Oratorio S. Giovanni Bosco - IL CORAGGIO DELL`INNAMORATO

IL CORAGGIO DELL'INNAMORATO
Benedetto XVI
Con addosso l'umiltà dei gesti semplici. S'era presentato al mondo in punta di piedi e forse un po' spaesato,
come un umile servitore nella vigna del Signore; con la stessa umiltà s'è addossato la responsabilità di
uscire dalla scena del primato. Gli anni ne hanno snervato il fisico e messo a dura prova la salute, ma rimane
pure traccia di quell'animo che – stando alle sue parole – faticava sempre più a reggere il peso e le sorte
del destino ultimo della fede cristiana. In queste ore il mondo sarà tutto chino a scovare traccia di motivazioni
seconde che hanno spinto quest'Uomo di Dio a dimettersi: eppure questo gesto di straordinario coraggio
rimane forse una delle pagina più belle di un Papa nel cui cuore il bene della Chiesa è sempre venuto al
primo posto.
Quel 19 aprile 2005 a colpirci fu lo sguardo anziano – e forse il piglio un po' severo – di un Papa diverso
da Giovanni Paolo II. E mentre il mondo esagerava con i paragoni ingombranti, Benedetto XVI mostrava
l'umile presenza della sua figura. Colpiva quel suo imbarazzo di fronte alle folle oceaniche, eppure ne
accettò la sfida mantenendo sempre fermo il suo punto d'arrivo: l'incontro con Gesù di Nazareth. Spiegò in
tutte le lingue del mondo che il Papa non è una rockstar, ma ne accettò il rischio per far incontrare il volto di
Cristo all'uomo contemporaneo. Al pari di Giovanni Battista che, puntando il dito verso Cristo che passava,
disse: “ Ecco l'Agnello di Dio!” Un umile servitore capace dei gesti meno prevedibili: la ricerca spassionata
dell'uomo fin dietro le sbarre di Rebibbia, l'inginocchiarsi per chiedere scusa laddove la Chiesa ha tradito
l'Amore, il riconoscere in certi non credenti dal cuore agitato una passione per Cristo imbarazzante per i
cristiani di routine, il sedersi accanto ai drammi della Chiesa condividendo il grido di tanti uomini: “ questa
non è la mia Chiesa” . E, per ultimo, il coraggio di mettersi in disparte quando la missione chiede sforzi che
il fisico e lo spirito non riescono a reggere. Da fine teologo e profondo conoscitore delle leggi che regolano
il mondo e il destino ultimo degli uomini, ha cercato di dare voce a quella che è rimasta la missione decisiva
per la teologia: tradurre nell'oggi la Rivelazione di Dio, ovvero far nascere negli uomini la risposta a quella
domanda che interroga da sempre il cuore della storia: “ che cosa dice Dio alla mia storia?” . E' forse questo
uno dei meriti splendidi del suo pontificato: testimoniare che Cristo non è un concetto del quale avvalersi
ma è ancora oggi un incontro che cambia l'esistenza delle persone. Fino a far nascere la nostalgia di Lui
nel cuore della storia odierna.
La sua origine tedesca ha favorito i detrattori, esaltando pure un'ironia della quale seppe dimostrarsi
superiore. Ne diede risposta in quell'amabilità dello sguardo e dei gesti ch'è rimasta l'evoluzione più ardita
dei suoi otto anni di pontificato. Quasi a voler raccomandare al mondo credente di parlare pure della Grazia
ma di farlo con grazia, ovvero con quel rispetto tenero e inverecondo di chi sa che la Verità ultima non è
un'idea da custodire in tasca ma una Persona da far incontrare. Per fare di una storia individuale una storia
condivisa.
Celestino V passò alla storia come il Papa che fece il gran rifiuto. Non sappiamo come la storia di domani
leggerà il pontificato di Benedetto XVI. Ciò che davvero conta, però, è il valore simbolico dei gesti. Quel
simbolismo che tanto fece amare ai giovani Giovanni Paolo II, è oggi lo stesso simbolismo che fa di
Benedetto XVI un maestro di responsabilità e di educazione. Perchè l'importante nella storia (della Chiesa)
non è comandare bensì obbedire a quella voce della coscienza che ancor oggi supplica i credenti a non
fare del cristianesimo un gioco in scatola.
Chapeau, Benedetto XVI!
tratto da www.sullestradediemmaus.it
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