A partire dal Sei-Settecento la filosofia iniziò a
dividersi in due tradizioni: quella europea e quella
anglosassone. La prima tendenzialmente razionalista,
la seconda prettamente empirista.
Il termine "razionalismo" designa la persuasione che
la realtà sia conoscibile e interpretabile mediante la
ragione, al di là di ogni esperienza. Il termine
"empirismo" indica invece ogni dottrina che
considera l'esperienza come condizione essenziale
della conoscenza.
Dal latino razionalem, deriv. di ratio-onis = “ragione”.
È un atteggiamento teorico o pratico che assume la
ragione a suo principio fondamentale.
La realtà viene tradotta in termini di ragione per cui
l’essenza di essa si coglie, indipendentemente da ogni
esperienza, attraverso l’analisi dei principi della stessa
ragione.
Nasce con Renato Cartesio (1596-1650) si sviluppa con
Baruch Spinoza (1632-1677) e Gottfried Wilhelm
Leibniz (1646-1716).
Il termine empirismo deriva dal latino empiricum, che è dal greco empeirikós,
deriv di empeiría = “esperienza”.
È una corrente della filosofia moderna proseguita poi da Berkeley
(1685-1753) e Hume (1711-1776), avente come obiettivo l'analisi del
mondo umano nei suoi diversi campi, si sviluppa tra Seicento e
Settecento inscrivendosi in parte già nel prossimo clima Illuministico e
vede sicuramente in John Locke (1632-1704)il suo fondatore.
Definisce inconoscibile e indimostrabile tutto ciò che oltrepassa i limiti
dell'esperienza per cui le verità teologiche che riguardano il mondo
soprannaturale e Dio e tutto ciò che oltrepassa i limiti dell'esperienza si
collocano al di fuori di una possibile ricerca.
Ideologicamente, quindi, l'Empirismo si caratterizza
con la teoria della ragione vista come un insieme di
poteri limitati dall'esperienza intendendo
quest'ultima:
• fonte e origine del processo conoscitivo
• criterio di verità o strumento di certificazione delle
tesi dell'intelletto, che risultano adeguate e certe solo
se suscettibili di controllo empirico.
Il richiamo costante all’esperienza fa sì che l’empirismo,
in antitesi al razionalismo, tenda ad assumere un
atteggiamento limitativo o critico nei confronti delle
possibilità conoscitive dell’uomo e a seguire un indirizzo
anti-metafisico che respinge fuori dalla filosofia e da
ogni ricerca legittima i problemi riguardanti realtà che
non sono accessibili agli strumenti mentali di cui l’uomo
dispone.
• Locke è considerato uno dei massimi esponenti
dell'empirismo inglese, una corrente filosofica nata
dal diffondersi del metodo sperimentale proposto
dalla rivoluzione scientifica. Secondo l'empirismo i
dati della certezza epistemica (“che riguarda la
conoscenza scientifica”) erano da ricavare
dall'osservazione dei fenomeni reali: analogamente
alla scienza fisica, anche la filosofia doveva attenersi
alla critica dei fatti e delle sensazioni tratte dalla
percezione immediata.
Nacque a Wrington, vicino a Bristol , nel 1632; il padre
procuratore e ufficiale giudiziario, combatté durante la prima
rivoluzione inglese
con l'esercito del Parlamento contro il re Carlo I che sarà
decapitato nel 1649.
Durante la dittatura di Cromwell John entrò nell'università di
Oxford, nel collegio di Christ Church dove, dopo il
conseguimento del titolo di baccelliere
1656) e "maestro delle arti" (1658), rimase come insegnante di
greco e retorica .
Nel 1666 cominciò a studiare medicina e scienze naturali
entrando in contatto con medici e anatomisti famosi come Willis
e Bathurst e collaborando con
il celebre fisico e chimico Robert Boyle.
Pur non essendo laureato in medicina esercitò la professione di
medico che gli permise di conoscere Lord Ashley, divenuto in
seguito il conte di
Shaftesbury di cui divenne medico personale e consigliere,
seguendone l'alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario
quando Ashley divenne Lord
cancelliere.
Nel 1675 Locke si ritirò per motivi di salute in Francia per quattro anni , durante
i quali studiò la filosofia di Cartesio, di Gassendi e dei libertini.
Al suo ritorno in Inghilterra riprese a collaborare con Shaftesbury nel frattempo
nominato presidente del consiglio del re. Fallita la congiura del duca di
Monmouth ai danni del re Carlo II Stuart , Shaftesbury nel 1682 venne accusato
di tradimento e costretto a fuggire in Olanda dove morì. Temendo la
persecuzione contro i wighs, anche Locke andò in esilio volontario in Olanda,
dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange. Nel 1689 dopo la vittoria
della "gloriosa rivoluzione" tornò in patria al seguito della moglie dell'Orange, la
principessa Maria.
La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime
liberale divenne grandissima: ricoprì vari incarichi importanti
tra cui quello di consigliere
per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un
atteggiamento tollerante rispetto alla schiavitù in America e nel
contempo trasse ingenti
profitti dalle azioni della "Royal African Company", impegnata
nella tratta degli schiavi.[1]
Fu in questo periodo che pubblicò le sue opere più importanti
tra le quali nel 1690 il "Saggio sull'intelletto umano".
Passò serenamente gli ultimi anni nel castello di Oates,
nell'Essex, dove morì nel 1704.
SENSAZIONI
Consiste in
RIFLESSIONI
L’ESPERIENZA
Sono
prodotte
da
produce
utilizza
IDEE
SEMPLICI
per elaborare
MODI
L’INTELLETTO
IDEE
COMPLESSE
di
RELAZIONI
SOSTANZE
produce
IDEE
GENERALI
SENSAZIONI
Consiste in
RIFLESSIONI
L’ESPERIENZA
Sono
prodotte
da
produce
utilizza
IDEE
SEMPLICI
per elaborare
MODI
L’INTELLETTO
IDEE
COMPLESSE
di
RELAZIONI
SOSTANZE
produce
IDEE
GENERALI
Per Locke la ragione non è unica o uguale in tutti gli uomini perché
essi ne partecipano in misura diversa. Non è infallibile perché
spesso le idee di cui dispone sono in numero troppo limitato o
addirittura oscure. Inoltre la ragione non può ricavare da se idee e
principi ma deve ricavarli dall’esperienza che ha sempre limiti e
condizioni.
La ragione quindi è vista come l’unica guida efficace di cui l’uomo
dispone. Questo pensiero è presente nell’opera maggiore di Locke
«Il Saggio sull’Intelletto Umano»
Il Saggio sull'intelletto umano di Locke si presenta come un'analisi dei limiti, delle condizioni e delle
possibilità effettive della conoscenza umana: "era necessario esaminare le nostre capacità, per
vedere quali oggetti il nostro intelletto fosse o non fosse in grado di trattare".
Prima di introdursi nell'analisi dell'opera fondamentale di Locke, bisogna subito notare che nel suo
titolo "intelletto" (understanding) non è l'intellectus scolastico (cioè la facoltà di conoscere superiore,
separata rispetto alla sensibilità), ma il principio conoscitivo stesso ("the power of thinking"). Quindi
non è un termine opposto al senso, poiché il senso stesso è considerato da Locke, non nell'abituale
significato fisiologico-psicologico, ma come fonte, nella percezione sensibile, di conoscenza, e perciò
implicante già l'intelligenza. Quest'ultima ha però la prerogativa e il compito di superare l'immediatezza
del dato percepito in quanto può, riflettendo su di esso, farne l'analisi, e valersi degli elementi, così
ricavati, per fare delle sintesi rispondenti ai suoi scopi (teoretici e pratici). "L'intelletto, come l'occhio,
ci fa vedere e comprendere tutte le cose, ma non si accorge di se stesso". Occorre quindi un certo
sforzo per svincolare l'intelligenza implicata nel dato della percezione, e, presa una necessaria distanza,
vederla all'opera nella riflessione sul dato.
Ricevute passivamente dall’esperienza esterna
Idee di sensazione quelle cioè che provengono dall'esperienza esterna, dalle
sensazioni come, ad esempio, i colori. La formazione di queste idee avviene
secondo quanto già indicato da Hobbes: dagli oggetti esterni provengono dati
che s'imprimono su quella tabula rasa che è la nostra sensibilità.
Ricevute passivamente dall’esperienze interna
Idee di riflessione riguardano l'esperienza interna o riflessione sugli atti interni
della nostra mente come le idee di dubitare, volere ecc.
Le idee semplici quelle che non possono essere scomposte in altre idee e che
quindi sono di per sè chiare e distinte, evidenti ma che, diversamente da
Cartesio, non implicano un contenuto di verità ma soltanto il fatto di costituire
gli elementi primi conoscitivi derivati in forma immediata dalla sensazione o
dalla riflessione. Che la loro semplicità non implichi la verità si basa su quanto
già affermato da Galilei sulla soggettività delle sensazioni di colori, suoni ecc.
Anche Locke infatti distingue fra:
• 'idee di qualità primarie' che sono oggettive come quelle caratteristiche
che appartengono di per sè ai corpi (l'estensione, la figura , il moto ecc.)
• 'idee di qualità secondarie', soggettive (colori, suoni, odori, sapori ecc.)
che non sono inventate (l'intelletto non ha la capacità di creare idee semplici)
ma che non hanno corrispondenza nella realtà.
le idee complesse dove il nostro intelletto non è più passivo ma mette assieme le
idee semplici originando tre tipi di idee complesse:
• Modi: sono quelle idee non considerate sussistenti di per sé, ma solo come
manifestazioni di una sostanza (triangolo, gratitudine, delitto, ecc.)
• Sostanze: sono le idee complesse che vengono considerate come esistenti di
per se stesse (uomo, piombo, pecora, ecc.)
• Relazioni: è il confronto di un idea con un'altra. Tra esse fondamentali sono
quelli di causa ed effetto e di identità e diversità. A proposito di queste
ultime, Locke affronta il problema dell’identità della persona egli scorge
questa identità nella coscienza che accompagna gli stati o i pensieri che si
succedono nel senso interno.
Queste idee secondo Locke non indicano nessuna realtà e sono il segno di un
gruppo di cose particolari tra loro affini e vengono prodotte per astrazione.
La conoscenza è per Locke la percezione dell'accordo o del disaccordo delle
idee fra di loro e non delle idee in se stesse (Saggio, IV, I, 2).
Quando questo accordo tra le idee è percepito immediatamente, si parla di
conoscenza intuitiva, la più evidente e certa delle conoscenze (Es. il bianco
non è il nero).La conoscenza è invece dimostrativa quando l'accordo o il
disaccordo tra due idee non è percepito immediatamente, ma viene reso
evidente mediante l'uso
di idee intermedie che si chiamano "prove" .La conoscenza dimostrativa
consiste in una catena di conoscenze intuitive.Per dimostrazioni più complesse,
la catena delle conoscenze intuitive può essere molto lunga e, per questo,
l'errore è sempre possibile; pertanto la conoscenza dimostrativa è meno sicura
di quella intuitiva.
.
Accanto alla conoscenza certa, limitata dall'intuizione, dalla dimostrazione e
dalla sensazione attuale, esiste anche una conoscenza probabile.
Nella conoscenza probabile la verità o la falsità non si afferma per la sua
evidenza, ma per la sua conformità con l'esperienza o con la testimonianza
di
altri uomini. Conoscenza certa e conoscenza probabile sono il dominio della
Ragione.
Accanto al dominio della ragione Locke riconosce anche la fede, fondata
solo
sulla rivelazione; la fede non deve assolutamente turbare o negare la
Ragione, ma, al contrario, è la Ragione che deve decidere sull'attendibilità o
meno della fede.
.
Ciò che noi conosciamo è sempre un'idea mentre nulla si può dire circa
l'essenza, la sostanza dell'oggetto che percepiamo: la sostanza è sempre
qualcosa di oscuro e inconoscibile.
La Ragione non può andare oltre i fenomeni.
A questo punto Locke si pone una importante domanda: se la Ragione ha
sempre a che fare con le idee, in che modo si può giungere a conoscere una
realtà diversa da queste?
Il filosofo risponde che esistono tre ordini di realtà:
- l'Io (Si conosce attraverso un processo intuitivo di tipo cartesiano);
- Dio (Si conosce per via dimostrativa);
- le Cose (Si conoscono attraverso le sensazioni attuali. Il fatto che noi
riceviamo attualmente l'idea dall'esterno, ci fa conoscere che qualcosa
esiste in questo momento fuori di noi e produce in noi l'idea) .
.
“Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a
tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria
persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del
suo corpo e l'opera delle sue mani possiamo dire che sono
propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae
dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha
congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è
proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché sono rimosse
da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse,
mediante il suo lavoro, hanno, connessa con sé, qualcosa che
esclude il diritto comune di altri. Infatti poiché questo lavoro è
proprietà incontestabile del lavoratore, nessun altro che lui
può avere diritto a ciò che è stato aggiunto mediante esso,
almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose
sufficienti e altrettanto buone”
(II Trattato, cap. V, § 27-32, 43-50)
Nello stato di natura, secondo Locke gli uomini già conducono una vita sociale,
ma ciò che manca è un arbitro capaci di dirimere eventuali dispute fra i singoli.
Con la nascita di uno stato, ciò che si ottiene è proprio tale giudice, quindi
l’unico diritto cui il cittadino deve rinunciare è quello di farsi giustizia da se. Lo
stato di Locke è quindi principalmente un arbitro imparziale che rispetta i diritti
naturali dei cittadini, si fonda sul consenso della maggioranza del popolo e
favorisce la prosperità della società. Inoltre, per salvaguardare i cittadini da
eventuali abusi, Locke afferma la necessità della separazione fra potere
legislativo e potere esecutivo, poiché chi fa le leggi non può essere incaricato
anche di farle rispettare. Questa idee della divisione dei poteri è uno dei
principi fondamentali della democrazia liberale.
•
•
•
Diritto alla vita
Diritto alla libertà
Diritto alla proprietà (senza la proprietà è impossibile conservare la vita o,
almeno, conservarla in modo che si possa dire umana)
•Diritto naturale limitato dall’uguale diritto degli altri
•Lo stato di natura può diventare uno stato di guerra quando una o più persone
ricorrono alla forza per ottenere un controllo sulla libertà, sulla vita e sui diritti
fondamentali degli altri individui
↓
Costituzione della SOCIETA’ POLITICA
=
garanzia dei diritti naturali originari
vincoli al solo fine di mantenere e proteggere I diritti fondamentali propri dello stato di
natura
“…il godimento della proprietà che egli ha è in questa
condizione molto incerto e malsicuro. Il che lo rende
desideroso di abbandonare una condizione che, per quanto
libera, è piena di timori e continui pericoli, e non è senza
ragione ch’egli cerca e desidera unirsi in società con gli altri che
già sono riuniti, o hanno intenzione di riunirsi, per la mutua
conservazione delle loro vite, libertà e averi, cose ch’io
denomino, con termine generale, proprietà”
(Due trattati sul governo, II, cap. VIII, par. 123)
 Notevole intreccio tra istanza democratica (costituita dalla fondazione del potere
politico sul consenso popolare) ed istanza liberale (limiti posti al potere politico stesso)
Esclusione di un potere assoluto o illimitato
 ↓
Suddivisione dei poteri:
• Legislativo
• Esecutivo
• Federativo
•
•
Lo Stato che nasce dall'aggregazione degli individui è naturalmente liberale e
democratico, poiché nasce sulla spinta di un principio egualitario. Questo
tipo di Stato è quindi garante di se stesso, nel senso che gli stessi legislatori
sono sottoposti alle leggi (non è così in uno Stato assoluto). Ogni potere quello legislativo, esecutivo e giudiziario - è autonomo, separato dagli altri e
in grado di vigilare sul reciproco operato. Il potere che produce le leggi non
può essere incaricato di attuarle, come deve esistere un potere di garanzia
che vigili sulla correttezza dei legislatori e dell'esecutivo.
Locke, in aperta polemica con Hobbes, si spinge perfino ad affermare che,
qualora lo stato liberale e democratico venisse meno ai suoi principi, i
cittadini sarebbero giustificati a ribellarsi, spezzando il legame di obbedienza
che li lega alle istituzioni ormai corrotte.
•
Nella "Lettera sulla tolleranza", Locke formula poi il principio della
tolleranza religiosa: ogni confessione deve essere rispettata dallo Stato, il
quale non può intromettersi nelle questioni riguardanti la fede preferendone
una all'altra. Potere dello Stato e potere della Chiesa vanno separati, in
quanto al primo spetta la garanzia dei diritti civili, al secondo la
salvezza delle anime. I due poteri sono quindi autonomi ed è buon
principio che non confondano i rispettivi ambiti d'azione. I poteri
dello Stato devono essere ispirati ai valori di laicità ed uguaglianza, ma
devono comunque impedire i comportamenti che vadano a negare i diritti
civili, come del resto non potrà ammettere sette o società segrete che
attentino all'integrità dei principi liberali e democratici.
•
•
•
Tuttavia, nonostante questa visione moderna dei rapporti che devono
intercorrere tra i poteri, Locke affermerà che in uno stato liberale, come non
può essere tollerata una religione che tenda ad opporsi ai principi civili della
tolleranza e della libertà di culto e di coscienza, non può essere tollerato anche
l'ateismo, in quanto la ragione naturale è in grado di provare l'esistenza di Dio.
L'ateismo è dunque quella condizione che si pone contro la ragione naturale e
per questo non è in grado di garantire la moralità dell'individuo.
Locke affermerà che il cristianesimo (esistenza di Dio e di Gesù come
annunciatore del regno del Padre), pur nel rispetto delle regole civili, "è una
religione ragionevole e ha il compito di diffondere a tutto il genere umano quelle verità
fondamentali e quelle norme morali che altrimenti sarebbero state accessibili solo ai filosofi."
(La filosofia moderna, Emanuele Severino).
Ecco dunque come in Locke resiste quel retaggio teologico per cui non
può esistere morale che non discenda da Dio, e che l'assenza di Dio,
anche solo nel pensiero dell'uomo, produce di fatto immoralità.
Gorge Berkeley nacque a Dysert in Irlanda il 12 marzo1685. Si laureò a
Dublino dove prestissimo giunse a formulare il principio fondamentale
della sua filosofia:l’immaterialismo. Dopo alcuni anni trascorsi tra viaggi
e studi e soprattutto nella frequenza della società brillante di Londra
elaborò il grande progetto di civilizzare i selvaggi d’America. Credendo di
aver attirato su questo progetto l’attenzione del pubblico e del governo
partì nel 1728 per fondare un collegio nelle isole Bermude.Soggiornò per
circa tre anni a Rhode-Island e qui compose l’Alcifrone. Un dialogo
polemico contro i liberi pensatori del tempo.In seguito venne nominato
vescovo di Clone in Irlanda e qui si dedicò a diverse opere morali e
filantropiche.Trascorse infine gli ultimi anni a Oxford dive morì il 20
febbraio 1753.
Berkeley ritiene che la causa degli errori e delle incertezze che si incontrano in
filosofia sia la credenza che il nostro spirito forma idee astratte.Ma le idee
astratte non sono che idee particolari (l'idea dell'estensione è sempre un
particolare oggetto,...) assunte come segni di un gruppo di altre idee particolari
tra loro affini. E da qui appunto berkeley definisce un nominalismo. Secondo
l'irlandese infatti non esistono idee generiche o universali, ma semplici idee
particolari usate come segni, appartenenti ad un gruppo di altre idee
particolari tra loro affini. Gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà
delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto
collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e
sussistenza complessiva. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni
spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano.
Berkeley professa un nominalismo radicale, in quanto ritiene che le presunte idee
generali di cui parlava Locke non sono idee astratte o universali, ma semplici idee
particolari assunte come segni di un gruppo di altre idee particolari tra loro affini.Di
conseguenza, l’universalità, secondo Berkeley, non risiede tanto nelle idee,quanto
nell’intelletto,il quale, riferendo una determinata idea particolare a tutte le altre idee
particolari della medesima specie, le da valore e significato universale, considerandola
come segno di tutte le altre idee particolari e tale,dunque, che può stare per esse.Ad
esempio” quando dimostro una qualunque proposizione sui triangoli,bisogna supporre
che abbia in vista l’idea universale di un triangolo: ma questo non lo si deve intendere
nel senso che io possa formarmi l’idea di un triangolo che non sia equilatero né scaleno
ecc.;ma soltanto che quel triangolo particolare che io considero, di qualunque tipo esso
sia, rappresenta sempre e sta in luogo di qualsivoglia triangolo rettilineo, ed è in questo
che è universale.”
Il termine immaterialismo è stato coniato dal filosofo-teologo irlandese George
Berkeley (1685-1753) per definire la sua dottrina che nega l'esistenza della materia.
I corpi materiali e le cose in genere per Berkeley non sono altro che idee divine
che si rendono percepibili all'uomo per volere di Dio stesso. Quando noi
pensiamo di percepire qualcosa in realtà percepiamo un'idea divina che agisce "su
di noi".L'aforisma "Esse est percipi", con cui si sintetizza questa posizione
filosofica, sta a significare che tutto ciò che noi possiamo dire degli oggetti e dei
fatti che ci sembrano reali è che "li percepiamo", senza che ciò ci autorizzi a dire
anche che essi esistano. Quando noi pensiamo una certa cosa che ci sembra
realmente esistente in realtà, secondo Berkeky, non facciamo altro che collezionare
nella nostra mente una serie di idee su di essa.
Le cose materiali esistono soltanto nella nostra testa perché le idee che si
estrinsecano come percezione si concretizzano alla nostra coscienza.Nel Trattato sui
principi della conoscenza umana, pubblicato nel 1710, Berkeley dice: "Le idee che ci
facciamo delle cose sono tutto che possiamo dire della materia. Perciò per "materia"
si deve intendere una sostanza inerte e priva di alcun senso, della quale però si pensa
che abbia estensione, forma e movimento. È quindi chiaro che la nozione stessa di
ciò che viene chiamato "materia" o "sostanza corporea" è contraddittoria. Per
Berkeley tutta la realtà si riduce quindi all'idea che di essa ne abbiamo; ma questa
idea non nasce solipsisticamente dalla nostra attività percettiva, ma è indotta in noi
dall'esistenza di Dio; le idee sono cioè azioni di Dio sulla nostra mente. Al contrario,
ammettere l'esistenza della materia significa negare Dio e spiegare le idee come
conseguenza dell'azione della materia sulla nostra mente. Pertanto, il materialismo
conduce all'ateismo, l'immaterialismo è invece il fondamento stesso della religione.