Affermazione e negazione dell`empirismo

L’EMPIRISMO INGLESE
LOCKE, BERKELEY, HUME
Bacone ha una certa importanza solo come capostipite della corrente empirista della filosofia
moderna, per quanto riguarda invece il contenuto positivo delle sue concezioni, bisogna dire
che esso non ha un carattere filosofico in quanto non esce dai limiti di quel grossolano modo
di vedere secondo il quale il mondo da noi percepito, con tutta la varietà del suo contenuto
oggettuale, ha una realtà incondizionata, esiste di per se stesso, fuori di noi, ma nello stesso
tempo può essere da noi conosciuto in maniera adeguata. Per questa conoscenza adeguata, è
sufficiente, secondo Bacone, liberare la mente dalle ipotesi erronee o dai pregiudizi (idola) e
dallo sterile formalismo della scolastica che non trasmette alcuna conoscenza reale. Il realismo
volgare trova una formulazione ancor più decisa in Hobbes che attribuisce l’esistenza soltanto
all’essere corporeo esterno: in esso è racchiusa ogni realtà, al di fuori del corpo non esiste nulla.
Ma ciò fa inevitabilmente sorgere la domanda circa le relazioni esistenti tra il soggetto
conoscente e questa realtà esterna. Ed è appunto la soluzione di questo problema della
conoscenza che Locke pone come proprio compito nel suo Essay concerning human understanding1.
La filosofia di Locke è interessante per il fatto che in essa il realismo oggettivo, che in
Bacone e in Hobbes si era espresso con una immediatezza quasi primitiva, comincia già a
tralignare nel suo contrario, cioè nell’idealismo soggettivo2. Il punto di partenza di Locke è dato
dai suoi predecessori; nel loro empirismo era già stato negato implicite il ruolo indipendente del
soggetto della conoscenza; Locke pone questa negazione a fondamento della propria filosofia e
la sviluppa poi in maniera circostanziata attraverso la coniazione della teoria delle idee innate;
dalla loro inesistenza Locke evince come conclusione generale che il soggetto conoscente —la
nostra anima presa in se stessa, senza impulsi esterni— è qualcosa di assolutamente passivo e
privo di contenuto, una tabula rasa. Ogni nostra conoscenza deriva dall’esperienza3: in primo
luogo, attraverso i sensi esterni subiamo l’azione degli oggetti esterni che producono dentro di
noi una serie di idee relative al mondo esterno4; in secondo luogo, osservando o riflettendo
quegli stati interiori e quelle azioni che sono fatte sorgere dentro di noi dall’esperienza esterna,
abbiamo un’altra serie di idee immediatamente relative al nostro essere psichico5. In questo
modo risulta chiaro che la fonte della nostra conoscenza è data da due tipi di esperienza: quella
esteriore, che viene dalle sensazioni (sensation) e quella interiore, che viene dalle osservazioni
psichiche (reflection). Ma questa divisione si rivela meramente relativa, perché anche i dati
dell’esperienza esterna, cioé le nostre idee, che noi attribuiamo agli oggetti esterni, non derivano
1
Saggio sull’intelletto umano (nella traduzione italiana edita da Laterza Saggio sull’intelligenza umana),
1690.
2
Il termine idealismo viene qui impiegato con la sua specifica valenza storica. L’idealismo è una
corrente filosofica nata in Germania nel XIX secolo. La tesi principale dell’idealismo portata avanti
da Fiche è questa: tutto ciò che è esterno all’io è posto dall’io. La realtà esterna è perciò altro dall’io
(non-io) ma è l’io stesso che pone questo altro da sé. Il mondo esterno si richiude all’interno del
soggetto.
3
Tutte le idee derivano dall’esperienza. Questa è la conclusione a cui porta logicamente la critica
dell’innatismo di Locke. Se non esistono idee innate in tutti gli uomini, allora tutte le idee derivano
dall’esperienza. Ai critici che gli obiettarono che si deve almeno ammettere che sia innata la capacità
di pervenire a certe idee e conoscenze, Locke rispondeva che questo vale per tutte le idee e per tutti i
tipi di conoscenza, e che perciò è più ragionevole supporre che le idee derivino dall’esperienza.
4
Sono le idee che ci provengono dall’esperienza esterna, acquisite mediante le sensazioni (colori,
odori, solidità, movimento ecc.).
5
Queste idee che derivano dalla riflessione della mente stessa appartengono a quella che Locke
chiama esperienza interna (pensiero, memoria, discernimento, volere ecc.).
direttamente da questi oggetti (come pensavano ingenuamente alcuni filosofi antichi) ma
piuttosto dalle nostre sensazioni, cioé da certi mutamenti nel nostro stato sensibile che vengono
prodotti dall’azione di oggetti esterni, così che noi non conosciamo gli oggetti esterni stessi, ma
solo i nostri stati soggettivi i quali possono fungere soltanto da segni dell’essere esterno. E benché
Locke, al pari di Cartesio, si sia fermato a metà strada, e abbia diviso le nostre idee relative al
mondo esterno in due ordini, attribuendo al primo (che comprendeva le cosiddette qualità
primarie — primary qualities — e cioè la grandezza, la figura, il numero, il movimento) una realtà
oggettiva, e lasciando invece al secondo (che comprendeva le cosiddette qualità secondarie o
supposte — secondary qualities — colori, suoni ecc.) soltanto il significato soggettivo di sensazioni,
bisogna comunque dire che questa divisione è assolutamente arbitraria 6 . Avendo Locke
rifiutato le idee innate una volta per tutte, le idee di grandezza, di figura, ecc., possono derivare
solo da una combinazione di sensazioni, che è poi quello che succede effettivamente in quanto
esse derivano proprio da una combinazione di sensazioni visive e tattili; ma per questo motivo si
deve dire allora che esse hanno lo stesso valore soggettivo di tutte le altre nostre idee, per quanto
poi se ne differenzino da altri punti di vista. In questo senso, tutto il contenuto del mondo
esterno ha un carattere soggettivo e l’essere esterno non può ridursi ad altro se non alla causa
sconosciuta delle nostre sensazioni. Ma, se le cose stanno così, non abbiamo alcun diritto di
attribuire a questa causa sconosciuta un essere materiale, oggettuale, perché tutto ciò che è
materiale, oggettuale si riduce a certi elementi soggettivi, è una nostra idea e non qualcosa che
esiste di per sé. La cosa non è ciò che esiste realmente e ciò che esiste realmente non è cosa. E
così, tutti gli oggetti materiali del mondo esterno non sono altro che le nostre rappresentazioni
o idee, il che significa che il mondo esterno da essi costituito non ha, in quanto tale, alcuna
esistenza fuori dalla nostra rappresentazione. Ed è appunto questo il principio fondamentale di
Berkeley7.
«Tutti sono pronti ad ammettere», dice Berkeley, «che fuori del soggetto (spirito) non
esistono né i nostri pensieri, né i nostri sentimenti, né le nostre fantasie. Ma non sembra meno
evidente che le diverse sensazioni e percezioni, comunque siano mescolate e collegate tra di loro
(cioè quali che siano gli oggetti da loro formati), non possono esistere se non nello spirito che le
percepisce. Credo che ciò sarà evidente per chiunque consideri attentamente ciò che si deve
intendere con l’espressione “esistere” nella sua applicazione alle cose percepite dai sensi.
Quando dico: “il tavolo sul quale scrivo esiste”, ciò significa: lo vedo e lo tocco; e se poi fossi
fuori del mio studio, potrei comunque affermare l’esistenza di questo tavolo nel senso che, se
fossi là, lo percepirei, o nel senso ancora che un altro soggetto qualsiasi lo percepisce in questo
momento [...]. È l’unico senso ragionevole di questa espressione e di altre simili. Infatti, ciò che
6
Locke aveva fatto questa distinzione fra due tipi di esperienza, esterna ed interna. Aveva poi diviso
le qualità sensibili in qualità primarie oggettive (qualità che corrispondono a caratteristiche effettive
dei corpi, ad esempio figura, estensione, movimento) e qualità secondarie (qualità che si trovano
soltanto nel soggetto senziente, ad esempio sapori, odori ecc.). Secondo Solov’ëv questa distinzione è
però arbitraria, perché se portiamo il pensiero di Locke alle sue estreme conseguenze, anche le
qualità che corrispondono a caratteristiche effettive dei corpi non sono in realtà che la somma di
certe idee soggettive prodotte dalle sensazioni, e ciò che viene prodotto dalle sensazioni non può
avere un valore oggettivo e irrefutabile né ci dà una chiara immagine della realtà esterna, perché
altrimenti ricadremmo in un realismo ingenuo. Le idee sono perciò il segno delle modificazioni che
le cose imprimono nel soggetto, ma queste impressioni che le cose ci danno non sono le cose stesse,
ecco perché Solov’ëv conclude affermando radicalmente che «noi non conosciamo gli oggetti esterni
stessi, ma solo i nostri stati soggettivi».
7
Negare una reale esistenza al mondo oggettivo che ci circonda è un’altra delle tesi che soggiacciono
all’idealismo tedesco. Da una rotonda negazione di Cartesio, si ritorna con Berkeley a dover
riconoscere un’esistenza legittima solo a ciò che è riconducibile ad un mero contenuto mentale.
8
abitualmente si dice circa l’esistenza assoluta delle cose prive di pensiero, a prescindere dal loro
essere percepite, è del tutto assurdo. L’essere (esse) di queste cose consiste nel loro essere
percepite (percipi). È impossibile che esse abbiano una qualche esistenza fuori degli spiriti o degli
esseri pensanti che le percepiscono8».
Se tutti gli oggetti materiali non sono altro che delle percezioni o delle idee, ne consegue che
essi non hanno alcuna autonomia o attività propria: sono assolutamente passivi; la loro
esistenza è interamente condizionata da altro, cioè dallo spirito. Essendo privi per loro natura di
qualsiasi principio attivo, non possono agire gli uni sugli altri, non possono essere gli uni cause
degli altri: l’attività che fa sorgere le idee è una prerogativa esclusiva dello spirito. Oltre a ciò va
osservato che alcune delle nostre percezioni sono prodotte dall’attività del nostro spirito: si
tratta dei nostri pensieri e delle nostre fantasie o idee in senso proprio; altre invece appaiono
nella nostra coscienza indipendentemente da noi: si tratta di quelle che sono formate dalle
sensazioni materiali e costituiscono ciò cui abitualmente si dà il nome di cose o oggetti esterni.
Siccome questi ultimi non vengono prodotti dalla nostra attività e sono completamente
indipendenti dalla nostra volontà, bisogna ammettere che nascono in noi per l’azione di
un’altra volontà diversa dalla nostra, per l’azione di un altro spirito. Queste percezioni oggettive
o oggetti si distinguono dalle nostre idee soggettive per la loro maggiore forza, chiarezza,
distinzione e regolarità; inoltre essi sono legati tra loro da un certo nesso regolare, si
manifestano cioè secondo un ordine ben determinato, quasi che seguissero certe regole, quelle
che poi, abitualmente, si chiamano leggi di natura. In base a queste e ad altre peculiarità che
caratterizzano le percezioni oggettive, possiamo concludere che quello spirito diverso che le
produce in noi non è uno spirito limitato come il nostro, ma uno spirito infinito o assoluto.
L’essere materiale esterno perde dunque qui tutta la propria indipendenza, essendo ridotto
a una mera percezione9. Ma conserva ancora il proprio significato oggettivo per il conoscente,
poiché nello spirito assoluto ha una causa che resta esterna a quello. Pur negando l’esistenza di
un legame causale tra i singoli oggetti o percezioni, pur affermando che la correlazione delle
percezioni non implica un rapporto di causa ed effetto, Berkeley ammette, tuttavia, un nesso
causale tra lo spirito e le percezioni, riconosce che la causa che produce le percezioni è lo spirito
e che nel caso delle percezioni oggettive è proprio lo spirito assoluto10. Così, in Berkeley, il mondo
del soggetto conoscente è unito al suo principio esterno assoluto solo dal tenue filo della legge
di causalità, e a David Hume bastò spezzare questo filo per eliminare dal mondo oggettivo
qualsiasi forma di conformità a una legge, trasformarlo in una sequenza casuale di percezioni
prive di qualsiasi connessione necessaria fra loro, e riconoscere così come realmente esistente
solo una pura X assolutamente sconosciuta.
Tutto ciò che noi conosciamo, dice Hume, è costituito o dalle nostre impressioni sensibili e
dalle sensazioni, o dalla loro riproduzione nell’immaginazione e nel pensiero11. Tutte le nostre
idee vengono connesse tra di loro in tre modi, cioè, secondo la somiglianza, la contiguità nel tempo
e nello spazio, e la causalità. Ma questi tipi di connessione non hanno alcun significato assoluto,
non stanno affatto a indicare che nelle cose stesse esista un legame interno necessario. Anche se
abitualmente un simile legame viene visto nella causalità, analizzando attentamente i più diversi
casi di rapporto causale, in essi non si troverà se non il fatto che ad un determinato fenomeno
ne succede costantemente un altro, ed è solo in forza dell’abitudine a questa costante
correlazione che questi fenomeni ci appaiono indissolubilmente legati fra loro.
8
George Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana.
Esse est percipi.
10
Dio è di nuovo il garante dell’esistenza del mondo esterno, perché tutte le idee sono pensate
continuamente da Dio, che con la sua infinità può abbracciare con il suo pensiero tutti gli enti finiti.
11
David Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della morale.
9
9
Questo risultato della filosofia moderna, che racchiude in sé la negazione di ogni metafisica
in quanto impossibile, sembra confermare il modo di vedere positivista12. In verità, dopo Hume,
e in parte sotto l’influenza delle sue teorie, si aprì una nuova fase nell’evoluzione del pensiero
filosofico; è ora interessante sapere in che misura i risultati di quest’ultimo sviluppo della
filosofia, inauguratesi con Kant, abbiano favorito il positivismo: hanno anch’essi per la filosofia
un significato così puramente negativo quale l’hanno avuto i risultati della metafisica prekantiana?13
Vladimir Solov’ëv. La crisi della filosofia occidentale. Milano, La casa di Matriona, 1986, pp. 49-52.
Traduzione di Adriano dell’Asta. (Testo adattato).
12
Il positivismo è una corrente filosofica dell’Ottocento che negava alla metafisica qualsiasi valore,
attribuendo alla filosofia l’unico compito di armonizzare e conciliare fra di loro le varie teorie
scientifiche. La scienza, per i positivisti, da sola basta a darci una conoscenza chiara ed esaustiva del
mondo e di noi stessi.
13
La tesi di fondo di Solov’ëv è molto scettica. Secondo il filosofo russo la filosofia moderna è
destinata, se segue alla lettera le premesse di Cartesio, ad arrivare alla negazione della metafisica.
10