Stefania Ruggeri, ricercatrice del CREA Alimenti e Nutrizione di Roma, intervistata su “National Geographic”: “i grassi vegetali allungano la vita” A cura dell’Ufficio Stampa I grassi che allungano la vita Uno studio epidemiologico, condotto su un campione di quasi 130.000 persone sane, rafforza quello che i nutrizionisti ribadiscono da tempo: i grassi saturi e trans aumentano il rischio di malattie mortali, mentre quelli insaturi portano alla longevità di Federico Formica I grassi vegetali sono più sani di quelli animali, ci fanno vivere meglio e ci allungano la vita. Chi si interessa di cibo e nutrizione avrà letto queste affermazioni molto spesso negli ultimi anni. Niente di nuovo, insomma. Solo che stavolta lo ribadisce uno studio epidemiologico dalle basi molto solide, visto che per giungere alle loro conclusioni gli scienziati di Harvard e della Brigham and Women's Hospital hanno monitorato oltre 126.000 persone sane per 32 anni (i soggetti maschi per 26). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Internal Medicine. I ricercatori hanno seguito la dieta di 83.000 donne e quasi 43.000 uomini, con particolare attenzione all'assunzione dei grassi. Il campione femminile è stato osservato dal 1980 al giugno 2012; quello maschile dal 1986 al gennaio 2012 con aggiornamenti periodici ogni 2-4 anni. Dallo studio di questa immensa mole di dati è emerso che una dieta più ricca di acidi grassi saturi comporta un rischio di mortalità più alto rispetto a un'alimentazione più ricca di acidi grassi polinsaturi e monoinsaturi. Gli alimenti più ricchi di grassi saturi sono quelli di origine animale (con l'eccezione dell'olio di palma, che ha proprietà simili a quelle del burro), mentre oli vegetali, frutta secca, pesce e alcuni frutti esotici (avocado su tutti) risultano ricchi di acidi grassi mono o polinsaturi. E non è tutto: secondo lo studio, basta sostituire appena il 5% dell'energia fornita da grassi saturi con acidi grassi polinsaturi e monoinsaturi per ridurre la mortalità rispettivamente del 27% e del 13%. Ma ad alzare il rischio di mortalità sono, più di tutti, gli acidi grassi trans. Questi ultimi, introdotti negli anni Cinquanta per allungare i tempi di conservazione di biscotti, dolci e altre merende (ma si trovano anche nelle patatine fritte in busta), sono nel mirino di ricercatori e nutrizionisti da almeno trent'anni. La loro composizione lineare facilita l'ingresso nelle arterie e nell'aorta, aumentando il rischio di infarti e ictus. Nel giugno 2015 la Food and drug administration americana ha annunciato che entro il 2018 la maggior parte di questi grassi non potranno più essere usati dall'industria alimentare. L'Efsa – l'autorità alimentare europea – ne sconsiglia l'uso già da tempo, ma nel vecchio continente non è ancora stata presa una decisione “forte” come quella della Fda. I grassi trans possono essere di origine animale e vegetale. A fare la differenza è il processo di trasformazione: le alte temperature – raggiunte soprattutto a livello industriale - possono rendere “cattivi” anche grassi salutari come quelli insaturi. “E' uno studio epidemiologico molto solido, e non solo per il numero delle persone coinvolte e gli anni di follow-up – spiega Stefania Ruggeri, ricercatrice del Crea e nutrizionista – altri punti di forza sono il fatto di aver coinvolto solo soggetti sani e di aver valutato anche l'impatto dei carboidrati nella dieta di queste persone. Studi di questo tipo, infatti, hanno molti fattori cosiddetti 'confondenti' ed esplicitarli è segno di onestà e chiarezza” continua Ruggeri. Secondo la ricercatrice lo studio “rafforza” ciò che le linee guida delle autorità alimentari sia europee che americane consigliano da anni: “Limitare il consumo di cibi di origine animale come carne e formaggi, spostandosi verso pesce, frutta e verdura. Non è una moda: sono evidenze scientifiche”.