Recensione Finito Infinito

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Scheda
Peter Mack, A History of Renaissance Rhetoric 1380-1620, Oxford University Press
(Oxford-Warburg Studies), Oxford 2011, £ 80,00. ISBN: 978–0–19–959728–4.
Marco Sgarbi ([email protected])
Il libro di Peter Mack è la prima completa storia della retorica rinascimentale e la più
interessante indagine su questo argomento dai tempi di La dialettica e la retorica
dell’Umanesimo di Cesare Vasoli, pubblicata ormai nel lontano 1968. Si tratta di un
lavoro serio e accurato che segue la più moderna metodologia della storia intellettuale,
dallo studio delle fonti alla ricostruzione dei contesti sino alle ricerche bibliometriche.
L’autore è consapevole che non è possibile caratterizzare in modo complessivo la storia
della retorica nel Rinascimento, infatti, questa storia è stata fatta da molti autori e in
diverse tappe con contributi più o meno innovativi. L’obbiettivo esplicito del volume è
proprio quello di indagare i diversi interventi individuali degli autori e il loro apporto
originale alla storia della retorica nel Rinascimento.
Lo studio di Mack sfrutta appieno il catalogo aggiornato di Lawrence D. Green e James
J. Murphy sulle retoriche rinascimentali (Renaissance Rhetoric Short-Title Catalogue,
Aldershot 2006), sebbene sia conscio che una ricerca meramente bibliometrica sulla
storia delle opere di retorica possa essere solamente il punto di partenza, ma non il
punto di arrivo di una ricerca completa sul tema. Infatti, Mack riconosce che molte
edizioni, possibilmente manoscritte, di opere di retorica possono ancora giacere
nascoste nelle biblioteche italiane e riscrivere in parte la storia che egli ha approntato
nel suo libro. Tuttavia, anche rispetto alla storia degli effetti, sembra difficile che Mack
abbia tralasciato qualche significativo contributo nella sua ricostruzione.
Sono quattro i parametri secondo i quali Mack valuta gli sviluppi della retorica. In
primo luogo l’appropriazione della retorica classica, poi il ruolo della retorica
nell’educazione, l’impatto delle dottrine logiche sulla retorica e infine l’adattamento
della retorica ai mutamenti culturali.
Nel secondo capitolo l’autore esamina la diffusione della retorica classica nel
Rinascimento. Mack riscontra che i testi di retorica classica che erano utilizzati nel
Rinascimento erano già ben conosciuti nel Medioevo, ma le nuove scoperte testuali e le
nuove conoscenze in merito ad alcuni aspetti della cultura classica alterarono la loro
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ricezione e il modo in cui essi furono letti ed interpretati. Il testo di retorica con più
successo nel Rinascimento fu la Rhetorica ad Herennium, la quale fu stampata ben 147
volte fra il 1490 al 1620 sia come testo singolo sia in coppia con il De inventione di
Cicerone. Tuttavia, Mack nota come fra il 1591 e il 1642, senza apparente alcun motivo
non ci fu alcun altra nuova edizione. Tuttavia, suggerisce l’autore, è necessario
ricordare che il mercato del libro usato era molto fiorente in quel periodo e che
probabilmente non vi furono motivi per pubblicare nuove edizioni. Cicerone e il
ciceronianesimo furono il movimento retorico più importante del Rinascimento, si
contano infatti anche 133 edizioni del De oratore, 152 delle Partitiones oratoriae e 95
edizioni dell’Institutio oratoria. Più tarda fu invece la diffusione della Rhetorica di
Aristotele che fu pubblicata per la prima volta nell’edizione aldina dei Rhetores graeci
del 1508-09, la quale includeva anche i tesi retorici di Aftonio, Demetrio e Ermogene.
La ricostruzione bibliometrica di Mack mostra che anche quando a partire dagli anni
Settanta del Cinquecento i testi di Cicerone e Quintiliano cominciarono avere una scarsa
diffusione, Aristotele rimase al centro dell’educazione retorica. I Progymnasmata di
Aftonio non furono però certamente di meno successo con la pubblicazione di 122
edizioni in meno di un secolo.
Il terzo capitolo è dedicato alla retorica in Italia fra il 1390 e il 1480. Gli autori presi in
considerazione sono Antonio Loschi, Leonardo Bruni, Gasparino Barzizza, Guarino da
Verona, Giorgio Trapezunzio, e per ultimo, forse il più importante, Lorenzo Valla. Sono
quattro gli elementi contraddistintivi di questo periodo. In primo luogo si promuove una
lettura critica delle orazioni di Cicerone per comprendere ed applicare il suo metodo in
modo più efficace. In secondo luogo, la retorica italiana aveva come obbiettivo
insegnare agli studenti come applicare in modo elegante la struttura classica del
discorso in lingua latina. In terzo luogo, i retori italiani spostarono l’interesse dalla
retorica latina a quella greca. Infine, vi fu un riassesto della relazione fra retorica e
dialettica. Inoltre, Mack riscontra che la retorica fu una delle poche discipline che si
svilupparono
e fiorirono nel contesto dei differenti e frammentati sistemi politici
italiani.
Il quarto capitolo è completamente dedicato a Rudolph Agricola, al quale Mack ha già
dedicato un importante libro (Renaissance Argument, Brill, Leiden 1993). Agricola è
considerato come uno dei dialettici e retori più originali del XV secolo. Sebbene
Agricola nacque in Olanda, la sua formazione avvenne in Italia a contatto con le opere
degli umanisti italiani in particolar modo di Pavia e Ferrara e la sua dialettica spicca per
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l’estrema importanza che ricopre il momento dell’invenzione. La sua opera principale,
intitolata appunto De inventione dialectica, si diffuse in tutta Europa grazie alle diverse
edizioni colognesi e parigine e influenzò una nuova generazioni di dialettici e retori fra i
quali Sturm e Latomus.
Tuttavia, l’autore che ebbe più successo nel Rinascimento in ambito dialettico-retorico,
anche per il numero di pubblicazioni fu Erasmo, al quale è dedicato il quinto capitolo.
Le sue opere sono il frutto della sua esperienza di tutore privato a Parigi, come
dimostrano i suoi manuali sempre molto attenti ai metodi educativi e ai bisogni degli
scolari. Egli ebbe il merito, non solo di elaborare nuove idee in campo retorico, ma
soprattutto di riuscire dirigerle verso scopi pratici ed etici. In modo specifico, Mack
mostra come Erasmo spostò l’attenzione su elementi importanti della scrittura che erano
stati trascurati dai testi della tradizione classica: proverbi, massime, descrizioni, esempi
e paragoni. Uno dei suoi grandi contributi fu quello di promuovere la scrittura delle
lettere per l’acquisizione di abilità retoriche. L’indagine di Mack si sofferma in modo
particolare sull’esame del De copia che conta 168 edizioni fra il 1512 e il 1580, del De
conscribendis epistolis, un testo sull’arte di scrivere le lettere che ebbe 90 edizioni, e dei
Collquia e degli Adagia che erano rispettivamente una raccolta di dialoghi in latini per
gli studenti e una raccolta di proverbi. Con queste opere, in particolare le prime due,
Erasmo diventò un innovatore nel campo della retorica e nonché lo standard e il punto
di riferimento per tutte le successive opere.
Il sesto capitolo è dedicato agli sviluppi della retorica nel Nord Europa fra il 1519 e il
1545 e il protagonista di quest’epoca fu senz’altro Melantone, sebbene Mack non
dimentichi di considerare figure quali Johann Caesarius, Bartholomaeus Latomus,
Joachim van Ringelberg, Johann Rivius, Georg Major, Erasmus Sarcerius, Joahnn
Spangenberg, Lucas Lossius, Martin Crusius, Juan Luis Vives, Gerard Bucoldianus,
Johann Sturm e Valentinus Erythraeus. A differenza di Agricola e Erasmo, l’opera di
Melantone fu particolarmente influente a causa del suo coinvolgimento nella riforma
delle università. La sua opera, comprendente ben sei manuali differenti (fra i quali
cinque pubblicati nell’arco di tempo di dieci anni), rafforzò decisamente secondo Mack
il connubio fra studi di retorica e di dialettica, le quali sono due discipline essenziali per
la buona espressione e scrittura, nonché per la comprensione e l’analisi dei testi classici,
in particolare Cicerone e Virgilio, e biblici.
Il settimo capitolo è dedicato alla rivoluzione apportata da Pietro Ramo e Omer Talon
negli studi di logica e retorica fra il 1545 e il 1560. Ispirata da Melantone, la corrente
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ramista proseguì nell’intento programmatico di costruire un alleanza fra retorica e
dialettica: la dialettica era considera l’arte che insegnava a ben discutere (bene disse
rendi), mentre la retorica era l’arte (o scienza) del ben parlare (bene dicendi). Inoltre, la
dialettica ramista era contraddistinta da una semplificazione delle dottrine aristoteliche.
La retorica ramista aveva la peculiarità di fornire numerosi esempi pratici, soprattutto
adatti all’insegnamento, ma trascurava lo studio della retorica greca, delle dottrine
dell’amplificazione e delle emozioni. Come è noto l’insegnamenti di Ramo non furono
ovunque bene accolti, nonostante le sue dottrine ebbero largo consenso in Germania e in
Inghilterra (non a caso paesi di religione protestante), e scatenarono accese controversie
i cui protagonisti furono Antonio de Gouveia, Pierre Galland e Jacques Charpentier.
Tuttavia, nota Mack, questi autori attaccarono i ramisti non tanto dal punto di vista
retorico, dove comunque era preferito Aristotele, ma soprattutto rispetto al problema del
metodo, che da Melantone in avanti aveva assunto un ruolo sempre più significativo nei
manuali di dialettica.
Mentre nei paesi protestanti il ciceronianesimo era ormai in declino e il ramismo
cominciava ad essere la corrente dominante, nel Sud Europa nel XVI secolo, sotto
l’influenza del pensiero cattolico, si sviluppò un intenso studio delle opere aristoteliche
che è l’oggetto di analisi dell’ottavo capitolo. Mack mostra come almeno inizialmente la
Rhetorica di Aristotele era compresa all’interno del contesto della retorica ciceroniana,
mentre poi si spostò l’interesse verso una lettura diretta e approfondita del testo
aristotelico che contraddistinse gli studi di retorica fino ai primi due decenni del XVII
secolo. I principali autori presi in considerazione sono Bartolomeo Cavalcanti, Cypriano
de Soarez e Pedro da Fonseca. Tuttavia, l’autore non trascura l’analisi dei commentari
sulla Rhetorica aristotelica, così come anche le opere in lingua volgare.
Il nono capitolo è dedicato alle nuove sintesi dialettico-retorico fra il 1600 e il 1620 che
vedono come principali esponenti Bartholomeus Keckermann, Gerard Vossius e
Nicolas Caussin. Questi tre autori, secondo Mack, si appropriano della retorica
aristotelica e classica in differente modo: Keckermann utilizzò la retorica greca per
arricchire quella ciceroniana seguendo Agricola, Erasmo e Melantone; Vossius, al
contrario, sviluppò una teoria dello stile che combinava i classici latini e greci, ma
seguiva il modello aristotelico; Caussin propugnava una retorica di tipo ciceroniano e lo
sviluppo di un oratoria che valorizzava l’eloquenza cristiana.
Gli ultimi quattro capitoli sono invece dedicati a problemi o temi specifici della retorica
del Rinascimento come lo sviluppo dei testi sui tropi e sulle figure, la diffusione dei
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manuali dedicati alla scrittura delle lettere, la produzione di lavori dedicati alla
predicazione religiosa e alle orazioni nei tribunali e infine le diverse retoriche in
volgare.
La ricerca di Mack è estremamente documentata e ricca di informazioni. La prospettiva
dell’intellectual history con cui analizza la storia della logica è originale. Questo lavoro
si appresta ad essere il libro di riferimento, anche per la sua esaustività dal punto di vista
bibliografico, per ogni futuro studio sull’argomento.
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