Ilio Masci L’ALBERO E IL BIANCOSPINO La famiglia nell’anoressia da imputata a risorsa ARMANDO EDITORE Sommario Prefazione di FRANCESCO BRUNI 11 Introduzione 15 Capitolo primo Storia dell’anoressia tra nosografia ed eziologia 1.1 Gli studi pionieristici: anoressia isterica, nervosa o mentale? 1.2 La prima metà del ’900: dal morbo di Simmonds alle teorie psicanalitiche sulla sessualità 1.3 Verso una maggiore complessità: H. Bruch e M. Palazzoli Selvini 1.4 I primi contributi sul ruolo della famiglia Bibliografia 19 19 20 21 25 26 Capitolo secondo Modelli familiari nell’anoressia: Selvini e Minuchin 2.1 Un primo tentativo di descrivere la famiglia anoressica 2.2 Salvador Minuchin e il modello della famiglia psicosomatica 2.3 Lo sviluppo nella ricerca della Selvini: il modello a sei stadi Bibliografia 29 29 30 35 39 Capitolo terzo Il peso dei fattori socioculturali 3.1 L’anoressia come disturbo etnico 3.2 L’anoressia nelle culture rurali: una ricerca in Umbria 3.3 La famiglia: un sistema in continua trasformazione Bibliografia 41 41 46 50 54 Capitolo quarto Alla ricerca di una cultura condivisa 4.1 La bulimia: un nuovo quadro psicopatologico o una variante dell’anoressia? 4.2 Gli anni ’90: lo sviluppo epidemico dei DCA in Italia 4.3 Le linee guida: un tentativo di costruire una cultura condivisa intorno ai DCA e di organizzare una risposta terapeutica 4.4 La famiglia e i DCA nella cultura italiana: un “colpevole” ritardo Bibliografia Capitolo quinto Dalla famiglia come sistema al pensiero multidimensionale 5.1 L’evoluzione del percorso di ricerca della Palazzoli Selvini 5.2 La ricerca sui singoli individui 5.3 La figura paterna tra carenza e narcisismo 5.4 La figura materna tra prevaricazioni e sacrificalità 5.5 Il rapporto con i fratelli e le sorelle 5.6 La personalità dell’anoressica 5.7 Il tempo sospeso: verso un’integrazione degli aspetti culturali, individuali e familiari Bibliografia Capitolo sesto Il familybased approach 6.1 Il metodo del Maudsley Hospital di Londra 6.2 La valutazione iniziale 6.3 La prima fase del trattamento: obiettivi ed interventi 6.4 La seconda fase del trattamento: obiettivi ed interventi 6.5 La terza fase del trattamento: obiettivi ed interventi Bibliografia Capitolo settimo Dalle linee guida alla costruzione di percorsi terapeutici 7.1 Le nuove tendenze: le NICE e le APA 7.2 La questione degli esiti del trattamento 7.3 Verso un’eziologia multifattoriale 7.4 Anoressia o anoressie? 55 55 56 58 60 63 65 65 66 68 70 72 74 78 80 81 81 82 86 90 92 93 95 95 98 105 107 7.5 Il problema della classificazione diagnostica Bibliografia Capitolo ottavo Nuove frontiere di lavoro con le famiglie 8.1 La famiglia alle prese con la malattia 8.2 La famiglia tra bisogno di stabilità e crescita 8.3 Il modello della famiglia alcolista 8.4 La ricerca sui meccanismi di mantenimento nelle famiglie con DCA 8.5 Un modello integrato di trattamento per le pazienti adolescenti e per le loro famiglie Bibliografia 109 110 113 113 114 116 118 123 126 … Del nostro amore accade Come del ramo del biancospino Che sta sulla pianta tremando La notte alla pioggia e al gelo, Fino a domani, che il sol s’effonde Infra le foglie verdi sulle fronde. Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), Versi, Componimento 183.1 Traduzione italiana di A. Roncaglia Prefazione FRANCESCO BRUNI L’albero e il biancospino è una metafora che richiama la relazione fra ordine e specie o famiglia e individuo e ci fa pensare alle radici, al nutrimento, alla casa, alla crescita, ai frutti, alle spine, ma anche alla creazione, alla struttura e alla poesia. L’accostamento con il biancospino, in quanto arbusto con spine, ma con proprietà fitoterapiche, come cardioprotettore, sedativo o rimedio nella cura dell’ansia e dell’insonnia, ricorda l’intreccio tra famiglia e disagio psichico D’altronde il disagio, o il comportamento sintomatico, è un tentativo ingenuo di autoterapia che reclama attenzione alla condizione individuale nello scenario relazionale familiare e socio-culturale. La metafora rispecchia lo spirito creativo di Ilio Masci e il suo sguardo attento e accogliente che ritroviamo in questo suo libro. E ci riporta, in un certo senso, al tema di fondo che analizza le dinamiche familiari e il modo in cui è considerata la famiglia nelle problematiche legate all’anoressia, e come questa lettura sia cambiata nel corso del tempo passando da imputata a risorsa del processo terapeutico. Il libro che avete in mano ripercorre la storia della cura dall’anoressia e degli altri disturbi del comportamento alimentare, e in parallelo ci offre un quadro dei cambiamenti nel rapporto con la famiglia e nella lettura del contesto familiare. Nell’accompagnarci in questo percorso, Masci si avvale della sua lunga esperienza di terapeuta sistemico-relazionale e del suo lavoro ventennale sui Disturbi del Comportamento Alimentare, nel Dipartimento di Salute Mentale di una provincia dell’Umbria. La lettura è resa avvincente e appassionante dai continui accostamenti fra la presentazione dei modelli di psicoterapia che si sono affermati negli anni e le esperienze cliniche dell’autore. 11 Il discorso parte dagli studi pionieristici sull’anoressia nella seconda metà dell’Ottocento e sulle prime ipotesi eziologiche riguardanti la natura della malattia tra psiche e soma. Per poi passare al contributo delle teorie psicoanalitiche della sessualità, nella prima parte del Novecento, e giungere, negli anni ’60 e ’70, a una lettura più complessa. È il caso del contributo della Bruch che ritrova, nelle ragazze anoressiche, un profondo sentimento di inadeguatezza sperimentato all’inizio dell’adolescenza in contrasto con i valori fondamentali espressi dalla famiglia verso il successo e l’affermazione personale. In queste circostanze può capitare che un evento critico sul piano relazionale porti allo sviluppo del comportamento anoressico come desiderio di riuscire su un terreno difficile. Sarà Mara Selvini Palazzoli a dare un apporto decisivo agli studi sull’ambiente familiare e a mettere in discussione l’idea che la famiglia sia un ostacolo al trattamento della persona anoressica. Negli anni successivi, Selvini Palazzoli e Minuchin approfondiranno l’analisi dei modelli familiari nelle famiglie anoressiche. La Selvini già nel 1963 osserva alcune caratteristiche delle dinamiche relazionali dei componenti la famiglia che approfondirà successivamente negli anni ’80 proponendo un modello eziopatologico in sei stadi che Masci puntualmente riporta. Mentre Salvador Minuchin nella ricerca sulle famiglie psicosomatiche descriverà le interazioni disfunzionali della famiglia “anoressica” nel determinare e contribuire a mantenere il sintomo: invischiamento, iperprotettività, evitamento del conflitto, rigidità. Benché questi contributi siano basati su una causalità circolare, passa l’idea che la famiglia sia determinante nella comparsa e nel mantenimento del disturbo. Anche sul versante socioculturale si osservano alcune contraddizioni nei modelli femminili: da un lato si elogiano la fragilità, la dolcezza e l’accondiscendenza e dall’altro si valorizzano l’autocontrollo e la forza morale. Si assiste a una modificazione nel rapporto dell’individuo con il suo corpo condizionato dall’esaltazione del culto della magrezza per essere accettate socialmente. Il mondo femminile si misura con il dilemma di desiderare il successo e l’affermazione personale in contrapposizione all’esaltazione dei ruoli femminili più tradizionali. Contraddizioni che si manifestano in molte ragazze e con più frequenza in quelle che vivono in famiglie ancorate a valori arcaici, come osserva Masci a proposito di una ricerca del 2003. Ricerca volta a verificare l’ipotesi che il sintomo anoressico sia un tentativo di denuncia della discriminazione femminile, comunicando con il corpo quella sofferenza percepita nella madre e che 12 rischia di condizionare le proprie possibilità di sviluppo. Perciò, si ritiene necessario coinvolgere la famiglia nel rivedere miti arcaici e riconoscere nel disagio della figlia l’opportunità per crescere. Il libro riporta un inquadramento dei diversi Disturbi del Comportamento Alimentare, e le linee guida per organizzare una risposta terapeutica da parte dei servizi. L’autore, a tale proposito, denuncia il colpevole ritardo culturale nell’attenzione al ruolo della famiglia nei disturbi del comportamento alimentare da parte di tanti professionisti, ad eccezione dei gruppi di ricerca della Selvini Palazzoli e di Onnis. Mentre nell’ultima parte degli anni ’90 si afferma un’impostazione multidimensionale nel trattamento dell’anoressia basata sull’evoluzione del modello sistemico e il recupero della dimensione individuale dei componenti la famiglia e della dimensione storica letta in chiave trigenerazionale. La Selvini Palazzoli sarà protagonista di questa evoluzione, abbandonando l’impostazione colpevolista dei genitori a proposito dell’insorgenza della malattia. Questa evoluzione è all’insegna dell’integrazione fra gli aspetti individuali, familiari e sociali che contribuiscono al Disturbo del Comportamento Alimentare. Seguendo questo nuovo filone, le ricerche si soffermano sul sistema familiare e le sue dinamiche relazionali, con attenzione alla dimensione individuale in un’ottica trigenerazionale. Così, si analizzano: la figura paterna tra carenza e narcisismo, la figura materna tra prevaricazione e sacrificio, il rapporto con i fratelli e le sorelle e la personalità di chi è colpito dal disturbo anoressico. Si attribuisce il nucleo patologico al profondo senso d’inadeguatezza sperimentato nel corso della crescita e si individuano quattro tipi di organizzazioni di personalità associate prevalentemente al disturbo: dipendente, borderline, ossessivo-compulsivo e narcisista. Un altro importante contributo all’integrazione degli aspetti culturali, individuali e familiari è offerto da Luigi Onnis, che conduce una ricerca sulla matrice relazionale e sugli aspetti mitici delle famiglie, in particolare su “il tempo sospeso”, espressione poetica che indica l’arresto evolutivo delle relazioni nelle famiglie anoressiche. Il libro si sofferma sul familybased approach, un interessante contributo proveniente dall’Inghilterra, che si basa sull’inclusione dei familiari nel trattamento delle pazienti adolescenti. Esso integra diversi approcci sistemici: il modello strutturale nella somministrazione dei pasti, la terapia strategica nella gestione del potere nella famiglia, la terapia narrativa 13 per l’esternalizzazione della malattia dal paziente e dalla famiglia. Secondo queste linee di intervento, la famiglia è una risorsa importante per la guarigione. Nell’ultima parte, si discutono le linee guida per la costruzione di percorsi terapeutici e si considerano le nuove frontiere di lavoro con le famiglie. Ciò porta a sottolineare la necessità di un approccio multidisciplinare e a creare team di specialisti di diverse professionalità, i quali attuano un trattamento che si articola in protocolli individuali e familiari integrati, suffragati da un’ipotesi eziologica multifattoriale considerando le dinamiche familiari insieme ai fattori: biologici, socioculturali, psicologici, individuali e storici. Masci ci ricorda che se la storia, l’organizzazione, le relazioni familiari contribuiscono allo sviluppo del sintomo, non si può affermare che la famiglia sia di per sé determinante nell’eziologia del disturbo alimentare. Ciò nonostante, per una corretta valutazione dell’incidenza delle dinamiche familiari, occorre considerare le fasi del ciclo vitale nell’esordio del sintomo, l’ingresso nell’adolescenza e nei tentativi di svincolo intorno ai 20 anni. Sul versante psicoterapeutico, negli ultimi anni, si sono affermati diversi modelli. Essi ci dicono che non vi è un approccio adatto a tutte le tipologie di Disturbo del Comportamento Alimentare, ma che occorre trovare quello più adeguato al sistema relazionale che chiede aiuto. È però necessario uscire da una concezione colpevolizzante della famiglia per costruire con essa un rapporto di collaborazione includendola nel trattamento e sostenendola nel ritrovare le competenze e le capacità smarrite. Gli spunti sopra riportati sono tracce di un percorso avvincente e articolato, che il lettore può ritrovare nel libro di Masci, costruito attorno al tema cruciale del passaggio della famiglia da imputata a risorsa. Questo passaggio permette di stimolare le potenzialità autocurative presenti nella famiglia e di costruire insieme un processo trasformativo. Il punto di vista di Masci, forte dell’esperienza sul campo, tiene conto dell’evoluzione della psicoterapia, avvenuta negli ultimi anni, nel favorire processi evolutivi attraverso le risorse di chi chiede aiuto. Pertanto, considerare la famiglia risorsa per il cambiamento non esprime solo un’opportunità strategica, ma anche un importante principio etico nella costruzione di una relazione terapeutica significativa ed efficace. 14 Introduzione Questo libro vuole essere un contributo alla conoscenza e soprattutto alla possibilità di affrontare un fenomeno come quello dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) che negli ultimi anni è frequentemente balzato al centro dell’attenzione sia degli addetti ai lavori sia della gente comune, ma che, data la sua storia tutto sommato recente, è ancora spesso caratterizzato da luoghi comuni, ambiguità e tentativi di semplificazioni. È un tentativo che parte non da un interesse speculativo o di ricerca, quanto piuttosto da un ventennale lavoro di “trincea” in una piccola realtà di provincia: l’Ambulatorio di terapia familiare del Dipartimento di Salute Mentale e l’Ambulatorio per la Prevenzione, la Diagnosi e il Trattamento dei disturbi del comportamento alimentare dell’Azienda Sanitaria di Terni che dal 2001, a seguito della pubblicazione delle linee guida della Regione dell’Umbria sui disordini del comportamento alimentare, è entrato a far parte di un più complessivo progetto di lavoro in rete su base regionale. L’attenzione specifica del libro si concentra sulla patologia che, nell’ambito del più ampio quadro dei Disturbi del Comportamento Alimentare descritto nel DSM IV, ne rappresenta in un certo senso l’antesignano, quello con minore incidenza, ma anche di maggiore impatto simbolico e, soprattutto, con le più gravi conseguenze dal punto di vista della salute fisica: l’anoressia nervosa. Tale scelta è stata dettata da diversi fattori: – la necessità di mantenere aperto un confronto su una patologia rispetto alla quale ci può essere la tentazione di pensare che si sia ormai detto e conosciuto tutto e che invece, per il fatto di essere profondamente condizionata dal contesto socioculturale, va incontro a trasformazioni continue; 15 – la mia formazione sistemico-relazionale, che fin dall’inizio ha guidato la gestione di questa problematica e che mi ha portato a privilegiare un lavoro che coinvolgesse anche le famiglie delle pazienti. Mi è sembrato che su questo aspetto negli ultimi dieci anni in Italia si sia parlato e soprattutto prodotto molto poco rispetto alla ricchezza che precedentemente, per opera soprattutto di Mara Palazzoli Selvini, ma anche di Onnis, Ugazio e Andolfi, era stata espressa. Per contro, nel mondo anglosassone sono stati elaborati modelli di studio e di trattamento che si sono andati affermando come tra i più efficaci con le giovani pazienti adolescenti che vivono ancora in famiglia (su tutti il familybased approach descritto in uno dei capitoli del libro); – il fatto che, proprio attraverso il rapporto con questi genitori nell’attività clinica, si imponesse la necessità di dar voce anche alla loro sofferenza riconsegnando così dignità a tante storie, superando tanti luoghi comuni e semplificazioni, come, ad esempio, quelli delle madri ansiose ed intrusive o dei padri periferici, che hanno determinato un vissuto di colpevolizzazione e di vergogna da parte dei genitori delle anoressiche. Il mio incontro con i Disturbi del Comportamento Alimentare avvenne, quasi per caso, oltre venti anni fa: lavoravo già da dieci in un Centro di salute mentale (a Narni, in provincia di Terni) dove mi ero occupato all’inizio prevalentemente di inserimento scolastico di bambini portatori di handicap e più in generale di problematiche infantili e adolescenziali. Dopo la laurea in Psicologia mi ero specializzato come psicoterapeuta scegliendo l’approccio sistemico-relazionale, avendolo ritenuto più utile per poter affrontare la varietà e la complessità dei problemi che afferiscono ad un servizio pubblico territoriale, ma anche più aderente alla mia storia ed epistemologia personale che mi avevano da sempre fatto essere più attento alle componenti sociali piuttosto che a quelle individuali. Nel 1989 giunse al servizio una richiesta di presa in carico del caso di un’adolescente che presentava un disturbo all’epoca decisamente raro, se non sconosciuto, caratterizzato da rifiuto del cibo, estremo dimagrimento e ritiro sociale. All’interno della discussione di équipe, che da sempre costituisce la metodologia di lavoro in quel servizio, si decise che, vista la mia formazione, ero il candidato ideale ad affrontare la situazione. Forte della curiosità e della disponibilità a mettermi in gioco, caratteristiche che mi hanno sempre accompagnato nell’attività professionale, partii per 16 l’avventura, non prima di aver riletto in full-immersion i libri degli autori che in quel momento rappresentavano i miei riferimenti in materia: Mara Palazzoli Selvini (1963) e Salvador Minuchin (1980). Feci una serie di sedute tutte rigorosamente con la famiglia congiunta e, probabilmente perché ci trovavamo di fronte ad una forma reattiva, in breve tempo la ragazza riprese ad alimentarsi e tornò alla sua vita di relazione. Lavorando in un contesto piuttosto ristretto (l’Umbria ha circa 900.000 abitanti e le distanze da nord a sud sono di 150 km, da est ad ovest ancor meno) ci fu il passa parola, per cui negli anni successivi mi occupai di altri casi, in numero abbastanza contenuto, almeno fino alla fine dello scorso secolo, di giovani anoressiche che vivevano ancora in famiglia. Per questo la terapia con la famiglia, seguendo abbastanza rigorosamente l’approccio sistemico, è stato a lungo il metodo adottato. Alla fine degli anni ’90, con l’apertura dell’Ambulatorio territoriale per i DCA in risposta ad un aumento del numero e della complessità dei casi, anche i percorsi terapeutici si differenziarono lasciando spazio sia ad interventi integrati, dove il sostegno psicologico e la riabilitazione nutrizionale andavano di pari passo, sia a trattamenti di psicoterapia individuale. Per le anoressiche adolescenti il lavoro con la famiglia, laddove possibile, rimase sempre l’intervento di elezione come evidenziato anche dalle pubblicazioni scientifiche e dalle linee che a livello internazionale, nazionale e regionale vennero via via pubblicate. Quello che mi ha maggiormente colpito negli ultimi anni è stato un radicale cambiamento nel modo di presentarsi in terapia da parte dei genitori. Se fino a 10 anni fa era prevalente un atteggiamento di inattinenza (“il problema è di nostra figlia, se proprio dobbiamo venire lo facciamo, ma non vediamo proprio cosa possiamo entrarci”), era diventato frequente impattare due genitori che si rivolgevano al servizio portando sulle spalle il peso della colpa, atteggiamento segnalato anche da un aspetto fisico ricurvo e da sguardi rassegnati. Tale atteggiamento era il frutto di un’azione combinata tra i mass media che, da quando hanno cominciato ad occuparsi del fenomeno, lo hanno fatto prevalentemente sulla scia di dolorosi fatti di cronaca, ed esperti più o meno improvvisati, che di fronte a situazioni così gravi accompagnate da forti conflittualità assumevano una posizione di analisi e di intervento lineare che si concludeva nella maggior parte dei casi con la colpevolizzazione dei genitori e l’indicazione di un allontanamento della paziente dalla famiglia quale presupposto terapeutico. 17