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LE DIFFICOLTA’ DELLA TERZA REPUBBLICA FRANCESE E IL CASO DREYFUS
Sulle ceneri del II impero e della fallimentare esperienza della Comune di Parigi era nata
nel 1875 in Francia la Terza Repubblica. La nuova costituzione sanciva il bicameralismo,
un potere esecutivo affidato al presidente della Repubblica, eletto dal parlamento e in
carica per sette anni, con i ministri responsabili di fronte all’assemblea legislativa, in modo
tale da legittimare quella francese come una repubblica parlamentare. Gli esordi per
questa nuova fase della storia francese non furono affatto semplici: la nuova repubblica si
segnalò subito per un elevatissimo tasso di corruzione tra i suoi deputati e per alcuni
clamorosi scandali finanziari. Inoltre, a destra e a sinistra il nuovo sistema politico era
fortemente avversato in nome di un comune sentire antiparlamentare e antiborghese. A
destra, la resistenza più significativa fu quella dei cattolici integralisti, che vedevano la
nuova repubblica come l’erede della Rivoluzione dell’89 e i suoi principi nefasti per la
civiltà, che in quegli anni dettero vita a leggi di stampo laico e repubblicano, sotto il
governo del moderato Grévy: scuola laica, istruzione elementare gratuita e obbligatoria,
introduzione del divorzio, tolleranza verso i movimenti sindacali. Papa leone XIII nel 1892
esortò addirittura i cattolici francesi a prendere parte alla vita politica del loro paese:
questo atto riconosceva la legittimità del governo repubblicano, ma non costituiva
un’altrettanta accettazione dei suoi valori fondanti. La situazione era così tesa da dar vita,
nel breve volgere di pochi anni, a due tentativi, falliti, di svolta autoritaria. Alle elezioni del
1876 vinse una maggioranza anticlericale, che diede vita alle riforme di cui parlavamo
sopra; nello stesso anno, fu eletto presidente il generale Mac-Mahon, proprio colui che si
trovava alla testa dell’esercito quando fu repressa nel sangue la Comune di Parigi. MacMahon costrinse alle dimissioni il primo ministro Simon e lo sostituì con De Broglie,
dichiaratamente monarchico e vicinissimo al presidente: questo gesto sembrava
implicitamente affermare che il governo era responsabile di fronte al presidente e non al
parlamento, con il rischio di trasformare la Francia in qualcosa di molto simile al regime
tedesco. Alle elezioni dell’anno successivo i francesi sconfessarono clamorosamente il
presidente, dando la loro preferenza ai deputati repubblicani e facendo svanire il progetto
autoritario. Un decennio più tardi fu la volta di un altro generale, Boulanger, attentare alla
sicurezza della Terza repubblica. Egli era tuttavia un uomo molto diverso da Mac-Mahon:
questi era un uomo d’ordine, che detestava però le masse, mentre Boulanger intuì la loro
forza e la capacità di mobilitazione che avevano, costruendo in virtù del suo carisma un
vasto seguito intorno alla sua figura. Un acuto osservatore come Le Bon, di cui abbiamo
parlato qualche lezione fa, restò fortemente colpito dall’entusiasmo popolare che si creò
verso la figura del generale. Boulanger fu accusato di complottare contro lo Stato e
anziché puntare su una prova di forza, preferì cercare riparo all’estero, dove morì nel
1891. Al di là del fallimento concreto del movimento boulangista, la sua importanza storica
è notevole: con il suo esempio vediamo comparire sulla scena della storia la figura di un
leader carismatico e quella mobilitazione delle masse, che tanta parte avranno nella
storia del ‘900. E’ anche interessante notare come la coalizione che lo sostenne fosse
decisamente eterogenea, tale da comprendere sia i nazionalisti (convinti che la
repubblica parlamentare non fosse in grado di far rinascere la Francia dopo il disastro del
1870-71), che i socialisti più estremisti, i quali si ispiravano più a Proudhon e a Blanqui
che a Marx e vedevano nel nuovo sistema politico l’incarnazione di quello stato borghese
che aveva schiacciato la Comune. Pur di far crollare lo stato borghese, appoggiavano un
uomo così politicamente lontano come Boulanger. I nazionalisti si ispiravano invece al
pensiero dello scrittore francese Ernest Renan, il quale dopo la disfatta di Sedan aveva
imputato la sconfitta alla tradizione politico – culturale nata con l’Illuminismo e la
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Rivoluzione dell’89: a suo dire, la vittoria della Prussia aveva dimostrato la superiorità di
uno stato autoritario, che anteponeva la grandezza nazionale al benessere del singolo.
La singolare alleanza creatasi tra nazionalisti ed estremisti di sinistra, concorde
nell’attaccare le fondamenta del sistema borghese e parlamentare, si ripropose in
occasione del caso Dreyfus. Il clima arroventato in cui si svolse l’intera vicenda fu
preparato dal brillante scrittore e giornalista Edouard Drumont, direttore dal 1892 del
quotidiano La Libre parole, che raggiunse addirittura negli anni novanta le 200.000 copie
giornaliere. Egli divenne famoso nel 1886, quando pubblicò un vero e proprio best – seller,
la Francia ebraica, che vide 200 edizioni vendute fino al 1943 e un milione di copie in
totale. I frequenti riferimenti al cristianesimo permisero al libro di venir apprezzato anche
negli ambienti cattolici, ma ciò che più conta sono le concezioni apertamente razziste
espresse in questo contesto. Secondo Drumont, la storia è caratterizzata da una
opposizione perenne e insanabile tra la razza ariana o indoeuropea, la sola a possedere
i sentimenti di giustizia, libertà e bellezza e quella semita, responsabile dei disastri
prodotti nel mondo dal capitalismo e dall’affarismo senza scrupoli che riduceva sul lastrico
e sfruttava molte persone. Perciò, contro gli speculatori e i banchieri egli si proponeva
difensore dei poveri e profeta di un nuovo ordine sociale, in cui tutti i membri della nazione
avrebbero collaborato in modo armonioso per ridare dignità al popolo, liberando la Francia
dallo spirito ebraico. Nazionalisti, cattolici ed estremisti di sinistra accolsero con
entusiasmo le sue parole. Pertanto, quando si aprì l’affare Dreyfus, il clima era propenso a
sviluppi di un certo tipo. Questo capitano di origine ebraica nel 1894 fu accusato di aver
passato importanti segreti militari alla Germania e di conseguenza arrestato e condannato
per alto tradimento ai lavori forzati. Da questa vicenda Drumont vide confermati i suoi
sospetti e i suoi pregiudizi: era la riprova che gli ebrei tramavano per la rovina della
Francia. Due anni dopo il caso si riaprì quando il nuovo capo di Stato maggiore
dell’esercito, Picquart, ufficiale protestante moralmente integerrimo, si convinse
dell’innocenza del capitano Dreyfus e della colpevolezza del maggiore Esterhazy, nobile
oppresso dai debiti di gioco. Il colonnello fu rimosso dall’incarico e inviato in zona di
guerra, testimonianza del clima che regnava nel paese e della connivenza dei militari, o
almeno della maggioranza di essi, in questa vicenda. Iniziò allora una campagna
innocentista, che vide protagonista il leader radicale Clemenceau, il quale fece pubblicare
sulle colonne del suo giornale Aurore il famoso articolo del grande scrittore Emile Zola,
dal titolo J’accuse. In questa lettera aperta egli, oltre a prendere le difese di Dreyfus,
accusava apertamente le più alte cariche dell’esercito, colpevoli di non voler ammettere di
aver commesso un errore e di subire la pressione di Drumont e delle componenti più
conservatrici della società francese. Per tutta risposta, Zola fu processato per vilipendio
verso le forze armate e sui giornali nazionalisti si scatenò una violentissima campagna
contro ebrei, liberali e democratici. L’affare Dreyfus diede occasione per uno scontro tra
le due anime della Francia: da un lato, quella reazionaria, antisemita e autoritaria, per cui
contavano più di ogni altra cosa i valori della tradizione, il prestigio dell’esercito e
l’educazione religiosa al rispetto dell’autorità; dall’altro, quella laica, repubblicana e
democratica, fedele agli ideali della Rivoluzione. La svolta avvenne quando i socialisti
marxisti, che in un primo momento si erano rifiutati di prendere posizione, si schierarono
dalla parte del capitano francese, timorosi che il controllo della mobilitazione delle masse
rischiasse di sfuggire di mano ai socialisti. Fu così che il socialismo francese e il suo
segretario Jaurès fecero una precisa scelta di campo, decidendo esplicitamente di
appoggiare il sistema democratico – parlamentare, a differenza dell’estrema sinistra,
influenzata in quegli anni anche dal sindacalismo di Sorel, che si schierò dall’altra parte.
Nel 1898 Esterhazy confesserà di aver contraffatto per ordini superiori le prove a carico
del capitano Dreyfus. Solo nel 1899 egli verrà graziato dal presidente Loubet e riabilitato
ufficialmente nel 1906. Indicativo il ruolo svolto in questa vicenda dagli intellettuali, come
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Zola e Anatole France, che insieme a Clemenceau impostarono la battaglia su principi
universali che spaccarono l’opinione pubblica e penetrarono in ogni ambiante politico e
classe sociale, in un periodo in cui le piazze rischiavano di venir monopolizzate dai
nazionalisti, che usavano le armi dell’intimidazione e della violenza. Ebrei percossi per
strada e squadre antisemite tollerate dalla polizia anticipano una triste pagina della storia
europea, con esiti ben più tragici. Nel 1908 nacque Action Francaise, guidata da Maurras,
movimento di estrema destra estremamente agguerrito. Questo intellettuale è stato
definito da alcuni storici un reazionario moderno, perché se da un lato si fa portavoce di
un cattolicesimo integralista e antisemita, con riferimenti a De Maistre, dall’altro è
consapevole che la mobilitazione delle masse è fondamentale per la vittoria della destra,
dimostrando di aver assimilato la lezione di Le Bon. Riguardo all’insolita alleanza tra
estrema destra e sinistra, questa non deve meravigliare, visto l’obbiettivo identico che
esse avevano di abbattere il sistema parlamentare; del resto, i sindacalisti rivoluzionari
confluiranno in gran parte nel fascismo mussoliniano, in grado di convogliare un consenso
trasversale a destra come a sinistra. Né deve meravigliare la battaglia che Zola condusse
sull’altro fronte, a favore della verità: i suoi romanzi, capolavori del naturalismo francese,
denunciarono la drammatica condizione di vita degli operai delle grandi città e delle
prostitute parigine, mostrando con obbiettività scientifica, figlia del clima positivistico, come
l’ambiente avvolto nel degrado in cui vivevano li portasse alla violenza e alla corruzione
fisica e morale. Tutto questo non era per Zola qualcosa di immutabile: era compito della
politica estirpare quel male che gli aveva lucidamente messo a nudo nei suoi romanzi. Si
spiega così il motivo per cui quando morì nel 1902, al suo funerale parteciparono migliaia
di operai, consapevoli dell’impegno profuso dallo scrittore nel denunciare i loro problemi.
Alle elezioni del 1899 lo schieramento delle sinistre democratiche prese una sonora
rivincita sui clerico – conservatori: guidata da Clemenceau, la Francia laica e
repubblicana, che aveva trovato gli anticorpi adatti per espellere il rischio di contagio
antisemita e autoritario nella tradizione illuministica e rivoluzionaria, guidò il paese fino alla
vigilia della Prima guerra mondiale.
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