i disturbi alimentari psicogeni

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Lezione di Laboratorio 20 ottobre 2005
I DISTURBI ALIMENTARI PSICOGENI: DIAGNOSI, TRATTAMENTO
E RELAZIONE EDUCATIVA.
(Saverio Fontani)
I Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP) hanno conosciuto una diffusione
esponenziale negli ultimi decenni, tanto da indurre i clinici all’introduzione di entità
diagnostiche autonome come l’Anoressia e la Bulimia.
Esse rappresentano verosimilmente aspetti diversi dello spettro dei DAP, poiché molte
pazienti anoressiche presentano episodi bulimici.
La controversia tra l’appartenenza allo stesso gruppo di disturbi è tuttora oggetto di
controversie. Come notava Bruch (1974) esistono infatti differenze notevoli tra la
personalità ossessiva e rigida dell’anoressica ed il comportamento impulsivo e
disordinato del soggetto bulimico.
Per la comprensione dello spettro dei DAP è necessario considerare l’elevato
valore simbolico che ha l’introduzione del cibo nell’organismo.
Oltre alla evidente gratificazione biologica, infatti, l’alimentazione ha un elevato valore
comunicativo nelle fasi precoci dello sviluppo infantile, tanto da divenire una cartina di
tornasole della relazione madre-bambino.
Eventuali inadeguatezze della relazione tendono a riflettersi nelle modalità di
assunzione eccessiva o di rifiuto del cibo, che si ripresentano in forma esasperata come
disturbo psicopatologico nell’età adolescenziale.
Considerando la diffusione delle patologie DAP nella popolazione scolastica e la
loro frequente associazione con i Disturbi Depressivi e con le Difficoltà di
Apprendimento, ci sembra utile informare gli insegnanti sulle principali caratteristiche
di tali sindromi, allo scopo di:
1) Riconoscere i soggetti a rischio di sviluppo di comportamenti dello spettro DAP;
2) Instaurare un rapporto di fiducia con tali allievi e con le rispettive famiglie;
3) Proteggere attivamente i soggetti da aggressioni, canzonature o episodi di
bullismo da parte dei pari. E’ necessario considerare che frasi come “Oggi ti vedo
ingrassata…Sei ingrassata/dimagrita?..Ecco la cicciona!… Ma quanto pesi?”,
anche se rivolte in tono neutro o scherzoso, possono avere effetti devastanti per
una ragazza anoressica o bulimica.
Presentiamo di seguito una breve rassegna sui principali criteri utilizzati per
l’attribuzione della diagnosi di anoressia e bulimia, cui seguiranno cenni sul trattamento
e sulla peculiare relazione educativa che dovrebbe essere instaurata con gli allievi che
presentano Disturbi dell’Alimentazione.
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ANORESSIA: CRITERI DIAGNOSTICI (DSM IV°, 1994)
A) Rifiuto di mantenere il peso oltre il peso minimo normale per l’età e la statura
(Sotto l’85% del peso minimo previsto).
B) Intenso timore di ingrassare, anche quando si è evidentemente sottopeso.
C) Alterazione della percezione del proprio peso. Il soggetto è convinto di essere
grasso se è evidentemente sottopeso o emaciato. Nessuna argomentazione logica
è in grado di convincerlo.
D) Nelle femmine, assenza di 3 cicli mestruali consecutivi.
Età di insorgenza: Dalla prima alla tarda adolescenza (12-18 ANNI)
Distribuzione tra i sessi: 95% nelle femmine.
Complicazioni: Frequenti ospedalizzazioni per alimentazione forzata.
Rischio di morte per inedia tra il 5% e il 18%. Elevato rischio suicidario.
Sono frequentemente associate Tossicodipendenze e Disturbi Depressivi.
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FATTORI DI PREDISPOSIZIONE
L’anoressia era assimilata sino agli anni ‘60 alla nevrosi isterica. In seguito, grazie ai
fondamentali contributi di H. Bruch e di M. Selvini Palazzoli, è stata considerata come
un’entità nosografica autonoma e per questo motivo è stata inserita nel DSM, il
principale repertorio nosografico internazionale.
Attualmente l’etiologia della anoressia viene ricondotta ad un’interazione tra fattori
predisponenti e fattori scatenanti.
In altre parole, eventi traumatici possono favorire lo sviluppo di comportamenti DAP in
soggetti che presentano predisposizioni personologiche o derivanti dal clima familiare
(Gordon, 2002).
L’anoressia può essere considerata come il sintomo di una ribellione inconscia
verso l’immagine del proprio corpo, oppure come l’espressione di un’intensa
aggressività verso la madre nel periodo adolescenziale.
La madre, in questa prospettiva, può divenire il bersaglio più o meno inconsapevole del
sintomo anoressico: la ragazza può ritenerla responsabile dei propri fallimenti affettivi,
sociali, scolastici, estetici, e può cercare di punirla attraverso il rifiuto del cibo.
Una simile prospettiva illustra efficacemente il valore comunicativo del sintomo
anoressico. Il sintomo anoressico non rappresenterebbe solo una modalità per attirare
l’attenzione sul proprio disagio, ma anche un tentativo, più o meno consapevole, di
coalizzare i genitori associandoli nella preoccupazione per la salute del figlio (Selvini
Palazzoli, et al., 2001; 2003).
Analogamente, il sintomo anoressico può essere associato a conflitti familiari che
esasperano le reazioni del soggetto predisposto allo sviluppo dei comportamenti DAP
(separazione, divorzio, perdita di uno dei genitori).
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FATTORI SCATENANTI
Il sintomo anoressico esordisce quando i suddetti fattori predisponenti
interagiscono con eventi scatenanti quali:
- Lutti familiari, perdite improvvise di un genitore, divorzio, separazione.
- Marcate alterazioni del clima familiare, con presenza di elevata aggressività espressa
tra i membri, litigi, rancori.
- Nuove istanze ambientali: Ingresso nella scuola secondaria, inizio di una relazione
coinvolgente, esposizione a modelli culturali esaltanti la magrezza proposti dai media.
- Minacce alla propria autostima, come insuccessi scolastici e ambienti altamente
competitivi. Anche la fine di una relazione sentimentale estremamente coinvolgente
rappresenta una grave minaccia alla precaria autostima della ragazza.
In questa prospettiva può essere compresa anche l’elevata correlazione tra i Disturbi
dell’Alimentazione, i Disturbi Depressivi e Difficoltà di Apprendimento, che spesso
rappresentano un circolo chiuso del quale l’adolescente non riesce ad intravedere la
possibilità di uscita.
Gli agiti suicidari, tentati o riusciti, e le condotte tossicomaniche rappresentano un
tentativo estremo dell’adolescente per la risoluzione di una situazione percepita come
intollerabile e immutabile (Selvini Palazzoli et al., 2001).
L’anoressica reagisce all’evento scatenante con l’errata convinzione di potere
acquisire sicurezza e controllo sulla realtà SOLO con la perdita progressiva di peso,
che in alcuni casi può riuscire fatale.
L’obiettivo degli interventi terapeutici è proprio il superamento di tale errata
convinzione.
1. 4
TRATTAMENTO DELL’ANORESSIA
Mentre nei casi più gravi l’ospedalizzazione si rende indispensabile, nelle forme
iniziali e in quelle successive all’ospedalizzazione si rende necessario un trattamento di
ordine farmacologico e psicoterapeutico.
Le anoressiche traggono beneficio da una psicoterapia individuale (indirizzo
analitico o cognitivo –comportamentale) volta all’analisi dei vissuti e della relazione
con la madre.
Anche la psicoterapia familiare rappresenta un cardine del trattamento, dato che è
possibile intervenire sul clima familiare che ha indotto il sintomo (es. famiglie rigide,
competitive, perfezioniste, autoritarie).
In molti casi è sufficiente il riferimento al valore comunicativo del sintomo
anoressico per favorire la consapevolezza del funzionamento del sistema familiare,
rendendo evidente la necessità di sostituzione di regole non adattive con norme più
funzionali, negoziate – non imposte- tra i componenti del nucleo familiare (Selvini
Palazzoli et al., 2001).
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BULIMIA: CRITERI DIAGNOSTICI (DSM-IV°, 1994)
A) Ricorrenti episodi di abbuffate (consumo di grandi quantità di cibo in poco tempo).
B) Sensazione di perdita di controllo durante l’episodio (… E’ più forte di me…
Non me ne sono accorto…Volevo fare solo uno spuntino, ma…).
C) Vomito auto-indotto, uso lassativi, diuretici, diete, digiuno.
D) Persistente preoccupazione per il proprio peso. Massiccio senso di colpa dopo
ogni abbuffata (… Non valgo niente, non so neppure fare una dieta…Ma perché
ci sono ricaduto?).
Età di insorgenza: Adolescenza e prima età adulta.
Decorso: Cronico, con periodi di intermittenza. Periodi di abbuffate e digiuni alternati a
periodi di alimentazione regolare.
Distribuzione tra i sessi: 5-8 % Femmine, 1-2 % maschi.
Complicazioni: Frequente l’associazione con disturbi dello spettro depressivo, con
farmaco dipendenze e tossicodipendenze (alcool, sedativi, anfetamine, cocaina).
Erosione dentale, disidratazione, aritmie cardiache.
Come si evince dai criteri diagnostici presentati, la bulimia è un’alterazione del
comportamento alimentare caratterizzata da accessi ricorrenti di iperalimentazione non
controllabile del soggetto, cui fanno seguito massicci sensi di colpa e periodi di digiuno:
Deve essere ricordato che ben il 50 % delle anoressiche presenta episodi di
bulimia, e tale dato depone a favore di un continuum tra le due modalità nei DAP.
Anoressia e bulimia, in altri termini, non sarebbero entità psicopatologiche indipendenti,
ma rappresenterebbero i due poli estremi del continuum dei Disturbi
dell’Alimentazione.
Gli improvvisi impulsi all’iperalimentazione sono incontrollabili. Il soggetto è
consapevole del proprio atteggiamento patologico verso il cibo, e per questo tende a
mantenerlo segreto; le abbuffate avvengono frequentemente nelle ore notturne, quando
il soggetto è solo.
All’accesso, che ha spesso termine solo con l’esaurimento del cibo, seguono idee
depressive e autosvalutative che si attenuano con l’uso del vomito autoindotto, che può
essere considerato come un tentativo di recupero del controllo.
L’autostima del soggetto bulimico è bassa, e gli episodi depressivi conseguenti
agli accessi alimentari possono talora esitare nel suicidio, tentato o reale.
Grazie alla compensazione indotta dal vomito e all’alternarsi di periodi di digiuno-dieta,
i soggetti bulimici non sono necessariamente obesi, ma di peso normale o di poco
superiore alla media.
Tuttavia le preoccupazioni depressive ed i sensi di colpa associati alle abbuffate
assumono spesso il carattere di una vera e propria sindrome, dato che condizionano
enormemente la vita sociale e la percezione dello schema corporeo della ragazza o del
ragazzo.
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Sono ad esempio frequenti situazioni di evitamento e di ritiro sociale (Non voglio
uscire perché sono grassa…Mi vergogno…Uscirò con le amiche quando sarò
dimagrita…), che a loro volta aumentano il rischio di episodi bulimici.
Il ritiro sociale favorisce inoltre lo sviluppo di sintomi depressivi, e da sensi di colpa,
con il rischio della genesi di un circuito chiuso analogo a quello osservabile
nell’anoressia.
La situazione è inoltre aggravata dal confronto che la ragazza bulimica opera nei
riguardi delle coetanee: la visione di ragazze magre, attraenti apparentemente felici e
serene, può confermare la convinzione di essere la sola a vivere una simile situazione,
con il conseguente aumento dell’evitamento delle situazioni di confronto sociale e di
ritiro.
2. 1
FATTORI PREDISPONENTI E SCATENANTI
La depressione rappresenta il maggiore fattore predisponente rispetto
all’anoressia, assieme alla distorsione dell’immagine corporea.
Come le anoressiche, anche le bulimiche sovrastimano le dimensioni del proprio corpo
rispetto alle persone non DAP.
Gli altri fattori predisponenti corrispondono a quelli segnalati per l’anoressia, date
le sovrapposizioni tra le due sindromi, e lo stesso vale per i fattori ambientali e familiari
scatenanti il disturbo (traumi, lutti, separazione dei genitori, delusioni affettive, rottura
di relazione coinvolgente).
2. 2
TRATTAMENTO DELLA BULIMIA
A differenza delle anoressiche, le persone bulimiche traggono giovamento dalla
partecipazione a gruppi di self-help, dove condividono il problema e diminuiscono
l’isolamento dato dalla convinzione errata di essere le sole a soffrire di simili disturbi.
I gruppi di autoaiuto permettono inoltre lo sviluppo di reti sociali di enorme utilità
per il sostegno del soggetto.
Anche la psicoterapia individuale rappresenta un valido ausilio, in particolare se
integrata dalla compilazione di un diario alimentare che permette al soggetto di
comprendere le situazioni che maggiormente elicitano gli episodi di iperalimentazione
(ad es. prima di un esame, di un’interrogazione, dopo una litigio in famiglia o con
l’eventuale partner).
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LA RELAZIONE EDUCATIVA CON l’ALLIEVO DAP
Come il trattamento psicoterapeutico, anche la relazione educativa con ragazze
anoressiche o bulimiche può presentare risvolti di estrema complessità, stante la
particolare vulnerabilità dei soggetti a critiche, la fragilità dell’autostima e la
convinzione più o meno cosciente che è possibile influire sulla realtà solo controllando
il peso (Bryant-Waugh, Lask, 2004).
L’insegnante, deve inoltre tenere presente che l’adolescente vive come
immutabile la situazione (Maiolo, 2004), e non la considera affatto un periodo
transitorio (Andrà sempre peggio… Sarà sempre così….).
Uno degli interventi di sostegno più efficaci adottabili dall’insegnante concerne
proprio la possibilità di riattivazione della speranza di un cambiamento positivo
nell’allievo.
Una volta identificato il soggetto a rischio, l’insegnante può cercare di conquistare
la sua fiducia, attraverso approcci assolutamente non intrusivi, che potrebbero
confermare la sua diversità.
Lo spunto può partire, ad esempio, dalle frequenti difficoltà di apprendimento
della ragazza, collegate non tanto a deficit intellettivi, quanto all’assorbimento del
sistema cognitivo nelle dinamiche di diminuzione del peso corporeo.
In occasione di prestazioni deficitarie, l’insegnante può ad esempio affrontare il
tema del disagio partendo proprio dalle difficoltà di apprendimento scolastico: Per
svolgere correttamente un compito come questo, è necessario anche essere sereni. C’è
forse qualcosa che ti preoccupa? Vuoi parlarne con me?
Utili anche i riferimenti a precedenti esperienze dell’insegnante, reali o simulate,
che possono orientare l’allievo DAP verso la possibilità di un cambiamento (Sai, mi
ricordi una ragazza che avevo in classe, anni fa… Era molto intelligente, ma
attraversava un brutto periodo…Poi ha risolto la situazione, non ha più avuto problemi
di insuccesso scolastico…).
E’ però necessario evitare riferimenti al peso corporeo dell’esempio riportato,
reale o presunto, e stornare le inevitabili domande dell’allieva (Ma è dimagrita? Era
bella? Mangiava poco?), riferendosi invece alle esperienze di apprendimento scolastico
o a temi ancora più neutri..
L’insegnante, in altri termini, non deve offrire appigli alla convinzione di potere
influire sulla realtà controllando il peso, indicando modalità alternative di risoluzione
della situazione (impegno più calibrato, maggiore vita sociale, partecipazione
all’organizzazione di eventi sociali o di gite in classe). L’obiettivo di tali interventi è il
decentramento dell’allievo dall’eccessivo investimento sul controllo del peso
(Cuzzolaro, 2004).
Non si tratta ovviamente di fornire un supporto psicoterapeutico all’allievo,
compito che viene demandato ad altri specialisti.
E’ invece necessario fornire un ambiente protettivo ed accogliente (Marinelli, 2005)
che possa eventualmente raccordarsi con altre forme di trattamento eventualmente già
implementate sul soggetto (psicoterapia individuale, trattamento psicoeducativo,
psicofarmacologico, partecipazione a gruppi di auto-mutuo aiuto).
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DISCUSSIONE
Nella fase di discussione sono emersi temi concernenti la peculiarità della
relazione educativa con i ragazzi DAP.
Alcuni insegnanti hanno ad esempio riferito le loro esperienze personali
nell’interazione con questi soggetti, confermandone alcune caratteristiche
personologiche: vulnerabilità alle domande critiche poste dai coetanei, estrema
suscettibilità alle situazioni di insuccesso, comportamenti di ritiro sociale, tratti
depressivi. Sono comparsi anche riferimenti all’atteggiamento assente di alcune allieve
a rischio DAP.
Un’insegnante ha ricordato l’episodio di un’allieva con comportamenti DAP che
aveva reagito con visibile alterazione ad una domanda rivolta in tono benevolo (Ti vedo
bene… Sei ingrassata?)
E’ sempre necessaria una notevole esperienza nella relazione con l’allievo DAP:
comportamenti neutri o benevoli da parte dell’insegnante o dei coetanei, come quello
illustrato, possono essere interpretati dalla ragazza come feedback negativi sul proprio
tentativo di controllo del peso.
Deve sempre essere ricordato che tale processo assume sempre una rilevanza
centrale nei Disturbi Alimentari Psicogeni.
Tra gli specialisti (Gordon, 2002) si giunge addirittura a sconsigliare l’uso di
programmi di prevenzione tesi ad illustrare le caratteristiche del disturbo, perché essi
possono suggerire ai soggetti predisposti, proprio i comportamenti che vorrebbero
eliminare (es. vomito autoindotto, uso di lassativi, nutrirsi di cappuccini, fumare).
Risultano più efficaci, in questa prospettiva, interventi di prevenzione basati sulla
promozione della salute (Cuzzolaro, 2004):
- Migliorare la comunicazione scolastica e familiare;
- Facilitare l’accesso i servizi di consultazione e di cura,
- Sviluppare la capacità di resistenza alle situazioni difficili tramite l’insegnamento di
abilità per il fronteggiamento dello stress (coping skills).
Ulteriori perplessità sono state espresse da un altro insegnante sui comportamenti di
eccessivo investimento sul peso corporeo che ha avuto occasione di osservare nella
gestione di una squadra femminile di pallavolo.
Anche in questo caso è possibile fare riferimento ai modelli di fitness e di magrezza
esaltati dai media, che propongono standard atletici e scultorei associati alla capacità di
fornire prestazioni straordinarie non solo nell’ambito dell’apprendimento scolastico, ma
anche in quello agonistico. Soggetti predisposti ai comportamenti dello spettro DAP
potrebbero trarre spunti per il controllo del peso corporeo partendo proprio da occasioni
di un salutare coinvolgimento sportivo.
Anche in questo caso l’atteggiamento dell’insegnante dovrebbe essere quello di
non attribuire eccessiva importanza alle prestazioni, evitando riferimenti al
mantenimento del peso corporeo.
Un ultima considerazione avanzata da un’insegnante riguarda invece il problema
della privacy nel coinvolgimento dei familiari e nell’eventuale esposizione dei vissuti
dell’allievo.
Si ricorda ancora che tra i compiti dell’insegnante e compreso quello di favorire
l’integrazione scolastica: le eventuali informazioni raccolte devono essere utilizzate solo
per lo sviluppo di un ambiente accogliente e protettivo e possono fornire lo spunto per
eventuali segnalazioni dei soggetti a rischio. Esse devono essere utilizzate solo in
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funzione di questo scopo, e non dovrebbero essere comunicate a terzi ovvero utilizzate
per altri fini.
Dalle considerazioni illustrate emerge ancora una volta la complessità e la
delicatezza della relazione educativa che si instaura con soggetti che presentano
Disturbi dell’Alimentazione.
Per questo motivo i progetti di sensibilizzazione al disagio adolescenziale
specificamente rivolti agli insegnanti delle scuole secondarie, non possono che essere
considerati estremamente auspicabili.
La diffusione di conoscenze sulle principali psicopatologie adolescenziali, come ad
esempio quelle veicolate dal presente progetto realizzato dall’IRRE, rappresenta già un
avanzato modello di prevenzione del disagio e di promozione della salute nella
popolazione scolastica.
Per questo motivo non possiamo che auspicare il coinvolgimento esponenziale
degli insegnanti nell’evoluzione di simili progetti.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
DISTURBI ALIMENTARI
- Bryant-Waugh, R., Lask, B. Disturbi alimentari. Guida per genitori ed insegnanti.
Trento, Erickson, 2004.
- Cuzzolaro, M., Anoressia e Bulimia. Il Mulino, Bologna, 2004.
- Gordon, R. A. Anoressia e Bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale. Cortina,
Milano, 2002.
- Marinelli, S. Il gruppo e l’anoressia. Cortina, Milano, 2005.
- Selvini Palazzoli, M., Cirillo, S., Sorrentino, A. Giochi psicotici nella famiglia.
Cortina, Milano, 2003.
- Selvini Palazzoli, M., Cirillo, S., Sorrentino A., Ragazze anoressiche e bulimiche. La
terapia familiare. Cortina, Milano, 2001.
PSICOLOGIA SCOLASTICA E ADOLESCENZA
- Boffo, V. Per una comunicazione empatica. La conversazione nella formazione
familiare. ETS, Pisa, 2005.
- Maiolo, G. Adolescenze spinose. Come comunicare senza farsi (e fare) male. Trento,
Erickson, 2004.
- Mariani, U. Educazione alla salute nella scuola. Trento, Erickson, 2002.
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