Berkeley
1685-1753
Storia della Filosofia II
Contro le idee astratte: il nominalismo radicale
Berkeley ritiene che la causa principale degli errori e delle
incertezze che si incontrano in filosofia sia il credere che il
nostro spirito possieda la capacità di formarsi idee astratte.
Lo spirito umano, quando ha riconosciuto che tutti gli oggetti
estesi hanno come tali qualcosa in comune, isola questo
elemento comune dagli altri elementi (grandezza, figura,
colore ecc.) che differenziano gli oggetti stessi e forma l'idea
astratta dell'estensione, che non è né linea, né superficie, né
solido e che non ha né figura, né grandezza, ma è
completamente separata da tutte queste cose.
Ora Berkeley nega che lo spirito umano abbia la facoltà di
astrazione e che le idee astratte siano legittime.
L'idea di un uomo è sempre quella di un uomo particolare,
bianco o nero, alto o basso ecc. L'idea dell'estensione è
sempre quella di un particolare oggetto esteso di determinata
figura e grandezza e così via. Non c'è l'idea di un uomo che
non abbia alcun carattere particolare, come non c'è in realtà
un uomo di tal genere.
Queste considerazioni servono a Berkeley per difendere un
nominalismo che è anche più radicale di quello di Locke e che
discende, anch'esso, direttamente da Ockham.
Quelle che Locke chiama idee generali non sono idee astratte,
come lo stesso Locke ritiene, ma idee particolari assunte come
segni di un gruppo di altre idee particolari tra loro affini.
Il carattere di universalità che l'idea particolare acquista in tal
modo deriva soltanto dal suo rapporto con le altre idee
particolari, in luogo delle quali essa può stare, ed è dovuto
quindi alla sua funzione di segno.
Il triangolo che un geometra ha presente per dimostrare un
qualsiasi teorema è sempre un triangolo particolare, per
esempio isoscele; ma poiché di quel carattere particolare del
triangolo non si fa menzione nel corso della dimostrazione, il
teorema dimostrato vale per tutti indistintamente i triangoli,
ognuno dei quali può prendere il posto di quello considerato.
Questa è la sola universalità che le nostre idee possono
possedere.
L'immaterialismo: esse est percipi
Berkeley fa suo il principio cartesiano, già accettato da Locke,
secondo il quale i soli oggetti della conoscenza umana sono
le idee.
Ciò che noi chiamiamo "cosa" non è altro che una collezione di
idee; ad esempio, una mela è l'insieme di un certo colore, di
un certo odore, di una figura e di una consistenza
determinate.
Ora, le idee per esistere hanno bisogno di essere percepite: il
loro esse, dice Berkeley, consiste nel loro percipi e non è
quindi possibile che esse esistano in un modo qualsiasi al di
fuori degli spiriti che le percepiscono.
L'oggetto e la percezione sono la stessa cosa e non possono
essere astratti l'uno dall'altra.
Questo vuol dire che non esiste una sostanza corporea o
materia, nel senso in cui comunemente s'intende, cioè come
oggetto immediato della nostra conoscenza.
Questo oggetto è soltanto un'idea, e l'idea non esiste se non è
percepita.
L'unica sostanza reale è dunque lo spirito che percepisce le idee.
Così il punto di vista di Locke è eliminato. Tra qualità primarie e
qualità secondarie non c'è alcuna differenza.
In primo luogo, le qualità primarie non esistono senza le
secondarie: non c'è, ad esempio, un'estensione che non sia
colorata.
E in ogni caso la forma, il movimento, la grandezza ecc. sono idee
esattamente come i colori, i suoni ecc.
Non possono dunque sussistere fuori di uno spirito che le
percepisca e non sono più obiettive delle cosiddette qualità
secondarie.
L'ultimo rifugio del materialismo può essere quello di ammettere
la sostanza materiale come un substrato delle qualità sensibili.
Ma questo substrato materiale, dovendo essere per definizione
diverso dalle idee sensibili, non avrà alcun rapporto con la
nostra percezione e non ci sarà modo di dimostrarne
l'esistenza.
Né potrebbe essere ritenuto la causa delle idee; perché non si
può arrivare a concepire come un corpo agisca sullo spirito o
possa produrre un'idea.
La materia, se ci fosse, sarebbe inattiva e non potrebbe produrre
nulla; tanto meno potrebbe produrre qualcosa di non
materiale, come l'idea.
Le idee debbono indubbiamente avere una causa; ma questa
causa non può essere, come si è visto, la materia, e non
possono essere neppure le idee stesse.
Le idee sono essenzialmente inattive: sono assolutamente prive
di forza e di azione.
Attivo è soltanto lo spirito che le possiede. Il nostro spirito può
quindi agire sulle idee e agisce difatti unendole e variandole a
suo piacimento.
Ma il nostro spirito non ha alcun potere sulle idee percepite
attualmente, cioè su quelle che noi chiamiamo abitualmente
cose naturali.
Queste idee sono più forti, più vive e più distinte di quelle
dell'immaginazione.
Hanno anche un ordine e una coerenza assai superiori a quelli
delle idee raggruppate dagli uomini.
Devono dunque essere prodotte in noi da uno Spirito superiore,
che è Dio.
Quelle che noi chiamiamo leggi della natura sono le regole fisse
e i metodi (modi) costanti mediante i quali Dio produce in
noi le idee dei sensi.
Noi apprendiamo quelle regole dall'esperienza, la quale ci
insegna che un'idea è accompagnata da un'altra nel corso
ordinario delle cose.
Così siamo in grado di regolarci per i bisogni della vita; e
sappiamo, per esempio, che gli alimenti nutrono, il fuoco
brucia ecc.
L'ordine con cui le idee naturali si presentano dimostra quindi la
bontà e la saggezza dello spirito che ci governa.