1 Nozioni storiche sulle equazioni di 2° grado Problemi di 2° grado furono affrontati già dai babilonesi (circa 4000 anni fa) e poi dai greci e dagli arabi. I babilonesi non usavano lettere per esprimere le incognite, ma parole come lunghezza (per indicare la x) e area (per indicare la x al quadrato). Tra il VI e il IV sec. a.C. i greci utilizzarono le equazioni di secondo grado per risolvere problemi geometrici, in cui comparivano segmenti e aree di quadrati e rettangoli. Nella cultura greca questi problemi numerici, non dissimili da quelli presenti ancora oggi nei testi per la scuola media, non erano ritenuti importanti poiché di natura applicativa: la vera matematica era la geometria. Nella seconda metà del III sec. d.C. fa la sua comparsa il più grande algebrista greco, Diofanto di Alessandria, considerato il padre dell'Algebra. La sua opera principale è l'Arithmetica, trattato in tredici volumi dei quali soltanto sei sono giunti fino a noi. La sua opera contiene una raccolta di problemi risolvibili con equazioni di primo e secondo grado. È dal mondo arabo che proviene il primo trattato di algebra, che può considerarsi in qualche modo moderno. Tra la fine del VIII e l'inizio del IX sec. il matematico e astronomo arabo al-Khuwarizmi scrisse un'opera (Al-Kitab al-Jabr wa-l-Muqabala da cui deriva proprio il nome Algebra) in cui presenta in modo "didattico" i metodi di risoluzione delle equazioni, specialmente di secondo grado. La sua opera raccoglie materiale da tradizioni differenti: greca, indiana e siriacomesopotamica, ed è diventata un punto di riferimento per lo sviluppo dell'algebra moderna. In essa egli illustra con esempi la risoluzione delle equazioni di secondo grado e fornisce una dimostrazione geometrica delle formule impiegate. È importante osservare che nell'antichità e nel Medioevo furono considerate soluzioni solo quelle positive (poiché i numeri negativi, anche se furono introdotti già dal IV secolo d.C. da matematici indiani, si diffusero molto lentamente e non venivano considerati veri e propri numeri; essi furono pienamente accettati dai matematici solo verso la fine del 1700). È necessario tener presente che la risoluzione delle equazioni era vincolata all'interpretazione geometrica limitando così il grado a tre. In altre parole, un’equazione doveva rappresentare necessariamente un problema di geometria, non era possibile concepire un problema di dimensione maggiore di tre, perché le dimensioni dello spazio sono solo tre: altezza, lunghezza e larghezza. Solo nel sedicesimo secolo l'algebra iniziò un suo vero e proprio sviluppo autonomo dalla geometria, quando le lettere furono intese rappresentare non grandezze geometriche, ma numeri, attraverso l'opera di F. Viète (1540-1603) e poi di R. Descartes (Cartesio,1596-1650). Sempre intorno al sedicesimo secolo giunse a maturazione il linguaggio algebrico vero e proprio, simile alle attuali esposizioni (algebra simbolica). In precedenza (algebra retorica) operazioni ed equazioni con la loro risoluzione, venivano espressi con parole (ad esempio l'incognita veniva detta la "cosa", il suo quadrato il "censo", la sua terza potenza il "cubo") ed era assai arduo seguire i passaggi con cui si perveniva ai risultati finali dei problemi. Vediamo un esempio dal trattato di Al-Khuwarizmi che ci sembra particolarmente istruttivo per illustrare la difficoltà di lettura dei trattati di algebra prima dell'avvento del simbolismo (e si noti che il problema è dei più semplici). OVVIAMENTE QUESTO ESEMPIO È STATO RIPORTATO SOLO PER CURIOSITÀ DEL LETTORE E NON VA STUDIATO. 2 "Ho diviso dieci in due parti, poi ho moltiplicato ogni parte per se stessa e preso la somma delle due, che fa cinquantotto dirham. Poni una della due parti una cosa e l'altra dieci meno una cosa. Moltiplica dieci meno una cosa per se stesso, fa cento più un censo meno venti cose, poi una cosa per una cosa, fa un censo. Poi addiziona entrambi, fa cento più due censi meno venti cose, equivalente a cinquantotto dirham. Restaura il cento più due censi con le venti cose mancanti e portale ai cinquantotto, fa allora cento più due censi equivalente a cinquantotto dirham più venti cose. Riporta a un unico censo prendendo la metà di tutto ciò che hai. Fa cinquanta dirham più un censo equivalente a ventinove dirham più dieci cose. Diminuiscilo, cioè sottrai da cinquanta ventinove, rimane ventuno più un censo uguale a dieci cose. Dimezza le radici, fa cinque, moltiplicalo per se stesso, fa venticinque. Sottrai da questo il ventuno legato al censo, rimane quattro. Prendi la sua radice che fa due e sottrai questo dalla metà delle radici, cioè cinque. Rimane tre che è una delle due parti e l'altra è sette. Questo problema ti ha riferito uno dei sei casi, cioè censi più numeri equivalente a radici". Il procedimento descritto col nostro linguaggio simbolico è il seguente: Ancora nel sedicesimo secolo furono scoperte le formule risolutive delle equazioni di terzo e quarto grado. Queste formule determinarono la nascita dei numeri complessi. La scoperta della formula risolutiva delle equazioni di terzo grado avvenne in Italia: a Bologna. L’università di Bologna, all’inizio del 1500 era il centro più importante per la ricerca e lo studio della Matematica. A Bologna giungevano studenti da tutte le parti di Europa. Fu in questa città che nacquero le gare di Matematica. Grande folle si radunavano per seguire i matematici che si sfidavano. In figura: il portico della Basilica di Santa Maria dei Servi a Bologna dove si svolgevano le sfide tra matematici Tuttavia, persino in un ambiente simile in cui esperti matematici mettevano in gioco tutto il loro sapere, si credeva che alcuni problemi non potessero essere risolti. Era opinione comune che trovare un metodo generale che potesse risolvere le equazioni di terzo grado fosse impossibile, tuttavia uno studioso provò che tutti si sbagliavano. Si chiamava Niccolò Fontana, meglio conosciuto come Niccolò Tartaglia. Era di umili origini e aveva studiato Matematica da autodidatta. A 3 12 anni era stato ferito al volto con una sciabola da un soldato francese. Il colpo gli aveva procurato un danno permanente che gli impediva di articolare bene le parole, da questo il soprannome “Tartaglia”. Tartaglia isolato dai suoi compagni di scuola si rifugiò nella Matematica. Con il tempo riuscì a scoprire la formula che gli permetteva di risolvere un tipo di equazione cubica. Tartaglia però venne a sapere che non era stato l’unico a risolvere l’equazione: un giovane matematico di nome Fior si vantava di aver trovato la formula che gli permetteva di risolvere le equazioni di 3° grado (in realtà Fior imparò questa formula dal suo maestro: Scipione del Ferro). Venne quindi organizzata una sfida tra i due: un vero duello matematico! Tartaglia sapeva risolvere solo un tipo di equazione cubica, Fior invece era pronto a sfidarlo anche su altri tipi di equazioni di 3° grado. Tartaglia però, pochi giorni prima della gara, riuscì a trovare la soluzione anche per altri tipi. Sbaragliò quindi l’avversario risolvendo le equazioni cubiche in meno di 2 ore. Tartaglia proseguì i suoi studi e risolse tutti i tipi di equazioni cubiche. La notizia giunse alle orecchie di un matematico milanese: Gerolamo Cardàno. Anche egli provò a risolverle, ma non ci riuscì, così convinse Tartaglia a rivelargli il suo segreto, ma dovette giurare che non avrebbe mai dovuto renderlo pubblico. Cardano non riuscì a resistere, discusse la soluzione di Tartaglia con Lodovico Ferrari, un suo allievo. Ferrari comprese appieno il lavoro di Tartaglia, tanto che gli permise di risolvere le ben più complicate equazioni di quarto grado (o quartiche). Cardano e Ferrari volevano pubblicare la risoluzione delle equazioni di quarto grado, ma non lo potevano fare, perché le formule che avevano trovato si avvalevano delle formule di Tartaglia che, per giuramento, non potevano essere pubblicate. Dato che Tartaglia non si decideva a pubblicare le sue formule (si diceva troppo impegnato nella traduzione in italiano degli Elementi di Euclide), allora Cardano si recò da Fior che lo condusse del genero di Dal Ferro. Questi mostrò a Cardano che la formula era stata inventata anche da Scipione Dal Ferro. Pertanto, Cardano si ritenne libero dalla promessa fatta a Tartaglia e pubblicò i risultati di Tartaglia insieme con la soluzione delle equazioni di 4° grado di Ferrari. Per Tartaglia fu un duro colpo, offese pubblicamente Cardano (chiamandolo “uomo di poco sugo”) e, per questo motivo, Ferrari prese le difese del suo maestro sfidando Tartaglia in una gara matematica. In questa gara Tartaglia ebbe la peggio e in conseguenza di questa sconfitta perse il suo lavoro e morì in povertà. Le cose per Cardano e per Ferrari non andarono meglio. Cardano vide il suo primo figlio condannato a morte per aver ucciso la moglie; inoltre fu derubato dal suo secondo figlio che era un accanito giocatore d’azzardo. Lodovico Ferrari invece morì a soli 42 anni avvelenato dalla sorella che viveva con lui. Ella era vedova, ma, dopo aver ucciso Lodovico Ferrari, si impossessò di tutti i suoi beni e si risposò dopo due settimane, trasferendo tutto ciò che possedeva al suo nuovo marito che però l’abbandonò lasciandola in povertà. Ancora oggi la formula che permette di risolvere le equazioni cubiche è conosciuta come la “formula di Cardano”. Tartaglia non godette della giusta gloria in vita, tuttavia il suo lavoro contribuì a risolvere un problema che aveva disorientato anche i grandi matematici della Cina, dell’India e del mondo arabo: la sua è stata la prima grande scoperta matematica dell’Europa moderna. Un momento particolarmente significativo è stato la dimostrazione all'inizio dell'Ottocento di un teorema ideato da Paolo Ruffini nel 1799 e completato nel 1824 dal giovane matematico norvegese Niels Henrik Abel (morto di tubercolosi ad appena 27 anni). Questo teorema (chiamato appunto teorema di Ruffini-Abel) ha sancito l'impossibilità di trovare una formula risolutiva che risolvesse tutte quante le equazioni di quinto grado. Inoltre, questo discorso vale anche per tutte le equazioni di grado superiore. In altre parole, non può esistere la formula risolutiva di una generica equazione di grado superiore al quarto1. Questo non significa che nessuna equazione dal 5° grado in poi possa essere risolta con una formula risolutiva, ma che, per ogni grado maggiore o uguale a 5, esistono delle equazioni che non possono essere risolte con una formula risolutiva. Ad esempio: sebbene esistano delle equazioni di 5° grado che possono essere risolte con una formula risolutiva (come x5 − x4 − x + 1 = 0), esistono anche equazioni come (x5 - x + 1 = 0) che non possono essere risolte con nessuna formula risolutiva. 1 Per maggiore chiarezza, facciamo notare che, dire che un’equazione può essere risolta con una formula risolutiva equivale a dire che essa può essere risolta mediante l’uso delle quattro operazioni dell’elevamento a potenza e dei radicali. Allo stesso modo, dire che un’equazione non ammette formula risolutiva equivale a dire che le sue soluzioni non possono essere trovate con il solo uso delle quattro operazioni dell’elevamento a potenza e dei radicali. 4 Niels Henrik Abel Molto importante fu il matematico francese Évariste Galois (1811 - 1832) che riuscì ad arrivare a conclusioni molto più avanzate rispetto a quelle di Abel. Egli infatti trovò un metodo generale per sapere se un'equazione di qualunque grado può o meno essere risolta con una formula risolutiva. Galois fu anche un rivoluzionario convinto e un fervente repubblicano. Morì in duello (a 21 anni non ancora compiuti), forse a causa di una storia d'amore finita male. Forse, però, il duello era solo una copertura per nascondere un omicidio politico da parte della polizia segreta del re. In effetti il duello si svolse in circostanze poco chiare: non si è saputo chi avesse sfidato Galois ed inoltre, benché durante il duello fosse stato sparato un solo colpo, la pistola del giovane matematico fu trovata scarica. È certo comunque che la notte prima del duello, Galois era sicuro di morire. Perciò, quella notte, egli scrisse una lettera ad un suo amico nella quale riportava tutte le sue scoperte di matematica. In questa lettera Galois si rammaricava del fatto che, per la fretta di scrivere tutto in quella notte, non poteva essere molto chiaro; per questo ricorre in questa lettera la frase "non ho tempo!". A tal proposito, è stato girato un film negli anni '70 su Galois intitolato appunto "Non ho tempo". Solo 12 anni dopo la morte del matematico, i suoi manoscritti furono riscoperti, semplificati nella trattazione e pubblicati. Évariste Galois