Allegato pdf - TorinoMedica.com

annuncio pubblicitario
lingua italiana e media
G IUSEPPE S ERGIO
La salute in vendita.
Un sondaggio lessicale sulla lingua
medico-pubblicitaria1
1. Tecnicismi e pubblicità
In un contesto pubblicitario ormai votato, in linea di massima, allo statement
e all’understatement, ricorrere all’arsenale dei tecnicismi significa per il copywriter riuscire ad esaltare un bene2 senza correre il pericolo di destare nell’utente il
sospetto che si stia cercando di persuaderlo. Mentre altre strategie linguistiche
volte all’esaltazione del bene, come ad esempio accattivanti neoformazioni e coniazioni superlative, risultano superficialmente molto appariscenti – oltre che da
tempo inflazionate – e quindi attivano con più facilità le barriere autodifensive del
consumatore, il tecnicismo conserva la sua efficacia suasoria proprio perché poco
(o meno) rilevato: si direbbe anzi “naturale” in un italiano lingua di tutti che,
com’è ben noto, è sempre più aperto all’accoglimento di tessere provenienti dai
diversi linguaggi specialistici. Detto in altri termini, un’identica struttura profonda,
cioè semiotico-semantica, a finalità conativa può venire espressa al livello superficiale della configurazione morfolessicale sia attraverso studiate stravaganze del significante, sia tramite l’appeal più discreto del tecnicismo: stesso principio originatore e stesso scopo pragmatico, diverso accoglimento presso gli utenti.
Il tecnicismo, qualunque sia il settore di provenienza, conferisce un avallo
tecnologico-scientifico al bene da pubblicizzare, funzionando insieme sia come
reason why che dovrebbe creare l’impulso all’acquisto, sia come giustificazione di
quest’ultimo, soprattutto nei casi in cui si tratti di un bene superfluo o più costoso
rispetto ai competitors, cioè quando serva a mettere a tacere un senso di colpa.
1
Per i preziosi suggerimenti ricevuti durante e a stesura ultimata, ringrazio Silvia Morgana e
Riccardo Gualdo.
2
Per bene intendo, qui e in seguito, qualsiasi prodotto o servizio in grado di soddisfare un
bisogno, sia di tipo fisiologico che psicologico.
279
Senza contare che la pubblicità, almeno presso certe categorie di utenti, ha il potere di validare e vendere per vero ciò che veicola («sarà pur vero, l’ha detto la
pubblicità») e che, grazie ad essa, il tecnicismo può acquisire una sorta di diritto di
cittadinanza, ottenendo così le carte in regola per entrare nel sistema di ciò che è
accettabile: alla qualità x è stato dato risalto in una pubblicità e per ciò stesso x diventa buona e degna di stima.
Arrivati a parlare di parametri intraindividuali, entra a questo punto in scena
il vero protagonista della comunicazione pubblicitaria: il target (Vecchia 2003:
193 sgg.). Le generalizzazioni infatti non reggono più qualora si venga a più vicino contatto con i diversi profili dei consumatori. Seguendo la tipologizzazione
proposta da Brochand/Lendrevie (1986 [1983]: 108 sgg.), si possono distinguere
quattro principali tipi di consumatore, per i cui esponenti, ritengo, il tecnicismo assumerà diversi valori: 1) per il consumatore razionale, portato ad analizzare i contenuti informativi della pubblicità, il tecnicismo è funzionale alla solidità della reason why (che a sua volta sostiene la main promise legata al bene): la presenza di
tecnicismi sarà per lui tanto più importante quanto più alto sarà il suo coinvolgimento nei confronti del bene; 2) per quello condizionato, che accetta il verbo pubblicitario senza alcuno spirito critico, l’uso terminologico è indifferente, visto che
su di lui agisce soprattutto il principio di autorità proprio del mass medium; 3) per
quello suggestionato, facilmente influenzabile a livello emotivo e inconscio, può
essere addirittura controproducente, essendo preferibile puntare su valori soft; infine, 4), per quello conformista, che ritiene lo stile di consumo un indicatore di
status sociale, il tecnicismo è semplicemente una più o meno efficace esca. La
portata della “funzione esca” affidata al tecnicismo, vulgata nello stato dell’arte
sulla lingua pubblicitaria, va quindi senz’altro ridotta distinguendo i tipi di consumatore, oltreché tenendone presente, appunto, la natura di esca, a cui si può anche
non abboccare3.
In ogni caso, grazie all’autenticazione scientifica (o pseudo-tale) del tecnicismo, viene caricato positivamente, al contempo, anche chi lo acquisterà e ne farà
uso. Il tecnicismo è cioè uno status symbol che “passa” dal prodotto all’utente.
Inoltre, riconoscendo implicitamente a quest’ultimo una competenza decodificatoria, lo fa entrare nella cerchia, più o meno ampia a seconda dei casi, di “chi ne capisce”: in termini specialistici, l’ente produttore di un dato bene, che su di esso è il
massimo intenditore visto che lo produce, fa mostra di considerare il consumatore
3
Altieri Biagi (1990: 364-367) nota come il tecnicismo non possa funzionare come esca nelle
pubblicità dirette a specialisti e sostiene come a questo livello si punti «sull’effetto opposto, per
provocare quello shock che deve agganciare l’attenzione del probabile cliente», cioè violare
«l’“univocità” del termine, riimettendolo nel prisma della polisemia della lingua non scientifica»
mediante giochi di parole tra accezione tecnica e significato usuale. Una violazione che, nella nostra campionatura, si verifica solo sporadicamente.
280
come un suo pari4. In questo senso si può rintracciare un’analogia tra la pubblicità
che sfrutta terminologie specialistiche e il gergo vero e proprio: come gli usi di
quest’ultimo assolvono la fondamentale funzione criptica di chiudere la comunicazione all’interno del gruppo e quindi di isolarlo nei confronti dell’esterno, così il
tecnicismo concorre a creare una sensazione di appartenenza ad una cerchia di
eletti versus il volgo profano. Ma se gergo e linguaggio tecnico condividono talvolta la funzione criptica (il ricorso a parole oscure per riferirsi a cose comuni),
più spesso l’uso di una terminologia specialistica è il portato naturale della necessità di riferirsi ai referenti delle diverse discipline e solo in casi circoscritti il tecnoletto avrà indubitabilmente funzione criptica: nel dialogo fra due medici, per
esempio, che non vogliano farsi capire da un paziente presente.
La frangia à la page (o che si crede tale) solleticata dagli usi tecnicistici è
quella degli intenditori, dei più avveduti (o che si credono tali), che sanno approfittare dei progressi della scienza e della tecnologia, degli adoratori del nuovo: se il
tecnicismo è di per sé rassicurante o lusinghiero e concorre alla creazione di uno
stile freddo e denotativo, il carattere della novità all’interno del sistema linguistico
lo rende di gran lunga più allettante, considerata la nota presupposizione del nuovo
come bene in sé, sempre e comunque, a priori, latore di progresso (omne ignotum
pro magnifico est). Quando del tecnicismo neologico viene ignorato il designatum
l’effetto è accresciuto, per così dire, all’ennesima potenza: nell’incontrare un termine nuovo, ma con facies tipicamente tecnicistica (quella ottenibile, per esempio,
grazie ai suffissi -olo, -ene, -ase, -ina, etc.), l’automatismo è quello di incasellarlo
tra i signantes delle recenti e continue innovazioni che garantiscono un positivistico miglioramento della qualità della vita. Anche perché, se così non fosse, l’azienda non avrebbe avuto ragione di dargli risalto in una comunicazione pubblica
(che certo è pubblicitaria, ma il tecnicismo ha il potere di farlo dimenticare). Come
dice Baldini (1989: 13):
mentre i gerghi specialistici proliferano, le possibilità che ognuno di noi ha di
poterli padroneggiare con competenza si riducono progressivamente. Di qui
la facilità con cui è oggi possibile spacciare impunemente pastrocchi di discorsi senza senso come discorsi superiori, la cui superiorità dovrebbe essere
di per se stessa la garanzia della loro bontà. In altre parole, è oggi di fatto
molto più facile che nel passato far accettare ai più pseudodiscorsi, discorsi
cioè oscuri e privi di contenuto, ma che di primo acchito risultano così meravigliosamente tecnici da venir accettati come discorsi di esperti.
Per questa via la pubblicità diventa uno dei veicoli privilegiati per l’accogli-
4
Nonostante il risalto pubblico che negli ultimi anni viene dato alle agenzie creative (si pensi
al Galà della pubblicità trasmesso da qualche anno sulle reti Mediaset), nell’opinione comune è
l’utente pubblicitario l’emittente diretto della pubblicità, mentre in realtà ne è solo il committente.
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mento di terminologie specialistiche nel tessuto della lingua comune. Per una serie
di motivi. Innanzi tutto perché, come accennato poc’anzi, il mass medium, nella
circostanza, si fa garante per il messaggio; poi perché, al contrario degli altri media, generalmente a fruizione usa e getta, qualsiasi pianificazione pubblicitaria prevede una più meno intensiva ripetizione del messaggio, per cui risulta difficile sia
sfuggire al tecnicismo, sia evitare di incontrarlo più volte5; in terzo luogo perché al
tecnicismo può venir dato particolare risalto, pronunciandolo con enfasi, se il
messaggio è orale, o impiegando un lettering adeguato, se scritto. Nella direzione
di un accoglimento privilegiato e acritico del tecnicismo va annoverato infine il
fatto che il testo pubblicitario viene sì recepito come testo emanante da un’azienda, la cui comunicazione è sempre interessata, ma si presenta tuttavia come testo
anonimo, cioè privo dell’indicazione della persona concreta – fallibile, come tutti
gli esseri umani – che lo ha creato: le asserzioni, almeno se tecnicistiche, diventano così generalmente non discutibili.
2. La pubblicità dei medicinali: una panoramica orientativa
Si è visto come, poiché in pubblicità «[l]o sfoggio di nozioni scientifiche è
tanto maggiore quanto minore è la resistenza prevista» (Cardona 1974: 74), la valutazione dell’uso di terminologie specialistiche, e quindi anche della buona o cattiva fede di chi le impiega, dipenda dal tipo di target cui la comunicazione pubblicitaria è rivolta: ad esempio, tradizionalmente – ma la dinamica di gender è in rapido mutamento –, il gentil sesso viene considerato uno dei bersagli più deboli
(cioè più facilmente influenzabili) soprattutto quando ci si rivolga alla donna-madre e alla donna-massaia, ruoli ai quali si potrebbero facilmente aggiungere quelli
di donna-seduttiva e di donna-che-invecchia.
Per cogliere l’eventuale variazione lessicale in relazione alla diversità di
utenti cui viene indirizzata la comunicazione si è analizzato un corpus di 100 pubblicità stampa di uno stesso macro-settore merceologico (medicinali e più generici
prodotti per la salute), raccolte nei primi mesi del 2005. Il corpus è stato allestito
per poter apprezzare la variazione verticale ed è stato “tagliato” su tre livelli: il
primo, quello medio-basso, è costituito da 40 pubblicità estratte dai settimanali
popolari «Gente», «Chi», «Di Più», «TV Sorrisi e Canzoni»; il secondo, quello
che ho presupposto come medio-alto, da 20 inserzioni pubblicitarie pianificate sugli inserti dedicati alla salute dal «Corriere della Sera» e dalla «Repubblica»; al
terzo, quello alto, rinviano infine quelle riviste specializzate che settimanalmente o
5
Questo vale anche per i media alfabetici, in cui, essendo evidentemente prioritaria l’intenzionalità della lettura, possono darsi casi nei quali è davvero difficile sfuggire al richiamo pubblicitario
(come l’out-door).
282
mensilmente tengono aggiornati il medico di base («Giornale del Medico»,
«Tempo Medico», «Medici Oggi») e il farmacista («Il Giornale del Farmacista»,
«Il Farmacista» e «Tema Farmacia»)6. La scelta di limitarsi, per questa analisi, a
soli tre livelli è di carattere puramente operativo, l’escursione potendosi certamente ampliare sia verso il basso (pubblicità, al limite dell’amatoriale, su giornali
locali e localissimi) sia verso l’alto (pubblicità su riviste ancora più specializzate,
rivolte al dentista, al cardiologo, etc.); ad esempio, a questi livelli-tipo Altieri
Biagi (1974: 90-91) ne aggiunge un quarto, e più alto, nel quale la specializzazione si fa «formulazione simbolica, liberatrice estrema dagli impacci connotativi
della lingua comune» (passando però in questo modo, come è stato notato – Gotti
(1991: 11-12) –, dall’ambito verbale a quello non verbale).
La comunicazione pubblicitaria rivolta al grande pubblico (livelli 1 e 2) è
consentita solo per una delle due tipologie di medicinali SOP (Senza Obbligo di
Prescrizione), gli OTC (Over The Counter, lett. “sopra al banco”, detti anche “farmaci di automedicazione”), mentre gli SP (Senza Prescrizione, o “di automedica-
6
Ecco l’elenco degli inserzionisti ai tre livelli, medio-basso (1-40), medio-alto (41-60) e alto
(61-100), con la numerazione che verrà impiegata in seguito per richiamare le sedi delle occorrenze: Aloe Vera Esi® (1), AntiStress® (2), Be-Total (3), Bioscalin® (4), Blistex (5), Botoina (6),
Coral Calcium Max (7), Dercos Vichy (8), Digestivaid (9), Dimalosio (10), Diminor® (11), Echinaid® (12), EnerZona Omega 3X (13), eva/qu (14), Fluimucil mucolitico (15), Honeyrose (16), innēov (17), Kilocal (18), Korff (19), MediNait Vicks (20), Melatonina Gold (21), MG.Kvis (22),
MigliCres® (23), MiKura® (24), Multicentrum (25), neoVerucid (26), NiQuitin CQ (27), No Dol®
(28), NormaLine Erbe (29), Normolip 5 (30), Novafibra (31), Plurilac (32), Propoli Epid (33), Proporal (34), Retin-Ox Roc (35), Rinocare® (36), Selenium-A.C.E.-Extra® (37), Silicium-R Vichy
Homme (38), Tisana Kelémata (39), VitaSohn Junior (40), Benagol®/Benactive® Gola (41), Biolactine (42), Bioton® (43), BioValoe (44), ColdizinTM (45), C-Tard (46), Digenzym AB (47), elmex® (48), Gallexier® (49), Isomar® (50), Isomar® Occhi (51), le dieci erbe® (52), Matt®&diet (53),
meridol® (54), NeoDonna® (55), Ovix (56), Psyllogel® (57), Snoreeze® (58), Somatoline® (59),
Wet® (60), Actonel® (61), AloeMent® (62), Arcoxia (63), @ulin (64), Benegum (65), Berocca®PLUS (66), BioCistin® (67), Biotiker®/Biotikind® (68), BioValoe (69), Crescina Labo (70),
Declaril® (71), Depalgos® (72), Depurerbe (73), En® (74), Enterogermina (75), Eucerin® (76),
Flector® (77), Flu-Action Vicks (78), Hansaplast® med (79), Huggies® (80), isotre® (81), LactoDIS.CINIL (82), Laevolac® (83), Lexotan (84), Loaartan® (85), Lobivon® (86), Mionevrasi® (87), Monuril® (88), NelsonsTM (89), NeoLactoflorene® (90), Prefolic® (91), Proctoflan® (92), Rocefin® (93), Sine
Cod Tosse® (94), Sinvacor® (95), Spiriva® (96), Stilnox® (97), tinset® (98), Vulnopur® (99), Zitroma
(100). Il segno® indica esplicitamente che si tratta di un marchio registrato, mentre TM, che sta per Trade
Mark, che il «marchio è in attesa di registrazione» (Zardo 1996: 373). Nell’analisi linguistica degli annunci il nome di marca non è stato preso in considerazione: terreno d’indagine certo interessantissimo, ma
che ci avrebbe portato troppo lontano e che, fatto più importante, avrebbe ibridato un discorso che vuole
focalizzarsi sul linguaggio strettamente pubblicitario. Per quanto riguarda i nomi dei medicinali è stato
dimostrato come essi parlino, «entro certi limiti, a due categorie di persone: medici (e farmacisti) da un
lato, profani dall’altro» (Pettenati 1955: 24); una «comunicazione [che], però, avviene a diversi livelli, organizzandosi in “circuiti” variamente orientati a seconda degli elementi che entrano in composizione e
che non sono sempre dello stesso tipo» (Patota 1985: 274).
283
zione su consiglio”) non possono essere pubblicizzati7. La pubblicità presso il
pubblico è inoltre consentita per i prodotti cosiddetti borderline, cioè rientranti nel
settore in forte e costante crescita di omeopatici, erboristici e dietetici; prodotti
che, nella percezione dei consumatori, sembrano soddisfare i medesimi scopi della
medicina tradizionale, risultando però biologicamente meno aggressivi. Al livello
della comunicazione specialistica è invece concessa la pubblicizzazione anche degli
SP e dei medicinali cosiddetti “etici”, quelli per i quali è obbligatoria la prescrizione del medico.
Rispetto alla pubblicità per i beni di largo consumo, quella medica presenta
caratteristiche sue peculiari, richiedendo da parte dei suoi operatori conoscenze
scientifiche e doti di sensibilità maggiori: non è infatti un caso che tutte le più
grandi agenzie creative siano provviste di una divisione Health Care e che ne esistano parecchie specializzate in questo settore. In ambito medico il trattamento
creativo della comunicazione è reso più difficile dal suo stesso oggetto, da regole,
diciamo di genere, che, più che per altri settori, sono fortissime, e dall’accentuato
conservatorismo degli utenti pubblicitari che vi operano (cioè le aziende farmaceutiche committenti). Ultimo ma non ultimo, le pubblicità sia dei medicinali da
banco sia degli “etici” sono non solo sottoposte, come qualsiasi altro tipo di pubblicità, al vaglio del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria (che però ha validità solo
per gli utenti pubblicitari che lo sottoscrivono) e a quello del Garante della Concorrenza e del Mercato, ma devono anche essere approvate dal Ministero della Sanità (Decreto Legge 491/92): un sistema per la tutela del consumatore che può talvolta frenare, ab origine, l’inventiva dei creativi.
Quanti in passato si sono occupati di lingua della medicina, e in particolare
di divulgazione medica, hanno indicato questo ambito come particolarmente importante in quanto ci vede tutti coinvolti: i medicinali, beni primari o di prima necessità, soddisfano infatti un bisogno di carattere fisiologico dal quale dipende la
sussistenza dell’individuo. Secondo la cosiddetta “gerarchia di Maslow” (Perrone
2000: 22-25; Vecchia 2003: 153), dal nome di Abraham H. Maslow (1908-1970)
che la ideò negli Stati Uniti verso la metà degli anni Cinquanta, i bisogni umani
possono essere visualizzati attraverso una piramide o una scala, alla base della
quale starebbero quelli fisiologici, più elementari e quindi condivisi da tutti, mentre
salendo si troverebbero i bisogni psicologici, come quelli attinenti alla sicurezza,
alla stima altrui e all’autostima, culminanti con quelli che riguardano l’autorealizzazione. Ebbene, secondo questa teoria, la gerarchia può essere letta anche come
7
Anche se attualmente l’Agenzia Italiana del Farmaco sta lavorando alla riclassificazione dei
due sottocomparti, con in particolare l’obiettivo di far confluire gli SP negli OTC e allineare così
l’Italia alla maggioranza delle nazioni europee, dove “farmaco di automedicazione” (pubblicizzabile) e “farmaco senza obbligo di prescrizione” (che in Italia comprende, come si è detto, i pubblicizzabili OTC e i non pubblicizzabili SP) sono sinonimi. In Italia, per le case farmaceutiche, risulta
inoltre difficile far registrare come OTC farmaci che già lo sono in altri stati d’Europa.
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ordine motivazionale di priorità nel soddisfarli: sarò cioè motivato a soddisfare un
dato bisogno se e solo se avrò prima soddisfatto quello che sta più sotto nella
scala. E insieme alla sete, alla fame e alla necessità di vestirsi, alla base della “gerarchia di Maslow” sta la salute.
Non sarà a questo punto inutile soffermarsi sul tipo di bene rappresentato
dai medicinali e sulla strategia di comunicazione pubblicitaria che li riguarda. Innanzitutto vanno tenuti distinti i medicinali da banco da quelli etici, che vengono
usati per patologie più gravi e per i quali, come abbiamo visto, la pubblicità sui
media non specializzati è vietata. Partiamo dai primi.
Prendendo spunto da una griglia molto in uso nelle analisi di marketing, la
FCB o griglia di Vaughn8, il medicinale da banco può essere definito come bene a
coinvolgimento medio-alto, in riferimento al quale la strategia comunicativa più
opportuna risulta essere quella razionale. Se in genere la spesa d’acquisto non è
molto elevata, e quindi il rischio di spendere troppo in relazione al risultato ottenibile non è preminente, tuttavia al medicinale da banco viene demandato il compito
di migliorare un aspetto dell’io biologico (spesso con conseguenze sull’io psicologico). Il bene può assolverlo non per le sue miracolose proprietà, ma perché ha
tutte la carte in regola per farlo: di qui l’importanza di convincere razionalmente il
consumatore della sua efficacia. A puntare sull’emotività potrà semmai essere la
parte iconica dell’annuncio, che infatti spesso mostra l’effetto positivo derivante
dall’uso del prodotto, funzionando così da (falsa o pseudo-)supporting evidence: si
pensi ad esempio ad una pubblicità di uno shampoo per capelli “stanchi e sfibrati”,
in cui le parti verbali accompagnano un visual che ritrae una donna sorridente e
splendidamente chiomata.
Le cose cambiano per le pubblicità di medicinali etici. Prima di tutto perché si
rivolgono a un target che non corrisponde a quello dei consumatori: sempre prendendo a prestito i termini dalla terminologia del marketing, le pubblicità che parlano
ai medici si rivolgono infatti al target dei prescrittori, quelle che parlano ai farmacisti, propriamente – il farmacista è anche un medico –, a quello dei rivenditori (il Decreto Legge 491/92 parla di «persone autorizzate a prescriverli [i medicinali] o a dispensarli», art. 1, comma 2, lettera b). In entrambi i casi, nei confronti dei medicinali
da banco il medico e il farmacista possono essere considerati dei consiglieri che,
qualora abbiano essi stessi provato il prodotto, diventano anche opinion leader. Consigliere o rivenditore, il coinvolgimento nei confronti del prodotto è alto (anche se
più che di “coinvolgimento” sarebbe preferibile parlare di “interesse”, in quanto il
prodotto non soddisfa un bisogno del sé del prescrittore/rivenditore) e l’approccio
comunicativo, di conseguenza, dovrebbe essere decisamente razionale.
8
Cfr. Vecchia (2003: 250-252). La grid serve a collocare i beni su un piano cartesiano i cui
due assi sono polarizzati dall’alto/basso grado di coinvolgimento e dalla razionalità/emozionalità
correlate all’acquisto del bene.
285
Date queste premesse, e affrontando finalmente più da vicino il corpus oggetto di analisi, incominciamo col dire che nelle pubblicità di medicinali da banco
il rapporto tra la componente verbale e quella iconica è decisamente a favore della
prima: il visual, talvolta assente del tutto, nella stragrande maggioranza dei casi è
semplicemente costituito dall’immagine del pack del prodotto (in gergo: il closeup) e/o da quella di una persona felice e in piena forma, contandosi sulle dita di
una mano i casi di trattamento creativo. Ad ogni modo, il fatto che qui più ci interessa è che il visual viene sempre accompagnato da una bodycopy, anche molto
lunga, che illustra le caratteristiche del prodotto e soprattutto, come vedremo, i benefici che se ne possono trarre (tecnicamente, di solito, in termini di product plus:
solo il prodotto x svolge tale funzione e quindi solo il prodotto x può garantire un
certo risultato). Il protagonismo del testo verbale9 rispetto alle altre componenti
dell’annuncio è inoltre dimostrato dai frequenti pubbliredazionali, cioè pubblicità
che adottano in tutto e per tutto la veste di un articolo giornalistico differenziandosene solo per la dicitura (con visibilità, furbescamente, più o meno immediata) di
“comunicazione”, “informazione pubblicitaria” o simili, mai comunque di “pubblicità” tout court, moderno tabù accuratamente censurato10.
Il livello alto rivela qualche sorpresa. Se in linea teorica ci si sarebbe aspettati
un’accentuata vocazione informativa, si deve invece constatare una buona percentuale di annunci in cui la componente verbale è ridotta ai minimi termini. Qualche
esempio, tra i più “estremi”. In pubblicità come quella per @ulin (64 nella nostra
numerazione) si leggono, incolonnati, il merceonimo, una sigla (MO1AX17), il
nome del principio attivo (nimesulide) e quello della marca-gamma (Roche), il
tutto su un fondo tinta unita: la funzione della pubblicità, in casi come questo, è
semplicemente quella di ricordare l’esistenza del prodotto allo specialista che già
ne conosce proprietà e indicazioni. Un tipo di annuncio meno scarno è quello per
En® (74), che contempla la presenza di una headline e di un visual, ma senza bodycopy: procedendo dall’alto verso il basso si legge il titolo Ansia sotto controllo,
si vede l’immagine di una pecora tranquillamente adagiata vicino a un leone e, più
sotto, i packs del medicinale; infine, in basso a destra, la firma della marca-gam-
9
Le parole, per sfortuna del linguista, vengono trattate in modi tanto vari che una descrizione
dettagliata di lettering e impaginazioni (fondamentali in un testo pubblicitario) renderebbe l’analisi
lenta e difficoltosa: nel prosieguo segnalerò con accorgimenti ad hoc solo le occorrenze entro headline (contrassegnate da un asterisco prima dell’indicazione della sede), quelle entro zone particolari (che non rientrino né nell’headline né nella bodycopy), segnalate da un accento circonflesso,
quelle che compaiono in nota (segnalate da una n in apice). Qualora non vi siano indicazioni particolari, che poi è la maggioranza dei casi, è da intendersi che l’occorrenza compare nella bodycopy.
10
Lo ha notato, per le trasmissioni televisive, Ricci (2002): nel lanciare le pause pubblicitarie i conduttori ricorrono, anche se non sistematicamente, a perifrasi o sinonimie eufemistiche pur di non pronunciare la temuta parola. Ricci sostiene, mi pare persuasivamente, che le ragioni di questa resistenza sarebbero da individuare nella storia stessa del medium televisivo (in particolare nella sua originaria vocazione
didascalica e pedagogica, che lo rendeva restio a ogni epifenomeno della società dei consumi).
286
ma. Al medico che non conoscesse questo medicinale viene dato un suggerimento:
«En® combatte gli stati d’ansia, informati se vuoi saperne di più». Ma l’immagine
non è sempre eloquente. La pubblicità per Rocefin® (93) mostra, sotto il merceonimo e l’indicazione del principio attivo, una grossa R, quella di Rocefin® ovviamente, che sovrasta, accompagnata dal titolo Punto di riferimento, un’immagine stilizzata del globo terrestre; a chiudere la solita firma della marca-gamma.
Analizzando il livello alto è inoltre capitato di incontrare pubblicità di medicinali letteralmente incorniciati dal loro foglietto illustrativo: in tali casi (61, 72 e
78) l’analisi linguistica ha considerato il testo pubblicitario stricto sensu. Sono
state invece escluse, per ragioni di non omogeneità rispetto al corpus, le pubblicità
in cui le case farmaceutiche danno annunci vari, come nel caso seguente:
3M Italia S.p.A. ha il piacere di annunciare ai Sigg. Farmacisti che la specialità medicinale VenitrinTM T [...] verrà distribuita con una nuova veste grafica
della confezione, oppure: GlaxoSmithKline informa che i prezzi delle formulazioni della propria specialità [...] Glazidim [...] sono allineati a quello
[sic] dei corrispondenti generici.
Pure escluse, per lo stesso motivo, le pubblicità cosiddette corporate; come
«GlaxoSmithKline. Migliorare la qualità della vita umana per consentire alle persone di essere più attive [a capo] di stare meglio [a capo] e di vivere più a lungo».
A prescindere da casi particolari, al livello alto la componente verbale appare comunque limitata, sicuramente molto di più di quanto non lo sia per gli altri
due livelli. Quello che se ne può dedurre è che per il target degli specialisti la pubblicità non deve tanto farsi carico di veicolare informazioni su un dato medicinale
(informazioni che il medico e il farmacista possono facilmente reperire da altre
fonti), quanto piuttosto di attirare l’attenzione e ricordarne l’esistenza sul mercato.
Fatte queste precisazioni, necessarie soprattutto per il livello alto, sicuramente il meno frequentato dalla maggioranza di noi, è arrivato finalmente il momento di illustrare i risultati dell’analisi del corpus.
3. Analisi linguistica
Poiché il corpus è stato allestito ad hoc per poter apprezzare la (eventuale)
escursione lessicale in pubblicità di argomento medico rivolte a target diversi, la
prospettiva di ricerca sarà giocoforza di tipo verticale (Cortelazzo 2000: 25-36).
L’approccio lessicalista, se è ovviamente solo una delle prospettive d’indagine
praticabili nell’affrontare lo studio dei linguaggi specialistici, è d’altra parte il livello di lingua che più pare contraddistinguerli e che, soprattutto, più si presta per
una, diciamo così, catalogazione delle loro caratteristiche distintive. In particolare,
come sostiene Cortelazzo (1990: 28):
287
la comprensione di un testo medico è strettamente condizionata dalle possibilità di decodificazione del lessico specifico, che concentra su di sé la grandissima parte dell’informazione. La possibilità da parte del non specialista di dedurre il significato di questi termini, quando gli sono sconosciuti, è diversa
per le diverse categorie di parlanti e per le diverse categorie di termini.
La valutazione del parametro sociolinguistico si configura d’altronde come
piuttosto delicata, in quanto entrano in scena le competenze decodificatorie dei destinatari, quindi il diverso grado di trasparenza denotativa dei termini, e la correlata, implicita componente pragmatica sempre presente in una lingua “di parte”
come quella publicitaria.
Per lo spoglio linguistico, tenendo presente questa necessaria premessa, ci si è
valsi dei più reputati dizionari dell’uso: in particolare di GRADIT e GRADIT-App.,
le cui marche d’uso sono state impiegate per l’attribuzione della qualifica di tecnicismo11; in maniera meno sistematica, e puntualmente quando un termine non veniva
contemplato dall’imponente dizionario curato da De Mauro, ho inoltre consultato
DISC, DLI, ZING11 e i repertori di neologismi ADV 2003 e 2005.
3.1. Tecnicismi
3.1.1. Tecnicismi non registrati dai dizionari dell’uso. Visto che li abbiamo
chiamati in causa, tanto vale partire con l’illustrazione di ciò che sulle fonti non
compare, cioè i tecnicismi (che per noi sono quasi sempre da considerare a più alta
intensione). I compilatori di un vocabolario dell’uso hanno infatti il diritto e il dovere di escludere i termini di impiego più specialistico, che saranno invece contemplati in pubblicazioni apposite, i dizionari specializzati (cfr. Serianni 2004:
585). L’uso di un termine non attestato nelle fonti lessicografiche, soprattutto qualora se ne consideri l’affiorare in un medium che è di massa (livelli 1 e 2 del nostro corpus), è comunque significativo anche se in qualche caso il tasso tecnico
correlato alla mancata attestazione nei dizionari viene a ridursi; si tratta di forme
supercomposte, più o meno facilmente “traducibili” anche dal profano (vd. infra, §
3.4)12. Così, se leggo un’headline come Botoina – Rughe (6), subito seguita dall’in-
11
Per le citazioni di definizioni, quando compaiono le marche TS (voce tecnico-specialistica),
CO (comune), AU (di alto uso), FO (fondamentale), etc., è da intendersi che la fonte è GRADIT.
12
Oltre ai nomi depositati (come Biogenina®), non ho ritenuto pertinenti le denominazioni
chiaramente ideate dall’azienda produttrice, per esempio il complesso Omeo K-Complex contenuto
nei cosmetici Korff (19). Un caso notevole è però quello di ovalette® (9: 2), che, nome depositato
assente dai dizionari, indica un referente comune come una pastiglia di forma ovale: ovaletta è perciò a tutti gli effetti una «variante commerciale», fa cioè parte di «quei termini introdotti dalle
aziende per differenziare il proprio prodotto da quelli di altre aziende, dove l’imporsi di una variante sull’altra è legato soprattutto al successo dell’uno o dell’altro prodotto sul mercato» (Scarpa
2002: 35). Zardo (1996: 292) nota che nelle definizioni dizionaristiche dei marchionimi possono
288
dicazione delle sue componenti (Acetyl Dipeptide-1 Cetyl Ester, Sodyum Potassium, Magnesium Gluconate, Pentapeptideamide-4), è chiaro che l’uso tecnicistico, per me uomo della strada, non ha alcun valore informativo: i significanti,
anzi, più che richiedere un atto di fiducia, dovrebbero accecare la potenziale
utenza grazie alla luminosità di una facies così tipicamente scientistica. Lo stesso
si può sostenere in tanti altri casi per i quali manca un’attestazione nei dizionari
consultati (tutti, si noti, molto aperti nell’accoglimento di terminologie specialistiche). Troviamo perciò, senza riformulazioni di alcun tipo: acetilcisteina (n15,
scomponibile in acetil- e cisteina); gamma-orizanolo (*30); policosanoli (*30);
acquaporine (51).
C’è poi un ambito particolare per il quale l’uso dei dizionari si è rivelato
inutile, quello della botanica, i copywriter contando evidentemente sul fatto che
l’equazione tra natura e bontà sia da tutti data per scontata. Trovo così, sempre
senza riformulazioni:
Eleuterococco (2; 43); Maca (2); Rhodiola rosea (43); Zizyphus Jujuba spinosa (2); Echinacea (^12), Echinacea (Purpurea e Angustifolia) (12); Serenoa (23), Serenoa Repens (^23); Noni (24); riso rosso (*30); Ginkgo Biloba
(43); psyllium (57).
La questione è ovviamente diversa se si considerano le pubblicità rivolte al
medico o al farmacista: il tecnicismo ad altissima intensione non riveste più la funzione di specchietto per le allodole ma ha piena funzione informativa. Solo qualche
esempio tra i tanti possibili, perché sarebbe inutile fornire un elenco completo,
noioso e poco pregnante: ibuprofene (^78); Fosfomicina trometamolo (88); ceftriaxone (93); zolpidem emitartrato (97). Sempre per quanto riguarda il livello alto, assenze forse più significative, perché tutto sommato più comuni, sono i composti: antifratturativa (*61); microbatteriologicamente (62); idroattivo (79); varicotomia
(^79); orosolubile (90; lemmatizzato solo da ZING11, che lo data al 1993).
In caso di termini non attestati può talvolta intervenire l’agente riformulatore, che, seppur blandamente e quasi mai con tono didascalico, li riavvicina alla
supposta media competenza dell’utente (vd. infra, par. 3.8). Le dizioni L-Teanina
da The Verde (2) e faseolamina estratta dal fagiolo (11) certo aggiungono qualche
sema, rispettivamente a L-Teanina e faseolamina, ma lo stesso non può dirsi per
Rosavin® da Rodiola (2) e Saw Palmetto, l’estratto di Serenoa Repens (23), con
talvolta penetrare movenze tipiche della lingua pubblicitaria: ad es. nell’edizione del 1994 dello Zingarelli, s. v. borotalco, si legge «nome commerciale di una polvere finissima a base di talco naturale, usata
spec. sulle pelli delicate per le sue proprietà assorbenti e rinfrescanti» (corsivo nostro). Qui la connotazione corrisponde a certe formule pubblicitarie nelle quali l’insistenza su espressioni come per pelli delicate «svolge una funzione laudativa che si sovrappone nettamente a quella referenziale, peraltro, nel caso
specifico, non verificabile».
289
definiendum e definiens entrambi non attestati. Il co(n)testo o la glossa possono però
chiarire qualche aspetto del neologismo tecnicistico, come nei seguenti esempi13:
«Defluvium Telogenico (perdita temporanea ed eccessiva dei capelli)» (n4);
«SP94, la cui struttura associa il glucosio, indispensabile per la crescita del capello, all’acido linoleico o vitamina F, precursore per la sintesi di elementi
costitutivi della fibra capillare» (8); «un preparato a base di fibra vegetale Glucomannano più Lattulosio, due componenti attivi che agiscono in sinergia
per risvegliare l’intestino pigro» (10); «3 componenti attivi sul derma: il
Lacto-Lycopène, gli isoflavoni di soia e la vitamina C» (17).
Ma sulle riformulazioni avremo modo di tornare (vd. infra, par. 3.7). Tra le
forme di neologia riveste una particolare importanza quella sintagmatica (Morgana 1981: 82): così, se interroghiamo i dizionari di riferimento, ci si accorge che
per alcuni sintagmi vengono sì attestati i singoli elementi costitutivi, ma non
l’espressione (tecnicistica) per intero:
omega 3 a catena lunga (13); distillazione molecolare multipla (13); stitichezza
rettale (14); stipsi rettale (^14); dispositivo medico (n14); tessuti di sostegno
(38); tessuti morbidi (58)14; densità calorica (29); attacchi acidi (48)15.
Assenti alcuni altri lessemi creati sfruttando le possibilità derivative e compositive della lingua, in cui però non appare arduo risalire al significato: rigidificazione (8); bio-difese (22); idrodispersibile (33); micronebulizzatore (50); micronebulizzanti (50; per lo stesso campo semantico cfr. la piana chiarezza di 58: «Basta
spruzzare il prodotto in gola per avere una notte di sonno tranquillo»). Pure assente il sintagma colpi di fame (18), probabile neoformazione su colpi di sonno.
3.1.2. Il contingente chimico e biochimico. L’assenza dai repertori lessicali
dell’uso non è dunque, di per sé, sinonimo di impenetrabilità per il profano. Spesso
questa eventualità si verifica invece allorché l’estensore delle pubblicità decide di
attingere alla terminologia specialistica. Nel corpus oggetto d’indagine la messe di
tecnicismi è tale da imporre un criterio di classificazione su base semantica: distinguendo gli ambiti specifici di provenienza (chimica, anatomia, botanica, etc.) si raffina il dato e si consegue una migliore chiarezza espositiva, allo stesso tempo rendendo conto dei bacini terminologici preferiti. Per l’appunto, in tutti e tre i livelli
13
Indicherò con il corsivo, qui e in seguito, i termini che compaiono entro contesti più ampi e
ai quali porre attenzione.
14
Su GRADIT s. v. tessuto compare tessuto molle TS biol.
15
Varianti non riportate dai dizionari sono apparato digestivo (49) anziché a. digerente (forse
malapropismo?) e scienza della nutrizione (53) anziché s. dell’alimentazione.
290
della dimensione verticale, lo spoglio linguistico mostra una netta preferenza per i
termini che, contemplati almeno da uno dei dizionari consultati, provengono dalla
chimica e dalla biochimica (un po’ lo si è già visto, quando ho citato occorrenze
come gamma-orizanolo e acetilcisteina), discipline notoriamente a codice duro.
Al livello alto ci si può senz’altro permettere una pubblicità come la (91): il
visual mostra una pista per la corsa a ostacoli con atleti ai blocchi di partenza,
mentre l’headline recita «Il folato senza ostacoli» (in cui si noti tra l’altro il parallelismo vocalico, tipicamente pubblicitario, tra fOlAtO e OstAcOli); a chiudere, la
firma del produttore (Prefolic®) e il pack con accanto la specifica che «[i]l 5MTHF viene utilizzato dall’organismo come tale». Per me che non so cosa sia il
folato, né tantomeno il o la 5-MTHF, e che non ho mai usato Prefolic®, questa
pubblicità è completamente muta; a me, d’altronde, non era rivolta. Del tutto naturale, ancora, che compaiano a questo livello termini come destrosio (65), tossine
(73), glutine (^81), non spiegati e senza alcuna necessità che lo siano.
Le cose ovviamente non stanno così allorché si scende di livello e si considerano annunci pubblicitari su media di massa: infatti, per il solito uomo della
strada, che valore informativo aggiunge sapere che il siero Aloe Vera Esi (1) ha un
«contenuto in mucopolisaccaridi non inferiore a 7.000 mg/litro»? Oppure che il
complesso Omeo K-Complex «[è] costituito da 5 famiglie di sostanze attive, altamente efficaci: idratanti sinergici, phytosteroli, bioattivatori cutanei, molecole specialistiche, strutturanti lipidici» (19)?
La fascinazione del tecnicismo può d’altronde essere anche meno vistosa,
molto spesso servendo unicamente a dare un tono più sostenuto ad affermazioni che
altrimenti risulterebbero piuttosto scontate: si veda ad esempio la pubblicità (59),
dove si legge che Somatoline, sempre definita «specialità medicinale» e mai “crema
anti-cellulite”, possiede «un principio attivo specifico, la L-Tiroxina» la cui «azione
a livello cellulare migliora il metabolismo locale riducendo gli accumuli lipidici
intracellulari». È vero che spesso, come nel caso di Somatoline, la terminologia della
biochimica viene accompagnata da più o meno deboli riformulazioni, ma resta il
fatto che il ricorso al tecnicismo resta, ed è copioso. Solo qualche esempio:
«acido linoleico o vitamina F, precursore per la sintesi di elementi costitutivi
della fibra capillare» (8); collagene (8; 17; 76); «carboidrati complessi (pasta,
riso, pane, patate ecc.)» (11); «un enzima, l’alfa-amilasi pancreatica» (11); «la
5-alfa reduttasi, l’enzima responsabile [...] della perdita dei capelli» (23); micronutrienti (17); «sostanze nutrienti e rigeneranti come [...] la Cistina e la
Metionina» (23); trigliceridi (30); inulina (32: 2); oligoelementi (40); fibre
prebiotiche (FOS) (42); Fosfoserina (43); Carnitina (43); Maltodestrine
(43); Flavonoidi (45); Fitocomplessi (*53; 53: 2); acido jaluronico (60).
Aggiungerei a questa rapida serie di voci – che però, conviene ricordarlo, si
colgono sempre in un preciso cotesto e da questo traggono quindi significato, almeno parzialmente – l’illustrazione di un caso significativo: la pubblicità di cap291
sule e crema NoDol (28), indicate per problemi alle articolazioni, chiude con
l’enunciazione, enfatizzata da un lettering trionfalista, «a base di glucosamina!»
senza che mai, in alcuna parte dell’annuncio, sia stato fatto prima cenno al tecnicismo (la cui rarità è dimostrata dalla sua assenza sia in DISC che in DLI). Sia per la
terminologia chimica che per quella biochimica sembra dunque corretto rilevare che
se alcune tessere non sono del tutto ignote all’utente comune la loro conoscenza risulta al più di facciata: sono termini che possiamo aver sentito o letto, magari proprio per consuetudine pubblicitaria, ma dei quali ignoriamo il significato.
3.1.3. Il contingente medico e anatomico. Un altro ambito specialistico da
cui si attinge a piene mani è quello medico e ciò non può certo stupire, visto
l’oggetto delle pubblicità in esame. Rispetto ai tecnicismi della chimica e della
biochimica, quelli medici si rivelano generalmente di più piana comprensione: ciò
si spiega con la maggiore frequentazione che tutti noi ne abbiamo nella vita quotidiana, ma anche con la constatazione che la terminologia medica è quella che più
di tutte si riversa nella lingua comune. Nei calcoli di Luca Serianni il 5,45% dei
lemmi registrati in DISC è infatti di ambito medico o contiguo («anatomia, farmacologia, fisiologia»), una percentuale di pochissimo inferiore a quella raggiunta
dalla «somma di termini di fisica, matematica, geometria, statistica, biologia e
chimica» (Serianni 2003: 24); ad ulteriore riprova si consideri che 207 delle 2.130
nuove accessioni registrate da GRADIT-App. sono di pertinenza medica, superate
solo dalle 239 provenienti «dalle tecnologie dell’informazione (informatica, elettronica, pubblicità ecc.)» (Serianni 2005: 115).
Nello spoglio non ho ovviamente tenuto conto dei termini senz’altro usati
nella lingua di tutti i giorni (per intenderci, quelli che GRADIT marca come
CO/AU TS med.); così un excerptus come il seguente non sarà per noi significativo: «Agisce di notte contro i più comuni sintomi del raffreddore e dell’influenza,
come tosse, congestione nasale, dolori e febbre» (20).
Vediamo allora cosa rimane, partendo innanzitutto da termini ed espressioni
più generali:
geriatria (n14); «medicinale di automedicazione» (3); in vitro (8: 2; n35); fisiologico (10; 37:2; 40; 4; *50; *52); sistema di difesa immunitario (37);
«azione antisettica» (41); «profilassi orale» (48); aerosolterapia (50); Retard
(55; 62); «cerotto medicato» (77); «emulsione coadiuvante» (*92).
Fanno riferimento a componenti o a regioni del corpo umano:
«Ricerca Tricologica» (4); bulbo pilifero (4, 8); dermatologica (17: 2; n38);
«Ricerca Dermocosmetica» (76); «Problemi articolari» (*28; subito seguito
da «Collo Schiena Mani Piedi Ginocchia», ^ 28); articolazioni (28); «livelli
ematici» (30); cardiovascolari (85);
292
a stati patologici, di varia gravità, la cui familiarità presso il grande pubblico è
certamente stata favorita proprio dalla pubblicità:
Stipsi (*10; ^14)16; alitosi (10); cardiopatia (27); patologie degenerative
(36, 37); diabetici (32); sinusiti (50); riniti (50); russamento (58: 2); inoltre,
tutti preceduti dalla dizione iperonimica «disturbi di origine allergica» (56):
rinite allergica stagionale, rinite allergica persistente, eczema su base
allergica, eczema atopico, psoriasi, dermatiti, dermatosi.
Se rarissimi sono i casi di vera opacità per il non specialista, al terzo livello
il quadro nomenclatorio delle malattie si complica parecchio:
«osteoporosi indotta da glucocortiroidi» (*61); artrite gottosa acuta (63);
artrite reumatoide (63); osteoartrosi (63); iperpigmentazioni cutanee (71);
neoplastico (*72; «Efficace su tutto l’orizzonte del dolore n.»); cefalea (78);
«dolori osteoarticolari» (78); «cicatrici ipertrofiche e cheloidi» (79); Ipertrofia Ventricolare Sinistra (85); ictus (85); emorroidali (*92); broncodilatazione (96); dispnea (96); flogosi allergica (*98).
Direttamente correlati con quelli medici sono i tecnicismi di provenienza
più propriamente anatomica:
colon (1); apparato digerente (9); apparato digestivo (49); rettale (14; ^14);
«pareti del retto» (14); gastro-intestinali (47); pancreatica (11); derma (17:
4); «ghiandola del cervello» (21); tratto digerente (29); mucosa (55; 60;
inoltre: mucosa intestinale, 32; mucosa nasale, *60, 60); fosse nasali (36: 2);
congiuntiva (51).
Al livello specialistico le indicazioni si complicano ma non troppo, e meno
di quanto ci si potrebbe aspettare, rispetto ai livelli più bassi: vie urinarie (*67);
follicoli (70); Ventricolare (85); anali (*92); orecchio medio (^100).
3.1.4. Il contingente farmacologico, fisiologico e biologico. Imparentati con
i tecnicismi di ambito medico sono quelli che riguardano la farmacologia: aloina
(1); placebo (n4: 2; 8; 17); mucolitico (15); collutorio (54) e i prefissati bio-disponibilità (17; senza trattino di unione in 55); anticoncezionali (37); «azione antiinfiammatoria» (41); antibiotico (42; 90); antidiarroico (90). Un tecnicismo davvero specifico, che non a caso si rintraccia al livello alto, è AII Antagonista (85):
AII, determinante anteposto, sta per Angiotensina II, mentre Antagonista, frutto di
16
Prevale in questo caso la variante più comune stitichezza (*10; 10: 2; *14; 14; *32; 32; *39; 39).
Soprattutto non si danno casi in cui stipsi ricorra senza stitichezza, mentre il contrario invece avviene.
293
rideterminazione semantica, viene marcato da GRADIT s. v. come TS biol., farm.,
e così definito: «di sostanza, che tende ad annullare l’azione di un’altra, spec. di
farmaco che agisce su un recettore nervoso, antagonizzando l’azione di un neurotrasmettitore; anche s. m.».
Altre branche cui si attinge, ma in minor misura, sono la fisiologia e la biologia. Dalla prima: «applicazioni trans-cutanee» (6); peristalsi (32) e il suo equivalente motilità intestinale (10). Dalla seconda: flora batterica (10; 18; 31; 32;
42); flora intestinale (32; 42: 3); batteri patogeni (42); lattobacilli (32)17; probiotici (*42: «I p. per una vita sana»), «fermenti lattici probiotici» (42), complesso
probiotico (42: 2); «cicatrici [...] ipertrofiche» (79); inoltre la rideterminazione
semantica del verbo in «fissare il calcio» (55)18.
3.1.5. Il contingente botanico. Un settore che si può senz’altro definire caratterizzante è quello della botanica, comune e non comune. Nelle pubblicità mediche si riversano infatti i nomi delle piante più svariate, invasione spiegabile con
la recente moda delle cure fitoterapiche e con il conseguente parziale arretramento
della medicina tradizionale. In questo giardino delle meraviglie cresce davvero di
tutto (per comodità di esposizione riporto, in caso di oscillazioni, le sole occorrenze con l’iniziale maiuscola, convenzione maggioritaria ma non esclusiva):
piante medicinali e aromatiche (38); Piante Officinali (39: 3; 53; n68);
Verbena (39); Ginkgo (43; 76); Papaia (8), Papaya (24: 4, di cui 3 nel merceonimo)19; Miglio (23; ^23); Matè (39), Maté (43)20; Rosa canina (43);
Fieno greco (43); Guaranà (43; 53)21; Tarassaco (49; 53); Achillea (49);
Cardamomo (49); Eleuterococco (53).
Frequente è inoltre la citazione dell’Aloe (9; 24; 44: 2; 62: 2; *69: 2; 69) e
dell’aloe vera (*1; 32; 53; 62), caso, quest’ultimo, in cui l’aggettivo riferisce di
un genere di aloe. Non so quanti colgano la differenza tra l’aloe e l’aloe vera, ma
poco importa: ciò che conta è il richiamo alla genuinità e, per il profano, l’aloe
17
Accompagnato da riformulazione per funzione: «fondamentali per mantenere in equilibrio la
flora batterica intestinale».
18
GRADIT s. v. fissare: «TS biol. “la vitamina D fissa il calcio, ne consente il deposito nelle
ossa”». Tessere di varia altra provenienza settoriale, quantitativamente limitate ma da segnalare in
quanto testimoniano nuovamente della voracità lessicale della pubblicità, sono ancora: «Applicatore di precisione a siringa» (n6, TS tecn., s. v.); corallo fossile (*7; ^7; 7; TS paleont., s. v. corallo); barriera corallina (7, TS geogr., s. v. barriera); ergonomico (8, TS scient., s. v.); decerata
(33, TS merceol., s. v.); tiroidectomia (^79, TS chir., s. v.); micronizzazione (99, TS tecn., s. v.).
19
Significativo che le fonti di riferimento diano come principale l’entrata papaia, mentre nel
corpus venga preferita la variante esotica, evidentemente per sfruttarne il fascino.
20
GRADIT lemmatizza mate, DISC e ZING11 mate o matè, DLI matè.
21
Tutti i dizionari lemmatizzano guarana.
294
vera è senz’altro migliore della semplice aloe22. Come ha notato Francesca Sboarina nel suo studio su inserzioni mediche ottocentesche:
l’aggettivo vero ha il significato di ‘originale, non preparato da contraffattori,
quindi efficace’; nelle inserzioni è continuo il martellamento dei vari produttori che esortano gli acquirenti a riconoscere i prodotti autentici dalle imitazioni. [...] La conseguenza sul piano linguistico è l’affermazione di parole che
propagandano l’autenticità dei preparati (Sboarina 1997: 181-182).
Salendo al livello alto aumenta anche la specificità (e si noti che nell’esempio seguente la bodycopy anticipa, come anche negli annunci (69), (73) e (82), una
tabella che riporta la formulazione del prodotto):
Dalla ricerca Bios Line, il nuovo integratore a base di Vitamina E, C e B6,
con estratti vegetali di Verga d’oro, Uncaria, semi di pompelmo, olio essenziale di Origano di Spagna e ShanStarTM Cranberry, un mirtillo rosso di palude, estratto brevettato ad alto contenuto in proantociandine.
Una formula naturale, per ritrovare il fisiologico benessere dell’apparato urinario (67).
3.1.6. Sigle, abbreviazioni, cifre. Anche il ricorso alle sigle, alle abbreviazioni, alle cifre può essere considerato indice di tecnicità. Escludendo in tutti i casi
le ricorrenze – tra l’altro frequenti – entro brand name, si trovano innanzitutto
sigle (eventualmente accompagnate da cifre) che potremmo definire di servizio;
mute, o quasi, per il consumatore comune, sembrano semplici designantes di una
garanzia non precisabile:
«conforme al DTP n. 30 certificato n. P165» (1); «azienda con sistema qualità certificato UNI EN ISO 9001: 2000» (^2); «Certiquality ISO 9001» (^7;
^9; ^12; ^28; ^30; ^52); «Titolazione HPLC-SEC» (^69); «Certificazione
IASC» (^69).
Sigle e abbreviazioni tecnicistiche a tutti gli effetti sono invece le lettere che
distinguono i vari tipi di vitamine:
«protezione solare: SPF 10» (5); SP94 (8: 4); «omega 3 a catena lunga (EPA
e DHA)» (13); «5-alfa reduttasi» (23); OGM (39), «OGM Free» (*81); «fibre prebiotiche (FOS)» (42); «Trifolium pratense L.» (55);«L-Tiroxina» (59);
5-MTHF (91).
22
A proposito dell’integratore pubblicizzato nell’annuncio (1) si specifica poi che si tratta di
«puro gel e foglia intera, preparato in modo naturale».
295
Sigle, quelle appena indicate, che per i livelli 1 e 2 possiedono solo un valore di richiamo. Piuttosto scontate, invece, occorrenze come mg (1) o ml (43: 4;
50), mentre nella comunicazione pubblicitaria rivolta allo specialista si può arrivare a scrivere «[p]osologia: 1 cps, 2 volte/die» (*81), in cui cps sarebbe difficilmente compreso da fasce diastratiche basse. Nel settore delle sigle l’attenzione per
l’utenza comune pare dunque complessivamente scarsa.
L’uso di cifre numeriche è frequentissimo e nettamente prevalente sulla dizione per parola. La ragione è presto detta: anche quando non risponda ad esigenze tecniche (ad esempio, entro particolari denominazioni), che poi è la stragrande maggioranza dei casi, la cifra è funzionale a una maggiore concisione e alla creazione di
un’impressione di scientistica precisione. Un esempio tra i molti possibili (40):
Ogni flacone di VitaSohn Junior contiene 100 pastiglie che apportano 12 vitamine e 10 minerali e oligoelementi in quantità bilanciata per soddisfare il
fabbisogno giornaliero di bambini e ragazzi dai 3 anni in poi.
Si consigliano, ripartite nella giornata:
• 4 pastiglie dai 3 ai 5 anni;
• 6 pastiglie dai 6 agli 11 anni;
• 8 pastiglie oltre gli 11 anni.
Anche senza leggere una bodycopy come questa, l’occhio rileva la concentrazione di cifre, che quindi concorrono a creare un’aura di scientificità, per quanto
solo apparente, intorno al prodotto. Gli esempi di scrittura di cifre in lettere non
sono però del tutto assenti e si può notare come ricorrano in pubblicità che puntano sulla naturalità del rimedio: è il caso del lassativo vegetale pubblicizzato in
(39), dove si informa che «è una miscela di nove piante medicinali e aromatiche»,
per poi raccomandare, più sotto, di «[c]onsultare il medico se la frequenza di assunzione supera le tre o quattro volte in un mese»: all’interno di una pubblicità dal
sapore bucolico, l’uso dei numeri avrebbe allontanato insieme l’aura di letterarietà
e quella di naturalità.
3.2. Forestierismi
Nonostante le preoccupazioni sollevate sulla fastidiosa invadenza di lessico
tecnico-scientifico straniero nei vari ambiti settoriali e poi, sempre più spesso,
nella lingua comune, l’analisi del corpus rivela una decisa tenuta della nostra lingua. Prescindendo qui dal forestierismo di uso comune, del resto quantitativamente poco rilevante – per es. performance (43); équipe (53); silhouette (76: 2);
etc. –, e da quello incluso nel merceonimo, comunissimo ma non pertinente per la
nostra prospettiva di studio, di significativo si trovano solo «colon cleanse» (1);
Retard (55: «Formula Retard a dosaggio frazionato»; 62: «Gli unici ed originali ad
azione Retard!!»); la locuzione fast e [sic] slow release (21: «a effetto fast e slow
release “rapido e lento rilascio”», con riformulazione per traduzione); stock (38:
296
«s. di silicio»; cfr. infra, par. 3.3); detox (69: 2); texture (76); OGM Free (*81) e i
latinismi «Defluvium Telogenico» (n4); die (*81: «Posologia: 1 cps, 2 volte/die»);
ictus (85)23. Più significativa è la presenza di tecnicismi allogeni di ambito botanico, talvolta comune, di provenienza spagnola o portoghese, come Maca (2) e il
già incontrato Papaia/Papaya, o, più tradizionalmente, latina: Zizyphus Jujuba
spinosa (2); «Saw Palmetto, l’estratto di Serenoa Repens» (23); Sophora Japonica
(45); Glycine max Merril (55); Trifolium pratense L. (55); psyllium (57), la maggioranza dei quali non è attestata nei dizionari d’uso. Un caso particolare, perché il
forestierismo viene adottato per dare una parvenza tecnicistica al referente, comunissimo, e quindi per isolarlo in un empireo puramente denotativo, è il fr. flaconette (8: «la f., un contenitore ergonomico e infrangibile»): non contemplata dai
dizionari consultati, la flaconette altro non è che quel che altrove, nel corpus, viene
chiamato fiala (^23), flaconcino (^36; 42; 43: 4; 50: 2) o flacone (59)24.
Se le tessere di provenienza allogena sono apparse isolate, e soprattutto
poco rilevate, l’anglo-americano, il moderno esperanto della comunicazione medica, torna a farsi sentire investendo non più solo singole parole o sintagmi ma
frasi intere. L’inglese è la lingua della comunicazione scientifica internazionale e
nelle pubblicità analizzate funge quindi da garanzia, internazionale appunto, che
avalla la serietà di un prodotto o, più in generale, la correttezza di un assunto. Si
veda ad esempio la pubblicità di un prodotto molto comune come il dentifricio,
nella fattispecie meridiol® (54), in cui l’asterisco rimanda a una nota in inglese:
È stato clinicamente* dimostrato che il fluoruro amminico/fluoruro stannoso
contenuto in meridiol® aiuta a ridurre il processo di infiammazione gengivale
in soli 21 giorni.
[...]
* “Inhibition of plaque and gingivitis by amine fluoride/stannous fluoride” –
W. Künzel et al.
Se la pubblicità appena citata risulta l’unica di questo genere tra le 60 campionate per i livelli basso e intermedio, gli esempi per le 40 inserzioni rappresentative del livello alto si moltiplicano. Per la pubblicità (61), l’asterisco, che compare
nell’headline, rimanda alla sede in cui viene autorevolmente sostenuto l’assunto:
Actonel: la terapia antifratturativa più rapida ed efficace, nell’osteoporosi indotta da glucocorticoidi.*
[visual e bodycopy]
23
Pure tralasciati, in quanto esulano dal nostro obiettivo di indagine, i calchi semantici: la prospettiva storico-linguistica ed etimologica non risulta difatti significativa per l’uomo comune.
24
Sull’“effetto boomerang” di certe dizioni vuotamente magniloquenti (create dalle case farmaceutiche, veicolate dai medici e solo talvolta con ricaduta sulla lingua), cfr. Djalma Vitali (1983: 192-193).
297
* ARTHRITIS & RHEUMATISM Vol. 44 n.7 July 2001 pp. 1496-1503
American College Rheumatology.
Un discorso analogo si potrebbe fare anche per le pubblicità (76) e (79), mentre nella (96) si giunge a una contaminazione con la forma saggistica: ai 7 punti in
cui viene articolata la bodycopy sono fatte corrispondere 7 note, numerate e rinvianti
a citazioni di studi recenti, tutti in inglese, pubblicati tra il 2000 e il 2003 (i rinvii ad
autori italiani, almeno a giudicare dai nomi citati, sono solo due: scarsa considerazione per la nostra letteratura scientifica...). E comunque, oltre a questi appena visti,
gli avalli a garanzia del bene non risultano particolarmente frequenti; si trovano solo
«integratore dietetico già sperimentato con successo in alcuni Centri Ospedalieri»
(10), «testato clinicamente» (35) e simili, oltre ai frequenti richiami a test effettuati –
«[l]’antiossidante più considerato e più venduto in assoluto» (^37) – ai quali si potrebbe aggiungere il caso della pubblicità di Lortaan (85), un antiipertensivo «indicato in pazienti ipertesi con Ipertrofia Ventricolare Sinistra per ridurre il rischio di
mortalità e di morbilità cardiovascolari, rappresentato prevalentemente dal rischio di
ictus» (le virgolette attribuiscono l’enunciazione a un’autorità non meglio precisata,
in quanto manca ogni riferimento alla fonte).
3.3. Settorialismi “a doppia lettura”
Tornando agli usi specialistici in senso più stretto, consideriamo ora quei
settorialismi che si potrebbero definire “a doppia lettura”. Si tratta di lessemi
mono- o plurisintagmatici di provenienza settoriale la cui almeno parziale accessibilità non è di norma interdetta all’utente comune, ma che si prestano facilmente a
essere banalizzati e quindi privati di semi importanti, talora fondamentali, che invece
possiedono nel più ristretto ambito specialistico di provenienza25. In termini metaforici si potrebbe dire che nel tragitto che porta dall’utilizzo nella lingua tecnico-specialistica alla ricaduta nella lingua comune i semi si siano persi per strada e il cluster
originario, ricco, ne sia risultato impoverito. Ad aumentare, nel lessema tecnico-specialistico così travasato, sarà l’ambiguità (contro la monoreferenzialità che lo contraddistingueva in origine), che in certi casi può giungere a veri e propri travisamenti.
Mentre, come vedremo tra poco, il tecnicismo collaterale è una variabile riconducibile in primis alla variazione diafasica della lingua, nel senso che viene
impiegato per ottenere un determinato stile o registro, l’asse di variazione cui è
ascrivibile il settorialismo “a doppia lettura” è piuttosto – o, meglio, prima –
quello diastratico. Inoltre, per esempio, mentre «assumere un farmaco» viene in-
25
«Ampiamente volgarizzate nel corso del ’900 sono le terminologie della medicina e della
biologia; il tramite può essere un altro vocabolario ancora specializzato ma molto più diffuso nella
comunità, si pensi, ad es., ai vari biodegradabile, enzima, molecola, vitaminizzato ecc. della pubblicità» (Morgana 1981: 51).
298
terpretato come «prendere un farmaco» allo stesso modo dallo specialista e dal
profano, nel caso di due termini, imparentati e spesso ricorrenti nel corpus, come
formulazione (*1; 1; 4; 39; 48; 54; 70; 71) e formula (*2; 23: 2; 24; *28; 35; 55;
79), la decodificazione che ne faranno specialista e profano potrà essere parecchio
diversa26. Potrebbe sembrare la classica scoperta dell’acqua calda ma ragioniamoci sopra. Anche un tecnicismo come il già incontrato radicali liberi (4; 24; 37:
3) si presta a una doppia lettura: per me, onestamente, sono delle non precisate sostanze responsabili dell’invecchiamento; per uno specialista si tratta di altro:
atomo o gruppo di atomi estremamente reattivo con un elettrone spaiato ma
senza carica elettrica, che si origina per scissione di un legame covalente, presente in molte reazioni organiche e biologiche e che, in determinate condizioni, può assumere forme di elevata tossicità (GRADIT s. v. radicale).
Casi del genere si incontrano spessissimo nel corpus, e in ragione della
maggiore frequentazione che l’uomo della strada ha del sottodice medico: l’impressione di saperne maneggiare la terminologia, proprio perché apparentemente
più “amichevole”, è infatti molto forte. Facciamo un altro esempio: tutti sappiamo
o crediamo di sapere cosa sia un principio attivo (1^, 2; 23: 2; 48; 51; 58; 59; 77;
94) e tutti dovremmo riuscire a darne una definizione. Per me che non possiedo
una grande “cultura medica”, e che sono stato finora fortunatamente tenuto lontano da medici, farmacie, ospedali, etc. (lo affermo senza cautele apotropaiche),
un principio attivo è una sostanza, chimica o biochimica, che espleta una determinata funzione, insomma un principio che è attivo e non un «costituente di un farmaco cui questo deve la sua attività principale e la sua efficacia» (DLI s. v. principio): mi sono avvicinato, certo, ma siamo sicuri che la famosa casalinga di Voghera sappia cosa sia un principio in accezione farmacologica? E le vitamine, citatissime nel corpus? Quanti di noi sanno cosa realmente siano?
Nonostante le marche CO, FO, AU che accompagnano i relativi termini in
GRADIT e GRADIT-App., una piena comprensione dell’uno o dell’altro può risultare dubbia anche nei seguenti casi (campionati, coerentemente con quanto
detto sulla “doppia lettura”, solo dalle prime sessanta pubblicità):
fermenti (lattici vivi) (42: 4; *47; *90; 90: 4); complesso (3; 19, 35: 2; 42: 3;
71); fibra (capillare) (8: 4; 57); «amido di riso fermentato» (9); placca (48;
54); batteri (32; 48); «quantità bilanciata» (40); granulato (15; 39); «naturali
26
Tra l’altro la marca d’uso che GRADIT s. v. assegna a formulazione è CO(mune), mentre
nel corpus il termine è piuttosto da intendersi come sinonimo di formula officinale (TS farm.) o di
formulato (TS chim.). Lo stesso dicasi per formula, marcato come FO(ndamentale) dal medesimo
repertorio (nell’accezione di «ricetta, insieme dei componenti o degli ingredienti di una sostanza»)
ma che si può intendere anche come TS chim.
299
difese dell’organismo» (12); «valore fisiologico di soglia» (37); «utilizzo di
un complemento di Selenio» (37).
Aggiungerei soluzione, parecchio sfruttata (24; 36; *50; 50; ^99: 2) anche
perché consente di sfruttarne la polisemia a fini persuasori in modo da aggirare,
presumo, la censura del Ministero della Sanità. Si vedano i due esempi seguenti:
«Simona Ventura [...] ha scelto MiKura Papaya, la soluzione naturale attiva
che combatte i disturbi causati dai radicali liberi, dallo stress e dall’inquinamento» (24); «Snoreeze [...] [è] una soluzione naturale ed ha un piacevole gusto menta» (58).
Essi sono da confrontare con questa occorrenza al livello alto, che invece
non si presta ad ambiguità (per lo meno a un livello conscio): «[l]’unica soluzione
all’argento con azione antibatterica» (^99).
Infine un ultimo caso in cui la doppia lettura è portato di rideterminazione semantica: nell’annuncio (38), in cui si pubblicizza una crema antirughe per uomo, si
legge che «[l]a densità della pelle è direttamente correlata al suo stock di silicio». Per
me, che non so né leggere né scrivere, stock sarà un sinonimo di quantità (intendo
quindi: “la densità della pelle è direttamente correlata alla quantità di silicio che
contiene”); la voce è però anche TS chim.: «soluzione concentrata impiegata sempre
in seguito a diluizione con concentrazioni inferiori» (GRADIT s. v.).
3.4. Cenni sui composti
Lo sfruttamento delle possibilità derivative e compositive della lingua, soprattutto a partire da materiali di provenienza allogena, greco-latina in primis, caratterizza il sottocodice medico fin dai suoi esordi (cfr. Gualdo 1996: 176-216), delineando
una dinamica di sviluppo intensificatasi nell’Ottocento e nel Novecento. Si è così
giunti all’attuale proliferazione di tassonomie nomenclatorie, spesso di notevole
complessità e talora superflue (Serianni 2005: 197-199), che però, almeno per gli
esperti che si suppone conoscano il significato di basi e operatori, hanno il pregio di
una facile decodifica27. Vediamo come si comporta il nostro corpus considerando, a
titolo di esempio, il settore dei prefissati. Con 22 occorrenze, i più rilevanti statisticamente sono quelli con anti-:
27
«I composti sono ricercati nei linguaggi scientifici, perché descrittivi; i componenti allogeni
sono preferiti, perché stabili dal punto di vista morfologico e semantico, perché adatti allo smontaggio e rimontaggio ed, infine, perché hanno e danno prestigio» (Mazzini 1989: 35). Se la composizione non è certo esclusiva del “medichese”, in questo raggiunge «un’intensità affatto particolare
[...] sì da diventarne uno dei caratteri specifici: in confronto con altre discipline colpiscono la stupefacente lunghezza e la minore precisione» (Pettenati 1953: 24).
300
antiossidante (1; 4; 37); antibiotico (3; ^3; 42; 90); anticaduta (*4; 4; 8: 2);
anti-caduta (*8; 23); anti-età (*35); «anti-rughe e anti-rilassamento» (35);
anticoncezionali (37); antiinfiammatoria (41); antisettica (41); antifratturativa (*61); antidiarroico (90); antibatterica (99).
Il frequente ricorso ad anti-, già notato da Sboarina (1997: 187) per le pubblicità mediche ottocentesche, si inquadra perfettamente nella proliferazione dei
neologismi con questo prefisso registrati nel repertorio di ADV 2003, dove se ne
contano ben 249, e di ADV 2005, che ne aggiunge altri 8228. Meno rappresentate
di quella con anti-, altre famiglie, come la serie costituita a partire da micro- (microbollicine, 14; micronutrienti, 17; micronebulizzanti, 50, micronebulizzatore,
50; microbatteriologicamente, 62; microclima, 79); quella che sfrutta iper- (ipersensibile, 31; iperpigmentazioni, 71; ipertrofiche, 79; ipertesi, 85; Ipertrofia, 85),
indicante, con significato che si assesta nel corso dell’Ottocento, «uno stato fisiologico che è posto ‘oltre la normalità’» (Cassandro 1996: 303-305), mentre originariamente significava “sopra”; quella con super- “molto”, di sapore più tradizionalmente pubblicitario (supersottili, 54; «super adattabilità, super elastici e super
avvolgenti», 80). Pure in alcuni dei seguenti prefissati è possibile rintracciare una
matrice tipicamente pubblicitaria (ad es. in quelli con multi-, mono-, mini, extra-):
bio-disponibilità (17), bioattivatori (19); idrodispersibile (33), idroattivo (79);
Multi azione (*35), Multidose (59); monodose (29; *36: 2; 49); Fitocomplessi
(*53; 53: 2); isotonica (36), isoflavoni (17; 55); pre-menopausa (17), predosata
(59); neomamme (4), neoformato (99) (oltre al banale neonati, 36, in cui il prefisso non è più avvertito come tale); rimineralizza (48), Ri-Crescita (70); controindicazioni (4; n14; n20; 27; n41; n59; n94); automedicazione (3); telogenico
(4); trans-cutanee (6); ipocalorica (11); sovradosaggio (25); oligoelementi
(40); disintossicante (49); psicofisico (53); agliconi (55); intracellulari (59);
mini spray (60); Extralarge (^80); coadiuvante (*92)29.
Di ambito senz’altro specialistico, e non a caso rintracciati prevalentemente
al livello alto, si trovano:
28
Anti- è in assoluto il prefisso più produttivo, sempre secondo ADV 2003, per la neologia contemporanea; è seguito da super-, che partecipa a 139 neologismi, euro- che ne genera 123, maxi- 96, auto83, mini- 79, cyber- 54, mega- 53, baby- 52, iper- 51, dopo- 50, post- 47, bio- 44, eco- 43, neo- 43, contro- 37, micro- 34, caro- 31, de- 30, tele- 29, ultra- 28, e- 27, etc. Caratteristicamente, ADV 2005 assegna
il podio agli stessi anti-, super- (35 entrate) ed euro- (29, a parimerito con post-), seguiti da micro- 28,
neo-25, mini- e salva- 23, no-/non- 21, de- 20, tele- 19, caro- 18, nano- 15, etc. Alcuni di questi prefissi e
prefissoidi mostrano bene come la lingua sia lo specchio della società che la usa.
29
Anche in questo caso, come per neonato, la natura di prefissato della voce è parecchio sbiadita (si risale, del resto, al lat. tardo coadiuvare).
301
gastroprotezione (11); gastro-intestinali (47); glucocortiroidi (*61); ciclodestrine (70); osteoarticolari (78); cardiovascolari (85); broncodilatazione
(96); tiroidectomia (^79); varicotomia (^79); orosolubile (90).
Sono state infine rintracciate due parole macedonia, entrambe con univerbazione ed eliminazione di tratti di collegamento tra verbo e nome/complemento oggetto: salvacapelli (*23), apparentabile agli analoghi salvabucato, salvaspazio,
salvafreschezza, anch’essi del linguaggio pubblicitario, e assente dai dizionari (anche da ADV 2003 e 2005, che pure registrano, rispettivamente, ben 20 e 23 entrate
con salva- + nome), e dosa-granuli (89), anch’esso non presente nelle fonti consultate.
3.5. Tecnicismi collaterali
Passiamo ora a considerare i tecnicismi collaterali, cioè le voci e le collocazioni (combinazioni sintagmatiche più o meno rigide) appartenenti alla lingua comune la cui funzione è quella di creare un registro espressivo tipico, nella fattispecie
più elevato rispetto al parlare comune30. I tecnicismi collaterali (d’ora in avanti, TC)
di un determinato settore si caratterizzano per la particolare frequenza (assoluta e in
relazione a quella che ci si aspetterebbe) con cui ricorrono nei testi prodotti nell’ambito e concorrono pertanto a creare un senso di “distanza” dalla lingua comune: un
testo tecnico-scientifico che facesse impiego esclusivo di tecnicismi specifici escludendone quelli collaterali sarebbe un testo che, oltre a presentare una compagine linguistica disomogenea, verrebbe percepito come carente: l’intelaiatura, in altri termini, sarebbe troppo debole per sostenere l’elaborazione del ricamo.
Fondamentali in ogni linguaggio specialistico, i TC «hanno un peso linguistico pari se non superiore a quello dei tecnicismi specifici, nel caratterizzare la
lingua medica» (Cassandro 1996: 340 sg.). Ciò spiega perché anche i nostri copywriter, che scrivono un testo informativo ma soprattutto persuasivo, li adottino con
una certa sistematicità; per questa ragione, consideratane la diffusione a tappeto nel
corpus, si è scelto di esporre i risultati dello spoglio omettendo l’indicazione delle
sedi e facendo seguire i lemmi dal numero di occorrenze, oltre che, talvolta, da un
esempio tratto dal corpus stesso (in questo caso ne specifico però la sede).
Al livello lessicale si trova, accanto a “classici” come assumere 13 («È un
complesso [...] da a. quotidianamente per mantenere la flora intestinale sana», 42)
30
Com’è noto, l’introduzione della categoria di tecnicismo collaterale, insieme alla fortunata
coniazione che lo designa, si deve a Luca Serianni (vd. Serianni 1989a: 103-109; 1989b, 2003: 3941, 2005: 127-159). La tipologia del tecnicismo collaterale può essere intesa anche in senso più
ampio, sintattico (processi di deagentivizzazione e di deverbalizzazione) e testuale. Escludo dalla
trattazione che segue formule fisse, scontate, come «È un medicinale, usare con cautela» oppure, al
livello alto, «Prima della prescrizione consultare la scheda tecnica allegata».
302
e assunzione 3, apportare 7 («Estratti secchi titolati provenienti dall’intera pianta
in grado di a. le benefiche proprietà come la pianta intera», 12) e apporto 3, una
serie abbastanza nutrita di TC che definirei “di onestà”, sull’utilizzo dei quali non
pare azzardato ipotizzare interventi censurativi, sia ex post sia ex ante, da parte dei
Garanti e del Ministero della Sanità. A fronte di occorrenze come assicurare, impiegato per 2 volte («I test condotti con metodologia in vitro dimostrano che assorbito dalla radice, SP94 si trasforma in elementi costitutivi del capello, assicurando la costruzione all’interno di una fibra densa, spessa e forte», 9), garantire 8
(«Studi clinici dimostrano che, utilizzato per almeno 12 ore al giorno, garantisce i
primi risultati già dopo 4 settimane», 79), risolvere 1 («Anche tu risolverai più serenamente... ...e vai, quando vuoi!», *14), inattivare 1 («Grazie alla sua speciale
formulazione [...] inattiva la placca residua ed inibisce la formazione di nuova
placca batterica», 54) e impedire 1, troviamo infatti una messe ben più nutrita di
termini votati allo statement:
aiutare (a), utilizzato 25 volte (70: «Aiuta a favorire la naturale crescita dei
capelli nelle zone diradate»), aiuto 3 e, anccra, coadiuvante 1; favorire 25;
agire 20 («Prodotti [...] studiati per a. con delicatezza ma in profondità», 36);
(svolgere un’)azione (di) 16 («fibre di acacia ed inulina che svolgono una
duplice a. benefica», 32); stimolare 7 («Silicium-R apporta alla pelle silicio
arricchito con licopene per rinforzare i tessuti di sostegno e s. il rinnovamento
cellulare», 38); (essere) indicato (per) 5 («I flaconcini sono indicati anche
per una efficace igiene oculare», 50); (ri)attivare (su/nel/per) 5; facilitare 3;
migliorare 3 («Bioton [...] combatte lo stress, migliora l’apprendimento, la
concentrazione e la memoria», 43) e miglioramento 1; fornire 2; incrementare 2; (risultare) utile (a/per) 2 («componenti naturali attivi [...] che,
nell’ambito di diete globalmente controllate, possono risultare utili per riequilibrare i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi», ^30: 5); contribuire
(a) 2 («Multimix [...] contribuisce a ritrovare forza, energia e sprint», 22); essere suggerito 1; promuovere 1; consentire 131.
Chiamano in causa semi negativi, ma sempre improntati a una certa prudenza, pure i seguenti TC:
ridurre 12 («NormaLine Erbe, mentre riduce l’assorbimento dei cibi, stimola il
corretto funzionamento dell’intestino», 29); combattere 10; contrastare 7
(«Gel Intimo contrasta la secchezza delle mucose», 55); inibire 4 («La com-
31
Tipicamente pubblicitarie le enunciazioni apodittiche che richiedono solo un riconoscimento
di esistenza/verità: «in caso di carenza o aumentato fabbisogno c’è C-Tard» (46); «Molti fattori ne
[della mucosa nasale] possono alterare il delicato equilibrio [...]. Per questo in farmacia c’è Wet»
(60); «In caso di mal di schiena, torcicollo e dolori reumatici oggi c’è Flector» (77).
303
pressa di Diminor, grazie alla tecnologia della gastroprotezione, permette alla
faseolamina di arrivare integra nell’intestino, dove inibisce parzialmente un enzima, l’alfa-amilasi pancreatica», 11); moderare 1; attenuare 1; ostacolare 1
(«Ostacola efficacemente il riformarsi delle macchie scure», 71).
A restituire dignità curativa al medicinale ci pensa però l’aggettivazione,
generalmente presente e abbastanza diversificata, anche se ci si mantiene ben lontani dagli esiti trionfalistici rintracciati nelle inserzioni mediche su giornali di fine
Ottocento, come per infallibile, miracoloso, portentoso, speciale (Sboarina 1997:
182), spesso persino nei titoli (Ead., p. 194); nel nostro corpus si trovano valido,
utilizzato 5 volte («Gallexier per le sue proprietà depurative agisce anche come v.
disintossicante», 49), adeguato (2) e infine efficace (25, di cui 6 nella collocazione
privilegiata dell’headline), a incrementare il cui “sentimento di presenza” sono i
corradicali efficacemente (2), efficienza (2) ed efficiente (2). Quelli che riguardano
la promessa legata all’uso del medicinale non sono però gli unici collateralismi
impiegati; per conferire sostenutezza al registro si rintracciano, oltre agli onnipresenti aggettivi di relazione e a vari altri tipi, forme verbali come associare 3 («La
sua formula associa il potere anti-rughe del Retinolo all’efficacia anti-rilassamento del complesso Multi-VitaminOx, 35), esplicare 1 («gel che esplica una triplice azione, 26), sostenere 1 («Digenzima di giorno, sostiene le funzioni digestive», 47), etc.
Significativa la serie sinonimica che ruota intorno alla sfera semantica del
problema di salute, più o meno grave. Decisa preferenza è accordata alle varianti
più soft, alla cui scelta non saranno state estranee preoccupazioni eufemistiche: su
tutti prevale l’iperonimico problema, usato per 16 volte (di cui 5 entro headline),
seguito a grande distanza da dolore 4, disturbo 3, episodio (di) 2, «alterata funzionalità» 2, e ancora, tutti attestati una sola volta, patologia, patologia alterativa,
fastidio, disordine, scompenso, malessere, situazione (di), «fastidiosa sensazione»,
«sensazione di tensione».
«[C]osì come nessuno negherebbe valore di tecnicismo a determinate collocazioni, anche la scelta marcata di certi avverbi, modificatori, congiunzioni e preposizioni può essere annoverata tra i TC di una lingua tecnico-scientifica» (Gualdo 2003: 48). Ecco dunque ben rappresentate sequenze sintagmatiche tipiche del
linguaggio medico come a base di + nome, di lontana provenienza burocratica,
che è attestato ben 18 volte («Due formule specifiche a b. di isoflavoni gliconi ed
agliconi ad alta biodisponibilità», 55), mentre la tipologia dell’a modale vanta 8
presenze («Formula Retard a dosaggio frazionato», ibid.) e quella del da causale
una soltanto («Isomar libera il naso in caso di [...] allergie da polline», 50), in caso
di + nome 7 volte («Be-Total. [...] Non solo in c. di antibiotici», 3), in grado di +
verbo e a livello di + nome rispettivamente 4 e 2 volte («I prodotti, singoli o in associazione, sono indicati per chi manifesta fastidi e rigidità alle articolazioni soprattutto a l. delle mani, delle ginocchia e della schiena», 28), a livello + aggettivo
304
di relazione una volta («a l. cellulare», 59), in fase di + nome 2 volte («Aumento
dei capelli in f. di crescita», ^4), nell’ambito di + nome e su + nome 1 volta per
ciascuno («eczema su base allergica», 56).
I TC si trovano a tutti e tre i livelli di comunicazione; la differenza, come si
è già visto (vd. supra, par. 2), è solo quantitativa e determinata piuttosto dalla
maggior concisione delle pubblicità rivolte a medici e farmacisti. Ma su quest’ultimo livello di comunicazione se ne possono incontrare di meno comuni, come nelle
collocazioni formate dalla preposizione in + nome a indicare il problema su cui si
agisce, ricalcate su analoghe costruzioni presenti nella lingua inglese (cfr. «A longterm evaluation of once-daily inhaled tiotropium in chronic obstructive pulmonary
disease», 96n). Si vedano i seguenti esempi, tutti raccolti entro headline:
«Actonel: la terapia antifratturativa più rapida ed efficace, nell’osteoporosi
indotta da glucocorticoidi» (*61, in cui si noti anche «indotta da»); «Nel dolore da moderato a grave. Depalgos» (72*); «Emulsione coadiuvante nelle
irritazioni anali e nelle crisi emorroidali» (*92); «Nella medicazione delle
lesioni cutanee, Vulnopur» (*99).
Il tipo è presente, con un’occorrenza, anche al livello medio: «Ovix. Il rimedio naturale nei disturbi di origine allergica» (*56).
3.6. Procedimenti di riformulazione
Conclusa la disamina degli aspetti lessicali che denotano e, come abbiamo
visto, connotano gli annunci pubblicitari come testi tecnico-scientifici, consideriamo ora più da vicino i procedimenti di riformulazione, cioè quegli interventi
che mirano a colmare la distanza fra termine specialistico e parola appartenente al
vocabolario di base.
Se il TC e una variata serie sinonimica, concorrendo soltanto a creare un taglio caratteristico, non interdiscono la comprensibilità e la trasparenza del messaggio, e quindi non necessitano di spiegazioni o chiose, non altrettanto si può dire
del tecnicismo specifico; infatti «quando il termine si allontana troppo dall’orizzonte del lettore, sopravviene la glossa esplicativa, la cui presenza è condizionata
pertanto dal sistema di attese del pubblico» (Dardano 1994: 509). Proprio qui sta il
punto: la scarsa attenzione, da parte di chi scrive, per la variazione del grado e
della qualità di conoscenze dell’utente può portare a parziali o totali incomprensioni del testo.
Tener conto del target a cui si rivolge il messaggio che si scrive è particolarmente importante in ambito medico, considerata la grande diffusione di riviste,
inserti, rubriche e trasmissioni radiofoniche e televisive che trattano di medicina,
oltre agli scambi comunicativi fra medico e profano (più frequenti, in generale, di
quelli tra quest’ultimo e un qualsiasi altro specialista). Se utilizzati sistematicamente, acronimi e sigle, glosse, parafrasi esplicative, e via dicendo, potrebbero
305
concorrere alla costituzione di una lingua per la divulgazione medica rivolta ai non
specialisti, un tipo di lingua su cui, come è stato recentemente ribadito da Silvia
Morgana sulla base di una apposita documentazione scritta, trasmessa e parlata,
occorre ancora lavorare (Morgana/Farnetani c. d. s.).
Ma come si comporta il nostro corpus sotto questo riguardo? Le riformulazioni vi compaiono numerosissime nei primi due livelli, mentre risultano quasi del
tutto assenti nel terzo: se ciò poteva essere prevedibile, non altrettanto può dirsi della
ricchezza quantitativa e qualitativa dei procedimenti di riscrittura ai livelli mediobasso e medio-alto32. Una ricchezza che, se si volesse testimoniare puntualmente, si
superebbero di molto i confini di questo intervento: cercherò perciò di tirare le fila
dei risultati dello spoglio, offrendo solo un’esemplificazione tipologica (d’altra parte
parecchie riformulazioni sono già state incontrate nel corso dell’analisi).
Un primo dato che mi sembra molto significativo è la netta prevalenza di riformulazioni per funzione. Nella riscrittura di un termine ritenuto senz’altro opaco, o comunque da enfatizzare, si privilegia quello che, pragmaticamente, più interessa all’utente: sapere a cosa serve il designatum, come e su cosa agisce. Avere
informazioni sulle caratteristiche intrinseche del bene è certo importante ma secondario, senza dimenticare che l’eventuale spiegazione potrebbe implicare il riferimento a nozioni di competenza molto specialistica. Ecco un paio di esempi:
«la prima caramella dal “cuore” di propoli che contiene al suo interno una
goccia di pura propoli per proteggere la tua gola in ogni situazione, naturalmente» (34); «fibre prebiotiche (FOS) utili a promuovere la vitalità e la resistenza dei fermenti» (42).
Preferite invece per la loro sinteticità, e perché possono essere inserite nella
struttura testuale senza appesantirla, sono le riformulazioni parentetiche:
«carboidrati complessi (pasta, riso, pane, patate, ecc.)» (11); «preferisci cibi
ricchi di fibre (cereali integrali, frutta e verdura) rispetto a quelli ricchi di
grassi e zuccheri (salumi, formaggi, dolci)» (29).
Non sempre la parentesi esplicativa è però di grande aiuto: «Corallo fossile
(fonte naturale di carbonati di calcio e magnesio)» (9); «complesso MultivitaminOX (vitamine e minerali attivi)» (35); la glossa, come risulta chiaramente, si
mantiene qui a un livello esplicativo piuttosto alto.
Accostabile alla parafrasi parentetica, solo graficamente più discreta, è
quella appositiva:
32
L’attenzione alla comprensibilità delle informazioni fornite è certamente funzionale allo scopo
conativo della comunicazione pubblicitaria: prima conosco (o credo di conoscere) il bene, poi lo acquisto.
306
«la ricerca scientifica ha individuato nella carenza di Melatonina, sostanza
ormonale prodotta di notte da una ghiandola del cervello, una delle cause alla
base di questo problema [l’insonnia] (21); «a base di psyllium, una fibra che
rispetta la naturale fisiologia dell’intestino» (57).
Se le riformulazioni per funzione, quelle parentetiche e quelle appositive sono le più ricorrenti, non mancano però altri procedimenti di riscrittura che spesso
vengono anzi impiegati in concomitanza, rendendo così piuttosto disagevole una
loro schedatura per comparti separati.
Ancora qualche esempio di riformulazione: per denominazione: «Gli acidi
grassi conosciuti come omega 3 sono indispensabili per il nostro organismo. Essi
sono definiti “essenziali” proprio perché il nostro corpo non è in grado di “fabbricarli” da sé (13); speculare, «(o per contrario), nella quale la spiegazione indiretta
è suggerita dall’enunciazione dell’antonimo» (Dardano/Giovanardi/Pelo 1988:
159): «moderne abitudini alimentari [...] prevedono sempre meno cibi integrali per
lasciare il posto ad alimenti raffinati» (32; il glossato è raffinati, tra l’altro assente
da GRADIT, s. v., in accezione TS alim.); per traduzione (parafrasi inter-linguistica), magari ambigua – e grammaticalmente non ineccepibile – come la seguente: «a effetto fast e slow release “rapido e lento rilascio” [cioè: “a effetto rapido e rilascio lento”] [.] L’originale compressa a due strati, bianco a rapido rilascio permette di riposare presto e bene, colorato a lento rilascio prolunga l’effetto
relax» (21); con riferimento alla provenienza: «un integratore a base di faseolamina estratta dal fagiolo» (55).
Ma appesantirei davvero troppo l’esposizione con ulteriori esempi. Chiuderei quindi notando la scarsità di riformulazioni mediante tratti d’unione come cioè,
ossia, ovvero: una caratteristica che si potrebbe interpretare come intenzionale
stratagemma atto a non far apparire gli annunci pubblicitari come troppo didattici
e che contrasta con la preferenza che pare accordata a questa soluzione nella
stampa medica di divulgazione (Serianni 2005: 249).
3.7. Metafore e voci espressive
Un’altra modalità cui spesso si ricorre per facilitare la comprensione dell’utente è il ricorso alla metaforizzazione; come afferma Bollettieri Bosinelli (1988:
34 sg.):
[l]a parola pubblicitaria è costosa, perciò deve dire molto nel minore spazio/tempo possibile. Più ricco è il messaggio nell’unità di spazio e tempo, più
alta è la possibilità di sfruttamento del capitale investito. [...] Non c’è quindi
da stupirsi se la metafora, intesa come modello comunicativo che consente
l’espressione di due o più concetti nello stesso tempo, sia un fenomeno largamente diffuso e pervasivo della comunicazione pubblicitaria, al di là della
sua eventuale forza retorica di persuasione.
307
Nel corpus analizzato si trovano metafore tipiche, ormai spente, di impronta
bellica («la soluzione naturale attiva che combatte i disturbi», 24) o comunque agonistica («Sinecod Tosse sedativo: doma la tosse», *94); quelle umanizzanti, che ricorrono con una certa sistematicità in relazione ai problemi intestinali («fibra vegetale Glucomannano più Lattulosio, due componenti attivi che agiscono in sinergia
per risvegliare l’intestino pigro, aiutandolo a ritrovare la sua regolare attività», 9)33;
quelle che paragonano il funzionamento del corpo umano al modo in cui funziona
una macchina («Essi sono definiti “essenziali” proprio perché il nostro corpo non è
in grado di “fabbricarli” da sé», 13; «l’assunzione di Melatonina, può normalizzare i
ritmi sonno/veglia, per aiutarvi a “ricaricare” l’organismo e rifornirlo di nuova energia», 21; in entrambi gli esempi si notino le virgolette, quasi a scusarsi per l’uso improprio). Quantitativamente limitati, e forse perciò qualitativamente rilevati, ci sono
casi di usi metaforici meno scontati: «Se avete difficoltà a prendere sonno e il riposo
notturno fa a “pugni” con il vostro cuscino non preoccupatevi [...]» (21).
Se dunque il copywriter ricorre spesso e volentieri a usi metaforici più o meno spenti, va comunque detto che sull’opportunità divulgativa dell’utilizzo di tropi
non c’è accordo. Per esempio, nella stessa sede, Alessandro Beretta Anguissola
(1983: 177) vede nel linguaggio metaforico «uno degli errori più comuni», «una
tecnica di volgarizzazione grossolanamente erronea», mentre Giovanni Maria
Pace (1983: 223) lo considera “utilissimo”, anche se «strumento delicato, da impiegare con parsimonia, perché se da un lato fa chiarezza, dall’altro aggiunge una
diversa, inevitabile dose di indeterminazione». Una cautela sottolineata anche da
Claudio Giovanardi quando afferma:
[n]on è possibile stabilire quanto queste similitudini risultino alla fine chiarificanti oppure fuorvianti: [...] un’eccessiva “diluizione” dei concetti specialistici può portare a fraintendimenti e può distrarre il lettore (Dardano/Giovanardi/Pelo 1988: 160).
Anche se decisamente poco frequenti, nella stessa direzione dell’evitamento
di toni didascalici e didattici operano voci ed espressioni di carattere colloquiale o
idiomatico:
«Be-Total. Su con le Vitamine B» (^3); «Altro che burro di cacao!» (5); «Hai
problemi di stitichezza che ti blocca?» (*14; cfr. anche la concordanza ad
sensum); «Spazza via il catarro» (*15); «Via le tossine [...]!» (73); «Proporal:
la caramella dal cuore buono (^34); «Alla conquista del vasino» (80); «Cambio veloce? Lo tiri su come una mutandina. Cambio coccoloso?» (80); «crescere diventa un gioco da ragazzi!» (*40: 4)
33
308
Ma non solo: cfr. «Gallexier. Il delizioso tonico d’erbe amico della digestione e depurativo» (*49).
e gli eufemistici, semanticamente affini: «...e vai, quando vuoi!» (^14: 2) e «puoi liberarti serenamente (14). Talvolta l’uso basso o improprio viene segnalato graficamente:
Quanti prodotti avete provato nella speranza di salvare dal “rischio caduta” i
vostri capelli [...]? [L]’estratto di Serenoa Repens contenuto in MiglioCres è
una vera “meraviglia della natura” (23).
Qui la sfumatura colloquiale viene segnalata dalle virgolette, che nel primo
caso scusano una dizione inappropriata (nella fattispecie, un prestito dal giornalese) e nel secondo una poco scientifica (idem per «setole a “pennello”», 54).
L’emergere di movenze colloquiali si spiega pragmaticamente, tenendo presente l’esigenza argomentativo-persuasiva di avvicinare la lingua del messaggio
pubblicitario a quella del consumatore medio; a questo proposito Emanuele Djalma Vitali (1983: 186-187), distinguendo tra divulgazione e volgarizzazione scientifica, ritiene necessaria a quest’ultima – che «comprende anche le fasce culturalmente
indifferenziate» – la «massima empatia (termine con cui in psicologia e in estetica si
indica l’attitudine e la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona, di comprenderne le emozioni, di calarsi nel suo mondo interiore e culturale)».
4. Conclusioni
Lo studio della dimensione sociolinguistica nelle lingue speciali ha preso
deciso avvio, in Italia, a partire dagli anni Ottanta, da quando cioè si è presa piena
consapevolezza del fatto che:
le lingue speciali non sono un blocco monolitico, che non sono identiche
quando vengono usate in testi che circolano all’interno del settore che le genera o al contrario in testi rivolti all’esterno (Cortelazzo 2000: 31).
Una “scoperta” che a distanza di anni può apparire, positivamente, banale –
qualora si pensi che la variazione diafasica è irrinunciabile parametro per giudicare dei vari, determinati testi in cui può prendere forma il tecnoletto –, ma che
allora tanto banale non era34. Gli studi sui diversi linguaggi (o lingue) settoriali/speciali/specialistici (serie facilmente incrementabili, che variano da autore ad
autore) si sono così pregevolmente moltiplicati sia “in orizzontale” che “in verticale”, aprendosi, novità nella novità, alla considerazione dei testi cosiddetti secondari, quelli didattici e divulgativi.
Nel presente intervento si è presa appunto in considerazione la comunica-
34
L’attenzione alle specificità acquisite dai testi a seconda della variabile situazionale della
comunicazione era comunque già stata acquisita da Halliday (1978: 6).
309
zione medico-farmaceutica in prospettiva verticale, analizzando un corpus di annunci pubblicitari omogenei quanto a mezzo di diffusione (stampa) e macrosettore
merceologico (medicinali e affini), ma diversi quanto a tipologie di target cui vengono indirizzati. L’analisi è stata articolata su tre diversi livelli, che corrispondono
a tre diverse situazioni comunicative in cui lo specialista – per noi il copywriter/medico – si trova a dover veicolare informazioni di carattere professionale: abbiamo infatti distinto, in base al grado di specializzazione, la comunicazione specialista-uomo della strada (che è il nostro livello medio-basso), quella specialistanon specialista (per noi il livello medio-alto, in cui la comunicazione pubblicitaria
è rivolta a una readership che si presuppone abbia consuetudine con la materia e il
linguaggio medico, o quantomeno vi sia interessata), quella specialista-specialista.
Al livello alto, potendo contare su conoscenze condivise o, con un più o meno piccolo sforzo cognitivo, condivisibili, il copywriter/medico può tranquillamente impiegare termini specialistici che, opachi per la persona comune, risultano funzionali a una più chiara e sintetica esposizione.
Partiti dunque da un’ipotesi di lavoro riassumibile con le parole di Maurizio Dardano, quando afferma che «[i]l discorso di divulgazione scientifica non
esiste al di fuori degli usi che può farne il destinatario, [e che] conseguentemente
il divulgatore orienterà le sue scelte lessicali ed espressive a seconda del prevedibile “livello di accoglimento”» (Dardano/Giovanardi/Pelo 1988: 154), la disamina delle scelte lessicali adottate nel corpus è partita dalla considerazione dei
termini assenti dai dizionari dell’uso consultati. La presenza di voci non attestate
al terzo e più alto livello è certo scontata e quindi nient’affatto caratterizzante:
ce ne sono davvero parecchie, e tra loro spiccano gli affissati e i composti (d’altronde facilmente analizzabili dallo specialista). Meno scontato è invece il fatto
che dai dizionari manchino termini, sempre campionati al terzo livello, che invece non appaiono così specialistici (per es. i composti idroattivo e varicotomia); e andrà ancora osservato come tecnicismi assenti nei vari repertori si rintraccino anche ai livelli più bassi (in alcuni casi, soprattutto quando non vengano
accompagnati da interventi riformulanti, con una funzione che pare meramente
impreziosente).
Il dato pare dunque allinearsi con quanto notato da Serianni (2003: 31 sg.):
[a]nche nella divulgazione medica, che per definizione dovrebbe rivolgersi ai
profani, i singoli specialisti possono ricorrere a tecnicismi che non si trovano
(e che in molti casi in effetti non potrebbero trovarsi [ad es. perché forme supercomposte]) nei dizionari.
Anche quando aggiunge che:
[l]a quota di lessico che resta tagliato fuori dai dizionari dell’uso, non esclusi
quelli di mole e impegno più ragguardevoli, è mediamente (e direi preoccupantemente) alta anche assumendo punti di vista tutt’altro che specialistici.
310
I campi da cui più spesso provengono i tecnicismi assenti dai dizionari
dell’uso35 sono quello chimico e quello botanico.
Passando alle voci che invece i dizionari lemmatizzano, gli usi terminologici
statisticamente più rilevanti, a tutti e tre i livelli, sono risultati quelli di provenienza chimica e biochimica. Per questi, come d’altronde per gli altri tecnicismi ad
alta intensione rintracciati nel corpus, l’impiego preterintenzionale, inerziale, è
possibile ma poco probabile, visto che prima di arrivare all’utente l’annuncio pubblicitario passa per diverse mani: da quelle del copywriter che lo redige sulla base
di un brief emanato dalla casa farmaceutica, a quelle del suo direttore creativo, a
quelle dell’account executive, a quelle del cliente stesso, che talvolta fa testare
l’annuncio da un gruppo di persone apparententi al target di riferimento prima di
diffonderlo sui media.
Poiché «il grado di specificità di una parola non è un valore assoluto», bensì
«una variabile che dipende da molteplici fattori, innanzi tutto dal soggetto parlante
e dalla situazione in cui egli si trova» (Dardano 19812: 202), a mutare è, come è
ovvio, l’accoglimento presso i diversi target: se per quello alto la terminologia
chimica e biochimica è serbatoio d’uso quotidiano tutt’altra faccenda vale per
quello medio-basso. A colmare la distanza tra lingua specialistica e lingua comune
interviene la riformulazione, ma non sistematicamente (può darsi il caso, già ricordato – par. 3.1.2 –, di una chiusa di annuncio come «a base di glucosamina!»
senza che si sia fatto prima alcun cenno alla sostanza in gioco); essa accompagna
più raramente il tecnicismo di provenienza medica, che infatti è in genere più
comprensibile all’uomo della strada (sempre che non si raggiunga la complessità
tassonomica che è apparsa contraddistinguere il livello alto: artrite gottosa acuta,
artrite reumatoide, osteoartrosi, dolori osteoarticolari, etc.). La “distanza specialistica” fra le tre sezioni del corpus si riduce passando all’esame dei tecnicismi
provenienti dall’anatomia, mentre la stragrande maggioranza di quelli della fisiologia e della biologia, piuttosto stranamente, è stata rintracciata ai primi due livelli:
una concentrazione che forse deriva solo dalla particolare, accidentale composizione dei testi selezionati per la ricerca.
Come si è già accennato a proposito dei tecnicismi non attestati dai dizionari, l’analisi lessicale ha individuato un gruppo consistente di termini provenienti
dall’ambito botanico, con tutta una tastiera che va da quelli più (acacia, Gingseng)
a quelli meno comuni (Guaranà, Tarassaco), fino a comprendere specie dalle denominazioni stravaganti, talvolta al limite dello stregonesco (Fieno greco, olio essenziale di Origano di Spagna, mirtillo rosso di palude, etc.). Ciò appare un naturale precipitato della coesistenza, nella sistematica botanica, di una «nomenclatura
ufficiale, rigorosamente stabilita dagli organismi preposti a tale scopo e codificata
35
Nel conto andranno messe anche espressioni polirematiche, a rigidità più o meno marcata
(cfr. Rovere 1999), come tessuti di sostegno, densità calorica, attacchi acidi.
311
in latino», e di «denominazioni alternative, proprie delle diverse scuole e tradizioni», quando non di derivazione locale e popolare (Bianco 2004: 592).
Per quanto riguarda la permeabilità del corpus all’influsso anglo-americano,
nelle pubblicità analizzate la tenuta della nostra lingua è apparsa molto buona: di
forestierismi indubbiamente ce ne sono, ma sono per lo più banali e ormai del
tutto acclimatati, contandosi sulle dita di una mano quelli veramente significativi
(retard, fast e [sic] slow release, texture). Significative, relativamente, solo alcune
denominazioni botaniche, per le quali vengono preferiti, ancora, il latino (Sophora
Japonica) e le lingue del ceppo ispanico (Papaia/Papaya); notevoli invece gli interi inserti di frasi in inglese, seppure in nota, incontrati in una pubblicità del livello medio e in quattro di quello alto.
Scendendo un po’ sul continuum che va dal tecnicismo al più vulgabile settorialismo, si sono incontrati alcuni termini che ho proposto di definire “a doppia
lettura”, volendo con questa espressione far riferimento a tessere circolanti nella
lingua comune (che infatti GRADIT marca, in testa di lemma, come comuni, fondamentali, di alto uso, ad alta disponibilità, etc.) ma con una humus tecnicistica; la
humus cui forse il copywriter si riferisce, ma che l’utente comune certamente non
coglie (esemplari casi come formulazione, formula, principio attivo, stock).
Andrebbe incontro a esigenze di comprensibilità la scarsità di sigle, sennonché una buona proporzione di queste, totalmente opaca per il profano, non viene
sciolta ed espleta perciò una funzione meramente esornativa, come nei seguenti
casi campionati dai primi due livelli: «protezione solare: SPF 10», «omega 3 a
catena lunga (EPA e DHA)», «fibre prebiotiche (FOS)». La cifra numerica ricorre
invece con grande frequenza, quasi in tutti gli annunci, ma con scarsissimi casi di
impieghi tecnicistici. L’uso di cifre si rivela uno stratagemma utile ad avvicinare
l’annuncio pubblicitario al testo scientifico (oltre che a risparmiare spazio sulla
pagina): come è stato notato nel corso della trattazione, se concentrate, le cifre
danno un’impressione di esattezza scientistica anche a chi scorga l’annuncio solo
con la coda dell’occhio.
L’analisi dei tecnicismi collaterali ne ha evidenziato la presenza, non scontata, anche nei nostri testi pubblicitari. È verosimile ipotizzare che la lingua della
pubblicità, non a caso definita “ventre molle” da Jean Baudrillard, ne abbia fagocitati dalla lingua medica in modo da ottenere un registro sostenuto, fortemente
mimetico di quello scientifico di partenza; ma, a spiegare il diffusissimo ricorso ai
TC, si potrebbe anche chiamare in causa la competenza sia attiva sia passiva che il
copywriter-medico (quando non senz’altro il medico) possiede nei confronti di testi medici stricto sensu, e quindi un riversamento di TC anche nella lingua medica
finalizzata alla persuasione. I TC impiegati non si limitano infatti ai tipici innesti
lessicali (assumere, apportare, valido, efficace, topico, etc.), che pure sono frequentissimi e compaiono in quasi tutti gli annunci, ma investono anche la formazione di sintagmi (complementi con a modale e da causale, costrutti del tipo in
fase di + nome, in caso di + nome, etc.).
312
In ultimo, si sono prese in esame le strategie attraverso le quali il copywriter
cerca di venire incontro alle competenze degli utenti: ovvero l’uso di riformulazioni e glosse. A voler esprimere un giudizio d’insieme, si può affermare che tali
procedimenti sono usati con una certa sistematicità, pur dandosi casi di tecnicismiesca che attraggono solo per la luminosità del loro designans. Il tipo di riformulazione che è apparso ricorrere più spesso è stato, significativamente, quello per
funzione (come dire: «non importa tanto cosa sia, basta che sia efficace»), seguito
dalle parentetiche e dalle loro “cugine discrete”, le incidentali: con la loro agilità,
hanno infatti il pregio di aggiungere informazioni chiarificanti senza appesantire il
giro sintattico della frase. L’impiego frequente di riformulazioni appare poi tanto
più significativo qualora si pensi che, a differenza di altri mezzi di comunicazione
di massa, la pubblicità non è sottoposta all’imperativo deontologico della chiarezza divulgativa: se nei giornali, ad esempio, l’aumento di conoscenze nell’utente
è o dovrebbe essere il fine della comunicazione, non è necessariamente così in
pubblicità, in cui alla finalità informativa si sovrappone quella conativa. Il sostanziarsi di valori hard diventa perciò un mezzo fondamentale per produrre una maggiore consuetudine con la marca e quindi, in prospettiva ultima, un aumento delle
vendite (la stessa espressione “investimento pubblicitario” sta a dimostrare la natura interessata della relativa comunicazione).
A rendere più amichevole la lingua medico-pubblicitaria cooperano anche
gli usi metaforici, per lo più assestati e quindi sbiaditi («risvegliare l’intestino pigro»), e le complessivamente poco frequenti voci basse e colloquiali. Tanto infrequenti che, a giudicare del livello lessicale secondo la coppia “vicinanza/distanza”,
il secondo polo risulta vistosamente preferito. La predilezione per gli esiti che mirano ad “allontanare” la lingua medico-pubblicitaria si nota, per tutti e tre i livelli
di analisi, non per l’emersione delle anticaglie caratteristiche del medichese deteriore36 – la «pratica sciamanica» (Baldini 1989: 97) fatta di inutili ipercomplicazioni, concretata in «certo modernariato terminologico risalente ai decenni tra Otto
e Novecento» (Serianni 2003: 24) – quanto piuttosto per l’utilizzo, diffuso, del
termine scientificamente corretto. In questo i livelli di comunicazione specialistauomo comune e specialista-non specialista sono apparsi notevolmente omogenei,
al punto che il corpus in origine tripartito è risultato, alla luce delle evidenze linguistiche, un corpus bipartito: medio-basso (specialista-uomo comune e specialista-non specialista) vs alto (specialista-specialista).
36
Un’assenza rilevante è quella delle denominazioni eponime, anche di quelle, più discrete ma
più significative dell’assestamento del termine, che si presentano sotto forma di aggettivo di relazione.
313
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