destra (FIG 5). Qualsiasi strabismo incomitante può causare una PAC compresi strabismi restrittivi, paralisi dei nervi cranici, paralisi primarie dei muscoli obliqui, atteggiamenti a “V” o ad “A”. Il trattamento delle PAC nei casi di strabismo incomitante è basato sulla correzione dello strabismo che consente di ottenere l’ortotropia in posizione primaria di sguardo; nistagmo: i pazienti con nistagmo cercano di dirigere gli occhi nella posizione in cui le scosse sono ridotte al minimo (“null point”). Per mantenere gli occhi in tale posizione continuando a guardare il dritto davanti a sé devono necessariamente ruotare il capo. Se il “null point” è nello sguardo verso destra la testa viene ruotata verso sinistra e viceversa; difetti rifrattivi: a volte in caso di miopie e astigmatismi elevati si accompagnano a PAC finalizzate a portare gli occhi in posizioni ove il difetto sia minimizzato. In questi casi è opportuno cercare di correggere al meglio il difetto refrattivo prima di procedere ad altre indagini; ptosi: può essere associata a chin-up. In caso di ptosi occorre escludere che sia dovuta a una lesione del III nervo cranico. 6.STRABISMI PARALITICI NERVI OCULOMOTORI I nervi cranici sono 12, tre di essi vengono definiti oculomotori per la loro prevalente funzione sul controllo della muscolatura estrinseca ed estrinseca dei globi oculari. Essi sono il III nervo cranico o oculomotore comune, il IV nervo cranico o trocleare e il VI nervo cranico o abducente. Questi nervi contengono fibre mieliniche somatomotrici centrifughe per l’innervazione dei muscoli oculari estrinseci e fibre amieliniche centripete sensitive deputate alla sensibilità propriocettiva dei muscoli. L’oculomotore comune è responsabile dell’innervazione dei seguenti muscoli: elevatore della palpebra superiore, retto superiore, retto mediale, retto inferiore, obliquo inferiore. Il suo nucleo si trova nel mesencefalo e le sue fibre sono dirette per l’innervazione di tutti i muscoli ad eccezione che per l’elevatore della palpebra superiore, per il quale le fibre sono parzialmente crociate. Nel suo percorso intracranico attraversa il seno cavernoso dove contrae rapporti con il nervo trocleare e con la prima branca del nervo trigemino. Contiene inoltre fibre amieliniche centripete sensitive deputate alla sensibilità propriocettiva dei muscoli. Infine il III nervo cranico riceve nel suo tratto intercavernoso un contigente di fibre ortosimpatiche provenienti dal plesso carotideo e un contigente di fibre parasimpatiche che originano dal nucleo di Edinger-Westphal che si dirigono al ganglio ciliare e che raggiungono il muscolo sfintere dell’iride e al muscolo ciliare attraverso i nervi ciliari brevi. Penetra nell’orbita attraverso la fessura orbitaria superiore, penetra l’anello di Zinn e si divide in due rami uno superiore per il retto superiore e per l’elevatore della palpebra superiore e un ramo inferiore che oltre a veicolare le fibre parasimpatiche si dirige al retto mediale, retto inferiore e al piccolo obliquo Il nervo trocleare è un nervo motore ed è responsabile dell’innervazione del muscolo grande obliquo (o obliquo superiore). Il nucleo è posto nel mesencefalo e, come il III nervo cranico, nel suo percorso intracranico attraversa il seno cavernoso dove contrae rapporti con il III nervo cranico superiormente e con la branca oftalmica del V nervo cranico inferiormente. Penetra nell’orbita attraverso la fessura orbitaria superiore e passa esternamente all’anello di Zinn per portarsi al obliquo superiore. Il nervo abducente è un nervo motore ed è responsabile dell’innervazione del muscolo retto mediale. Il nucleo è posto nel ponte. Nel suo percorso intracranico penetra nel seno cavernoso dove contrae importanti rapporti con la carotide interna. Penetra nell’orbita attraverso la fessura orbitaria superiore, passa attraverso l’anello di Zinn e si dirige al retto laterale. LE PARALISI DEI NERVI OCULOMOTORI I nervi oculomotori possono essere danneggiati a qualsiasi livello del loro decorso, dal nucleo alla terminazione nucleare. PARALISI DEL III NERVO CRANICO La paralisi del nervo oculomotore comune può essere completa o parcellare, congenita o acquisita. La paralisi completa determina paralisi flaccida della palpebra superiore per compromissione dell’elevatore della palpebra superiore, strabismo divergente, per compromissione del retto mediale e conseguente prevalente azione del retto laterale che tende ad abdurre il bulbo, abolizione dei movimenti di elevazione e diplopia (visione doppia). Inoltre la lesione del contingente di fibre parasimpatiche determina midriasi fissa e compromissione dell’accomodazione. La paralisi parcellare consiste nella compromissione di uno dei muscoli innervati dal III nervo cranico: la paralisi del retto mediale determina exotropia (occhio deviato verso l’esterno) per il prevalere dell’azione del retto laterale. In questo caso si ha un atteggiamento posturale compensatorio del capo che tende a essere ruotato verso l’occhio sano, consentendo all’occhio colpito di restare in abduzione e limitando in questo modo la diplopia. La paralisi del retto superiore determina deficit dell’elevazione. Spesso è coinvolto anche l’elevatore della palpebra determinando il quadro della MED o paralisi doppia degli elevatori. La paralisi del retto inferiore determina un deficit nello sguardo verso il basso dell’occhio colpito. Può essere presente in posizione primaria di sguardo una iperfunzione dell’antagonista omolaterale, il retto superiore, che determina un’ipertropia (deviazione dell’occhio verso l’alto) dell’occhio colpito. Questa paralisi può determinare una posizione anomala del capo compensatoria detta “chindown” (capo con il mento verso il basso). La paralisi dell’obliquo inferiore è una condizione molto rara che determina un deficit dell’elevazione (data dall’ipofunzione dell’obliquo inferiore) e una depressione molto marcata in adduzione (data dall’iperfunzione dell’obliquo superiore) con una exotropia ad “A” nello sguardo verso il basso (gli occhi cioè tendono ad essere allineati nello sguardo verso l’alto e tendono a divergere nello sguardo verso il basso, simulando la forma di una “A”). Occorre precisare che l’ipofunzione dell’obliquo inferiore è clinicamente indistinguibile dalla iperfunzione primaria dell’obliquo superiore, pertanto è presumibile che molti dei casi riportati di paralisi dell’obliquo inferiore siano in realtà iperfunzioni del obliquo superiore. PARALISI DEL IV NERVO CRANICO Questa paralisi determina deficit dell’obliquo superiore. In posizione primaria di sguardo l’occhio appare deviato verso l’alto e verso l’interno per il prevalere dell’azione dell’antagonista, il retto inferiore. Il paziente cerca di compensare il deficit con un atteggiamento posturale compensatorio del capo abbassando il mento ed inclinando il capo verso il lato sano. Le paralisi del IV nervo cranico possono essere congenite o acquisite. A livello orbitario il nervo trocleare può essere danneggiato da cause di natura traumatica, flogistica o ischemica. Spesso è difficile localizzare la lesione che può colpire il tronco nervoso, la troclea, il muscolo o il tendine. PARALISI DEL VI NERVO CRANICO Determina deficit del muscolo retto laterale ed è la più comune forma di paralisi della motilità oculare. Clinicamente si caratterizza per un’esotropia (occhio deviato verso l’interno) dell’occhio colpito per iperfunzione del retto mediale omolaterale e limitazione dell’abduzione dell’occhio colpito. Possono essere congenite o acquisite. Congenite: le forme congenite fanno parte della sindrome di Moebius e della sindrome di Goldenhar Acquisite: il VI nervo cranico è un nervo molto lungo che può essere danneggiato in qualunque punto del suo decorso. Prima di considerare la possibile localizzazione della lesione lungo il decorso del nervo è importante escludere processi morbosi che possono dare un deficit dell’abduzione senza ledere il nervo come la miastenia, la miopatia distiroidea o processi infiammatori a carico dell’orbita. 7.TRAUMATOLOGIA Le fratture delle pareti orbitarie possono avvenire con due modalità. Le fratture dirette conseguono a un trauma che coinvolge direttamente l’orbita e riguardano spesso una sola parete ossea dell’orbita (dirette e isolate). Le fratture indirette invece raggiungono l’orbita per propagazione di una frattura che coinvolge altre ossa craniche, più spesso lo zigomo, il naso e l’etmoide e non coinvolgono quindi un solo osso costituente la cavità orbitaria ma più di un osso (indirette e associate). Le fratture delle pareti orbitarie, provocando una soluzione di continuo nella parete, possono alterare il rapporto tra contenuto (bulbo oculare e grasso orbitario) e contenitore (orbita) in due modi: la frattura può aumentare il volume orbitario qualora l’osso fratturato venga dislocato verso l’esterno o comunque consenta una fuoriuscita del contenuto bulbare rispetto ai normali confini ossei, oppure può diminuire il volume orbitario nel caso in cui l’osso interessato dalla frattura dislochi verso l’interno. Questi sono i meccanismi alla base delle fratture di tipo blow-out e blowin. Nelle fratture blow-out si verifica un aumento del volume dell’orbita e una fuoriuscita del contenuto orbitario attraverso le rime della frattura, come si verifica nelle fratture del pavimento o della parete mediale, in cui il grasso orbitario ernia nel seno mascellare o nel seno etmoidale. La conseguenza dell’aumento del rapporto contenitore-contenuto provoca un enoftalmo. Nelle fratture blow-in si verifica una diminuzione del volume dell’orbita e di conseguenza una diminuzione del rapporto contenitore-contenuto che provocherà esoftalmo. Ciò si verifica nelle fratture del tetto in cui l’osso frontale fratturato viene dislocato verso il basso diminuendo il volume orbitario e nelle fratture della parete laterale quando l’osso zigomatico viene dislocato verso l’interno. Il sintomo tipico delle fratture orbitarie è la diplopia cioè la visione doppia che può essere presente nelle direzioni dello sguardo relative al muscolo coinvolto dalla frattura. Una frattura del pavimento che incarcera il retto inferiore provocherà diplopia nello sguardo verso l’alto per incapacità del retto inferiore a rilasciarsi, così come una frattura mediale potrà provocare una diplopia orizzontale per incapacità del retto mediale a rilasciarsi durante l’abduzione dell’occhio interessato dalla frattura. Le fratture del pavimento sono le più frequenti. Esse conseguono a un trauma che coinvolge la superficie anteriore del bulbo oculare, come l’impatto con una palla da tennis o un pugno. L’aumento pressorio che ne consegue si distribuisce internamente sulle pareti orbitarie trovando nel pavimento un locus minoris resistentiae, data la sua relativa fragilità. Si verifica pertanto la frattura con scoppio esterno della parete ed erniazione di parte del contenuto bulbare nel seno mascellare secondo il tipico modello di frattura blow-out. Clinicamente la frattura del pavimento si caratterizza per edema ed ematoma della regione palpebrale e sottopalpebrale inferiore, enoftalmo, inizialmente meno evidente a causa dell’edema tessutale, diplopia nello sguardo verso l’alto qualora il muscolo retto inferiore fosse incarcerato nella rima di frattura e anestesia del territorio cutaneo innervato dal nervo intraorbitario per coinvolgimento del nervo nella rima di frattura. Le fratture della parete mediale sono le seconde per frequenza e si presentano più spesso associate a fratture del pavimento o a fratture naso-etmoidali. Si caratterizzano per diplopia orizzontale per incarceramento del muscolo retto mediale e conseguente ostacolo all’abduzione ed enoftalmo per protrusione dei tessuti orbitari nel seno etmoidale Le fratture della parete laterale sono spesso fratture associate con coinvolgimento dell’osso zigomatico o del mascellare. Determinano diplopia nelle direzioni laterali dello sguardo per coinvolgimento del muscolo retto laterale nella rima di frattura e conseguente impossibilità all’adduzione. Possono determinare enoftalmo oppure esoftalmo secondo che la frattura sia blowout o blow-in. Le fratture del tetto sono le meno frequenti data la relativa robustezza dell’osso frontale e sono classiche fratture tipo blow-in con diminuzione del volume orbitario per dislocazione verso il basso dell’osso frontale e conseguente esoftalmo. Qualora nella frattura venga incarcerato il retto superiore si verifica diplopia verso il basso. Inoltre un coinvolgimento del nervo sovraorbitario può comportare una diminuita sensibilità della regione cutanea sovraorbitaria. Nel caso di fratture estese ci può essere una trasmissione della pulsatilità del liquor agli spazi orbitari con comparsa di pulsazione del globo. Tale pulsazione è meglio apprezzata con la tonometria ad applanazione. Le fratture orbitarie richiedono per una corretta diagnosi ed una precisa localizzazione l’esecuzione di TAC coronale e sagittale. Di qualche utilità anche la radiologia tradizionale esclusivamente per la diagnosi di fratture delle cornici orbitarie, eseguita secondo le proiezioni di Waters (sub-mentovertice). Per il monitoraggio della diplopia è utile far eseguire al paziente il test di Hess. La terapia consiste nell’intervenire chirurgicamente ripristinando, attraverso l’utilizzo di placche metalliche o materiali alloplastici (lamine di silicone), eterologhi (cartilagine animale) o autologhi (prelievi di osso autologo costale o dalla cresta iliaca), la continuità ossea al fine di ristabilire un corretto rapporto tra il contenuto e il volume orbitario, risolvendo l’enoftalmo o l’esoftalmo. Altra finalità dell’intervento è liberare la muscolatura estrinseca eventualmente incarcerata nelle rime di frattura garantendo il ripristino della normale motilità bulbare e risolvendo così la diplopia.