La biochimica dell`effetto placebo.

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Vol. 95, N. 4, Aprile 2004
La biochimica dell’effetto placebo.
Recenti acquisizioni
Giorgio Dobrilla
Riassunto. L’effetto placebo è una realtà di portata tutt’altro che trascurabile sia nella
pratica medica che nella ricerca clinica. Si ritiene comunemente che si tratti soltanto di
un effetto psicosomatico ed è invece meno noto che questo effetto sottintende eventi biochimici complessi. Ciò vale in particolare per la analgesia da placebo, dovuta a mediatori chimici prodotti dal nostro sistema nervoso. Le idee approssimate sul placebo possono
avere implicazioni non indifferenti nella pratica clinica.
Parole chiave. Colecistochinina, endorfine, naloxone, placebo, proglumide.
Summary. Biochemistry of the placebo effect. Recent acquisitions.
The placebo effect is a very significant reality, both in medical practice and in clinical research. According to the most common opinion, placebo effect is essentially psychosomatic in nature. Much less well-known, however, is the fact that the placebo effect involves very complex biochemical events. This is particularly true of placebo analgesia, due to biochemical mediators produced by our nervous system. Approximate
ideas about the placebo effect may have by no means negligible implications in clinical
practice.
Key words. Cholecystochinin, endorphins, naloxone, placebo, proglumide.
Il placebo non è solo un farmaco che, pur sprovvisto di attività specifica, risulta efficace nei confronti di un sintomo o di una malattia. Un placebo
può infatti essere non farmacologico: un consiglio,
un’attenzione, una tisana, un buon rapporto con il
medico di famiglia, un sortilegio, una fiducia
profonda in qualcosa o una delle sempre più numerose medicine complementari alternative (CAM,
nell’acronimo inglese più usato).
Placebo significa dunque tante cose 1 che condividono la capacità di produrre un effetto favorevole
più o meno significativo, e non di rado sorprendente, su parametri sia soggettivi (molto ampiamente
documentati) sia oggettivi (pur essi documentati,
ma meno ampiamente).
Essendo il placebo per definizione sprovvisto di
attività specifica 2,3, l’opinione più diffusa è che gli
effetti da esso provocati siano di natura psicologica. E certamente, in parte ed in un certo senso, è
così, ma i non addetti ai lavori interpretano questa
“natura psicologica” come pura suggestione, qualcosa di impalpabile, di immateriale legata al “carattere” dell’individuo.
Al contrario, nel complesso meccanismo d’azione del placebo svologono un ruolo numerosi
protagonisti tutt’altro che immateriali, quali organi, cellule e mediatori biochimici. Tra questi, il
cervello (e non l’indefinibile psiche) ha un ruolo
fondamentale, così come il sistema nervoso autonomo, simpatico e parasimpatico, i cui centri regolatori si situano per altro sempre nel cervello,
ma al di sotto della corteccia, nel cosiddetto ipotalamo.
Si tratta, com’è ben noto, di una “autonomia
relativa” in quanto, se è vero che l’uomo non li
può regolare volontariamente (ma individui eccezionali, come ad esempio i fachiri, in parte ci
riescono), è altrettanto vero che sono “automaticamente” controllati e regolati dalla nostra corteccia.
Il cervello può così influire sulla “periferia”, vale a dire sui nostri organi, sulle nostre ghiandole
endocrine (in primis ipofisi e surrene) ed esocrine
(quelle sudoripare, ad esempio), sui nostri vasi
sanguigni, sul sistema immunitario e sulle funzioni che ne derivano.
È superfluo ricordare al riguardo che simpatico
e parasimpatico sono in competizione tra loro, nel
senso che se il primo stimola, il secondo inibisce e
viceversa.
Primario Gastroenterologo Emerito, Ospedale Regionale, Bolzano; Professore a contratto, Facoltà di Medicina,
Università di Parma.
Pervenuto il 27 ottobre 2003.
G. Dobrilla: La biochimica dell’effetto placebo. Recenti acquisizioni
Il simpatico, ad esempio, accelera i battiti cardiaci ed il parasimpatico li rallenta, il simpatico
frena i nostri movimenti intestinali ed il parasimpatico li aumenta, il simpatico provoca vasocostrizione ed il parasimpatico vasodilatazione (ma a livello coronarico avviene l’inverso), il simpatico dilata la pupilla ed il parasimpatico la restringe, il
simpatico riduce la secrezione acida dello stomaco
ed il parasimpatico la stimola, il simpatico dilata i
piccoli bronchi ed il parasimpatico li costringe e
via dicendo. Queste azioni su organi, ghiandole e
vasi sanguigni, con specifiche conseguenze funzionali, sono esercitate dalle fibre simpatiche e parasimpatiche grazie alla liberazione, a livello delle
loro terminazioni, di mediatori biochimici in gran
parte identificati che rispondono principalmente
(ma non solo) al nome di acetilcolina, noradrenalina, e peptidi ormonali quali endorfine, encefaline.
Fenomeni come il condizionamento (che risente di
precedenti esperienze) o le aspettative (che possono di fatto considerarsi “previsioni vantaggiose”),
componenti riconosciute dell’effetto placebo, agiscono anch’essi grazie al braccio operativo rappresentato dai mediatori di cui sopra.
Il substrato biochimico meglio studiato dell’effetto placebo è quello relativo all’analgesia da placebo, cioè all’effetto antidolorifico che il placebo risulta esercitare in situazioni algogene di vario tipo, quali l’estrazione dentaria, il dolore mestruale,
il dolore postchirurgico, il dolore stenocardico, il
mal di pancia e persino il dolore che...si immagina
di provare ricevendo una martellata sul piede.
Semplificando al massimo, vediamo cosa succede in un paziente che soffre di una sintomatologia
dolorosa dopo somministrazione di un composto
placebico (o di un placebo non farmacologico in cui
comunque il paziente nutre fiducia e in cui ripone
le proprie speranze). La sensazione di dolore sale
al nostro cervello lungo fibre nervose esterocettive
(che registrano anche sensazioni termiche e tattili). Grazie a tecniche sofisticate, quali ad esempio
la Tomografia a Emissione di Positroni (PET, nell’acronimo inglese più usato), si è potuto dimostrare che i segnali di dolore veicolati da queste fibre non arrivano ad un’unica area cerebrale. Parte dei segnali raggiunge infatti i lobi frontali della
corteccia cerebrale e parte è convogliata verso i lobi parietali. È quest’ultimo terminal che registra
l’intensità e la sede d’origine del dolore, mentre l’area frontale decide quale importanza assegnare ad
esso. Dopo questa messa a fuoco, il sistema nervoso centrale, oltre che influenzare come già si è detto quello autonomo, reagisce producendo le endorfine 4. Queste sono composti ad azione morfinosimile, capaci di fissarsi sugli stessi recettori
cellulari sui quali si fissano anche gli stupefacenti, con conseguente attenuazione più o meno spiccata del dolore. La scoperta che il placebo induce la
liberazione di endorfine è frutto di una ricerca condotta più di vent’anni fa in un gruppo di pazienti
sottoposti ad estrazione del dente del giudizio. In
questi pazienti il placebo produceva un effetto ane-
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stetico non significativamente diverso da quello
dell’anestetico vero ed il naloxone, noto antagonista dei recettori oppioidi, usato per la disassuefazione dei tossicodipendenti, risultava in grado di
bloccare questo effetto 5.
Ricerche recenti hanno ulteriormente arricchito le nostre nozioni sui protagonisti biochimici responsabili dell’effetto placebo e in particolare della placebo analgesia. Si sa ora, ad esempio, che
questa può essere bloccata non solo da agenti esogeni come il naloxone, ma anche da composti endogeni, prodotti cioè, ed in contemporanea, dal nostro stesso sistema nervoso. Bene identificata, tra
questi, è la colecistochinina (CCK, nell’acronimo
ampiamente usato), ormone di natura proteica noto soprattutto per i suoi effetti sulla cistifellea (di
cui stimola la contrazione) e sul pancreas (di cui
stimola la secrezione di enzimi digestivi). Ebbene,
la CCK, come il naloxone, risulta opporsi all’effetto complessivo delle endorfine sollecitate dal placebo 6,7. È altamente plausibile che la maggiore o
minore resistenza al dolore dei soggetti sia influenzata dal rapporto endorfine/colecistochinina
contemporaneamente prodotte. Che anche la CCK
svolga un ruolo ben preciso è dimostrato dal fatto
che se si somministra la proglumide, farmaco che
blocca l’azione di questo ormone, si ottiene un potenziamento dell’effetto placebo in quanto le endorfine possono agire senza interferenze (figura 1).
Poiché la proglumide, grazie alla sua azione anti-CCK, produce anche un effetto ansiolitico ed antipanico, non si può escludere che la CCK, oltre ad
agire come competitore nei confronti delle endorfine, risulti un agente ansiogeno di per sé, ed è noto
come l’ansia sia una componente tutt’altro che trascurabile nella percezione degli stimoli dolorosi 6.
Anche meccanismi diversi dalla liberazione di
endorfine possono essere chiamati in causa nella
analgesia da placebo e ciò può almeno in parte dipendere dal ruolo svolto dal condizionamento e, rispettivamente, dalle aspettative.
Figura 1. Protagonisti biochimici dell’analgesia da placebo. L’effetto antidolorifico delle endorfine endogene può essere bloccato
sia dal naloxone esogeno che dalla CCK (colecostochinina) endogena. Questa, a sua volta, può essere inibita dalla proglumide.
Altri dettagli nel testo. Ricavata da 6,7.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 4, 2004
In questo senso orientano i risultati di uno studio in soggetti cui veniva provocato dolore ischemico ad un arto mediante legatura con laccio molto stretto 8. Nella prima fase dello studio il dolore
veniva controllato con un classico oppiaceo, la morfina, o con un antiinfiammatorio-analgesico, il ketorolac. L’effetto di questi farmaci condizionava la
successiva risposta ai relativi placebo pseudomorfina e, rispettivamente, pseudoketorolac. Questi
placebo risultavano anch’essi di efficacia antidolorifica non significativamente diversa da quella della morfina e del ketorolac. Tuttavia, mentre la risposta placebica nei soggetti condizionati con la
morfina era bloccata dal più volte ricordato naloxone, questo composto non inibiva la risposta
placebica nei soggetti condizionati con il ketorolac.
Ciò dimostra che l’effetto placebo può dunque essere mediato anche da protagonisti biochimici diversi dalle sostanze morfinosimili. Gli Autori dello
studio concludevano testualmente: «Nella placebo-analgesia fattori cognitivi e condizionamento
sono bilanciati in varia guisa e questo bilanciamento è cruciale per l’attivazione di sistemi oppioidi e non oppioidi». Quando l’effetto placebo è
sostenuto dalle aspettative e non da condizionamento, sembrano invece in gioco soltanto mediatori oppiacei, in primis le endorfine.
In base a queste più recenti acquisizioni, è evidente che l’opinione secondo cui l’efficacia terapeutica del placebo (etichettato provocatoriamente da qualcuno come “terapia fatta di niente”) sarebbe dovuta unicamente a suggestione psichica
risulta pertanto alquanto semplicistica e comunque non aggiornata circa la complessa base biochimica dell’effetto placebo. Ben si comprende anche come farmaci in commercio possano influire
favorevolmente sul dolore o su altri sintomi, anche se sprovvisti di attività specifica: i cosiddetti
placebo impuri (più del 50%!) 9. Lo stesso vale, naturalmente, per i più disparati trattamenti alternativi, compresi quelli del tutto astrusi. Poco male, si potrà dire, se l’effetto dei vari placebo tradizionali o alternativi risulta comunque
vantaggioso per un individuo che sta male. Poco
male in verità, purché il terapista che ne fa uso sia
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Giorgio Dobrilla
Via Nino Bixio, 2
39100 Bolzano
conscio di come funziona il placebo che sta consigliando e purché lo faccia nell’esclusivo interesse
del paziente. Diverso è il caso di chi invece lo fa
ignorando (evento piuttosto comune!) il potenziale del placebo ed il suo meccanismo d’azione. Poiché il paziente placebotrattato probabilmente
starà momentaneamente meglio, il terapista ciecamente convinto dell’efficacia della cura che sta
dando, anche se priva in realtà di qualsiasi documentazione scientifica, potrà involontariamente
ritardare un approfondimento diagnostico magari decisivo o l’attuazione di una terapia già disponibile, validata da oggettive dimostrazioni di efficacia. Non si dovrebbe mai dimenticare al riguardo un’antica riflessione valida in tutti i campi,
quella che ci si entusiasma spesso di fronte a
eventi non controllati e che, al contrario, quando
si va a controllare in modo appropriato, si perde
spesso ogni entusiasmo.
Bibliografia
1. Guess HA, Kleinman A, Huek JW, Engel LW (ed).
The science of the placebo. Navarra: BMJ Books
2002.
2. Shapiro AK. Factors contributing to placebo effect.
Am J Psychiatry 1964; 18: 73-88.
3. Shapiro AK. The placebo response. In: Howells JG,
ed. Modern perspectives in world psychiatry. Vol. 2.
Edinburgh: Oliver and Boyd 1971.
4. Price DD, Soerensen LV. Endogenous opioid and
non-opioid pathways as mediators of placebo analgesia. In: Harrington A, ed. The placebo effect. Cambridge: Harvard University Press 1997: 183-206.
5. Levine JD, Gordon NC. The mechanism of placebo
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6. Benedetti F, Amanzio M. The neurobiology of placebo analgesia: from endogenous opioid to cholecystokinin. Progr Neurobiol 1997; 52: 109-25.
7. Benedetti F. La realtà incantata. Milano: Zelig 2000:
148-56.
8. Amanzio M, Benedetti F. Neuropharmacological dissection of placebo analgesia: expectations activate
opioid systems versus conditioning activated specific
subsystems. J Neurosci 1999; 19: 484-94.
9. Dobrilla G. Placebo e dintorni. Breve viaggio tra
realtà e illusioni. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore 2004.
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