PAPA/ Socci: da Fatima a Roma, la "rivoluzione" di Benedetto che

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PAPA/ Socci: da Fatima a Roma, la "rivoluzione" di
Benedetto che cambia il volto della Chiesa
Antonio Socci
mercoledì 19 maggio 2010
Domenica, in occasione del Regina coeli, 150mila fedeli si sono stretti attorno
al Papa. Antonio Socci ha fatto con il sussidiario un bilancio dell’ultima
«maratona» di Benedetto XVI, dal pellegrinaggio in Portogallo a piazza San
Pietro per la preghiera coi movimenti.
Tutti i giornali non hanno mancato di sottolineare il valore di questo
gesto di vicinanza al Papa da parte della Chiesa italiana. Qual è stata la
sua prima impressione?
Mi è sembrata una manifestazione chiara della volontà di ascoltare e di
seguire il Papa in un momento così delicato per la Chiesa e per la sua
persona. Non è così scontato comprendere quello che Benedetto XVI sta
cercando di trasmettere.
Si riferisce al tema del peccato? «Il vero nemico da temere e da
combattere - ha detto Benedetto XVI - è il peccato, il male spirituale, che
a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa». Lo aveva
detto anche in Portogallo.
Sì, ma c’è il rischio che non capiamo la preoccupazione del Papa. Vale anche
per quelli che sono più sensibili e più affezionati alla sua persona, e mi
riferisco all’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio, in cui ha detto - con
«autoironia» e affetto - che il Papa è «fuori linea». Dal suo punto di vista ha
ragione, perché di fronte alla vicenda drammatica della pedofilia Benedetto
XVI non si è messo a difendere la Chiesa dagli attacchi, anche se noi tutti
avremmo avuto buoni argomenti per farlo.
Allora cos’è secondo lei che rischia di sfuggirci?
Il Papa non si è messo a denunciare il complotto. Anzi: Benedetto XVI è
convinto che gli attacchi della stampa siano stati quasi una via usata da Dio
per purificare il suo popolo. Ha cercato e sta cercando di far capire che la
Chiesa non è un partito che ha bisogno di aver ragione, un’associazione
umana che tiene innanzitutto a provare la bontà dei suoi membri. Quella del
Papa è un’umiltà che difficilmente qualcun altro, dopo un secolo di orrori
umani e politici, si può permettere come lui.
Cosa c’è alla base di questo atteggiamento di Benedetto XVI?
Questo Papa, proprio come Giovanni Paolo II, ha potuto chiedere perdono
perché ha fede. Lo ha fatto capire nello scandalo pedofilia. La Chiesa non è
una cosca mafiosa che ha bisogno di omertà: bisogna dire la verità sempre,
anche quando è scomoda, imbarazzante o addirittura umiliante. Anche se ci
fosse stato un solo caso di pedofilia, Benedetto XVI avrebbe pianto con le
vittime e avrebbe confessato la verità.
Una scelta, insomma, in cui certo mondo cattolico (o simpatizzante)
vede una resa delle armi.
La sfida si gioca non fuori, ma dentro il mondo cattolico. La condotta di certi
vescovi su vicende di pedofilia negli anni passati, in cui hanno agito con
buona intenzione ma decidendo di lavare i panni sporchi in famiglia, il Papa
l’ha stigmatizzata. Non soltanto perché non è giusto nei confronti delle
vittime, ma anche perché denota una concezione della Chiesa che manca di
fede: sembra che la Chiesa per stare in piedi abbia bisogno della nostra
menzogna. Ma Dio - ci fa capire il Papa - è più grande del cumulo di peccati
che noi portiamo dentro la Chiesa. Dio non ha bisogno delle nostre
menzogne, ma del nostro attaccamento alla verità e della nostra conversione.
Con questa umiltà il Papa ha vinto gli attacchi e anche giornali che lo hanno
attaccato, come il New York Times, lo hanno riconosciuto.
Il viaggio in Portogallo e gli scandali hanno riproposto in modo
inevitabile il problema dell’interpretazione del terzo segreto di Fatima.
La profezia, ha detto il Papa, non si riferisce al passato: essa non è
conclusa. Che cosa implica questo per il modo di concepire la fede?
No, non direi che il collegamento era inevitabile. È stato il Papa, dopo questi
mesi di sofferenza, a decidere di andare a Fatima per affidare la Chiesa nelle
mani della Madonna. Ed è stato molto importante che in uno dei suoi
principali discorsi abbia criticato l’eccesso di attenzione che c’è nella Chiesa
per le strutture, l’organizzazione, il fare. Conta non il fare ma la fede, e
riaffermarlo è sempre una rivoluzione perché da decenni viviamo in un
mondo cattolico tutto ripiegato sui piani pastorali. Viene meno, di
conseguenza, la percezione che è un Altro che fa la storia. Il Papa ha
riorientato lo sguardo che dovremmo avere noi cristiani, soprattutto nel
momento delle prove più difficili che ci vengono e che ci verranno richieste.
La Chiesa deve «ri-imparare la penitenza» e «accettare la purificazione»,
ha detto Benedetto XVI, aggiungendo che «il perdono non sostituisce la
giustizia». Cosa vuol dire questo oggi per la Chiesa?
Il Papa ha corretto senza indugio quello che è stato un atteggiamento di
moltissimi vescovi per decenni, che ha finito per non dare giustizia alle vittime
e per esporre altri giovani agli abusi. Chi si macchia di questi delitti deve
risponderne davanti alla giustizia di Dio e davanti a quella degli uomini. Ma la
rivoluzione del Papa sta in una profonda de-clericalizzazione della Chiesa.
Il centro della Chiesa cioè non e il clero, ma Gesù Cristo.
Sì. E chi è chiamato ad un ministero nella Chiesa è un servo. Il Papa ha di
mira l’atteggiamento tipico di un’ampia parte del ceto ecclesiastico, troppo
incline a «proteggere» se stesso convinto - così facendo - di mettere al riparo
il messaggio cristiano. È una difesa che troppo spesso non si vede scattare
quando sono messe in discussione le verità di fede... Il clericalismo purtroppo
è una malattia vistosa nella Chiesa cattolica odierna ed è trasversale, da
«destra» a «sinistra».
A proposito della crisi europea Benedetto XVI ha accusato «un
dualismo falso», quello di un positivismo economico che pensa di
potersi realizzare senza la componente etica, che invece è «interna alla
razionalità e al pragmatismo economico». Che ne pensa?
Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva pubblicato un saggio in cui diceva che
il principio di Adam Smith per cui ognuno perseguendo il proprio egoistico
interesse automaticamente fa il bene comune, era altrettanto ideologico
dell’ideologia marxista, perché lega il bene comune ad un meccanismo e non
alla libertà. Il disastro finanziario del 2008 e le sue conseguenze di oggi
confermano in modo drammatico quello che il Papa aveva previsto, cioè che
il positivismo economico in qualche modo può essere accostato al disastro
del comunismo. Della libertà umana, con il suo dramma di bene e di male,
non si può fare a meno.
Secondo un recente rapporto Demos «il 62 per cento degli italiani
considera inadeguata la risposta della Chiesa di fronte agli episodi di
pedofilia» e scende ai minimi la fiducia nel Papa, colpito da un «calo di
credibilità». Lo ha scritto lunedì su Repubblica Ilvo Diamanti.
Non mi pare che si debba dare troppa importanza a questo tipo di sondaggi.
A dire il vero poi il Regina coeli di domenica sembra dimostrare il contrario. I
veri fattori in gioco sono un Papa che ha dato una risposta sorprendente, sia
per gli avversari ma anche all’interno della Chiesa, dove si fa fatica a capire
che l’umiltà e la debolezza sono in realtà una forza. Il problema è sempre la
fede: quando essa è affievolita, si ha bisogno di garantirsi delle certezze
storiche in maniera diversa. Ecco perché molta gente comune secondo me è
rimasta disorientata.