Ilio Masci
L’ALBERO E
IL BIANCOSPINO
La famiglia nell’anoressia
da imputata a risorsa
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Prefazione di FRANCESCO BRUNI
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Introduzione
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Capitolo primo
Storia dell’anoressia tra nosografia ed eziologia
1.1 Gli studi pionieristici: anoressia isterica, nervosa o mentale?
1.2 La prima metà del ’900: dal morbo di Simmonds
alle teorie psicanalitiche sulla sessualità
1.3 Verso una maggiore complessità: H. Bruch e M. Palazzoli
Selvini
1.4 I primi contributi sul ruolo della famiglia
Bibliografia
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Capitolo secondo
Modelli familiari nell’anoressia: Selvini e Minuchin
2.1 Un primo tentativo di descrivere la famiglia anoressica
2.2 Salvador Minuchin e il modello della famiglia psicosomatica
2.3 Lo sviluppo nella ricerca della Selvini: il modello a sei stadi
Bibliografia
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Capitolo terzo
Il peso dei fattori socioculturali
3.1 L’anoressia come disturbo etnico
3.2 L’anoressia nelle culture rurali: una ricerca in Umbria
3.3 La famiglia: un sistema in continua trasformazione
Bibliografia
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Capitolo quarto
Alla ricerca di una cultura condivisa
4.1 La bulimia: un nuovo quadro psicopatologico o una variante
dell’anoressia?
4.2 Gli anni ’90: lo sviluppo epidemico dei DCA in Italia
4.3 Le linee guida: un tentativo di costruire una cultura condivisa
intorno ai DCA e di organizzare una risposta terapeutica
4.4 La famiglia e i DCA nella cultura italiana: un “colpevole”
ritardo
Bibliografia
Capitolo quinto
Dalla famiglia come sistema al pensiero multidimensionale
5.1 L’evoluzione del percorso di ricerca della Palazzoli Selvini
5.2 La ricerca sui singoli individui
5.3 La figura paterna tra carenza e narcisismo
5.4 La figura materna tra prevaricazioni e sacrificalità
5.5 Il rapporto con i fratelli e le sorelle
5.6 La personalità dell’anoressica
5.7 Il tempo sospeso: verso un’integrazione degli aspetti
culturali, individuali e familiari
Bibliografia
Capitolo sesto
Il familybased approach
6.1 Il metodo del Maudsley Hospital di Londra
6.2 La valutazione iniziale
6.3 La prima fase del trattamento: obiettivi ed interventi
6.4 La seconda fase del trattamento: obiettivi ed interventi
6.5 La terza fase del trattamento: obiettivi ed interventi
Bibliografia
Capitolo settimo
Dalle linee guida alla costruzione di percorsi terapeutici
7.1 Le nuove tendenze: le NICE e le APA
7.2 La questione degli esiti del trattamento
7.3 Verso un’eziologia multifattoriale
7.4 Anoressia o anoressie?
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7.5 Il problema della classificazione diagnostica
Bibliografia
Capitolo ottavo
Nuove frontiere di lavoro con le famiglie
8.1 La famiglia alle prese con la malattia
8.2 La famiglia tra bisogno di stabilità e crescita
8.3 Il modello della famiglia alcolista
8.4 La ricerca sui meccanismi di mantenimento nelle famiglie
con DCA
8.5 Un modello integrato di trattamento per le pazienti
adolescenti e per le loro famiglie
Bibliografia
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… Del nostro amore accade
Come del ramo del biancospino
Che sta sulla pianta tremando
La notte alla pioggia e al gelo,
Fino a domani, che il sol s’effonde
Infra le foglie verdi sulle fronde.
Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), Versi,
Componimento 183.1
Traduzione italiana di A. Roncaglia
Prefazione
FRANCESCO BRUNI
L’albero e il biancospino è una metafora che richiama la relazione
fra ordine e specie o famiglia e individuo e ci fa pensare alle radici, al
nutrimento, alla casa, alla crescita, ai frutti, alle spine, ma anche alla creazione, alla struttura e alla poesia. L’accostamento con il biancospino,
in quanto arbusto con spine, ma con proprietà fitoterapiche, come cardioprotettore, sedativo o rimedio nella cura dell’ansia e dell’insonnia, ricorda l’intreccio tra famiglia e disagio psichico D’altronde il disagio, o
il comportamento sintomatico, è un tentativo ingenuo di autoterapia che
reclama attenzione alla condizione individuale nello scenario relazionale
familiare e socio-culturale.
La metafora rispecchia lo spirito creativo di Ilio Masci e il suo sguardo
attento e accogliente che ritroviamo in questo suo libro. E ci riporta, in
un certo senso, al tema di fondo che analizza le dinamiche familiari e il
modo in cui è considerata la famiglia nelle problematiche legate all’anoressia, e come questa lettura sia cambiata nel corso del tempo passando
da imputata a risorsa del processo terapeutico.
Il libro che avete in mano ripercorre la storia della cura dall’anoressia
e degli altri disturbi del comportamento alimentare, e in parallelo ci offre
un quadro dei cambiamenti nel rapporto con la famiglia e nella lettura
del contesto familiare. Nell’accompagnarci in questo percorso, Masci si
avvale della sua lunga esperienza di terapeuta sistemico-relazionale e del
suo lavoro ventennale sui Disturbi del Comportamento Alimentare, nel
Dipartimento di Salute Mentale di una provincia dell’Umbria. La lettura
è resa avvincente e appassionante dai continui accostamenti fra la presentazione dei modelli di psicoterapia che si sono affermati negli anni e le
esperienze cliniche dell’autore.
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Il discorso parte dagli studi pionieristici sull’anoressia nella seconda
metà dell’Ottocento e sulle prime ipotesi eziologiche riguardanti la natura della malattia tra psiche e soma. Per poi passare al contributo delle
teorie psicoanalitiche della sessualità, nella prima parte del Novecento, e
giungere, negli anni ’60 e ’70, a una lettura più complessa. È il caso del
contributo della Bruch che ritrova, nelle ragazze anoressiche, un profondo sentimento di inadeguatezza sperimentato all’inizio dell’adolescenza
in contrasto con i valori fondamentali espressi dalla famiglia verso il successo e l’affermazione personale. In queste circostanze può capitare che
un evento critico sul piano relazionale porti allo sviluppo del comportamento anoressico come desiderio di riuscire su un terreno difficile. Sarà
Mara Selvini Palazzoli a dare un apporto decisivo agli studi sull’ambiente
familiare e a mettere in discussione l’idea che la famiglia sia un ostacolo
al trattamento della persona anoressica.
Negli anni successivi, Selvini Palazzoli e Minuchin approfondiranno
l’analisi dei modelli familiari nelle famiglie anoressiche. La Selvini già
nel 1963 osserva alcune caratteristiche delle dinamiche relazionali dei
componenti la famiglia che approfondirà successivamente negli anni ’80
proponendo un modello eziopatologico in sei stadi che Masci puntualmente riporta. Mentre Salvador Minuchin nella ricerca sulle famiglie psicosomatiche descriverà le interazioni disfunzionali della famiglia “anoressica” nel determinare e contribuire a mantenere il sintomo: invischiamento, iperprotettività, evitamento del conflitto, rigidità. Benché questi
contributi siano basati su una causalità circolare, passa l’idea che la famiglia sia determinante nella comparsa e nel mantenimento del disturbo.
Anche sul versante socioculturale si osservano alcune contraddizioni
nei modelli femminili: da un lato si elogiano la fragilità, la dolcezza e
l’accondiscendenza e dall’altro si valorizzano l’autocontrollo e la forza
morale. Si assiste a una modificazione nel rapporto dell’individuo con il
suo corpo condizionato dall’esaltazione del culto della magrezza per essere accettate socialmente. Il mondo femminile si misura con il dilemma
di desiderare il successo e l’affermazione personale in contrapposizione
all’esaltazione dei ruoli femminili più tradizionali. Contraddizioni che si
manifestano in molte ragazze e con più frequenza in quelle che vivono
in famiglie ancorate a valori arcaici, come osserva Masci a proposito di
una ricerca del 2003. Ricerca volta a verificare l’ipotesi che il sintomo
anoressico sia un tentativo di denuncia della discriminazione femminile,
comunicando con il corpo quella sofferenza percepita nella madre e che
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rischia di condizionare le proprie possibilità di sviluppo. Perciò, si ritiene
necessario coinvolgere la famiglia nel rivedere miti arcaici e riconoscere
nel disagio della figlia l’opportunità per crescere.
Il libro riporta un inquadramento dei diversi Disturbi del Comportamento Alimentare, e le linee guida per organizzare una risposta terapeutica da parte dei servizi. L’autore, a tale proposito, denuncia il colpevole
ritardo culturale nell’attenzione al ruolo della famiglia nei disturbi del
comportamento alimentare da parte di tanti professionisti, ad eccezione
dei gruppi di ricerca della Selvini Palazzoli e di Onnis. Mentre nell’ultima parte degli anni ’90 si afferma un’impostazione multidimensionale nel trattamento dell’anoressia basata sull’evoluzione del modello
sistemico e il recupero della dimensione individuale dei componenti la
famiglia e della dimensione storica letta in chiave trigenerazionale. La
Selvini Palazzoli sarà protagonista di questa evoluzione, abbandonando
l’impostazione colpevolista dei genitori a proposito dell’insorgenza della
malattia. Questa evoluzione è all’insegna dell’integrazione fra gli aspetti
individuali, familiari e sociali che contribuiscono al Disturbo del Comportamento Alimentare.
Seguendo questo nuovo filone, le ricerche si soffermano sul sistema
familiare e le sue dinamiche relazionali, con attenzione alla dimensione individuale in un’ottica trigenerazionale. Così, si analizzano: la figura paterna tra carenza e narcisismo, la figura materna tra prevaricazione
e sacrificio, il rapporto con i fratelli e le sorelle e la personalità di chi
è colpito dal disturbo anoressico. Si attribuisce il nucleo patologico al
profondo senso d’inadeguatezza sperimentato nel corso della crescita e
si individuano quattro tipi di organizzazioni di personalità associate prevalentemente al disturbo: dipendente, borderline, ossessivo-compulsivo
e narcisista.
Un altro importante contributo all’integrazione degli aspetti culturali,
individuali e familiari è offerto da Luigi Onnis, che conduce una ricerca
sulla matrice relazionale e sugli aspetti mitici delle famiglie, in particolare su “il tempo sospeso”, espressione poetica che indica l’arresto evolutivo delle relazioni nelle famiglie anoressiche.
Il libro si sofferma sul familybased approach, un interessante contributo proveniente dall’Inghilterra, che si basa sull’inclusione dei familiari
nel trattamento delle pazienti adolescenti. Esso integra diversi approcci
sistemici: il modello strutturale nella somministrazione dei pasti, la terapia strategica nella gestione del potere nella famiglia, la terapia narrativa
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per l’esternalizzazione della malattia dal paziente e dalla famiglia. Secondo queste linee di intervento, la famiglia è una risorsa importante per la
guarigione.
Nell’ultima parte, si discutono le linee guida per la costruzione di
percorsi terapeutici e si considerano le nuove frontiere di lavoro con le
famiglie. Ciò porta a sottolineare la necessità di un approccio multidisciplinare e a creare team di specialisti di diverse professionalità, i quali
attuano un trattamento che si articola in protocolli individuali e familiari
integrati, suffragati da un’ipotesi eziologica multifattoriale considerando
le dinamiche familiari insieme ai fattori: biologici, socioculturali, psicologici, individuali e storici.
Masci ci ricorda che se la storia, l’organizzazione, le relazioni familiari contribuiscono allo sviluppo del sintomo, non si può affermare che la
famiglia sia di per sé determinante nell’eziologia del disturbo alimentare.
Ciò nonostante, per una corretta valutazione dell’incidenza delle dinamiche familiari, occorre considerare le fasi del ciclo vitale nell’esordio del
sintomo, l’ingresso nell’adolescenza e nei tentativi di svincolo intorno ai
20 anni. Sul versante psicoterapeutico, negli ultimi anni, si sono affermati
diversi modelli. Essi ci dicono che non vi è un approccio adatto a tutte
le tipologie di Disturbo del Comportamento Alimentare, ma che occorre trovare quello più adeguato al sistema relazionale che chiede aiuto.
È però necessario uscire da una concezione colpevolizzante della famiglia per costruire con essa un rapporto di collaborazione includendola
nel trattamento e sostenendola nel ritrovare le competenze e le capacità
smarrite.
Gli spunti sopra riportati sono tracce di un percorso avvincente e articolato, che il lettore può ritrovare nel libro di Masci, costruito attorno
al tema cruciale del passaggio della famiglia da imputata a risorsa. Questo passaggio permette di stimolare le potenzialità autocurative presenti
nella famiglia e di costruire insieme un processo trasformativo. Il punto
di vista di Masci, forte dell’esperienza sul campo, tiene conto dell’evoluzione della psicoterapia, avvenuta negli ultimi anni, nel favorire processi
evolutivi attraverso le risorse di chi chiede aiuto. Pertanto, considerare
la famiglia risorsa per il cambiamento non esprime solo un’opportunità
strategica, ma anche un importante principio etico nella costruzione di
una relazione terapeutica significativa ed efficace.
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Introduzione
Questo libro vuole essere un contributo alla conoscenza e soprattutto alla possibilità di affrontare un fenomeno come quello dei Disturbi
del Comportamento Alimentare (DCA) che negli ultimi anni è frequentemente balzato al centro dell’attenzione sia degli addetti ai lavori sia
della gente comune, ma che, data la sua storia tutto sommato recente, è
ancora spesso caratterizzato da luoghi comuni, ambiguità e tentativi di
semplificazioni. È un tentativo che parte non da un interesse speculativo
o di ricerca, quanto piuttosto da un ventennale lavoro di “trincea” in una
piccola realtà di provincia: l’Ambulatorio di terapia familiare del Dipartimento di Salute Mentale e l’Ambulatorio per la Prevenzione, la Diagnosi
e il Trattamento dei disturbi del comportamento alimentare dell’Azienda
Sanitaria di Terni che dal 2001, a seguito della pubblicazione delle linee
guida della Regione dell’Umbria sui disordini del comportamento alimentare, è entrato a far parte di un più complessivo progetto di lavoro in
rete su base regionale.
L’attenzione specifica del libro si concentra sulla patologia che,
nell’ambito del più ampio quadro dei Disturbi del Comportamento Alimentare descritto nel DSM IV, ne rappresenta in un certo senso l’antesignano, quello con minore incidenza, ma anche di maggiore impatto simbolico e, soprattutto, con le più gravi conseguenze dal punto di vista della
salute fisica: l’anoressia nervosa.
Tale scelta è stata dettata da diversi fattori:
– la necessità di mantenere aperto un confronto su una patologia rispetto alla quale ci può essere la tentazione di pensare che si sia
ormai detto e conosciuto tutto e che invece, per il fatto di essere
profondamente condizionata dal contesto socioculturale, va incontro a trasformazioni continue;
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– la mia formazione sistemico-relazionale, che fin dall’inizio ha
guidato la gestione di questa problematica e che mi ha portato a
privilegiare un lavoro che coinvolgesse anche le famiglie delle pazienti. Mi è sembrato che su questo aspetto negli ultimi dieci anni
in Italia si sia parlato e soprattutto prodotto molto poco rispetto
alla ricchezza che precedentemente, per opera soprattutto di Mara
Palazzoli Selvini, ma anche di Onnis, Ugazio e Andolfi, era stata
espressa. Per contro, nel mondo anglosassone sono stati elaborati
modelli di studio e di trattamento che si sono andati affermando
come tra i più efficaci con le giovani pazienti adolescenti che vivono ancora in famiglia (su tutti il familybased approach descritto in
uno dei capitoli del libro);
– il fatto che, proprio attraverso il rapporto con questi genitori nell’attività clinica, si imponesse la necessità di dar voce anche alla loro
sofferenza riconsegnando così dignità a tante storie, superando tanti luoghi comuni e semplificazioni, come, ad esempio, quelli delle
madri ansiose ed intrusive o dei padri periferici, che hanno determinato un vissuto di colpevolizzazione e di vergogna da parte dei
genitori delle anoressiche.
Il mio incontro con i Disturbi del Comportamento Alimentare avvenne, quasi per caso, oltre venti anni fa: lavoravo già da dieci in un Centro
di salute mentale (a Narni, in provincia di Terni) dove mi ero occupato
all’inizio prevalentemente di inserimento scolastico di bambini portatori
di handicap e più in generale di problematiche infantili e adolescenziali.
Dopo la laurea in Psicologia mi ero specializzato come psicoterapeuta
scegliendo l’approccio sistemico-relazionale, avendolo ritenuto più utile
per poter affrontare la varietà e la complessità dei problemi che afferiscono ad un servizio pubblico territoriale, ma anche più aderente alla mia
storia ed epistemologia personale che mi avevano da sempre fatto essere
più attento alle componenti sociali piuttosto che a quelle individuali.
Nel 1989 giunse al servizio una richiesta di presa in carico del caso di
un’adolescente che presentava un disturbo all’epoca decisamente raro, se
non sconosciuto, caratterizzato da rifiuto del cibo, estremo dimagrimento
e ritiro sociale. All’interno della discussione di équipe, che da sempre
costituisce la metodologia di lavoro in quel servizio, si decise che, vista la
mia formazione, ero il candidato ideale ad affrontare la situazione. Forte
della curiosità e della disponibilità a mettermi in gioco, caratteristiche
che mi hanno sempre accompagnato nell’attività professionale, partii per
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l’avventura, non prima di aver riletto in full-immersion i libri degli autori
che in quel momento rappresentavano i miei riferimenti in materia: Mara
Palazzoli Selvini (1963) e Salvador Minuchin (1980). Feci una serie di
sedute tutte rigorosamente con la famiglia congiunta e, probabilmente
perché ci trovavamo di fronte ad una forma reattiva, in breve tempo la
ragazza riprese ad alimentarsi e tornò alla sua vita di relazione.
Lavorando in un contesto piuttosto ristretto (l’Umbria ha circa 900.000
abitanti e le distanze da nord a sud sono di 150 km, da est ad ovest ancor
meno) ci fu il passa parola, per cui negli anni successivi mi occupai di
altri casi, in numero abbastanza contenuto, almeno fino alla fine dello
scorso secolo, di giovani anoressiche che vivevano ancora in famiglia.
Per questo la terapia con la famiglia, seguendo abbastanza rigorosamente
l’approccio sistemico, è stato a lungo il metodo adottato. Alla fine degli anni ’90, con l’apertura dell’Ambulatorio territoriale per i DCA in
risposta ad un aumento del numero e della complessità dei casi, anche
i percorsi terapeutici si differenziarono lasciando spazio sia ad interventi integrati, dove il sostegno psicologico e la riabilitazione nutrizionale
andavano di pari passo, sia a trattamenti di psicoterapia individuale. Per
le anoressiche adolescenti il lavoro con la famiglia, laddove possibile,
rimase sempre l’intervento di elezione come evidenziato anche dalle pubblicazioni scientifiche e dalle linee che a livello internazionale, nazionale
e regionale vennero via via pubblicate.
Quello che mi ha maggiormente colpito negli ultimi anni è stato un
radicale cambiamento nel modo di presentarsi in terapia da parte dei genitori. Se fino a 10 anni fa era prevalente un atteggiamento di inattinenza
(“il problema è di nostra figlia, se proprio dobbiamo venire lo facciamo,
ma non vediamo proprio cosa possiamo entrarci”), era diventato frequente impattare due genitori che si rivolgevano al servizio portando sulle
spalle il peso della colpa, atteggiamento segnalato anche da un aspetto
fisico ricurvo e da sguardi rassegnati.
Tale atteggiamento era il frutto di un’azione combinata tra i mass media che, da quando hanno cominciato ad occuparsi del fenomeno, lo hanno fatto prevalentemente sulla scia di dolorosi fatti di cronaca, ed esperti
più o meno improvvisati, che di fronte a situazioni così gravi accompagnate da forti conflittualità assumevano una posizione di analisi e di
intervento lineare che si concludeva nella maggior parte dei casi con la
colpevolizzazione dei genitori e l’indicazione di un allontanamento della
paziente dalla famiglia quale presupposto terapeutico.
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