Psittacosi: febbre dei pappagalli

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Psittacosi: febbre dei pappagalli
Chlamydia psittaci è un piccolo batterio gram-negativo, parassita endocellulare
obbligato a ciclo riproduttivo bifasico che presenta: i –corpi iniziali o reticolari di
800-1000 nm e caratteristici della fase replicativa intracellulare, non infettanti; ed i
corpi elementari di soli 200-300 nm di diametro che si formano e vengono liberati
nella fase infettiva extracellulare.Una volta che il corpo elementare è penetrato nella
cellula va incontro a una riorganizzazione con formazione, entro 6 – 8 ore del corpo
reticolare. Il corpo reticolare comincia a sintetizzare macromolecole e si moltiplica fino
a 18 ore dopo la penetrazione nella cellula; alcuni corpi reticolari si riorganizzano
ritrasformandosi in corpi elementari, i quali vengono liberati per lisi cellulare e
risultano infettanti per altre cellule.
Questo patogeno presenta caratteri comuni a virus e batteri: possiede infatti DNA e
RNA, si moltiplica per scissione binaria ed è sensibile agli antibiotici, ma come le
particelle virali necessita di una cellula per vivere e riprodursi. Possiede una parete
cellulare rudimentale che non contiene acido muramico o peptidoglicano. Questo
microorganismo è capace di sintetizzare autonomamente enzimi, ma dipende dalla
cellula ospite per l’energia e probabilmente per alcuni aminoacidi.
La patogenicità della clamidia non può essere interamente spiegata dal danno diretto
che provoca alle cellule. Il più importante fattore patogeno è una tossina che è
strettamente legata alla membrana esterna dei corpi elementari. La trasmissione della
malattia è sia verticale che orizzontale. La clamidia viene di solito eliminata nelle feci
degli animali infetti che, se lasciate nell’ambiente, una volta seccate possono
disperdersi attraverso la circolazione dell’aria favorendo la diffusione del contagio per
via aerogena.
La chlamydia sp. è l'agente causale della psittacosi, grave infezione sistemica
generalmente acquisita per contatto con volatili della famiglia Psittacidae. Con il
termine psittacosi s’intende l’infezione da Chlamydia psittaci nell’uomo e negli
psittacidi; mentre per ornitosi si intende la stessa malattia riscontrata negli uccelli
non psittacidi e la conseguente infezione umana da essi procurata. L'uomo
rappresenta un ospite accidentale per questi microrganismi, e si infetta nella maggior
parte dei casi documentati a seguito del contatto con uccelli.
La malattia nell’uomo
I primi sintomi delle malattia compaiono dopo un periodo di incubazione di 5 -14
giorni, che in alcuni casi può arrivare anche a quattro settimane.
Le manifestazioni iniziali sistemiche sono aspecifiche: febbre, brividi, cefalea, mialgie,
tosse secca con un quadro di interessamento del tratto respiratorio superiore. Rara
evidenza clinica di consolidamento polmonare che viene in genere evidenziato solo
radiologicamente. La malattia può interessare organi non appartenenti alle vie
respiratorie quali: fegato, miocardio, cute, encefalo ed altre sedi. La tosse, non
sempre presente, è solitamente tardiva, non produttiva e con scarso espettorato
mucopurulento. Talvolta possono comparire, battito cardiaco rallentato, splenomegalia
e dolore toracico mentre miocardite, encefalite e tromboflebite possono verificarsi
come complicazioni o recidive.
Quando responsabili del contagio sono altri volatili (ornitosi) o, più raramente,
mammiferi, la malattia è caratterizzata da sintomatologia più differenziata e
andamento meno grave.
Altre clamidie patogene per l'uomo (non agenti zoonotici) sono la Chlamydia
trachomatis, causa del tracoma e di infezioni urogenitali a trasmissione sessuale e la
Chlamydia pneumoniae, agente di polmonite non zoonotica a trasmissione interumana
diretta.
La diagnosi può essere sospettata in persone che, oltre a presentare sintomi
compatibili con la malattia, abbiano avuto contatto con uccelli e un titolo elevato o un
incremento di anticorpi diretti contro gli antigeni della clamidia eseguito su siero
raccolto a distanza di 2 settimane dal contatto. La diagnosi viene confermata, con
l'isolamento dell'agente infettivo da escreato, sangue o tessuti. Le analisi debbono
essere eseguite in laboratori dotati di adeguate misure di protezione.
La diagnosi eziologica può risultare difficile in pazienti che sono stati trattati con
terapie antibiotiche ad ampio spettro.
Dal punto di vista anatomo-patologico si riscontra una grave polmonite inizialmente
alveolare con essudato fibrino-granulocitario che evolve successivamente in polmonite
interstiziale linfomonocitica. Sono presenti microcorpuscoli intracitoplasmatici basofili
di diametro inferiore a 1µ.
Sono soggetti a rischio le persone a contatto con uccelli selvatici, domestici o in
cattività: proprietari e allevatori di uccelli esotici, lavoratori in allevamenti di pollame o
impianti di lavorazione di carni aviarie, veterinari e personale di assistenza veterinaria,
addetti ai giardini zoologici.
La malattia negli animali
La propagazione del contagio, il più delle volte, è legata all' importazione in un
allevamento indenne di soggetti con infezioni allo stato latente o di portatori sani
eliminatori permanenti del patogeno.
Segni clinici e sintomatologia nei volatili ammalati variano in rapporto alla virulenza
del germe coinvolto, all'età dei soggetti ammalati (i giovani presentano le forme più
gravi) e allo stress a cui sono sottoposti gli animali. In tutte le specie aviarie la
malattia si manifesta generalmente con inappetenza, depressione, scolo nasale ed
oculare e grave diarrea. La trasmissione avviene in genere per via aerogena e, con
minor frequenza, per via digerente; è possibile anche una trasmissione congenita
attraverso le uova.
Tra i volatili sono molto diffuse le infezioni asintomatiche in questi casi i portatori
sani possono essere fonte di contagio per gli animali conviventi che si infettano
dall'ambiente in cui il microrganismo viene eliminato in modo intermittente.
Ad esempio i pappagalli sono i classici portatori sani, si ammalano di rado e
solitamente in seguito a stress (condizioni di sovraffollamento durante l'importazione
o il trasporto).
CLAMIDIOSI NEGLI PSITTACIDI
La clamidia causa infezioni acute, subacute e latenti (particolarmente insidiose
per la diffusione della malattia). L’infezione acuta frequentemente colpisce i giovani ed
è caratterizzata da arruffamento del piumaggio, tremori, letargia, congiuntivite,
dipnea e sinusite. Si evidenziano inoltre emaciazione, disidratazione e feci
gialloverdastre indicative di un danno epatico. La morte sopraggiunge in 8-15 giorni.
La forma subacuta o protratta della malattia è caratterizzata da progressivo
scadimento delle condizioni generali, diarrea verdastra, congiuntivite e un elevato
livello di urati nelle feci. Occasionalmente può essere rilevata sintomatologia nervosa.
La clamidiosi deve essere sospettata in tutti i casi in cui si evidenzia sintomatologia
respiratoria. Il tempo di incubazione può essere molto variabile ed è difficile da
stabilire in quanto numerosi sono gli uccelli che convivono in modo asintomatico con
questo agente patogeno.
Le principali lesioni anatomopatologiche sono caratterizzate da epatomegalia e
splenomegalia, presenza di essudato fibrinoso a livello di sierose e sacchi aerei,
periepatite, pericardite, broncopolmonite, enterite e nefrosi. A livello microscopico è
tipica l’individuazione di necrosi multifocale con infiltrato infiammatorio
linfoplasmacellulare. A livello della milza si evidenzia iperplasia degli istiociti e necrosi.
A livello dei sacchi aerei si evidenziano eterofili e macrofagi. I casi cronici sono
caratterizzati dalla proliferazione di tessuto connettivo in fegato e reni.
I quadri clinici e patologici della clamidiosi sono così variabili che per riuscire a
formulare una diagnosi è necessario l’ausilio di diagnosi di laboratorio. Colorazioni
speciali quali Giemsa, Gimenez, Macchiavello e Castaneda sono ausilii validi
nell’identificazione di questo microorganismo sia su campioni citologici sia istologici.
Queste metodiche non permettono però una diagnosi certa al 100%. Altri
procedimenti diagnostici utilizzati sono le colture cellulari, l’immunoistochimica, i test
sierologici (ELISA, fissazione del complemento) e metodiche di diagnostica
biomolecolare quali la PCR.
La clamidia è sensibile all’impiego delle tetracicline. Per la prevenzione della malattia
sarebbe opportuno sottoporre tutti gli animali in quarantena sotto terapia antibiotica a
base di tetracicline per 45 giorni.
Epidemiologia
È presente in tutto il mondo. Spesso associata alla presenza di uccelli domestici malati
o apparentemente sani. Occasionalmente si manifestano epidemie in un solo nucleo
familiare, in negozi di animali ed uccelli domestici, in esposizioni di uccelli in giardini
zoologici ed in piccionaie. La maggior parte dei casi umani sono sporadici e le infezioni
passano probabilmente inosservate.
Trasmissione
L'infezione si trasmette inalando le clamidie presenti in feci essiccate, secrezioni
oculari o nasali e polveri provenienti da piume di uccelli infetti. Situazioni che si
possono verificare durante la pulizia di gabbie, la manipolazione di carcasse, il
trasporto, la custodia, il possesso e il commercio di uccelli, oppure durante visite a
giardini zoologici, voliere e negozi di animali. Sono state descritte infezioni in
personale di laboratorio. La trasmissione interumana, seppur rara, è stata
documentata, ma potrebbe essere causata da C. pneumoniae e non da C. psittaci.
Prevenzione
La prevenzione della malattia nei volatili si basa in generale su misure igieniche, sul
controllo degli animali per l'identificazione di soggetti portatori sani e sul controllo di
tutti i fattori stressanti. Negli allevamenti dei volatili da reddito è anche importante
impedire l'accesso ai volatili selvatici, talvolta portatori di clamidie.
La profilassi nell'uomo si basa sul controllo della malattia negli animali,
sull'applicazione di misure igieniche negli allevamenti, nei negozi di animali, nei
macelli e nei laboratori di ricerca anche con l'utilizzo di dispositivi di protezione
individuale (guanti, mascherine) da parte degli operatori.
La malattia è soggetta ad obbligo di denuncia secondo gli articoli 1 e 5 del
Regolamento di Polizia Veterinaria
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