Chiesa di San Bartolomeo ad decimum

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SAN ZACCARIA – Chiesa di San Bartolomeo ad decimum
La chiesa di S. Zaccaria, com'è arrivata sino a
noi,
d'antico
conserva
molto
poco.
Praticamente solo il campanile quadrato può
farsi risalire attorno al Mille, tutto il resto è
moderno, perché la chiesa fu ricostruita dalle
fondamenta nell'anno 1746, essendo economo
spirituale don Tomaso Foschi. Si ebbe sino da
quell'anno le sue tre cappelle attuali sacre
come oggi a S. Bartolomeo, il patrono, alla
Madonna del Rosario ed a S. Antonio da
Padova. Nel 1836 l'arciprete Petrignani fece fare in marmo l'altare maggiore e nel
1841 fece costruire la cappella del Battistero, mentre ai due altari laterali erano
già stati postati marmi provenienti dalla distruzione della basilica di S. Severo in
Classe. Nonostante, però, le sue belle linee settecentesche e l'imponente facciata,
la chiesa attuale credo non possa stare alla pari di quella che fu atterrata pochi
anni prima della metà del sec. XVIII. Di essa noi abbiamo ancora una schematica
descrizione negli atti della S. Visita all'anno 1613. Aveva tre navate, la mediana
delle quali era sostenuta da colonne «ex laterculis», quindi di mattoni, per ciò,
facilmente pilastri come in tutte le chiese coeve e di simile struttura (penso,
dunque, che i rocchi granitici di colonne antiche. che si vedono ancora davanti
alla chiesa provengano da altrove, forse da S. Severo anch'essi). In origine la
facciata di questa chiesa primitiva doveva guardare ad occidente, ma già nel 1613
essa era stata portata dalla parte del Dismano, ragione per cui non si parla in
quell'anno di abside semicircolare. Per tre gradini si saliva all'altare maggiore,
dietro il quale stava la sagrestia; nella navata di mezzogiorno era un secondo
altare dedicato alla Madonna del Rosario, e tra la chiesa e la strada si trovava il
cimitero parrocchiale. Sino a tutto il secolo XVII ed oltre alcuni monumenti d'alta
antichità testimoniavano, all'interno, la nobiltà e la ricchezza passata della pieve.
Uno di essi era la lastra sepolcrale marmorea di Giorgio Argentario, un «vir
clarissimus» morto nell'anno 581; altro era l'avanzo (parte anteriore) dell'antico
altare in marmo greco. Tutti e due stanno oggi a Ravenna nel Museo Arcivescovile.
Paolo Vegio nel 1521 dovette rinunziare alla parrocchia costrettovi da un
decreto di papa Adriano VI, il quale unì S. Zaccaria alla Mensa arcivescovile: da
quell'anno gli arcivescovi cominciarono a tenere qui un loro vicario curato.
–
( Da Mons. Mario Mazzotti
– ITINERARI DELLA SACRA VISITA –
Ravenna, Libreria Antiquaria Tonini-2003)
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