La cheratocongiuntivite Vernal

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Le Emergenze
La cheratocongiuntivite Vernal
Neri Pucci, Chiara Azzari, Alberto Vierucci
Servizio di Allergologia, Centro di Allergologia e Broncopneumologia, Clinica Pediatrica II,
Azienda Ospedaliera-Universitaria “A. Meyer”, Firenze
[email protected]
Premessa
stima è di < 1 caso su 10.000 nell’Unione Europea,
quando la definizione di malattia rara è di < 5 casi su
10.000 1). Al di là delle considerazioni epidemiologiche, eravamo allora fortemente motivati a rispondere
alle domande pressanti che venivano poste dai quei
genitori: “Che malattia ha il bambino? Come si cura?
Si guarisce? Quando? C’è rischio di complicazioni e/o
esiti permanenti?”. Le risposte a queste domande di
salute e di qualità di vita per i propri figli erano state, spesso per anni, sistematicamente inevase: questi bambini (allora poche decine) erano “rimbalzati”
tra oculisti che li spedivano all’allergologo ed aller-
Sembra passato un secolo da quando, dieci anni fa
abbiamo iniziato a “prendere in carico” presso il centro di Allergologia dell’ospedale “Meyer”, a Firenze, i
bambini con cheratocongiuntivite Vernal (VKC). La Figura 1, aggiornata annualmente, mostra il numero di
pazienti che in questi anni sono affluiti al centro, affetti da questa affezione “allergica” oculare.
L’incremento annuo e il numero assoluto di pazienti osservati è francamente notevole, per non dire
sorprendente, per una malattia rara come la VKC (la
Fig. 1. Afflusso annuale di pazienti con VKC al centro allergologico dell’ospedale pediatrico “A. Meyer” di Firenze.
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gologi che li rispedivano agli oculisti, con il risultato
di un peregrinare continuo tra insuccessi terapeutici e uso eccessivo di cortisonici. Qualche bel lavoro
era pur uscito, in cui Autori più esperti ed audaci di
noi avevano iniziato ad utilizzare un farmaco per via
oculare, la ciclosporina, sostituto naturale del cortisone per altre condizioni in cui si richiede una immunosoppressione, prima tra tutte la profilassi del rigetto di trapianti d’organo. L’allestimento delle preparazioni oculari iniziò presso la farmacia del “Meyer”, addizionando olio d’oliva (sterilizzato) a Sandimmun in
sospensione orale. Nessuno di noi, allergologi, oculisti e farmacisti poteva prevedere l’effetto che quel
farmaco avrebbe prodotto sull’incremento di pazienti che avremmo osservato negli anni successivi. Il collirio funzionava eccome, si dava finalmente sollievo
ai bambini e alle loro famiglie, che potevano finalmente uscire presto al mattino per andare a scuola
e, con i dovuti accorgimenti, andare al mare, in piscina, guardare la tv, giocare nei prati al sole come gli altri coetanei. Insomma, la qualità della vita aveva fatto
un bel balzo in avanti.
un rapporto di 2-3/1 nelle varie casistiche (2,7/1 in 110
bambini del nostro gruppo 5).
Manifestazioni cliniche
Sintomatologia soggettiva
La sintomatologia soggettiva è caratterizzata da prurito oculare, lacrimazione, bruciore, sensazione di
corpo estraneo e fotofobia, tutti sintomi di intensità
variabile 2; all’esordio della VKC i sintomi possono essere di breve durata, pochi giorni o settimane, magari nel corso di una vacanza estiva a basse latitudini (il
Mar Rosso, Creta, le isole dell’Egeo). Dopo una o due
stagioni il quadro clinico inizia a manifestarsi tipicamente all’inizio della primavera o alla fine dell’inverno con progressivo peggioramento nel periodo estivo e miglioramento con l’arrivo dell’autunno. La difficoltà di adattamento alla luce, specie all’esterno, è un
sintomo importante, specie se è presente anche vento, polvere e soprattutto irraggiamento solare; se la
fotofobia è molto intensa, è necessario escludere una
lesione della cornea 4. All’acme delle manifestazioni
cliniche il difficoltoso adattamento alla luce al risveglio può determinare ritardi nell’arrivo a scuola, difficoltà nel soggiorno scolastico spesso non sufficientemente compreso dagli insegnanti e dai compagni.
Gli occhiali scuri, indispensabili all’aperto, spesso sono necessari anche al chiuso: a tal scopo può capitare
che la scuola possa richiedere un certificato medico
(sic!). Ci sono poi altre situazioni ambientali in grado
di indurre o esacerbare la sintomatologia: il soggiorno in zone innevate, la esposizione a fonti di luce alogena (neon), la esposizione prolungata a schermi come le Play Stations.
Definizione
La VKC è inquadrata tra le congiuntiviti allergiche croniche che comprendono anche la cheratocongiuntivite
atopica (AKC) dell’adulto, la congiuntivite gigantopapillare (GPC), legata in passato all’uso di lenti a contatto
corneale, la congiuntivite allergica stagionale (SAC) e la
congiuntivite allergica perenne (PAC) 2. Si tratta di una
affezione cronica bilaterale, spesso severa, a rischio
di esiti permanenti se non adeguatamente trattata.
Il termine cheratocongiuntivite implica un possibile
coinvolgimento della cornea con conseguente compromissione del visus. “Vernal” significa letteralmente “primaverile”, termine che indica il momento della riacutizzazione clinica e non il periodo esclusivo in
cui si manifesta la sintomatologia. La VKC inizia a manifestarsi nella prima decade di vita, solitamente non
prima dei 3 anni e tende a risolversi spontaneamente dopo la pubertà, alla fine della seconda decade 3.
Geograficamente è diffusa nelle aree a clima caldo e
temperato come il bacino del Mediterraneo, il Medio
Oriente, la penisola dell’Anatolia, la penisola arabica,
l’India, il Pakistan, il Giappone. Come dicevamo, la sintomatologia inizia in primavera e si esacerba nel periodo estivo, con tendenza alla remissione nel periodo
autunno-invernale; si distinguono peraltro forme stagionali (primaverili-estive) e forme perenni, nelle quali
comunque la fase primaverile-estiva è la più grave 3 4.
Il sesso maschile è interessato prevalentemente, con
Segni oculari
Lo score oculare. L’esame obiettivo oculare è volto essenzialmente alla ricerca di 4 segni: 1) la iperemia
congiuntivale; 2) la ipertrofia papillare, visibile nella
congiuntiva tarsale, caratterizzata da piccole papille,
di diametro fino a 3 mm; 3) le papille giganti, di diametro da 3 a oltre 6 mm, presenti tipicamente sulla
congiuntiva tarsale superiore (Fig. 2); 4) le papille nella regione del limbus, cioè la regione circolare di confine tra la sclera e la cornea; questi infiltrati sono di
aspetto ialino, o opalescenti. Sulla sommità delle papille al limbus si possono talora osservare punti giallastri (noduli di Trantas). Le papille giganti e gli infiltrati al limbus sono patognomonici 5 6 e definiscono
con la loro presenza 3 varianti di VKC: la forma tarsale
o palpebrale, caratterizzata da papille giganti tarsali;
la forma bulbare o limbare, caratterizzata da papille
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Fig. 2. Papille giganti sulla congiuntiva tarsale superiore
(Pucci, 2005).
Fig. 3. Ciglia lunghe in un paziente con VKC (Pucci,
2005).
al limbus; la forma mista caratterizzata da entrambi i
reperti. Ciascuno dei 4 segni oculari dovrebbe essere
adeguatamente definito da uno score oculare (punteggio da zero a tre per ciascun segno) effettuato da
un oculista esperto, in modo da definire il grado di
severità utile per decidere la terapia.
Le lesioni corneali. La flogosi congiuntivale cronica determina un aumento della fragilità dei tessuti oculari
di superficie: cheratite puntata, abrasioni corneali e
franche ulcere corneali (a scudo) possono osservarsi
non di rado nel decorso, specie nei periodi di maggior
intensità della sintomatologia, ma non solo. Quantità rilevanti di Major Basic Protein (MBP) derivante dai
granulociti eosinofili si ritrovano sul fondo delle ulcere 7, ad indicare un ruolo patogenetico di queste cellule. Per la formazione di una ulcera corneale può bastare un microtrauma come lo stropicciamento degli
occhi, una “pallonata” accidentale durante una partita di calcio, ma talvolta manca una motivo evidente:
alcuni pazienti hanno una maggior predisposizione a
sviluppare ulcere o altre lesioni corneali per un certo
arco di tempo, indipendentemente dalla gravità del
quadro clinico. Le lesioni corneali acute devono essere riconosciute rapidamente al fine di instaurare una
terapia adeguata, come vedremo, che possa evitare il
rischio di esiti permanenti.
Le ciglia lunghe. A seguito della osservazione occasionale di ciglia molto lunghe in alcuni pazienti (Fig. 3),
abbiamo effettuato uno studio sulla lunghezza delle ciglia in un campione di 93 bambini con VKC, confrontandolo con un gruppo di controllo (2 controlli
per ogni caso appaiati per sesso ed età) 8. Abbiamo
quindi potuto dimostrare che i bambini con VKC hanno le ciglia superiori significativamente più lunghe di
quelle dei controlli appaiati per sesso ed età (Fig. 4);
inoltre la lunghezza delle ciglia è risultata indipendente dall’età, a differenza dei bambini sani in cui si è
trovata una correlazione inversa tra età e lunghezza
delle ciglia. Una correlazione positiva è inoltre emersa tra lunghezza delle ciglia e severità del quadro clinico. Questi dati, apparentemente fini a se stessi, in
realtà possono indicare la presenza di un epifenomeno derivante dalla flogosi oculare; l’allungamento
Fig. 4. Lunghezza delle ciglia in pazienti con VKC e controlli (Pucci, 2005).
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delle ciglia potrebbe essere spiegato come un meccanismo di protezione dell’occhio da quei fattori ambientali, e in primo luogo la radiazione luminosa, così
nocivi ai pazienti al punto da essere considerati rilevanti fattori patogenetici. Da nostri dati non pubblicati 9 risulta che le ciglia tendono a modificare la loro lunghezza nei periodi di rapide modificazioni cliniche: così esse sembrano allungarsi nei primi mesi di
malattia durante il rapido peggioramento e, viceversa, ad accorciarsi con il miglioramento rapido indotto
dalla ciclosporina.
allergeni 4 5 13. Ogni allergologo, o comunque chiunque si occupa di allergologia clinica, sa benissimo
che l’andamento stagionale della VKC non correla
con alcuna esposizione allergica specifica, dai pollini, agli acari alle muffe ecc. Inoltre non esiste una
allergia IgE-mediata così “potente” da resistere ai
comuni trattamenti con antistaminici ed esclusivamente cortico-dipendente.
Un fattore talora invocato, ma spesso solo tra le righe, è costituito dalla radiazione luminosa 13: è in effetti sorprendente la sovrapposizione esistente tra
l’andamento della intensità della radiazione ultravioletta nell’arco dell’anno e l’andamento clinico
della VKC; se a ciò si aggiunge la distribuzione geografica e soprattutto la dipendenza dalla latitudine
sulla frequenza e gravità delle manifestazioni cliniche, allora è facile dedurre che un fattore fisico legato ai raggi solari è probabilmente decisivo. Cappello e occhiali scuri alleviano i sintomi 14, e così il sole
basso sull’orizzonte, le nubi, il buio, la notte. È dunque nostra convinzione che la chiave eziopatogenetica della VKC sia da ricercare in questo ambito.
Studi ormai validati mostrano che la VKC è una patologia da Th2: una prevalenza di questo tipo di Thelper è stata riscontrata sia nelle lacrime che su
biopsie congiuntivali dei pazienti affetti 15 16. Mastociti ed eosinofili in gran quantità sono stati riscontrati nella congiuntiva; Interleukina-5 ed ECP (Eosinophil Cationic Protein) si sono pure ritrovati elevati
nel secreto lacrimale di questi pazienti 17 18. I livelli
ematici di ECP, eosinofili e IgE totali si sono dimostrati più elevati in pazienti con VKC rispetto ai controlli 5. Comunque i pazienti con VKC che presentavano anche sensibilizzazione IgE avevano, nel nostro studio, livelli più elevati rispetto ai non-sensibilizzati di ECP sierica, IgE totali ed eosinofili periferici (Fig. 5).
La flogosi cronica congiuntivale nella VKC è stata
assimilata al rimodellamento osservato nella flogosi allergica, in particolare nella infiammazione
bronchiale dell’asma 13 19. In effetti l’ulcera corneale
è il risultato della degenerazione epiteliale e determina ispessimento della membrana basale subepiteliale; la proliferazione fibrovascolare e produzione di collagene determina la formazione di papille giganti e la metaplasia mucosa dà luogo alla abbondante produzione di muco. Di recente 20 questi
dati sono stati confermati, anche se la fibrosi non
sembra prevalere rispetto agli eventi più acuti della flogosi; e prova ne è che una terapia medica ben
condotta determina una regressione totale delle lesioni, così come, del resto avviene con la risoluzione spontanea.
Eziopatogenesi
L’analisi di oltre 300 pazienti afferenti al nostro centro allergologico ha consentito di identificare una
familiarità per VKC in 14 famiglie, pari al 5%. Abbiamo quindi esaminato la distribuzione degli aplotipi
HLA in 20 pazienti affetti da VKC familiare appartenenti a 14 famiglie e in 19 pazienti affetti da forma
sporadica 10. Nei soggetti con VKC familiare abbiamo
riscontrato l’aplotipo HLA19 nel 75% dei casi, contro il 17% negli affetti da forma sporadica (p < 10-6)
(dati non pubblicati). Anche l’aplotipo HLA A32 è risultato presente nel 30% delle forme familiari e nel
5% delle sporadiche (p < 0,003). Si tratta dell’unico dato conosciuto che correla la VKC ad un fattore
genetico preciso. Lo studio si è reso possibile grazie
all’elevato numero di pazienti che ha consentito di
individuare un piccolo, se pur consistente, subset di
pazienti con familiarità per VKC. Ulteriori studi consentiranno di identificare fattori predisponenti anche nelle più rappresentate forme sporadiche.
Una predisposizione genetica emerge anche da
uno studio sulla popolazione residente nell’area di
Stoccolma 11: la prevalenza di VKC è 10 volte superiore nella popolazione di origine africana rispetto
a quella svedese (0,1% contro 0,01%).
La netta prevalenza del sesso maschile e l’epoca
puberale quale momento decisivo per l’evoluzione
positiva del quadro clinico, denotano l’importanza
dei fattori ormonali in questa affezione. Sulle cellule tarsali e bulbari dei pazienti si sono riscontrati
alti livelli di recettori per estrogeni e progestinici,
considerati importanti mediatori della flogosi eosinofila 12.
La eziologia della VKC rimane peraltro sconosciuta.
Una sensibilizzazione ai comuni allergeni inalanti
e alimentari si riscontra in circa la metà dei casi, a
conferma che si tratta di un fattore predisponente
ma assolutamente non necessario, dato che il 50%
dei pazienti risulta cutinegativo e sieronegativo per
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si dei sintomi in estate che non è presente nella
congiuntivite stagionale allergica da pollini, nella
quale si ha una risoluzione critica della sintomatologia con la fine della primavera;
3. l’insensibilità ai comuni trattamenti antiallergici,
specie agli antistaminici, sia per via oculare che
per via generale;
4. la conseguente dipendenza da trattamenti che
utilizzano corticosteroidi, unici farmaci in grado
di produrre benefici.
Come già riportato la certezza della diagnosi deriva dalla valutazione obiettiva da parte di un oculista
esperto che consentirà di evidenziare papille giganti
tarsali e/o papille al limbus.
Terapia
Fig. 5. Parametri immunologici e tipologia della VKC.
Chiunque abbia avuto occasione di valutare pazienti
con VKC iniziata da qualche anno, avrà certo potuto
visionare ricette con lunghe liste di preparati oculari,
per lo più inefficaci, prescritte da numerosi professionisti. Ma tra le terapie proposte, ciò che veramente
non vorremmo più vedere nelle cartelle cliniche personali di questi pazienti, sono, ad esempio, le prescrizioni per immunoterapia specifica e, ancor più, diete
drastiche di esclusione basate su test alternativi.
Come più volte specificato nel corso della trattazione, farmaci per uso topico diversi dai corticosteroidi
sono stati utilizzati in passato nel trattamento della
VKC, con risultati positivi descritti per forme cliniche
lievi o moderate: si tratta di antistaminici, inibitori
della degranulazione mastocitaria, antinfiammatori
non-steroidei 4 24-26. Nella letteratura recente abbiamo recensito alcuni studi sull’efficacia di ketotifene,
olopatadina, e lodoxamide, per via topica 27 28. È fuor
di dubbio che è necessario testare questi farmaci nei
singoli pazienti prima di considerare l’impiego di immunosoppressori per via topica: la nostra esperienza personale è comunque sostanzialmente negativa.
Quando siamo in fase acuta con presenza di papille
giganti tarsali e/o al limbus, queste terapie, nella nostra esperienza, sono totalmente inefficaci.
I preparati cortisonici per uso topico sono, viceversa, assai efficaci ed utili: si possono peraltro impiegare per cicli brevi (7-10 giorni) ripetibili 3-4 volte
l’anno. I cortisonici sono insostituibili in caso di lesioni corneali acute, in cui è assolutamente necessaria una immunosoppressione per evitare i rischi
di esiti cicatriziali (leucomi). Poiché la fase acuta si
svolge nell’arco di 5-6 mesi l’anno, in media, la terapia esclusiva con cortisonici topici non è proponibile, dato che andrebbe effettuata con continuità,
Sequele permanenti
L’impiego prolungato di corticosteroidi può determinare aumento della pressione oculare, glaucoma,
cataratta. In letteratura dal 2 al 20% dei pazienti non
adeguatamente trattati può andare incontro a queste sequele 4 21. Cicatrici corneali da ulcere non esitate a restitutio sono descritte dal 6 al 12% dei casi; nel
15% delle forme gravi 21 si possono inoltre manifestare altri esiti permanenti come cheratocono, astigmatismo, esiti cicatriziali da superinfezioni.
Il cheratocono (assottigliamento per cedimento della
struttura corneale) è descritto nel 26,8% degli occhi in
82 pazienti 22 e nel 15% su 100 bambini pakistani 23. Più
che di vero e proprio cheratocono si tratta di assottigliamento dello spessore corneale, il più delle volte a
carattere non evolutivo: comunque il dato è veramente consistente ed invita a riflettere sulla necessità di
istituire una terapia adeguata.
Criteri diagnostici
La diagnosi di VKC è relativamente semplice o, meglio, possiamo dire che è molto facile porre il sospetto diagnostico. Da quanto abbiamo precedentemente detto, infatti, esistono alcuni elementi nell’anamnesi e nelle manifestazioni cliniche che, messi assieme, consentono di fare diagnosi di VKC:
1. l’età all’esordio (3-8 anni nel 70-80% dei casi);
2. l’andamento tipicamente stagionale primaverile-estivo (in particolare il perdurare e l’aggravar-
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con inevitabili rischi (ipertensione oculare, glaucoma, cataratta).
L’impiego della ciclosporina per via oculare risale alla
fine degli anni ’80; nelle ultime 2 decadi questo farmaco è stato impiegato in studi clinici in doppio cieco contro placebo mostrando una efficacia notevole in forme da moderate a severe di VKC 14 29-33, in assenza di reazioni avverse significative. In questi studi
un totale di 119 pazienti è stato trattato per periodi variabili da 2 settimane a 9 mesi: in effetti si tratta
di tempi sufficienti per la valutazione della efficacia,
ma non abbastanza per garantirne la sicurezza a lungo termine. Nel nostro studio pubblicato nel 2002,
24 pazienti sono stati trattati per un periodo di 4 mesi durante uno studio clinico in doppio cieco verso
placebo per 2 settimane seguito da una lunga fase in
aperto (Fig. 6). Nella fase in doppio cieco 1 occhio di
ciascun paziente è stato trattato con ciclosporina al
2% in olio d’oliva mentre nell’occhio controlaterale è
stato somministrato il veicolo. Come mostrato in Figura, si è potuto dimostrare un miglioramento significativo, dopo 2 settimane, dell’occhio trattato rispetto all’occhio non trattato e rispetto ai valori basali. Le
concentrazioni di ciclosporina che si sono dimostrate
efficaci per uso topico negli studi citati variano dall’1
al 2%; in un recente studio è stata impiegata una preparazione a concentrazione molto più bassa (0,05%)
in 22 pazienti senza riscontro di benefici evidenti rispetto al placebo 34.
Dal 1998 abbiamo trattato con preparazioni di ciclosporina all’1% in lacrime artificiali o al 2% in olio di
oliva oltre 500 pazienti per periodi variabili. Il trattamento viene proposto attraverso la somministrazione di un consenso informato scritto, contenente
esaurienti spiegazioni circa i benefici e i rischi reali e
potenziali; il consenso è indispensabile dato che la
ciclosporina non è registrata per il trattamento della VKC, tanto meno in formulazione per via oculare.
A differenza dei corticosteroidi, la ciclosporina non
provoca alterazioni del cristallino e non aumenta la
pressione oculare; inoltre non è assorbita attraverso
la congiuntiva come documentato dal fatto che i livelli ematici sono sostanzialmente indosabili in questi pazienti. L’uso prolungato di ciclosporina ad alte
dosi per via generale aumenta il rischio di insorgenza di malignità. Noi riteniamo che i bassi dosaggi e
la somministrazione per via topica, lungi dall’indurre una immunosoppressione, possano garantire sicurezza nel trattamento prolungato; siamo peraltro
consapevoli che occorreranno in tal senso studi a più
lungo termine rispetto a quelli attualmente disponibili; va infine considerato che l’unica alternativa reale è rappresentata dai corticosteroidi che presentano
rischi ben concreti e, alla fine, sono essi stessi immunosoppressori.
Tra i pazienti trattati abbiamo recentemente selezionato un gruppo di 156 pazienti dei quali abbiamo
potuto valutare i punteggi dello score oculare all’inizio ed alla fine di ogni anno di trattamento (Fig. 7) 35.
Le medie dei punteggi dello score per ogni anno di
trattamento sono riportate in Figura, oltre al numero
di pazienti per ogni anno di trattamento. Complessivamente il trattamento con ciclosporina in questa
serie ha coperto un periodo medio di 3,8 anni ± 1,09
(range 2-7 anni), di cui 24,7 mesi ± 10,4 di trattamento effettivo (range 9-66 mesi). In media i pazienti sono stati trattati per 6 mesi l’anno. Le preparazioni usate sono quella in olio di oliva al 2% e quella in lacrime artificiali all’1%; la posologia varia da 1 goccia per
occhio 2 volte al giorno a 1 goccia per occhio 4 volte
al giorno. In nessun paziente si sono osservati eventi
avversi di rilievo, né alterazione degli esami ematici
effettuati, come riportato di seguito.
Annualmente, prima di iniziare il trattamento con ciclosporina sulla base dello score oculare fornito dall’oculista, ogni paziente viene sottoposto ad un prelievo ematico di routine, in cui si esamina in particolare la funzionalità renale ed epatica, data la tossicità
specifica della ciclosporina. Un secondo prelievo viene effettuato nel corso del ciclo stagionale di terapia,
di solito dopo 2-3 mesi, al fine di verificare la sicurezza del trattamento; in quella occasione viene anche
effettuato un dosaggio della ciclosporinemia. In nessuno degli oltre 500 pazienti trattati abbiamo potuto
verificare alterazioni degli esami ematici attribuibile
alla ciclosporina oculare; i livelli ematici del farmaco,
inoltre, si sono sempre mantenuti al di sotto dei livelli minimi dosabili. Questo riscontro non ci ha affatto
Fig. 6. Ciclosporina oculare nella VKC: medie dello Scores oculare in 24 pazienti trattati in doppio cieco per 2
settimane (DBPC), quindi in aperto (OPEN) per 4 mesi
(Pucci, 2002).
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Fig. 7. Scores oculari in 156 pazienti con follow-up fino a 7 anni.
stupito, in considerazione dei quantitativi veramente
minimi di farmaco somministrato, corrispondente a
1/50-1/100 dei dosaggi abituali per via generale della ciclosporina. L’unico effetto avverso che dobbiamo
segnalare, e che risulta del resto da tutta la letteratura pubblicata, è costituito dalla scarsa tollerabilità locale delle preparazioni: bruciore e prurito locale sono
la regola, specie nelle prime settimane di trattamento. Questo “inconveniente” non ha peraltro determinato, se non in 2 occasioni, l’interruzione del trattamento per scarsa tollerabilità.
Nella nostra esperienza una percentuale di pazienti
variabile dal 10 al 15% si mostra sostanzialmente resistente al trattamento con ciclosporina, almeno per
i 3-4 mesi centrali del periodo primaverile-estivo. Ciò
è vero per la nostra casistica, che potrebbe essere selezionata per gravità e non esprimere prevalenze di
gravità rapportabili ad altre casistiche. In alcuni pazienti resistenti alla ciclosporina abbiamo, da 2 anni,
iniziato un trattamento con tacrolimus per via oculare, preparato con modalità analoghe a quelle utilizzate per la ciclosporina. In letteratura è disponibile uno
studio in aperto della durata di 4 settimane in 10 pazienti resistenti ai comuni trattamenti tra cui la ciclosporina. Il trattamento si è dimostrato efficace e sicuro anche ad un follow-up di 2 anni.
Anche la mitomicina C è stata utilizata con successo in un breve trial in aperto di 4 settimane 36 e più
recentemente in doppio cieco contro placebo per 2
settimane alla concentrazione dello 0,01% 37.
Conclusioni
L’occasione per proporre in termini pratici, non meno
che scientifici, una trattazione sulla VKC sulla rivista
della SIAIP è importante: chi opera nel campo della
allergologia ed immunologia pediatrica, o comunque chi ne è interessato, si è infatti sempre caratterizzato per un alto livello culturale con forti ricadute
pratiche. Per questo abbiamo cercato di usare nella
trattazione un linguaggio e un contenuto come se ci
trovassimo in un centro allergologico affollato di pazienti con VKC. Abbiamo anche voluto raccontare, a
tratti, la nostra esperienza con un numero di pazienti
difficilmente riscontrabile in Italia e non solo. L’auspicio finale è che presto altri centri italiani possano finalmente prendersi in carico questi pazienti, così da
evitare loro viaggi di centinaia di chilometri per un
flacone di collirio. Veramente grazie per l’attenzione.
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