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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
Socrate
1.
Una vita filosofica nella polis
Un indagatore
della coscienza interiore
degli uomini
Se Anassagora e i sofisti hanno operato nel contesto ateniese e sono quindi legati
alle pratiche di vita culturale di una grande metropoli dell’antichità, conservano però
interessi e atteggiamenti propri dei poeti e dei filosofi delle età precedenti, profondamente legati alla natura ancora quasi incontaminata dell’età delle migrazioni.
È Socrate il primo filosofo che, dopo giovanili interessi naturalistici (probabilmente legati alle ricerche di Anassagora), abbandona del tutto questa sfera di interessi
e opera nel contesto di problemi esclusivamente umani, distaccando la sua ricerca
da quella della natura (il che lo porta a distaccare profondamente l’uomo stesso dalla natura, come nessuno dei filosofi precedenti aveva fatto).
Questo tratto della filosofia socratica è sottolineato dalla sua scelta per la vita filosofica nella polis: tutto il suo impegno è, per Socrate, al servizio della città. Platone
in un dialogo molto importante, intitolato Fedro, ce lo presenta addirittura come un
cittadino che si allontana difficilmente dalle vie e dalle piazze e non frequenta neppure la campagna intorno. E in effetti il metodo della filosofia socratica non ha molto a che vedere con l’osservazione della natura tipica dei primi filosofi: Socrate è
piuttosto un osservatore degli uomini, e un indagatore della loro coscienza interiore.
LA VITA DI SOCRATE
Ateniese, legato a questa città sino alla fine della sua
vita, Socrate (470-399 a.C.) era figlio di uno scultore,
Sofronisco, e di una levatrice, Fenarete, e forse anch’egli
da giovane fu scultore. È possibile che sia stato allievo di
Anassagora e in contatto con gli ambienti sofisti, a cui la
voce popolare lo accomunava. Sembra che abbia
partecipato alla guerra del Peloponneso come oplita,
combattendo in diverse battaglie (Potidea, Delio,
Anfipoli).
Rifiutò di compromettersi con il governo dei Trenta Tiranni,
ma non si occupò mai a fondo di politica, se non in
occasione di determinati incarichi pubblici di breve durata.
La sua personalità dovette essere sconcertante per i suoi
concittadini, e le testimonianze ci restituiscono tanti volti
così contraddittori da non potersi ricostruire la sua
immagine storica con sufficiente e documentata
precisione: il poeta comico Aristofane nelle Nuvole mette
in burla la sua figura mostrandolo dedito a ricerche
naturalistiche assurde e facendone un sofista senza
scrupoli che insegna a pagamento l’arte di render più
forte il discorso più debole; Platone e Senofonte ne danno
un’immagine opposta: del tutto distaccato dal denaro,
privo di allievi, ma soltanto con una cerchia di giovani
che lo seguono ovunque, del tutto estraneo alle ricerche
naturalistiche e attento soltanto all’uomo e ai valori
dell’anima.
È storicamente accertato che nel 399 subì un processo,
conclusosi con la sua condanna a morte. I suoi accusatori
erano di parte democratica, e probabilmente lo scopo era
quello di esiliare una personalità fortemente
indipendente, ma nella cui cerchia vi erano molti giovani
su posizioni antidemocratiche.
Socrate
Socrate non ha scritto nulla, in un’epoca in cui la scrittura cominciava ad esQuestione
sere una forma comune di trasmissione
socratica
del pensiero, sia pure legata ancora all’oralità, come abbiamo potuto osservare ancora per i sofisti suoi contemporanei. Ma diversi suoi allievi hanno scritto. Tra questi, Platone ha scritto dialoghi che vedono Socrate come protagonista, mentre altri allievi hanno scritto opere che
non ci sono pervenute. Lo storico Senofonte, che conobbe Socrate
senza tuttavia essere nella sua cerchia ristretta, ha scritto diverse
opere dedicate al maestro, anche se l’intento sembra essere soprattutto quello di difenderne la figura. Né Platone né Senofonte avevano preoccupazioni di tipo storico, e il personaggio Socrate che
compare nei loro scritti non restituisce con sicurezza la figura ed il
pensiero del Socrate storico. Anche altri hanno lasciato testimonianze su Socrate, da posizioni ostili: ad esempio Aristofane che nella
commedia Nuvole mette in scena Socrate burlandosi di lui, alla ma-
niera tipica della commedia antica. I ritratti che ci vengono restituiti da queste e da altre testimonianze di persone che conobbero Socrate e lo ascoltarono non sono del tutto coerenti tra loro.
Da tutto questo è nata una questione socratica: come isolare gli
elementi storici dal complesso delle testimonianze antiche?
Le opere che con maggiore profondità filosofica riguardano Socrate sono quelle di Platone, che tuttavia ha certamente usato la “maschera” di Socrate per esporre le proprie idee. Nelle opere di Platone va quindi distinto:
• il nucleo centrale delle notizie intorno al Socrate storico;
• le teorie platoniche espresse attraverso il Socrate-personaggio.
Gli studiosi hanno cercato, tra molte incertezze e polemiche, di ricostruire per questa via la figura del Socrate storico. Il compito è reso
ancora più complesso dal fatto che non è nota (ed è anzi molto controversa) la cronologia degli scritti platonici, nella supposizione (dal
fondamento anch’esso incerto) che quelli più vicini alla vita del maestro rispondano più direttamente alla sua immagine storica.
Non ha scritto nulla e tutta la sua ricerca filosofica, secondo le testimonianze dei
suoi allievi (alcuni dei quali al contrario di lui hanno scritto molto) si è svolta nel dialogo con i suoi concittadini in luoghi pubblici (la piazza, i ginnasi, le vie della città,
il tribunale, la prigione: sempre ambienti urbani) o privati (le case degli aristocratici). La nostra conoscenza del pensiero socratico dipende quindi dagli scritti dei
suoi allievi, e soprattutto di Platone.
Sono soprattutto i primi dialoghi platonici quelli che, con qualche (incerta) attendibilità, possono restituirci la figura del Socrate storico. Alcuni di questi dialoghi sono
legati agli ultimi mesi della vita del filosofo, quando avvenne un episodio gravissimo.
Nel 399 Socrate, ormai settantenne, venne accusato di colpe molto serie e trascinato in tribunale da parte di alcuni cittadini di parte democratica, probabilmente perché
non tanto lui, quanto molti suoi allievi erano di parte aristocratica e legati a vicende
molto dolorose avvenute durante gli ultimi tempi della Guerra del Peloponneso. Circondato dai suoi allievi e dagli amici con grande serenità e dignità.
L’accusa
Socrate è colpevole, sia perché corrompe i giovani sia perché non crede negli dèi in cui
crede la città, ma in altre divinità nuove
Platone, Apologia di Socrate
In un breve scritto, intitolato Apologia di Socrate, Platone riporta il discorso che
Socrate tenne in tribunale a propria difesa. Non si tratta certamente del resoconto
di quanto effettivamente disse, (almeno seguendo l’interpretazione platonica) emergono comunque bene, e possono essere utili per chiarire il senso della sua filosofia.
È la contrapposizione di fondo tra gli
esponenti
dei partiti politici che si
Democratici/
fronteggiavano nella vita della polis,
Aristocratici
tanto ad Atene quanto in molte altre
città della Grecia. I democratici (tra loro vi sono diversi uomini politici aristocratici per nascita, ma non
per convinzioni politiche) sono favorevoli al regime democratico
( cartina n. 0) e profondamente ostili a Sparta; gli aristocratici so-
no l’espressione delle antiche famiglie nobiliari, legate alla proprietà della terra, che guardano a Sparta come nemica in guerra,
ma come un modello politico da imitare.
Molti allievi di Socrate erano di parte aristocratica, e uno di loro,
Alcibiade, era stato implicato in un grave caso di tradimento, sfociato nella sconfitta subita dalla flotta ateniese a Siracusa. Poiché
gli accusatori al processo erano democratici, è possibile che vi siano ragioni politiche dietro l’accusa.
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
2.
Platone: Apologia di Socrate
2.1 Cherofonte e l’Oracolo di Delfi
Socrate racconta ai giudici che dovranno giudicare della sua presunta colpevolezza da dove è nata l’ostilità nei
suoi confronti che ha finito per spingere gli accusatori
a trascinarlo in giudizio. Molti anni prima era accaduto
che Cherofonte, suo amico e concittadino, si era recato al santuario di Delfi ed aveva chiesto al dio (Apollo) un oracolo che lo
riguardava, se vi fosse qualcuno più sapiente di Socrate.
Il dio di Delfi
Voi certamente conoscete Cherofonte. Lui ed io eravamo amici d’infanzia. Era un democratico,
un amico di molti di voi, uno che è stato in esilio con voi e con voi è tornato in patria. Era di
carattere impetuoso, lo sapete, qualunque cosa facesse ed una volta, trovatosi a Delfi, osò porre
al dio questa domanda – non mormorate, vi ripeto, cittadini – : gli chiese se vi fosse qualcuno
più sapiente di me. Ebbene, la Pizia riferì che nessuno era più sapiente. Cherofonte è morto,
ma suo fratello che è qui tra voi potrà garantirvi che la Pizia dette davvero quest’oracolo.
Platone, Apologia di Socrate
Nessuno è più sapiente
di Socrate
L’oracolo aveva confermato che non vi era nessuno, destando grandissima meraviglia per primo in Socrate stesso, che era perfettamente cosciente di non essere affatto sapiente. Domandandosi che cosa avesse mai voluto dire il dio (Socrate mostra il
più grande rispetto per l’oracolo: il dio non può sbagliare), comincia a interrogare i
suoi concittadini su quello che ciascuno ritiene di sapere bene.
Va dagli esperti: con un politico parla dei problemi della città, con un poeta di poesia, con gli artigiani della loro arte, e così via, e scopre così una cosa che lo lascia molto sorpreso: tutti costoro sono effettivamente convinti di sapere molte cose, ma non
sanno affatto giustificare il loro sapere quando si pongono loro domande per capire se
quello che dicono è vero. Socrate ne trae una conclusione importante: in realtà né lui
né i suoi interlocutori sanno bene quel che dicono, tutti hanno un sapere parziale, incerto, mal fondato, dubbio; c’è però una differenza, che Socrate sa di non sapere bene
praticamente nulla, mentre i suoi interlocutori credono di sapere molte cose, e non
hanno affatto coscienza di quel che non sanno e dell’incertezza di quel che sanno.
Insomma, nessuno sa nulla, ma solo Socrate ha coscienza di non sapere: “so di non
sapere”, dice.
Non sapere
Io sono in effetti più sapiente di quest’uomo. Infatti nessuno di noi due sa davvero niente
sulla perfezione: lui però non sa e crede di sapere; io che non so niente come lui, almeno
non credo di sapere. Sembra dunque che almeno per questo particolare io sia più saggio di
quest’uomo, poiché non m’illudo di sapere ciò che non so!
Platone, Apologia di Socrate
Socrate
2.2 “So di non sapere”
Gli diviene dunque chiaro il senso dell’oracolo: il dio Apollo ha voluto dire che
il vero sapere appartiene solo al dio, e non all’uomo; all’uomo appartiene la ricerca
del sapere, lo sforzo di comprendere;
per condurre la ricerca sulla verità è indispensabile fare come lui e acquisire la
coscienza di non sapere (“so di non sapere”), e da qui partire.
Socrate si accorge però che i suoi interlocutori non accettano affatto che la loro
presunzione di sapere sia stata smascherata: molti cominciano letteralmente ad
odiarlo, perché non fa piacere che qualcuno ti metta in crisi. In un altro celebre Ldialogo platonico, il Simposio, è uno dei giovani allievi di Socrate ad esprimere lo stesso concetto con molta forza: è Alcibiade, il celebre uomo politico ateniese. Socrate
ha il potere di farlo vergognare, di costringerlo a riconoscere i propri limiti. E questo a volte gli risulta intollerabile.
Avere vergogna
di se stessi
Socrate con i suoi discorsi mi obbliga a riconoscere i miei limiti: io non cerco di migliorare
me stesso, e continuo lo stesso ad occuparmi degli affari degli Ateniesi. Devo quindi fare
violenza a me stesso, tapparmi le orecchie come se dovessi fuggire dalle Sirene, devo andar
via per evitare di passare con lui il resto dei miei giorni. Soltanto davanti a lui ho provato
un sentimento che nessuno si aspetterebbe di trovare in me: io ho avuto vergogna di me
stesso. (…) Così, io non so proprio che cosa fare con quest'uomo.
Platone, Simposio
Il richiamo di Socrate al concetto espresso dalla frase “So di non sapere” è però del
tutto coerente con l’antica massima “Conosci te stesso!”, che risale all’oracolo di Delfi. Nella tradizione greca si trattava di ricordare all’uomo i propri limiti, e quindi di
ammonirlo a non andare oltre il giusto macchiandosi così di hybris, di tracotanza, la
più grave delle colpe per un greco. Non si trattava però di un richiamo morale vero
e proprio, ma di una regola di comportamento resa necessaria dalla natura umana,
dalle forze e dalle capacità limitate in un mondo di forze naturali immense e di forze divine superiori.
Socrate invece, interrogando i propri interlocutori, fa proSono due tra le più celebri
massime
di
Delfi.
Nel
prio quello che Alcibiade dice: li costringe a cercare di miConosci te stesso!
celebre santuario si conNulla di troppo
gliorare se stessi. Il richiamo è dunque profondamente legaservavano infatti, bene in
to alla ricerca di valori morali. Le domande sono: come facvista al pubblico, una serie di massime in cui erano condensati i principi foncio a migliorare me stesso? che cosa è il bene?
damentali che i Greci riconoscevano come saggia guiSono domande antiche, a cui Socrate attribuisce un signida al comportamento umano.
ficato
nuovo, soprattutto riguardo alla direzione in cui comEntrambe queste formule ricordavano all’uomo i propiere la ricerca. La tradizione poetica, ed anche filosofica,
pri limiti, la necessità stringente di tenerne conto nell’azione, non macchiandosi mai di hybris, ( p. 0), cui
della Grecia cerca di trovare le risposte a queste domande
inevitabilmente segue la catastrofe ( la nozione di neinterrogando la natura e ponendo domande sugli dèi, alla rimesis a p. 0). Il richiamo socratico al Conosci te stesso!
cerca dell’ordine del mondo, della giustizia di Zeus, dell’eha un valore diverso, pur in linea con l’antica tradizioquilibrio delle forze naturali di cui l’uomo è parte. Socrate
ne delfica: è il richiamo all’indagine nella propria coscienza, alla ricerca dei principi morali per l’azione. Riinvece tralascia questa via di indagine e si concentra su una
chiamandosi alla tradizione, Socrate proponeva in
via del tutto diversa: l’interiorità della coscienza. È là, dentro
realtà qualcosa di nuovo: la centralità della coscienza
di
noi, non al di fuori, che troveremo le radici.
individuale.
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
2.3 L’interiorità della coscienza come via di indagine
Distinguere il bene
dal male
Il Conosci te stesso! socratico è quindi un richiamo a rientrare nella propria
interiorità, e a conoscersi. Vi si troverà qualcosa di semplice e di lineare? Né Socrate
né i filosofi prima di lui lo sostengono. È possibile su questo punto richiamare
Eraclito, a cui può essere fatta risalire la prima linea di pensiero che conduce alla
ricerca nella profondità della coscienza, quando scrive: “Per quanto tu possa
camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini
dell’anima: così profondo è il suo Logos”. Ora, è proprio questo che si tratta di fare: di
percorrere i confini dell’anima, di penetrare nei suoi segreti alla ricerca del criterio
per ciò che è giusto, di un criterio che ci permetta di distinguere il bene dal male.
Proseguendo nel suo discorso di difesa al processo, nella Apologia, Socrate dice che
la sua missione presso gli ateniesi è stata quella di spingerli alla ricerca interiore della verità, perché ciascuno in se stesso trovasse il senso del bene.
Mettere in crisi
i concittadini
Carissimo, tu che sei ateniese, cittadino della città più grande e più gloriosa per sapienza e
potere, non ti vergogni di darti da fare per avere più ricchezze, e fama e onori, mentre non
ti curi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e dell’anima, perché sia quanto più
perfetta possibile?
Platone, Apologia di Socrate
Il dio è sapiente, non l’uomo
La singolarità di Socrate, che doveva sconcertare non poco i suoi interlocutori, è
che sosteneva di non aver nulla da insegnare. Non si comportava come un maestro
di morale, che insegna agli altri che cosa è il bene e qual è la via per raggiungere la
saggezza. L’oracolo di Delfi che lo riguardava, che solo il dio è sapiente, non l’uomo: A
noi uomini è data piuttosto la ricerca della saggezza, e ciascuno deve trovarla dentro
LA QUESTIONE OMERICA
Con questa espressione ci si riferisce al complesso di
interrogativi posti dalla presenza, nella Grecia dell’VIII secolo
a.C., di due poemi di straordinaria bellezza e raffinatezza
artistica, l’Iliade e l’Odissea, in esametri greci, della cui
composizione si sa pochissimo.
Non si hanno notizie storicamente attendibili su Omero; gli
antichi stessi non sapevano nulla di certo su di lui e, in età
moderna, si sono fatte molte congetture sulla sua identità.
Alcuni studiosi sono giunti al punto di supporre che un
unico poeta di nome Omero non sia mai esistito, ma che vi
si siano stati tra l’VIII e il VII secolo due o più poeti
raccoglitori degli antichi canti orali. Ciò è accreditato sia
dalle testimonianze degli antichi sia prendendo in
considerazione i riferimenti geografici presenti nei due poemi
e alcuni elementi dialettali, che riconducono.
È tuttavia indubbio che i due poemi presentino
caratteristiche unitarie, difficilmente spiegabili senza
l’intervento di un unico poeta che abbia selezionato,
raccolto e unificato il materiale tramandato dalla tradizione.
Sicuramente la definizione dei due poemi in forma stabile
è legata alla pratica della scrittura.
Le leggende sulla figura di Omero
Su Omero circolarono nell’antichità moltissime leggende,
la più celebre delle quali lo vuole cantore cieco, ispirato dalle
Muse. Se è esistito un solo poeta di nome Omero, di
storicamente plausibile vi è il fatto che sia stato un cantore,
un aedo come quelli che compaiono nell’Odissea. Una forte
attenzione alla natura riscontrabile nei poemi omerici lascia
pensare ad una personalità legata ai costumi del popolo.
Molte città greche si contendevano l’onore di avere dato
i natali ad Omero, città della Ionia, ciò è accreditato sia dalle
testimonianze degli antichi sia prendendo in considerazione i
riferimenti geografici presenti.
Socrate
di sé: non la si può insegnare dall’esterno, è conquista personale. La singolarità di Socrate, che doveva sconcertare non poco i suoi interlocutori, è che sosteneva di non
aver nulla da insegnare. È un sapere che cambia la personalità, che coinvolge tutto
il proprio essere: è una conversione di sé nella direzione del bene, alla ricerca del
meglio per ciò che di sé conta: la propria anima.
3.
Psyché: ciò che più vale
In molti punti Socrate lo ribadisce con forza: quel che vale nella vita non è la felicità,
il benessere, e neppure la salute del corpo o il corpo stesso, o questo o quel risultato materiale, compresa la ricchezza, il potere e gli onori; non è neppure la vita stessa, che la polis ci chiede, ad esempio, di essere pronti a sacrificare in guerra per il bene della comunità politica.
3.1 Il proprio io interiore
Ciò che conta è l’anima, la psyché. Con Socrate nella cultura occidentale ha
inizio quel processo di sottolineatura del valore del proprio io interiore che
diventerà uno dei caratteri della tradizione dell’Occidente. Per far questo Socrate (che, al contrario del suo allievo Platone, non elabora
alcuna dottrina sulla natura dell’anima, fedele al suo “So di non
sapere”) deve considerare la psyché come il campo decisivo per l’uomo su cui esercitare la ricerca filosofica. Si apre un universo di ricerca, perché vale
per Socrate quel che valeva per Eraclito: per quanta strada si possa compiere, è impossibile trovare i confini dell’anima, tanto profonda è la sua natura.
Ne è prova l’atteggiamento che Socrate tiene di fonte alla propria condanna a morte. Nel dialogo platonico intitolato Crotone ci viene mostrato Socrate di fronte ad un
tentativo di corruzione allo scopo di salvarlo. Gli viene prospettata la fuga, e lui
reagisce con estrema dignità rifiutando: significherebbe tradire le leggi della città,
il che equivarrebbe a tradire la propria coscienza. Cosa resta di un uomo se tradisce
la propria coscienza e le leggi?
Oggi attribuiamo al termine virtù, che
traduce il greco areté, un significato
Coscienza/Anima
morale: virtù è il comportamento abituale di chi si comporta seguendo al
meglio rigorosi principi morali, volti al
bene, al giusto, a valori positivi e condividi. Nel periodo arcaico
però l’areté non era connessa a valori morali. Indicava semplice-
mente l’eccellenza che un uomo può. Oggi attribuiamo al termine
virtù, che traduce il greco areté, un significato morale: virtù è il
comportamento abituale di chi si comporta seguendo al meglio
rigorosi principi morali, volti al bene, al giusto, a valori positivi e
condividi. Oggi attribuiamo al termine virtù, che traduce il greco
areté, un significato morale: virtù è il comportamento abituale di
chi si comporta, volti al bene, al giusto, a valori positivi.
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
3.2 La morte e il demone socratico
Del resto la morte non può essere un male. È un fatto naturale, come la vita, di cui
è soltanto il termine. Nell’Apologia racconta ai suoi ascoltatori che in passato, trovatosi in condizioni di difficoltà e di incertezza, ha sempre potuto contare su una voce interiore (la voce di un demone che parla dentro, dice, che gli interpreti tendono a leggere come la voce stessa della coscienza) che lo ammoniva quando stava per
commettere un errore, dire qualcosa di sbagliato, fare una scelta che lo portava
verso il male piuttosto che verso il bene. Questa voce non gli ha mai detto nulla di
positivo, nulla su cosa dire e fare o scegliere: lo ha solo fermato con dei no, tacendo tutto sui sì. Ebbene, la mattina della sua difesa la voce del demone non si è mai fatta sentire:
eppure rischiava di essere condannato a morte. Se la morte
fosse un male, il demone l’avrebbe avvertito.
E dunque Socrate beve la cicuta serenamente, quando le leggi della città glielo impongono, non un attimo prima. Non cerca la morte, l’accetta. Del resto, dice chiudendo l’Apologia, nessuno sa chi abbia una sorte migliore, se i giudici che continuano a vivere o Socrate che, condannato, si avvia verso la morte.
Ma ora è ormai tempo di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada ad una sorte
migliore, nessuno lo sa, tranne la divinità.
Nessuno lo sa
Platone, Apologia di Socrate.
Quale sia la vita che Socrate preferisce, quella che per lui è il più grande dei beni, gli
è ben nota. È vivere facendo filosofia, cercare la saggezza dialogando con i propri
concittadini. Ragionare ogni giorno sulla virtù.
MAPPA CONCETTUALE
Ignoranza
Desiderio di conoscere
Dialogo socratico
Metodo
12
Ironia
Maieutica
Scopo
Definizioni universali
Socrate
ESERCIZI DI RIEPILOGO
1. Dizionario personale di Filosofia
Definizione
Esempio
Anima
Coscienza
Dialettica
Intellettualismo
Sapere
2. Le teorie filosofiche dell’atomismo antico
Le teorie
Le descrizioni delle teorie
Le argomentazioni
a favore delle teorie
Confronto con i filosofi
precedenti su ciascuna teoria
Sapienza/Ignoranza
Valori morali
I valori della vita
La morte
Migliorare se stessi
La ricerca dialettica
3. I problemi filosofici trattati da Socrate
Mediante opportune citazioni testuali, rispondi alle seguenti domande:
Sapienza/Ignoranza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coscienza
Valori morali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dialettica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I valori della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Intellettualismo
La morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sapere
Migliorare se stessi
....................................................................
I valori della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La ricerca dialettica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Valori morali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
..................................................................................
.........................................................................
.......................................................................................
4. Le teorie filosofiche dell’atomismo
Quali sono secondo Socrate le ragioni che hanno
determinato l’ostilità verso di lui?
Sapere i valori della vita
I valori della vita ricerca dialettica
I valori della Coscienza
Perché finisce col ritenere che l’oracolo di Delfi abbia
ragione?
Sapere i valori della vita
I valori della vita ricerca dialettica
I valori della Coscienza
Qual è la posizione di Socrate sulla morte?
Sapere i valori della vita
I valori della vita ricerca dialettica
I valori della Coscienza
Quali sono secondo Socrate le ragioni che hanno
determinato l’ostilità verso di lui che l’oracolo di Delfi abbia
ragione?
Sapere i valori della vita
I valori della vita ricerca dialettica
I valori della Coscienza
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ANTOLOGIA - SOCRATE
12
II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
Un intellettuale libero Five laughed.
One putrid aardvark easily bought two
Questione
Anche se è ritratto spesso in rapporto ad
ambienti aristocratici, Socrate sembra sia
stato un cittadino vissuto in relativa povertà e dignità, come certamente tanti nell’Atene del tempo, ma non è inquadrabile
in nessuno degli schemi dell’epoca a noi
noti: non è un sofista, non è uno scienziato o l’uomo di una setta o di una corporazione.
Ci viene presentato come un uomo libero
che vive nella sua città rispettandone le convenzioni sociali, gli stili di vita, gli obblighi
militari e così via, e fa quello che altri uomini come lui fanno. Ma allo stesso tempo è
diverso da tutti gli altri. Ci viene descritto
mentre partecipa ad una campagna militare, mentre festeggia la vittoria di un amico
ad una gara poetica – e la festa vede, come
è abitudine in Grecia, gli amici riuniti in
simposio – mentre passa le sue mattine al
ginnasio. Un uomo estraneo a rapporti di
denaro, senza maestri, concentrato solo su
di sé e sugli altri che con lui dialogano,
avendo sullo sfondo la scena della città –
piazza, ginnasio, casa di amici, prigione –
dalla quale appare inseparabile.
L’immagine è quella di un intellettuale non
inquadrabile in schemi, libero da obblighi
di qualsiasi tipo, che non siano quelli della sua posizione di cittadino nella pólis di
Atene (obblighi peraltro onerosissimi, perché vivere in democrazia ha i suoi costi) e,
soprattutto, quelli derivanti dal rigore, davvero implacabile, della ricerca filosofica. Il
successo di questa forma letteraria ci lascia
1. Pierre Hadot, Che cos’è la filosofia antica?, p. 26.
intravedere la straordinaria impressione
che produssero e questo rigore deve avere
avuto a che vedere con il fascino che emanava dalla sua figura, e che rimane ai nostri occhi nella pienezza della sua contraddizione nel celebre discorso di Alcibiade –
ubriaco, perso d’amore per lui, scosso da
sentimenti durissimi, colpito al fondo dell’anima da questo inafferrabile spirito dalle implacabili domande.
Tesi
È certamente un errore legare troppo Socrate a Platone: “Avremmo forse di Socrate un’idea del tutto diversa da quella che
abbiamo oggi, se le opere prodotte in tutte
le scuole fondate dai suoi discepoli fossero
sopravvissute, e specialmente se tutta la
letteratura dei dialoghi “socratici”, che presentava Socrate intento a dialogare con i
suoi interlocutori, fosse giunta fino a noi.
È comunque necessario ricordare che il dato fondamentale nei dialoghi di Platone, la
messa in scena di dialoghi nei quali Socrate svolge quasi sempre il ruolo di colui che
interroga, non è un’invenzione di Platone;
i dialoghi, infatti, appartengono a un genere specifico, quello del dialogo “socratico” appunto, divenuto una vera e propria
moda tra i discepoli di Socrate. Il successo
di questa forma letteraria ci lascia intravedere la straordinaria impressione che produssero, sui suoi contemporanei e soprattutto sui suoi discepoli, la figura di Socrate e il suo modo di gestire gli incontri con i
suoi concittadini”.1
5. Socrate
Nel primo brano in lettura è Socrate (nella ricostruzione platonica della Apologia di Socrate del discorso
pronunciato al processo) a rappresentare se stesso e il proprio metodo filosofico.
Vediamo quindi come si svolgeva un processo nell’Atene del periodo classico. In una democrazia diretta
come quella ateniese il giudice supremo era il popolo. Lo Stato non interveniva di propria iniziativa contro
uno dei cittadini, erano i cittadini a chiamare in giudizio altri cittadini.
Ciascun tribunale popolare era di norma composto da cinque-seicento membri, e l’attività giudiziaria impegnava ogni anno circa seimila persone, un impegno notevole per la democrazia ateniese. Si distinguevano
i processi privati da quelli pubblici. In questi ultimi, come è il caso di Socrate, venivano accusati i cittadini
accusati di avere commesso atti lesivi dell’interesse comune: l’accusatore aveva l’obbligo di anticipare le
spese processuali e doveva pagare una multa nel caso ritirasse l’accusa o non ottenesse almeno un quinto
dei voti a suo favore.
Dopo aver ricevuto il testo d’accusa, il magistrato preparava tutto il materiale istruttorio in attesa del giorno del processo, che si svolgeva nell’arco di un solo giorno: dopo la lettura dell’atto di accusa veniva data
la parola prima all’accusatore poi all’accusato. Teoricamente ciascuno avrebbe dovuto compilare da sé il
proprio discorso, ma in realtà esistevano scrittori professionisti che a pagamento stilavano i discorsi che poi
le parti pronunciavano, dopo averli imparati a memoria. In ogni caso, i discorsi dovevano durare un tempo
stabilito, misurato attraverso una clessidra.
Nel corso del dibattimento era possibile all’accusatore ritirare l’accusa, se vedeva che le cose andavano male per lui. In caso di condanna erano possibili due ipotesi: si distinguevano infatti i processi con pena da
proporre da quelli in cui la pena era già fissata dalla legge. Nel primo caso, quello di Socrate, le due parti
facevano le loro proposte e le sottoponevano alla decisione del tribunale, che poteva anche invitare le
parti ad un accordo preliminare. Infine la sentenza. Essa veniva notificata per iscritto all’interessato e agli
undici magistrati incaricati della sua esecuzione, quindi depositata negli archivi.
“Vi prego, non mormorate, cittadini, anche se vi sembro presuntuoso nel dire queste cose. Le parole che vi dirò infatti non sono mie. Vi riferirò invece quelle di colui che parla in modo degno di fede: vi presenterò lo stesso dio di Delfi2 come testimone della natura della mia sapienza, se di sapienza si può parlare. Voi certamente
conoscete Cherofonte. Lui ed io eravamo amici d’infanzia. Era un democratico, un
amico di molti di voi, uno che è stato in esilio3 con voi e con voi è tornato in patria.
Era di carattere impetuoso, lo sapete, qualunque cosa facesse ed una volta, trovatosi a Delfi, osò porre al dio questa domanda – non mormorate, vi ripeto, cittadini – :
gli chiese se vi fosse qualcuno più sapiente di me. Ebbene, la Pizia4 riferì che nessuno
2. Il dio di Delfi è Apollo, cui era dedicato un famoso santuario nella città di Delfi, sede di un oracolo cui si rivolgevano da tutta la
Grecia sia i privati che le città. L’episodio qui narrato potrebbe non avere alcuna base storica ed essere soltanto un espediente letterario platonico.
3. Esilio: Socrate si riferisce alla cacciata da Atene del partito democratico, durante il regime dei Trenta Tiranni (405 a.C.).
4. La Pizia era la sacerdotessa di Apollo nel santuario di Delfi che pronunciava gli oracoli in nome del dio. Era consuetudine nel
mondo antico interrogare gli dèi su questioni che stavano particolarmente a cuore a privati cittadini o più spesso a tutta la cittadinanza. I sacerdoti fungevano da intermediari e interpreti del responso divino. La Pizia pronunciava gli oracoli in stato di trance, in forma di sentenze molto spesso enigmatiche e allusive: dovevano quindi essere interpretati e decodificati dai sacerdoti.
Non è quindi strano che Socrate – come accenna poche righe dopo – si era domandato a cosa alludesse l’oracolo delfico quando
lo aveva definito il più sapiente degli uomini.
ANTOLOGIA
Platone
L’Apologia di Socrate
13
ANTOLOGIA
14
II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
era più sapiente. Cherofonte è morto, ma suo fratello che è qui tra
voi potrà garantirvi che la Pizia dette davvero quest’oracolo.
Capite che vi parlo di questo per spiegarvi come è nata la calunnia
contro di me. Venuto infatti a conoscenza di questi fatti, dissi a me
stesso: «Cosa dice il dio, a cosa allude? So bene di non essere affatto sapiente, né poco né molto. Che cosa intende dicendo che io sono il più sapiente? Certo, infatti, il dio non mente: mentire è contro la legge degli dei5». A lungo rimasi così, senza trovare una via
d’uscita. Infine, davvero controvoglia, mi decisi a verificare la cosa nel modo seguente. Andai a trovare uno degli uomini che avevano fama di sapienti, pensando che così avrei smentito in qualche modo il responso e avrei potuto dire all’oracolo: «Ecco, questi è
più sapiente di me, mentre tu hai detto che io sono il più sapiente di
tutti».6 Esaminai dunque a fondo quest’uomo – inutile citare adesso il
suo nome: basti dire che era uno dei nostri uomini politici. Solo che discutendo con lui, ecco l’impressione che ne ricavai, Ateniesi: mi sembrò che costui fosse capace di apparire sapiente a molti, e soprattutto a sé stesso, ma che in fondo non lo
fosse affatto. Allora cercai di mostrargli che si credeva sapiente, ma non lo era per
nulla. E il risultato fu che attirai su di me la sua ostilità, e così quella di molti dei presenti. Alla fine me ne andai, dicendo tra me e me: «Io sono in effetti più sapiente di
quest’uomo. Infatti nessuno di noi due sa davvero niente sulla perfezione: lui però
non sa e crede di sapere; io che non so niente come lui, almeno non credo di sapere. Sembra dunque che almeno per questo particolare io sia più saggio di quest’uomo, poiché non m’illudo di sapere ciò che non so!» In seguito andai da una seconda
persona, uno di quelli che apparivano ancora più sapienti di lui. Ma ne ricevetti la
stessa impressione. E così ottenni il risultato di attirarmi addosso anche l’odio di
costui, e di molti altri.”
“Ammettiamo dunque adesso che voi mi assolviate, non prestando fede ad Anito –
secondo lui, o fin da principio non bisognava che comparissi qui o, una volta comparso, non è possibile non condannarmi a morte: vi dice infatti che se dovessi scampare in breve tempo tutti i vostri figli, seguendo gli insegnamenti di Socrate, sarebbero completamente rovinati. Ammettiamo allora che mi diciate: «Socrate, non diamo retta ad Anito e ti assolviamo, a patto che tu smetta di filosofare e di far ricerca.
Se sarai colto a fare ancora questo, tu sarai messo a morte». Se mi assolveste a que-
5. Nei racconti del mito, tuttavia, gli dèi sanno mentire. Socrate (o Platone che scrive l’Apologia) attribuisce in questo punto, ed in tutto il testo, un valore morale elevato alla divinità.
6. Socrate sta cercando di dare un’interpretazione corretta all’oracolo; gli sembra che il responso non
possa essere preso nel suo significato letterale: deve significare qualcos’altro. Per chiarire la questione
si reca dagli uomini più in vista di Atene, per interrogarli e verificare il loro grado di saggezza. Molti di
loro – pensa Socrate – saranno certamente più sapienti ed esperti di lui, almeno nella disciplina in cui
sono specializzati; il confronto dimostrerà la necessità di intendere in modo diverso l’oracolo delfico.
Questa indagine finisce però col rivelare che tutti quanti sono convinti di possedere un sapere certo e
indiscutibile, ma manca loro il presupposto fondamentale: la consapevolezza della propria ignoranza,
dei propri limiti umani. Questo dimostra allora che, almeno in un senso, Socrate è effettivamente il più
sapiente, perché sa di non sapere.
5. Socrate
7. Il riferimento è generico, come spesso in Platone. Dietro questo allusione (ad Apollo?) va visto il richiamo al principio di giustizia e verità che Socrate pone al di sopra di ogni altra cosa. Secondo questa indicazione morale che Socrate sente dentro la propria
coscienza, il compito che egli riveste, in quanto uomo e cittadino ateniese, consiste unicamente nel filosofare, nell’intraprendere
insieme agli altri la lunga e costante ricerca della verità e della virtù. Una volta che egli fosse privato di tale possibilità, la sua vita
perderebbe di significato; tanto vale allora accettare serenamente la morte.
8. Il campo d’azione di Socrate è la sua città: Atene. Il suo “insegnamento” (ma egli ribadisce di non avere nulla da insegnare, perché ben cosciente di non sapere) è rivolto ai cittadini ateniesi, è limitato a una relativamente ristretta cerchia di persone. D’altronde, la stessa legislazione ateniese è improntata sul forte legame tra il cittadino e la polis: i diritti politici sono riservati unicamente a coloro che, per tradizione familiare, appartengono ufficialmente alla cittadinanza ateniese. L’attaccamento esclusivo di
Socrate alla sua città emerge con forza quando, al momento di proporre un’alternativa alla pena di morte, egli rifiuta categoricamente quella dell’esilio, in quanto la sua missione sarebbe impraticabile al di fuori di Atene.
9. Persuadervi: questo termine qui non ha la stessa connotazione negativa usata altrove, dove indica un mascheramento del vero,
l’uso di un linguaggio abbellito e complicato alla maniera dei sofisti. Qui significa piuttosto mostrare un modello di vita autenticamente valido e indurre gli altri a seguirlo, per il bene personale e collettivo.
ANTOLOGIA
ste condizioni io vi risponderei così: «Cittadini d’Atene, io provo rispetto e amore per
voi, ma ubbidirò alla divinità7 e non a voi. Finché respirerò e sarò capace di farlo,
non cesserò di filosofare, di esortare e mettere in crisi chiunque fra voi incontri per
via, dicendo come mio solito: Carissimo, tu che sei ateniese, cittadino della città più
grande e più gloriosa per sapienza e potere, non ti vergogni di darti da fare per avere più ricchezze, e fama e onori, mentre non ti curi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e dell’anima, perché sia quanto più perfetta possibile?»
Se qualcuno di voi mi obietta che invece se ne cura, non lo lascerò subito andare né
me ne andrò, ma lo interrogherò, lo esaminerò, proverò a metterlo in crisi. E se non
mi sembrerà che egli possegga la virtù, tranne che a parole, lo rimprovererò perché
tiene in minimo conto ciò che è del massimo pregio, e in gran conto le cose più spregevoli. Farò questo con chiunque incontri giovane o vecchio, forestiero o cittadino,
ma ancor di più con voi cittadini8 perché mi siete più vicini per nascita. Questo infatti mi ordina la divinità, sappiatelo bene. Ed io sono convinto che la città non gode di nessun bene più grande di questa mia missione che viene dal dio.
Infatti io vado in giro non facendo nient’altro che cercare di persuadervi9, giovani e
vecchi, a non dare troppo peso al corpo e alle ricchezze rispetto all’anima, perché divenga quanto più perfetta è possibile. Io dico infatti che la virtù non deriva dalle ricchezze, ma al contrario che la ricchezza deriva dalla virtù e così tutti gli altri beni,
sia privati sia pubblici.
Se dunque dicendo queste cose io corrompo i giovani, allora vuol dire che queste cose saranno nocive. Ma se qualcuno dice che io insegno cose diverse da queste, ebbene costui parla a vanvera.”
“Atene è simile ad un cavallo grande e di razza, ma piuttosto pigro per le sue stesse dimensioni e che dunque deve essere spronato da un pungolo. E così mi sembra
che la divinità abbia destinato me ad essere un tale uomo per la mia città, io che non
cesso mai di spronarvi, persuadervi, rimproverarvi ad uno ad uno, mai stanco di starvi addosso ovunque, tutto il giorno”.
“Forse qualcuno, dunque, potrebbe ribattere: «Ma Socrate, non sarai capace di startene buono e zitto, una volta andato via da Atene?» È proprio questa per me la cosa
più difficile da far capire ad alcuni di voi. Infatti, se dicessi che far questo è disobbedire alla divinità e che quindi non posso proprio starmene tranquillo, ebbene alcuni di voi penserebbero che parlo ironicamente. Se dicessi che per l’uomo questo
15
ANTOLOGIA
16
II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
è il più grande dei beni, vivere ragionando ogni giorno sulla virtù e sugli argomenti
di cui mi sentite discutere, esaminando me stesso e gli altri, e che la vita senza la ricerca non è degna di essere vissuta ebbene allora mi credereste ancor meno. Che le
cose stiano così come vi dico, non è per me facile farvelo capire.”
Consideriamo anche da questo punto di vista come sia molto probabile che la morte sia un bene. Il morire è infatti una di queste due cose: o è come se il morto non
esistesse per nulla e non provasse alcuna sensazione, oppure – come dicono – la morte è una sorta di cambiamento, una migrazione dell’anima da questo luogo ad un
altro.10
Se dunque nella morte non vi sono sensazioni, essa somiglia ad un sonno senza sogni. Ma allora essa è un meraviglioso guadagno! Sono convinto infatti che se uno dovesse scegliere e paragonare una notte senza sogni con altre notti ed altri giorni
della sua vita, dopo averci ben riflettuto io credo che non solo un privato cittadino,
ma anche il Gran Re11 troverebbe poche notti e giorni più tranquilli e gradevoli di
quella notte. Se questa è la morte, è davvero un guadagno, dico io: tutta la durata
del tempo così non sarebbe più lunga di una sola notte! Se poi la morte somiglia ad
un migrare da qui ad un altro luogo, e se è vero quel che si dice, che là vi sono tutti
i morti, allora quale bene potrebbe essere più grande di questo, o miei giudici?
Sarebbe forse una brutta cosa la trasmigrazione di un uomo che, giunto nell’Ade12
e liberatosi di questi uomini che dicono di essere giudici, trovi i veri giudici che, si
dice, amministrano là la giustizia, Minosse, Radamanto, Eaco, Trittolemo13, e gli altri semidèi che furon giusti in vita? E d’altra parte non accettereste di pagare qualsiasi prezzo per trovarvi con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero?14 Se la morte è così, allora io voglio morire più volte. Poiché per me in particolare sarebbe infatti stupendo passare il tempo lì, incontrando Palamede o Aiace Telamonio15 o
chiunque altro sia morto per un processo ingiusto. Come sarebbe bello dialogare con
queste persone e paragonare le mie sciagure alle loro! E più d’ogni altra cosa mi piacerebbe passar la vita ad esaminare ed indagare le persone anche lì, come faccio
qui in vita, per sapere chi di loro è sapiente e chi invece non lo è affatto, ma si crede egualmente sapiente. Che prezzo non si pagherebbe, o giudici, per interrogare
10. È una concezione tipica delle dottrine orfiche e pitagoriche.
11. Gran Re: era il re dei Persiani, che ai Greci doveva apparire l’uomo più potente e ricco del mondo, dunque anche il più felice.
12. Ade: nella mitologia è il regno dei morti.
13. Sono tutti personaggi mitologici, cui la tradizione assegna il ruolo di giudici del regno dei morti.
Minosse: mitico re di Creta legato alla leggenda del Minotauro (cfr. Odissea, XI, vv. 568 e sgg.).
Radamanto: fratello di Minosse (cfr. Odissea, IV, v. 564 e Pindaro, Olimpiche, IV, vv. 77 e sgg.).
Eaco: uno dei tanti figli di Zeus, sovrano dell’isola di Egina, padre di Peleo e nonno di Achille.
Trittolemo: eroe per eccellenza della città di Eleusi legato al mito di Demetra, dea della terra. Secondo il mito, ella gli consegnò un carro trainato da draghi alati e dei semi di grano, ordinandogli di girare tutto il mondo insegnando agli uomini le tecniche dell’agricoltura.
14. Cioè con i grandi poeti del passato, i portatori della grande tradizione culturale e religiosa della Grecia.
15. Palamede: era il re dell’Eubea, una zona della Grecia settentrionale, chiamata anche Epiro. Venne ingiustamente accusato
da Odisseo di avere tradito i Greci ed avere ottenuto in cambio dell’oro dai Troiani (qui in particolare il riferimento è alla famosa guerra di Troia). Palamede venne condannato e ucciso. La sua morte divenne proverbiale come esempio di morte ingiusta.
Aiace Telamonio: uno degli eroi greci che combatterono la guerra contro Troia. Egli si tolse la vita dopo che le prodigiose armi
di Achille furono assegnate non a lui ma ad Odisseo.
5. Socrate
“Ma anche voi, giudici, dovete esser pieni di speranza di fronte alla morte e pensare che questa sola cosa è vera: niente può fare male a un uomo buono, né durante
la vita, né dopo la morte. Gli dèi hanno cura della sua sorte. Del resto anche la mia
vicenda non è andata a finire così per caso, ma sono ben certo che ormai morire ed
essere libero da tutte le cose era meglio per me. Per questo la voce del dèmone non
si è mai rivolta a me ed io non sento rancore per coloro che mi hanno condannato
e per i miei accusatori. Eppure non con questo intento essi mi hanno accusato e hanno votato contro, ma pensando di danneggiarmi, e per questo vanno biasimati.
Ma ora è ormai tempo di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada ad una sorte migliore, nessuno lo sa, tranne la divinità.18”
Platone, Apologia di Socrate, pp. 00
ESERCIZI
Mediante opportune citazioni testuali, rispondi alle seguenti domande:
Quali sono secondo Socrate le ragioni che hanno determinato l’ostilità verso di lui?
Perché finisce col ritenere che l’oracolo di Delfi abbia ragione?
Qual è la posizione di Socrate sulla morte?
Platone
L’elogio di Socrate pronunciato da Alcibiade
nel Simposio platonico
Leggiamo adesso due testi che mostrano una immagine molto diversa di Socrate. Sono tratti dal Simposio
di Platone e dalle Nuvole di Aristofane.
Il Simposio19 è la narrazione di quanto accadde nel corso di una serata ad un gruppo di amici, tra i quali
vi è anche Socrate. Invitati alla casa del comune amico Agatone (poeta tragico) e terminato il banchetto
decidono che ciascuno dei presenti pronuncerà un discorso in onore di Eros.
È bene ricordare che nella tradizione greca il simposio ha una funzione e un significato che attiene alla
sfera del sacro: agli ospiti venivano consegnati oli profumati, corone di fiori e le coppe per il vino; un’offerta simbolica a Zeus di vino e vivande era tradizionalmente accompagnata da canti: “l’offerta è in origine
un rito che deve rompere il tabù insito nel vino, bere significa penetrare nel demonico. [...] Il vino non è sem-
16. È Agamennone, personaggio omerico, capo della spedizione greca durante la lunga guerra di Troia.
17. Sisifo: re di Corinto, anch’egli, come Odisseo, dotato di una eccezionale furbizia che gli permise di incatenare addirittura
Thánatos, il dio della morte. Fu da Zeus condannato a spingere per tutta l’eternità un enorme masso su per una montagna.
18. Questa celebre chiusa dell’Apologia rimanda in modo assai efficace al problema della vita dopo la morte e dell’immor-talità dell’anima. È il tema che Platone tratta in uno dei dialoghi successivi, il Fedone.
ANTOLOGIA
quell’eroe che condusse il grande esercito a Troia16, o Odisseo, o Sisifo17, o gli infiniti altri che si potrebbero citare, uomini e donne! Sarebbe il colmo della felicità conversare e stare insieme ad essi.
17
II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
Il sé e l’altro
Percosri
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Figure del mito: Narciso, Euridice, Psiche, Ulisse
L’identità del sé
In questo percorso studieremo alcune figure del mito che possono esserci utili per
introdurre un tema tra i più importanti della filosofia, che già con Eraclito abbiamo
cominciato a trattare e che diverrà centrale a partire dalla ricerca teorica dei due secoli successivi: la coscienza di sé e il rapporto con la figura dell’altro.
In uno dei suoi celebri frammenti, Eraclito ha ricordato quanto difficile sia andare
alla ricerca di se stessi: “Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera
la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo Logos”. In questa ricerca, naturalmente, un peso determinante hanno gli altri, per quanto paradossale questo possa sembrare: cercando noi stessi, gli altri sono per noi uno specchio,
ci restituiscono un’immagine sulla cui base concepiamo il nostro sé.
A parte le prime riflessioni di Eraclito, e poi dei Pitagorici e di Empedocle sulla natura dell’anima – per noi piuttosto oscure perché fondate su brevi frammenti o testimonianze tarde – la filosofia ha posto a tema questo problema a partire dalla fine del V secolo, con Socrate. Perché quando i racconti che riguardano questi personaggi vengono posti per iscritto hanno già una lunga tradizione orale (fatta eccezione per il mito di Psiche). Va precisato che le figure che stiamo per studiare sono state
oggetto di analisi approfondite in sede filosofica (ma anche nell’arte e nella letteratura) nel Novecento, e dovremo quindi tornare su di esse studiando la filosofia del
XX secolo.
Narciso e lo specchio
La storia di Narciso ci è stata tramandata in versioni diverse (cosa comunissima per i
miti). Nel presentare la sua figura seguiremo qui la versione datane da Ovidio. Narciso
era dunque un giovane bellissimo, ma anche del tutto insensibile all’amore. Faceva innamorare di sé, ma non si innamorava, e provocava quindi disperazione d’amore.
La ninfa Eco si consumò d’amore al punto, racconta Ovidio, che della sua persona
rimase soltanto un flebile lamento.
“Cominciò a consumarsi dal di dentro, la pelle le si raggrinzì addosso, e nel giro sdi
pochi giorni sparì del tutto. Di lei restò nell’aria solo la voce, o per meglio dire la capacità
di ripetere l’ultima parola che udiva. Ormai Eco era diventata un suono”
Ovidio, Metamorfosi, III, 394-401
Le ninfe innamorate di lui volsero allora il loro amore in ostilità, perché offese
dalla sua indifferenza (la vicenda ricorda quindi quella di Orfeo dopo il ritorno dal-
5. Socrate
Un uomo appassionato amava un giovane crudele,
bello d’aspetto, ma non di cuore:
odiava chi l’amava e niente era dolce in lui,
non conosceva Eros, né il suo potere, né la forza
del suo arco, né le amare ferite dentro il petto
Teocrito, Idilli XXIII, 1-5
Il mito di Narciso è stato narrato in tutte le età. Nel Novellino, una raccolta di favole del Duecento, ne viene narrata in questo modo una versione:
Narcis fue molto bellissimo. Un giorno avenne ch’È si riposava sopra una bella fontana.
Guardò nell’acqua e vide l’ombra sua ch’iera molto bellissima: incominciò
a riguardarla e rallegrarsi sopra la fonte, e l’ombra sua facea il simigliante;
e così credette che quella fosse persona che avesse vita, che istesse nell’acqua, e non si
acorgea che fosse l’ombra sua. Cominciò ad amare, e inamoronne sì forte,
che la volle pigliare; e l’acqua si turbò e l’ombra spario, ond’elli
incominciò a piangere sopra la fonte; e l’acqua schiarando, vide l’obra che piangea
in sembiante sì com’egli. Allora Narcis si lasciò cadere nella fonte, di guisa che vi morio
e annegò
Il Novellino XLVI
“Così spuntò il fiore che ancora oggi si chiama narciso e che nel suo nome conserva
ancora la nostra antica parola narke, “stupore”1.
1. K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, I, p. 162
Percosri
l’Ade). Invocarono la vendetta degli dèi e la
Nemesi, dea che punisce gli eccessi, fece in
modo che Narciso vedesse il suo volto riflesso
nelle acque di una sorgente. Si innamorò immediatamente di quel volto, ma non sapeva di
essersi innamorato di se stesso. Si lasciò così
morire contemplando senza speranza la propria immagine. Sul luogo della sua morte nacque un fiore, che dal suo nome si chiama Narciso. È dunque possibile essere incapaci di
amare, e allo stesso tempo essere interamente
presi da se stessi.
Una versione diversa del mito, che si narrava in Beozia, narrava che Narciso era un
giovane bellissimo della città di Tespi, amato da un altro giovane di nome Amenia.
L’indifferenza di Narciso portò Amenia alla morte, ma prima di morire questi invocò
la maledizione degli dèi su di lui. Si innamorò immediatamente di quel volto, ma
non sapeva di essersi innamorato di se stesso. Si lasciò così morire contemplando
senza speranza la propria immagine. In un idillio Teocrito (poeta siracusano del III
secolo a.C.) così descrive un amore di questo tipo:
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Percosri
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
Euridice
Giovane, amatissima moglie di Orfeo, il mito narra che sia morta per il morso di un
serpente e che Orfeo per ritrovarla sia andato fin nell’aldilà, nel regno dei morti, e
abbia suonato le sue arie incantatrici per ottenere dagli dei degl’Inferi il ritorno
della sua amata.
I pittori e i poeti che in ogni epoca (moltissimi nel Novecento) hanno immaginato la
sua figura si sono concentrati sugli ultimi passi prima di uscire dal regno dei morti:
gli dèi infatti avevano avvertito Orfeo che se si fosse voltato a guardare Euridice l’avrebbe persa per sempre, e così avvenne. Ma le interpretazioni del mito divergono moltissimo: alcune dicono che sia stata Euridice a chiamare Orfeo, altre che sia stato lui a
non resistere e a voltarsi. Figura imprendibile la sua, come la immagina Virgilio:
Intorno mi assorbe
una notte fonda, e ormai non tua,
a te tendo le mie inerte mani.”
Così disse , e d’improvviso svanì,
in un profondo nulla, come fumo
che si dissolve in un lieve soffio di vento.
Virgilio, Georgiche, IV, v. 497 ss.
Il poeta tedesco Reiner Maria Rilke si è a lungo ispirato alla sua figura, e così narra
cosa accadde quando Orfeo si voltò:
Ormai non era più la donna bionda
Che altre volte nei canti del poeta
Era apparsa, non più profumo e isola
Dell’ampio letto e proprietà dell’uomo.
(...)
E quando a un tratto il dio
La trattenne e con voce di dolore
Pronunciò le parole “si è voltato”
Lei non comprese e disse piano: “Chi?”
E.M. Rilke, Sonetti a Orfeo
Rilke vede Euridice inconsapevole, già altrove, figura perduta già in un’altra sfera dell’essere. E Milton2 richiama la figura di Orfeo quando, parlando di sé, scrive i versi:
Ma mentre si chinava ad abbracciarmi
io mi destai, lei fuggì, e il giorno ricondusse la mia notte
J. Milton, Methought I saw
2. Milton, poeta inglese del ‘600, nel sonetto Methought I saw da cui sono tratti i versi citati, richiama espressamente un altro mito greco, quello di Alcesti, ma il senso complessivo della poesia è legato all’orfismo.
5. Socrate
L’antico mito è comune a molti popoli antichi, non solo greci. Una celebre e tarda
versione è narrata in un contesto da favola leggera da Apuleio, scrittore latino del
II secolo d.C. che la narra nel contesto dell’unico romanzo della letteratura latina
pervenutoci integro, dal titolo Metamorfosi o, con altro nome, Asino d’oro. Psiche è
una ragazza bellissima, tanto da suscitare l’invidia della stessa Afrodite, che va incontro ad un destino insieme bellissimo e misterioso. In un contesto favolistico, Amore si innamora di lei, e tutte le notti va da lei senza tuttavia che lei possa vederlo né
sapere chi è:
Nel buio più fitto uno strano rumore le giunse alle orecchie. Ella era sola nel suo pudore di
vergine e cominciò a tremare. Ed ecco che l’invisibile sposo entrò nel suo letto e la fece sua
Apuleio, Metamorfosi
Nasce così una lunga storia d’amore a cui Psiche si abbandona con tutta se stessa,
senza tuttavia conoscere nulla della persona di cui si è innamorata.
Una notte mentre Amore dorme al debole chiarore di una lucerna ad olio Psiche gli
si avvicina e lo vede, bellissimo. Ma una goccia d’olio bollente cade e lo ferisce, e
Amore vola via. Psiche lo ha perduto.
Disperata, lo cerca ovunque, e deve superare ogni tipo di prove che gli dèi le impongono, prove impossibili, che sono una donna innamorata può superare.
LABORATORIO FILOSOFICO
1 Un percorso individuale di approfondimento
filosofico sui testi
Non abbiamo presentato adesso le riprese novecentesche su queste figure del mito perché la comprensione degli autori che ne trattano richiede un inquadramento generale sul pensiero del Novecento. Tuttavia è certo possibile cominciare individualmente un
percorso di approfondimento su almeno due delle figure che abbiamo studiato: Narciso e Ulisse.
Di Narciso si è occupato Freud elaborando la complessa nozione
di narcisismo. Della nascita del sé in rapporto alla figura di Ulisse si sono occupati i filosofi tedeschi Horkheimer e Adorno, di cui
abbiamo citato alcuni testi. In entrambi i casi si tratta di scritti difficili, ma vi sarà tempo di tornarvi sopra studiando la filosofia del
XX secolo; vanno quindi affrontati sapendo che molte cose potranno essere comprese a fondo solo più avanti.
2 Un percorso individuale di approfondimento
letterario sui testi
Abbiamo nel percorso richiamato alcuni testi poetici o letterari
(antichi, come quelli di Virgilio o di Apuleio, moderni come quelli
di Rilke). Si tratta di testi molto più semplici di quelli filosofici e,
per chi è appassionato di poesia, affascinanti. Questo esercizio è
quindi, semplicemente, un invito ad una lettura più ampia, rispetto ai pochi testi che qui abbiamo richiamato.
3 Un percorso individuale di approfondimento
sulle immagini
Ciascuna delle figure mitiche che abbiamo qui studiato è stata oggetto di molte raffigurazioni, sia nell’antichità che nell’epoca moderna, e ha offerto materia anche per il mondo del cinema.
Troverai alcune raffigurazioni alle pp. 0, ma è possibile estendere
moltissimo la ricerca. Per il tema che più ti interessa, utilizzando
opportune parole-chiave fai una ricerca su Internet presentandone i risultati in maniera ordinata in un file (se ti è possibile di
Power Point) in cui la sequenza delle immagini trovate sia opportunamente illustrata e commentata.
4 Una pagina del Diario personale
In ogni tempo gli antichi racconti intorno alle figure che abbiamo richiamato in questo breve percorso, o ad altre del mito sul tema dell’identità del sé, hanno spinto alla riflessione personale, perché è possibili che vi siano echi in noi delle vicende narrate. Se è
così, è certamente utile scrivere una pagina di riflessione sul proprio Diario personale, sul tema del sé e dell’altro in rapporto a questa o a quella figura del mito.
Percosri
Psiche
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Per approfondire
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
1. L’ironia socratica
Dopo aver ricevuto il testo d’accusa, il magistrato preparava
tutto il materiale istruttorio in attesa del giorno del processo,
che si svolgeva nell’arco di un solo giorno: dopo la lettura
dell’atto di accusa veniva data la parola prima all’accusatore
poi all’accusato. Nel corso del dibattimento era possibile
all’accusatore ritirare l’accusa, se vedeva che le cose andavano
male per lui. In caso di condanna erano possibili due ipotesi:
si distinguevano infatti i processi con pena da proporre da
quelli in cui la pena era già fissata dalla legge. Nel primo
caso, quello di Socrate, le due parti facevano le loro proposte
e le sottoponevano alla decisione del tribunale, che poteva
anche invitare le parti ad un accordo preliminare.
P. Hadot,1 Che cos’è la filosofia antica?
Il compito di Socrate, quello che gli è stato affidato dall’Oracolo di Delfi, ovvero da dio Apollo, dice l’Apologia,
sarà dunque quello di rendere coscienti gli altri uomini della loro non sapienza. Per compiere una simile missione, Socrate farà proprio l’atteggiamento di colui che
non sa nulla, ossia l’atteggiamento dell’ingenuo. Ecco la
ben nota ironia socratica: la finta ignoranza l’aria candida con la quale, ad esempio, il filosofo ha indagato per
scoprire se esistesse un uomo più sapiente di lui. (...)
Non si tratta di un atteggiamento artificiale, di un uso
ad oltranza della dissimulazione, ma piuttosto di una
sorta di umorismo che rifiuta di prendere completamente sul serio gli altri e se stessi, perché effettivamente, tutto ciò che è umano, e per lo meno ciò che è filosofico, è cosa ben poco certa per la quale non si può insuperbire. La missione di Socrate consiste, dunque, nel
rendere coscienti gli uomini del loro non-sapere. (...)
Quando Socrate pretende di non sapere che una cosa, cioè di non sapere nulla, è perché rifiuta l’idea tradizionale del sapere. Il suo metodo filosofico non consisterà nel trasmettere nel trasmettere un sapere, il che
equivarrebbe a rispondere alle domande dei discepoli,
ma al contrario nell’interrogare i discepoli, dato che lui
stesso non ha niente da dire, niente da insegnare riguardo al contenuto teorico del sapere. Non si tratta di un
atteggiamento artificiale, di un uso ad oltranza della dissimulazione, ma piuttosto di una sorta di umorismo che
rifiuta di prendere completamente sul serio gli altri e se
stessi, perché effettivamente, tutto ciò che è umano, e
per lo meno ciò che è filosofico, è cosa ben poco certa
per la quale non si può insuperbire. La missione di Socrate consiste, dunque, nel rendere coscienti gli uomini
del loro non-sapere.
L’ironia socratica consiste nel fingere di voler imparare qualcosa dal proprio interlocutore, al fine di condurre quest’ultimo a scoprire di non sapere nulla sull’argomento riguardo al quale pretende di essere sapiente.”
Quando2 Socrate pretende di non sapere che una cosa,
cioè di non sapere nulla, è perché rifiuta l’idea tradizionale del sapere. Dato che lui stesso non ha niente da
dire, niente da insegnare riguardo al contenuto.
RISPONDI ALLE SEGUENTI DOMANDE
Che cosa significano le nozioni di coscienza, ingenuità,
umorismo, missione, utilizzate da Hadot?
Che cos’è la dissimulazione?
2. L’enigma di Socrate
Teoricamente ciascuno avrebbe dovuto compilare da sé il
proprio discorso, ma in realtà esistevano scrittori professionisti
che a pagamento stilavano i discorsi che poi le parti
pronunciavano, dopo averli imparati a memoria. In ogni caso,
i discorsi dovevano durare un tempo stabilito, misurato
attraverso una clessidra.
Nel corso del dibattimento era possibile all’accusatore ritirare
l’accusa, se vedeva che le cose andavano male per lui. In caso
di condanna erano possibili due ipotesi. Nel primo caso,
quello di Socrate, le due parti facevano le loro proposte e le
sottoponevano alla decisione del tribunale, che poteva anche
invitare le parti ad un accordo preliminare. Infine la sentenza.
Essa veniva notificata per iscritto all’interessato e agli undici
magistrati incaricati della sua esecuzione, quindi depositata.
M. Vegetti,3 Quindici lezioni su Platone
Enigmatico Socrate lo è certamente per noi, ma lo fu
probabilmente anche per i suoi contemporanei, e per i
suoi stessi discepoli. Questo enigma socratico ebbe, fin
1. Milton, poeta inglese del ‘600, nel sonetto Methought I saw da cui sono tratti i versi citati, richiama espressamente un altro mito greco, quello di Alcesti, ma il senso complessivo della poesia è legato all’orfismo.
2. Palamede: era il re dell’Eubea, una zona della Grecia settentrionale, chiamata anche Epiro. Venne ingiustamente accusato da
Odisseo di avere tradito i Greci ed avere ottenuto in cambio dell’oro dai Troiani (qui in particolare il riferimento è alla famosa.
3. K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, I, p. 162
5. Socrate
dall’inizio, molti aspetti. In primo luogo l’anomalia della collocazione sociale. Socrate, figlio di un modesto
scultore e di una levatrice, apparteneva a quel ceto artigianale che costituiva la base sociale della democrazia ateniese.
Agli artigiano Socrate non cessò mai di riferirsi, sia
come interlocutori diretti del suo conversare intorno ai
problemi della città, sia, metaforicamente, come esempio di una competenza tecnica, sicura e trasmissibile entro i suoi limiti, ma che questi limiti non doveva pretendere di superare. (...) D’altra parte Socrate annoverava
tra i suoi amici e allievi anche esponenti della grande
aristocrazia ateniese, dalla cerchia familiare dello stesso Crizia a giovani brillanti come Alcibiade e Platone.
(...) Un secondo, e anche più inquietante, aspetto dell’enigma di Socrate consisteva nella sua “sapienza”. (...)
Chi era allora il vero Socrate? E quali le ragioni della forte impressione che egli suscitò, nel bene e nel male, nella vita culturale di Atene in cui non mancavano
certo personaggi di spicco? È molto difficile tentare di rispondere a queste domande indicando i contenuti del
pensiero e dell’insegnamento di Socrate: su di essi siamo,
allo stesso tempo, troppo poco e troppo informati. Troppo poco, naturalmente, perché Socrate non scrisse nulla. Ancora nella seconda metà del V secolo, il ricorso alla scrittura non era considerato socialmente normale per
i cittadini ateniesi. (...) Scrivevano, certo, intellettuali
professionisti – di norma non ateniesi – come i medici, i
maestri di retorica, gli architetti, nella forma della manualistica tecnica; scrivevano gli storici, come Erodono
e Tucidide, per fissare nella scrittura i loro racconti dopo averli probabilmente esposti al pubblico nella forma
della performance orale; gli autori di teatro mettevano
per iscritto i loro copioni, destinati però non alla pubblica lettura ma alle compagnie che dovevano recitarli.
La scrittura era insomma considerata come propria di attività professionali remunerate, apprezzate e socialmente non valorizzate e per questo affidate a stranieri.
La seconda ragione è di ordine intellettuale. (...) Socrate sosteneva, come si è visto, di non avere alcuna sapienza da trasmettere, di non possedere alcuna verità
da proclamare – se non un atteggiamento critico, un richiamo alla riflessione, che potevano solo assumere la
forma del dialogo diretto, della comunicazione orale immediata da uomo a uomo. Il ricorso alla scrittura non
era considerato socialmente normale per i cittadini socialmente ateniesi.
RISPONDI ALLE SEGUENTI DOMANDE
Quali “anomalie” riscontra Vegetti nella figura di Socrate?
Quali ragioni indica Vegetti per spiegare il fatto che Socrate non abbia scritto nulla?
Per approfondire
dall’inizio, molti aspetti. In primo luogo l’anomalia della collocazione sociale. Socrate, figlio di un modesto
scultore e di una levatrice, apparteneva a quel ceto artigianale che costituiva la base sociale della democrazia ateniese.
Agli artigiano Socrate non cessò mai di riferirsi, sia
come interlocutori diretti del suo conversare intorno ai
problemi della città, sia, metaforicamente, come esempio di una competenza tecnica, sicura e trasmissibile entro i suoi limiti, ma che questi limiti non doveva pretendere di superare. (...) D’altra parte Socrate annoverava
tra i suoi amici e allievi anche esponenti della grande
aristocrazia ateniese, dalla cerchia familiare dello stesso Crizia a giovani brillanti come Alcibiade e Platone.
(...) Un secondo, e anche più inquietante, aspetto dell’enigma di Socrate consisteva nella sua “sapienza”. (...)
Chi era allora il vero Socrate? E quali le ragioni della forte impressione che egli suscitò, nel bene e nel male, nella vita culturale di Atene in cui non mancavano
certo personaggi di spicco? È molto difficile tentare di
rispondere a queste domande indicando i contenuti del
pensiero e dell’insegnamento di Socrate: su di essi siamo, allo stesso tempo, troppo poco e troppo informati.
Troppo poco, naturalmente, perché Socrate non scrisse nulla. Aveva almeno due buone ragioni per farlo. La
prima di esse è di ordine sociale: ancora nella seconda
metà del V secolo, il ricorso alla scrittura non era considerato socialmente normale per i cittadini ateniesi. (...)
Scrivevano, certo, intellettuali professionisti – di norma
non ateniesi – come i medici, i maestri di retorica, gli architetti, nella forma della manualistica tecnica; scrivevano gli storici, come Erodono e Tucidide, per fissare
nella scrittura i loro racconti dopo averli probabilmente esposti al pubblico nella forma della performance
orale; gli autori di teatro mettevano per iscritto i loro copioni, destinati però non alla pubblica lettura ma alle
compagnie che dovevano recitarli. Non scrivevano, invece, i politici della città e i suoi cittadini eminenti; la
scrittura era insomma considerata come propria di attività professionali remunerate, apprezzate e socialmente non valorizzate e per questo affidate a stranieri.
La seconda ragione è di ordine intellettuale. (...) Socrate sosteneva, come si è visto, di non avere alcuna sapienza da trasmettere, di non possedere alcuna verità
da proclamare – se non un atteggiamento critico, un richiamo alla riflessione, che potevano solo assumere la
forma del dialogo diretto, della comunicazione orale immediata da uomo a uomo.
Nulla di tutto questo poteva venire scritto e tramandato alle generazioni successive.
“Enigmatico Socrate lo è certamente per noi, ma lo
fu probabilmente anche per i suoi contemporanei, e per
i suoi stessi discepoli. Questo enigma socratico ebbe, fin
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CONFRONTI E APPROFONDIMENTI PERSONALI
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II Atene, V secolo a.C. La filosofia in una necropoli dell’antichità
1. Porre la coscienza al centro
dell’attenzione
Le lettura dei testi della Apologia di Socrate ci mostra
un filosofo che mette al centro della riflessione la
propria coscienza, e con essa quella dei suoi
interlocutori: dunque non l’uomo in generale, ma la
coscienza individuale di ciascuno, su cui nessun altro
ha la possibilità di indagare a fondo dall’interno. Su
questo tema importanti spunti di riflessione tornano
nel discorso di Alcibiade del Simposio platonico
riportato a p. 0.
Ti proponiamo un lavoro di sintesi su questi temi,
che potrà servirti per lo studio dei filosofi successivi
che, soprattutto seguendo la tradizione platonica,
metteranno anch’essi al centro dell’attenzione la
coscienza. Identifica, utilizzando una terminologia
filosofica corretta, cinque tesi socratiche sulla
coscienza umana e per ciascuna di esse seleziona,
per commentarle, alcuni brevi passi dalle due opere
platoniche su Socrate pertinenti con la tua tesi.
Per approfondimenti vai ai testi antologici
del sito www.socrates.it
2. Anassagora e Socrate sotto accusa
Erano fondate le accuse rivolte in celebri processi ad
Anassagora e a Socrate? I filosofi stavano veramente
minando le fondamenta della civiltà tradizionale, su cui
si basava la convivenza civile nella polis di Atene?
Corrompevano davvero i giovani? Erano davvero atei? E
comunque, come si concilia il fatto che sia stata una
democrazia a mettere a morte un filosofo, colpevole al
massimo di un reato d’opinione? Questo non getta una
luce inquietante sulla democrazia greca?
Negli ultimi anni sono stati prodotti molti studi su
questi temi, di grande interesse per varie ragioni,
compreso il fatto che Socrate non è certo l’ultimo ad
essere stato processato e condannato soltanto per
avere pubblicamente sostenuto delle idee diverse da
quelle correnti, e pericoli simili se ne corrono sempre.
Un modo per toccare con mano la questione è
riproporre in classe il processo a questi grandi uomini
del passato. La classe si divide: uno studente assume
le vesti di Socrate, un altro di Anassagora, altri
faranno la parte dei sofisti e degli altri intellettuali
dell’epoca, compreso Aristofane, altri
impersoneranno gli accusatori, altri i giudici. Testi
alla mano, in un confronto dialettico che mira
a comprendere meglio quanto accadde.
Per approfondimenti vai ai testi antologici
del sito www.socrates.it
3. Che cos’è la filosofia?
Le parole che seguono sono di Plutarco, un filosofo del
I-II secolo d.C., che non può tramandarci nulla di
diretto su Socrate, perché scrive cinque secolo dopo la
sua morte, ma può testimoniarci il persistere di un
certo modello di filosofia che ha in Socrate il proprio
uomo ideale. Ecco il testo:
“La maggior parte delle persone immagina che la
filosofia consista nel dibattere dall’alto di una
cattedra e nel fare corsi su alcuni testi. Ciò che
tuttavia sfugge, a persone del genere, è la filosofia
ininterrotta che ogni giorno si vede esercitata in
modo perfettamente uguale a se stessa (...).
Socrate non faceva disporre sedili per gli uditori,
non si sedeva in una cattedra professorale; non
aveva un orario fisso per discutere o passeggiare
con i suoi discepoli. Ma scherzando con loro,
bevendo o andando alla guerra o all’agorà, e alla
fine andando in prigione e bevendo il veleno, egli
ha filosofato. È stato il primo a dimostrare che, ma
scherzando con loro, bevendo o andando alla
guerra o all’agorà, e alla fine andando in prigione
e bevendo il veleno, egli ha filosofato. con ogni
tempo e in ogni luogo, in tutto ciò che ci accade e
in tutto ciò che facciamo, la vita quotidiana dà la
possibilità di filosofare”
Plutarco, Se un anziano debba fare politica, 26.796d
A commento di questo testo, dopo avere studiato
sia la filosofia del VI secolo che quella del V ad
Atene, e il pensiero dei sofisti e di Socrate, scrivi a
tua volta un testo in risposta alla domanda: che
cos’è la filosofia?
Immagina che a porti la domanda sia una persona
che la filosofia non la conosce e tu debba dare
un’idea sintetica ma precisa di questa disciplina che
studi a scuola.
Per approfondimenti vai ai testi antologici
del sito www.socrates.it
Per ulteriori approfondimenti e informazioni consulta www.philosophica.it