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Il teatro greco e latino: introduzione - II parte
Gli autori
Per quanto riguarda la tragedia, i tre grandi nomi sono quelli di Eschilo, Sofocle ed Euripide, tutti e tre vissuti nel V
secolo a. C., nel momento di massimo splendore del teatro greco, e tutti e tre nativi della città di Atene; per quanto
riguarda la commedia, sempre nel V secolo a.C. e sempre ad Atene visse e mise in scena le proprie opere Aristofane,
mentre l'altro grande commediografo, Menandro, anch'egli ateniese, fu attivo nel IV secolo, in un contesto storico e
culturale profondamente modificato, come vedremo, dall'avvento di Alessandro Magno e dell'Ellenismo.
1. I Tragici
Eschilo.
Di Eschilo, vissuto ad Atene tra il 525 e il 456 circa a.C. e più volte trionfatore negli agoni teatrali, ci sono pervenute
soltanto sette tragedie.
Tra le opere principali ricordiamo la tragedia storica I Persiani,il Prometeo incatenato, incentrato sul tema della ribellione
del titano Prometeo alla volontà di Zeus e della giustizia divina che prima lo punirà e poi lo assolverà, e la trilogia dell'
Orestea, incentrata su di un mito relativo alla guerra di Troia e sul tema della vendetta (nell'Agamennone la vendetta di
Clitemnestra sul marito, che aveva accettato di sacrificare la figlia Ifigenia pur di permettere alla flotta greca di salpare
per Troia; nelle Coefore la vendetta dei figli di Agamennone, Oreste ed Elettra, sulla madre assassina; nelle Eumenidi il
perdono, sotto forma di assoluzione anche giuridica, di Oreste, perseguitato dalle Erinni in quanto matricida). Incentrato
sul mito di Edipo, più in particolare sulla sorte toccata ai di lui figli Eteocle e Polinice, sono I sette contro Tebe, mentre le
Supplici narra la tormentata vicenda delle Danaidi che chiedono ad asilo ad Argo per sfuggire a delle nozze imposte con
la violenza.
Come si è intuito, nelle tragedie di Eschilo compare un tema ricorrente, quello della giustizia divina che riequilibra le
vicende umane turbate dall'eccessiva ambizione di alcuni uomini o dalle avversità del destino.
Sofocle.
Anche di Sofocle, nato a Colono, un demo di Atene, nel 497 e morto nel 406 circa a.C., ci sono pervenute soltanto sette
tragedie.
Le più note sono quelle incentrate sul mito di Edipo ed imperniate sul tema del destino riservato agli uomini dagli dei e
dal Fato e del margine lasciato al libero abitrio: Edipo re, Edipo a Colono, Antigone.
Grande impatto sui lettori hanno avuto anche l'Aiace e il Filottete, che riflettono ancora una volta sull'ingiusto destino di
sofferenza che può toccare anche ad uomini incolpevoli, come i due eroi del ciclo troiano protagonisti di queste
opere.Considerazioni analoghe compaiono nelle Trachinie, che narrano l'infelice tentativo di Deianira di serbarsi l'amore
del marito Eracle, tentativo che si concluderà con la morte dell'eroe e il suicidio della protagonista.
Infine, omaggio ad Eschilo, torna la figura di Elettra che, tratteggiata come eroina indomita nel perseguire la propria
vendetta, rispetto alla versione eschilea ricopre un ruolo più centrale nell'intreccio ed ha una presenza più incisiva.
Euripide.
Nato ad Atene intorno al 480 a.C. e morto a Pella, in Macedonia, ospite del re Archelao, nel 406 a.C., Euripide fu il più
discusso dei tre grandi tragediografici: vissuto nell'epoca della filosofia sofistica, che aveva introdotto una etica
relativistica in contrasto con la morale tradizionale greca e poneva in dubbio la stessa esistenza degli dei, egli
introdusse nelle proprie opere una visione del mondo più complessa e problematica rispetto ad Eschilo e Sofocle e la
sua rilettura dei miti greci risultò spesso originale e innovativa, suscitando consensi ma anche reazioni sdegnate nel
pubblico del suo tempo.
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Di Euripide ci sono pervenute 17 opere, di cui 16 tragedie ed un dramma satiresco, il Ciclope, l'unico conservatoci per
intero. In realtà la tragedia Alcesti, seppur tecnicamente strutturata secondo le regole del genere tragico, risulta un'opera
anomala, poiché ha un lieto fine e molte battute scherzose; il sacrificio di Alcesti che muore al posto del marito Admeto
è però un tema fortemente tragico; possiamo pertanto definirla un esperimento, un'opera "mista".
Tra le tragedie ricordiamo soprattutto Medea, cupa storia di una madre vendicativa ed assassina, Ippolito, che narra
l'impossibile amore di Fedra per il figliastro Ippolito, Le Troiane, che traccia un ritratto collettivo delle donne di Troia
ormai prigioniere dei Greci e Le Baccanti, un grande atto di omaggio alla divinità del teatro, Dioniso.
La tragedia narra della tragica punizione toccata a Penteo, mitico re di Tebe, che aveva ostacolato le orge
misticheggianti - ma anche estremamente sanguinarie, a causa dei molti sacrifici di animali - delle Baccanti, devote al
culto di Dioniso. Il sovrano aveva anzi avuto l'ardire di incatenare ed imprigionare il dio stesso! Ma la vendetta di Dioniso
non si farà attendere. Sarà la madre stessa di Penteo, Agave, impazzita per volere di Dioniso, a fare letteralmente a
pezzi il figlio, salito sul monte Citerone per spiare i misteriosi riti delle Baccanti. Questa misteriosa ed enigmatica
tragedia sottolinea un elemento di grande importanza e oggetto di appassionato dibattito nella cultura greca (e non
solo!), ossia il ruolo rivestito nella esistenza umana dall'irrazionalità, simboleggiata dai rituali dionisiaci. Ad essa farà
riferimento il filosofo Friedrich Nietzsche nel celebre saggio La nascita della tragedia (1876) che individua nella civiltà
greca l'alternanza tra lo spirito dionisiaco, simbolo dell'istinto, della creatività e della forza vitale, e lo spirito apollineo,
caratterizzato dall'equilibrio e dalla razionalità.
Accanto a questi grandi nomi di tragediografi ci restano alcuni frammenti di altri autori.
Tra di essi ricordiamo, per il V secolo, Frinico, uno dei primi a cimentarsi con il genere tragico, che inaugurò la tragedia
di argomento storico, poi ripresa da Eschilo nei Persiani, Pratina di Fliunte, il primo ad associare alla tragedia il dramma
satiresco, Ione di Chio ed Agatone, dei quali sappiamo pochissimo.
Delle tragedie dell'età ellenistica, composte tra IV e III secolo a.C., ci restano alcuni titoli e una sola opera pervenutaci
integralmente, l'Alessandra di Licofrone di Calcide, una rievocazione dei principali episodi della storia greca ma scritta in
forma misteriosa e di difficile interpretazione.
Quanto ci è pervenuto di queste opere più tarde ci induce a pensare che non si trattasse più di teatro in senso stretto,
ossia che non fossero destinate alla rappresentazione sulle scene bensì, come era proprio della letteratura ellenistica,
fossero riservate alla lettura da parte di una cerchia ristretta di un pubblico colto ed erudito, in grado di apprezzarne le
sottigliezze e le allusioni criptate che, in omaggio al gusto dell'epoca, spesso esse contenevano. L'intento di queste
opere risulta pertanto l'erudizione e l'encomio dei sovrani ellenistici e della loro corte; viene totalmente a mancare
l'intento educativo e politico, ma ciò non ci stupisce se teniamo conto dei profondi cambiamenti storici sopravvenuti dopo
Alessandro Magno: Atene e le altre poleis greche, perduta l'autonomia politica, avevano anche perduto l'esigenza di
formare dei cittadini responsabili, esigenza che, come abbiamo detto, aveva trovato nel teatro del V secolo un prezioso
ed efficacissimo alleato. Al teatro i lettori - una ristretta élite -dei regni ellenistici, ormai sudditi passivi, chiedevano alcuni
momenti di colto divertimento, nulla di più.
2. I Comici
La commedia greca viene convenzionalmente suddivisa in tre fasi: ossia l'antica, dominata da Aristofane e sviluppatasi
nel V secolo a.C., la commedia di mezzo, sviluppatasi nel IV secolo, e la nuova, che ha il massimo esponente in
Menandro e si situa tra la fine del IV secolo e la prima metà del III secolo a.C.
Aristofane.
Di Aristofane, ateniese, ricordiamo almeno alcune delle commedie più celebri: le Nuvole (423 a.C.), La pace (421 a.C.).
Gli uccelli (414 a.C.), Lisistrata (411 a.C.), Le rane (405 a.C.).
Menandro.
Per quanto riguarda Menandro, anch'egli ateniese, ricordiamo Il misantropo, l'unica che ci sia pervenuta integralmente,
Lo scudo, La donna di Samo, L'arbitrato, di cui possiamo leggere più della metà. Per una analisi più dettagliata delle
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opere si consulti la bibliografia al fondo della scheda; in questa sede è importante sottolineare soprattutto la novità
tematica di Menandro, che scrive in un momento di grandi cambiamenti storici legati alla eccezionale personalità di
Alessandro Magno ed alla nascita dei regni ellenistici in Grecia, Macedonia, Egitto, Siria, Persia.
Si tratta, come è noto, di un'epoca in cui la politica non è più al centro dei pensieri dei cittadini, ormai trasformatisi in
sudditi, e l'economia accentua la separazione fra pochi ricchi e molti poveri: queste trasformazioni influiscono sulla
mentalità delle persone, modificandone la visione dei rapporti sociali, improntati ad una maggiore apertura e solidarietà
nei confronti delle fasce più deboli, come gli schiavi e gli stranieri; evolvono anche i rapporti interpersonali tra padri e
figli, tra uomini e donne, caratterizzati da un maggior rispetto reciproco; si afferma una mentalità cosmopolita che si
interessa a culture ed usanze nuove. Il teatro di Menandro riflette queste trasformazioni, affrontando tematiche nuove,
legate all'analisi psicologica dei rapporti famigliari e delle problematiche quotidiane del ceto medio e sostenendo
l'importanza di qualità quali la tolleranza ed il rispetto reciproco. Sotto questo aspetto, le commedie di Menandro sono
più vicine di quelle di Aristofane alla nostra mentalità, perché mettono in scena degli individui problematici, non dei tipi
fissi, e sono molto attente alla verosimiglianza dell'intreccio, proprio per l'esigenza di realismo che le pervade, mentre le
commedie di Aristofane utilizzano colpi di scena ed agnizioni non sempre convincenti.
Accanto a questi due grandi autori, fiorirono molti minori(che talvolta definiamo tali semplicemente perché dei loro testi e
delle loro idee pochissimo ci è pervenuto).
Per la commedia antica ricordiamo i nomi di Cratete, Eupoli, Ferecrate, dei quali ci sono pervenuti soltanto dei
frammenti, e Cratino, il più importante dopo Aristofane. Tra le opere di Cratino citiamo almeno La Damigiana, in cui,
rispondendo alle accuse di ubriachezza, l'autore imbastisce un farsesco processo a se stesso, con al banco d'accusa la
Commedia, che lo rimprovera d'essere stata da lui abbandonata per la damigiana. Cratino, che con questa opera vinse
nel 423 a.C. gli agoni teatrali, risponde di non avere colpe perché senza il vino nessuno scrittore può riuscire bene nella
commedia, sacra appunto a Dioniso, dio del vino!
Dall'analisi di questa opera possiamo evincere un elemento ideologico che accomunava tutti questi autori ad Aristofane,
ossia l'importanza assegnata ai valori "naturali" propri della cultura popolare - cibo, vino, sesso, festa - rispetto ai valori
"artificiali" del patriottismo e della gloria militare che i ceti dirigenti ateniesi cercavano di imporre per giustificare la
propria politica aggressiva nei confronti del resto della Grecia.
Gli autori della Archaia (la commedia antica) sono infatti accomunati tra loro - ed Aristofane ne è l'esempio più eclatante
- dall'importanza attribuita alla satira politica, che include la raffigurazione utopica di "città ideali", a contatto con la
Natura e gli istinti, a volte descritte addirittura con le connotazioni del Paese di Cuccagna dove i pesci si arrostiscono da
soli, il vino scorre a fiumi e gli uomini non devono faticare (così Aristofane negli Uccelli, ma anche Cratete nelle Bestie
, Ferecrate nei Selvaggi, Eupoli ne L'età dell'oro), e il gusto per il fantastico, come ad esempio la discesa nell'Oltretomba
(così Le Rane di Aristofane e i Demi di Eupoli). Un altro elemento in comune è la ricchezza linguistica, il gusto di
inventare parole nuove, soprannomi grotteschi, onomatopee bizzarre, strani indovinelli e nonsense, tutti elementi che
ritroveremo anche nel comico latino Plauto.
La commedia di mezzo rappresenta una fase di transizione, in cui la satira politica perde mordente, si riducono di
conseguenza le parti corali ad essa dedicate e scompare la parabasi; la verosimiglianza dell'intreccio è più curata, le
trame introducono maggiori elementi di realismo quotidiano e il linguaggio dalla purezza attica di Aristofane passa verso
la koiné che sarà propria dell'Ellenismo. Gli autori più significativi del periodo, anch'essi pervenutici solo tramite brevi
citazioni e frammenti, sono Eubulo, Alessi ed Antifane.
La commedia nuova si sviluppa , come si è detto a proposito di Menandro, all'epoca delle grandi monarchie ellenistiche.
Atene è ancora una delle città più importanti per il teatro, ma ad essa si affiancano anche altri centri culturali come
Alessandria d'Egitto e Pergamo; gli autori, e le idee, circolano molto più liberamente che in passato, il che costituisce
uno degli elementi più affascinanti dell'età ellenistica. Ad Alessandria, ad esempio, vive per un periodo Filemone, nativo
della Sicilia, prima di ottenere la cittadinanza ateniese, e Difilo, altro autore citato dagli antichi, visse sì ad Atene ma,
nativo del Ponto, morì a Smirne; da ricordare ancora Apollodoro di Caristo, dalle cui commedie trasse spunto, come
vedremo tra poco, il comico latino Terenzio.
Di questi autori, tuttavia, possediamo soltanto brevi frammenti, che ci impediscono di dare un giudizio adeguato delle
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loro opere.
Il declino
Come è facile intuire, in età ellenistica la produzione teatrale andò gradualmente scomparendo, proprio per la mancanza
fisiologica di un pubblico che partecipasse in prima persona alle rappresentazioni e per l'impossibilità di aprire un
dibattito nell'opinione pubblica per intervenire in modo concreto ed incisivo nella realtà politica e sociale dell'epoca.
Significativo esempio di questo cambiamento socio-culturale e quindi anche di gusto dei lettori è il grande successo dei
romanzi di avventure che si diffusero tra il II secolo a.C. e il III secolo d.C. (il più noto dei quali è Dafni e Cloe di Longo
Sofista, del II secolo d.C.). Storie d'amore tormentato, rapimenti, eredità inaspettate, agnizioni: tutto il repertorio della
commedia antica, ma inserito in un contenitore di puro svago, privo di qualsiasi elemento di satira politica o di riflessione
sociale, che ogni lettore poteva centellinare a casa propria e poi dimenticare.
Continua...
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In questa unità
Testo: Civiltà in rete
autore: Evelise Aimonetto
curatore: Maurizio Châtel
metaredazione: Donatella Piacentino
redazione: Nicole Montanari
editore: BBN
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