FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICHE ELEMENTARI DA UN PUNTO DI VISTA SUPERIORE Geometria sintetica e Strutture algebriche Nicola Melone Anno accademico 2009-10 Indice CAPITOLO 1: CENNI DI STORIA DELLA GEOMETRIA EUCLIDEA 1.1 Babilonesi, Egizi, Indiani (2000 - 600 a.C.) 1 1.2 I Greci (600 a.C. – 400 d.C.) 2 1.3 Gli Elementi di Euclide 5 1.4 Costruzioni con riga e compasso 9 CAPITOLO 2: RICHIAMI DI ALGEBRA 2.1 Introduzione 21 2.2 Elementi di teoria dei campi 25 2.3 L’anello dei polinomi a coefficienti in un campo 30 2.4 Estensioni algebriche e ricerca degli zeri di un polinomio 34 CAPITOLO 3: FONDAMENTI DI GEOMETRIA 3.1 Introduzione 37 3.2 Gli assiomi di Hilbert 41 3.3 Elementi di Geometria proiettiva sintetica 44 3.4 Spazi proiettivi finitamente generati 52 3.5 Spazio duale di uno spazio proiettivo 56 3.6 Spazi affini dal punto di vista proiettivo 61 3.7 Spazi proiettivi e affini con un numero finito di punti 65 CAPITOLO 4: SPAZI PROIETTIVI SU CORPI E CAMPI 4.1 Elementi di algebra lineare su corpi 69 4.2 Spazi proiettivi su corpi 76 4.3 Teoremi di Desargues, Pappo e Fano 79 CAPITOLO 5: SPAZI PROIETTIVI DESARGUESIANI 5.1 Collineazioni e affinità 85 5.2 Collineazioni centrali e dilatazioni 90 5.3 Il Teorema di rappresentazione degli spazi affini e proiettivi desarguesiani 95 Introduzione Queste note riassumono gli argomenti delle lezioni di Matematiche elementari dal punto di vista superiore da me tenute nell’anno accademico 2009/10. In queste note si vuole approfittare della storia degli Elementi di Euclide per inquadrare in un percorso storico e culturale il processo di maturazione delle idee che hanno portato in oltre duemila anni e con il contributo di moltissimi matematici alla sistemazione odierna dei Fondamenti della Geometria. Un discorso che permette di evidenziare in modo chiaro il profondo legame esistente tra questioni geometriche elementari e antiche di millenni e l’Algebra moderna nata all’inizio del ventesimo secolo. Spesso problemi matematici dall’enunciato elementare ed apparentemente facili da risolvere hanno avuto risposta soltanto dopo molti secoli mediante nuove teorie matematiche e, spesso, con strumenti matematici complessi. Penso ad esempio alla trisezione dell’angolo, alla duplicazione del cubo, alla quadratura del cerchio, al problema ciclotomico e all’ultimo teorema di Fermat. Elementare nel contesto scientifico, e matematico in particolare, non significa facile o banale, ma fondamentale. Si pensi, ad esempio, alla Fisica delle particelle elementari. Elementare ha la stessa radice di alimento, ovvero ciò che è essenziale per lo sviluppo. Matematica elementare significa, quindi, il complesso delle nozioni e dei teoremi basilari che rendono possibile la costruzione della Matematica contemporanea. La scelta degli argomenti è stata motivata da tre obiettivi. Il primo obiettivo è un tentativo di risposta alla domanda che numerosi studenti di Matematica mi hanno sempre rivolto a conclusione dei loro studi: “perché devo studiare tanta matematica superiore se a scuola insegno soltanto argomenti molto elementari che non hanno legami con le complesse teorie moderne?” Il secondo obiettivo è mostrare che la storia dello sviluppo delle idee matematiche è strettamente intrecciata con la storia del pensiero: musica, letteratura, poesia, filosofia e matematica hanno profondi legami e reciproche influenze culturali. Il terzo obiettivo è colmare un difetto dei corsi di studio in Matematica. L’organizzazione didattica suddivisa nei settori disciplinari classici dell’Algebra, dell’Analisi Matematica, della Fisica Matematica, della Geometria, della Logica, della Matematica computazionale, della Probabilità e la numerosità di insegnamenti in uno stesso settore, se da un lato consente allo studente di approfondire aspetti importanti di una disciplina, molto spesso fa perdere una visione di insieme della disciplina stessa e, più in generale, della Matematica. Ne deriva spesso, non soltanto nell’opinione pubblica ma anche nei laureati in Matematica, una visione della Matematica limitata e frammentaria, priva di uno sviluppo storico organicamente connesso alla storia dell’umanità, una scienza priva di umanesimo e ridotta ad un arido tecnicismo. Una Matematica brutta, astratta, autoreferenziale, fatta per pochi (eletti?) e che non ha contenuti culturali e formativi. Nicola Melone 1 Nicola Melone CAPITOLO 1 CENNI DI STORIA DELLA GEOMETRIA 1.1 Babilonesi, Egizi, Indiani (2000 a.C.- 600 a.C.) Il legame della Matematica con la Società è così profondo che la storia della Matematica inizia con la storia dell’Umanità. In alcuni graffiti dell’uomo di Neanderthal (50.000 anni a.C.) si ritrovano rudimentali sistemi di conteggio e graffiti dell’uomo di CroMagnon (25.000 anni a.C.) contengono disegni geometrici. Nell’attuale Libano sono state rinvenute ossa di animali con tacche riunite in gruppi di uguale cardinalità risalenti a 15.000 anni a.C. Intorno al 10.000 a.C. gli esseri umani da cacciatori raccoglitori si trasformarono in agricoltori. Essi costruirono i primi villaggi e si dedicarono all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame. In particolare le donne si occupavano di agricoltura, dello studio e della classificazione delle piante (Botanica), ricavando medicamenti e veleni, e lavoravano l’argilla per produrre vasellame. Queste civiltà primitive avevano già alcune rudimentali nozioni di Matematica e, in particolare, rette, cerchi ed angoli. Morris Kline [MK] afferma che, prima delle civiltà babilonese ed egizia (2000 - 600 a.C.), non vi è traccia di matematica più avanzata. Le conoscenze matematiche dell’antica Mesopotamia (odierno Iraq) derivano da numerosi testi scritti su tavolette di argilla con incisioni a forma di cuneo, la cosiddetta scrittura cuneiforme. Esse testimoniano una vasta cultura matematica risalente alla dominazione sumera (III millennio a.C.), proseguita con la dominazione accadica e assirobabilonese (II e I millennio a.C.), con quella persiana (VI-IV secolo a.C.) e culminata nella profonda trasformazione della Grecia classica (III secolo a.C.-I secolo d.C.). Sulle tavolette si trovano soluzioni di molti problemi algebrici e geometrici: in particolare la formula risolutiva delle equazioni quadratiche, le formule per il calcolo (approssimato) delle aree del cerchio e di vari poligoni e il Teorema di Pitagora, 1000 anni prima dei greci [M.K.]. Su una di tali tavolette si legge infatti: “4 è la lunghezza e 5 la diagonale. Qual è la larghezza? 4 per 4 è 16, 5 per 5 è 25. Togli 16 da 25 e resta 9. 3 per 3 è 9 e quindi la larghezza è 3”. Anche gli egizi inventarono un sistema di scrittura pittografico, i geroglifici, e i documenti principali sulle loro conoscenze matematiche sono due papiri risalenti (circa) al 1700 a.C.. Il papiro di Mosca (così chiamato perché conservato a Mosca), contiene 25 2 Nicola Melone problemi tra cui la formula corretta del volume del tronco di piramide (forse il compito di un allievo) ed il papiro Rhind (dal nome dello scopritore, detto anche di Ahmes dal nome dell’autore), contiene 84 problemi tra cui risoluzioni di equazioni lineari in un’incognita, formule per il calcolo di aree, in particolare del cerchio, e di volumi, in particolare di un tronco di piramide a base quadrata (forse un manuale per docenti). Dai documenti si evince che le conoscenze matematiche degli egizi appaiono meno profonde di quelle dell’antica Mesopotamia. Erodoto afferma che la geometria egizia era nata per esigenze pratiche. A quell’epoca già si pagavano le tasse sulle terre e le continue inondazioni del Nilo, cancellando i confini, costringevano a ricalcolare ogni anno le superfici. Sebbene la civiltà hindù risalga ad almeno 2000 anni a.C., le prime testimonianze di nozioni matematiche sono contenute in documenti religiosi, chiamati Śulvasūtra, intorno all’800 a.C.. In essi si trova un valore approssimato per √2 , la descrizione dei metodi per costruire altari di forma circolare, semicircolare o quadrata di stessa area, procedimenti per costruire figure simili e la seguente formulazione del teorema di Pitagora: “la diagonale di un rettangolo oblungo produce da sola entrambe le aree che i due lati dell’oblungo producono separatamente”. La Matematica di Babilonesi, Egizi e Indiani era sostanzialmente primitiva, rudimentale e pratica, riducendosi ad un insieme di regole per risolvere problemi concreti e specifici. Le applicazioni più importanti in Mesopotamia ed Egitto furono all’Astronomia. Queste tre civiltà non avevano acquisito metodi generali, procedimenti di astrazione ed il concetto di dimostrazione. 1.2 I Greci (600 a.C. – 400 d.C.) Bisogna attendere il V secolo a.C. per assistere alla nascita della civiltà greca classica che cambierà il corso della storia dell’umanità e la nascita della Matematica in senso moderno. Kline afferma ([M.K]):“Nella storia della civiltà i Greci occupano un posto preminente; nella storia della Matematica sono l’evento supremo”. Nel V secolo a.C. 3 Nicola Melone comincia, infatti, in Asia Minore (odierna Turchia) una profonda rivoluzione del pensiero che, successivamente, infiamma la Grecia moderna, Creta, Rodi, Delo, l’Italia meridionale (la Magna Grecia) e l’Africa settentrionale. I filosofi ionici, convinti che la Natura fosse un sistema razionale e quindi comprensibile razionalmente in tutti i suoi fenomeni, pongono al centro dell’interpretazione dei fenomeni naturali la Natura stessa. Si passa così dalla Mitologia al Meccanicismo. I motivi principali della nascita e del fiorire di questa cultura furono essenzialmente l’adozione dell’alfabeto fenicio (al posto dei vari sistemi basati sui geroglifici egizi), che consentì una migliore diffusione delle idee, e la creazione di scuole sotto la guida di grandi maestri intorno alle quali si raccoglievano e si istruivano gli allievi. I matematici greci più importanti sono stati [MacTutor History of Mathematics archive, http://www-history.mcs.st-andrews.ac.uk/history/index.html]: • Talete di Mileto (624-547 a.C.): uno dei sette saggi presocratici, fondatore della Scuola Ionica, la prima in ordine di tempo. Egli trasferì in Grecia la matematica egizia, trasformandola in un’attività puramente speculativa. A Talete si deve in particolare l’introduzione del metodo deduttivo; • Pitagorica di Samo (569-475 a.C.): allievo di Talete e fondatore della scuola pitagorica a Crotone nella Magna Grecia. Egli è considerato il primo matematico ad aver introdotto il concetto di dimostrazione in matematica ed al quale si deve, probabilmente, la prima dimostrazione del teorema che per questo motivo porta il suo nome; • Ippocrate di Chio (470-410 a.C.): che scrisse il primo libro “Elementi di Geometria”, in cui si trova la risoluzione geometria delle equazioni quadratiche, che probabilmente è stato adoperato come modello dei Libri I e II degli Elementi Euclide.Sembra, inoltre, che per primo abbia trasformato il problema della duplicazione del cubo in quello della determinazione di due medi proporzionali tra due segmenti; • Platone di Atene (427-347 a.C.): fondatore dell’Accademia, il cui contributo principale alla matematica è stato quello di enfatizzare l’importanza delle dimostrazioni e la necessità di definire accuratamente gli oggetti matematici; • Teeteto di Atene (417-369 a.C.): allievo di Platone ed inventore della Geometria solida, che studiò per primo l’ottaedro e l’icosaedro e costruì i cinque solidi regolari, detti platonici, che costituiscono sostanzialmente il Libro XIII di Euclide; • Eudosso di Cnido (408-355 a.C.): che sviluppò la teoria delle proporzioni, esposta nel Libro V di Euclide, e introdusse il metodo di esaustione per il calcolo di aree e volumi, utilizzato da Euclide nel Libro XII. Ad Eudosso si deve, inoltre, la prima dimostrazione che il rapporto tra le aree dei cerchi ed i quadrati dei loro raggio è costante; 4 Nicola Melone • Menecmo (380-320 a.C.): allievo di Eudosso, che per primo studiò le coniche come sezioni piane di un cono e le utilizzò per dare una soluzione al problema della duplicazione del cubo; • Aristotele (384-322), fondatore del Liceo dopo aver lasciato l’Accademia di Platone. È considerato tra i maggiori filosofi della Grecia antica ed uno tra i più influenti pensatori della Storia umana. Non è un matematico nel senso proprio del termine, sebbene a lui si deve la sistemazione della logica come scienza deduttiva indipendente dalla Matematica. La sua autorevolezza influenzò il carattere della Matematica greca classica, in particolare di Euclide, ritenendo indispensabile costruire geometricamente gli oggetti della Matematica; • Euclide di Alessandria (325-265 a.C.): che nei suoi famosi 13 Libri degli Elementi ricostruì in una teoria assiomatico-deduttiva la matematica di Talete, Pitagora, Ippocrate, Teeteto, Eudosso ed altri. Sulla base di questa organizzazione assiomatica delle conoscenze matematiche del IV secolo a.C., la Matematica, ed in particolare la Geometria, entra nel periodo d’oro; • Archimede di Siracusa (287-212 a.C.): considerato il più eminente matematico greco ed uno dei più grandi scienziati della Storia. Egli perfezionò il metodo di esaustione di Eudosso e calcolò l’area ed il volume di numerosissimi oggetti, in particolare dimostrò che il volume di una sfera è uguale ai di quello del cilindro circoscritto. Archimede studiò molte curve e superfici speciali (tra cui la spirale che porta il suo nome), fornì la costruzione di 13 poliedri semiregolari (detti archimedei), stabilì i principi fondamentali della Meccanica (il principio del galleggiamento dei corpi, ben noto come Principio di Archimede) e costruì molti strumenti tecnologici (gli specchi ustori, l’orologio ad acqua, il principio del sollevamento dell’acqua mediante l’elicoide ed il planetario); • Eratostene di Cirene (276 – 194 a.C.): matematico, astronomo, geografo e poeta, considerato il fondatore della Geografia matematica per l’uso sistematico delle coordinate sferiche (latitudine e longitudine) inventate da Dicearco da Messina (350290 a.C.). Egli per primo ottenne una misura molto precisa del meridiano terrestre. Tra i risultati matematici più noti di Eratostene vanno annoverati l’invenzione di un metodo per individuare numeri primi (il crivello di Eratostene) e di uno strumento (il mesolabio) per inserire due medi proporzionali tra due numeri assegnati e quindi utile per calcolare radici cubiche. Si voglia ad esempio calcolare √ . Determinati con il mesolabio due medi proporzionali b,c tra a ed 1, cioè tali che a : b = b : c = c : 1 , risulta ac = b2 e b = c2, da cui a = c3 ovvero √ = c. Apollonio di Perga (262-190 a.C.): considerato insieme ad Euclide ed Archimede tra i più grandi matematici del periodo ellenistico. Egli è l’autore del fondamentale trattato Le coniche nel quale fece un’esposizione sorprendentemente moderna della teoria (i nomi ellisse iperbole e parabola, compaiono nell’opera per la prima volta). Egli introdusse anche le nozioni di normale, evoluta e centro di curvatura di una conica ed ottenne un’approssimazione di π migliore di quella di Archimede; • Ipparco di Rodi (190-120 a.C., nato in realtà a Nicea): matematico e astronomo. Considerato tra i più importanti astronomi dell’antichità, egli ha introdotto vari metodi per calcolare tavole trigonometriche e, probabilmente, ha inventato la trigonometria; 5 Nicola Melone • Erone di Alessandria (10-75 d.C.): nei suoi 3 Libri della Metrica determina le formule per il calcolo di aree di figure piane, superfici e volumi di figure solide. In particolare determina la formula (nota come formula di Erone) per il calcolo dell’area di un triangolo mediante il suo semiperimetro ed un metodo per calcolare la radice cubica di un numero; • Menelao di Alessandria (70-130 d.C.): cui si deve lo sviluppo della geometria e trigonometria sferica nei suoi 3 Libri della Spherica e le applicazioni all’Astronomia. In particolare è noto il cosiddetto teorema di Menelao: condizione necessaria e sufficiente affinché tre punti distinti L,M,N fissati rispettivamente sui lati AB, BC e CA di un triangolo ABC, siano allineati è che le loro misure relative verifichino la relazione · 1; • Tolomeo (95-165 d.C.): nell’Almagesto perfezionò la trigonometria di Ipparco e costruì la teoria geometrica del moto dei pianeti. La sua teoria resistette 1400 anni fino alla teoria eliocentrica di Copernico, dimostrata sperimentalmente da Galilei. Famoso è il cosiddetto Teorema di Tolomeo (il prodotto delle diagonali di un quadrilatero inscritto in un cerchio è uguale alla somma dei prodotti dei lati opposti) da cui dedusse le formule per , 2 . • Pappo di Alessandria (290-350 d.C.): ultimo dei grandi geometri greci, il cui maggiore contributo alla Geometria è l’opera in 8 Libri Sinagoga (o Collezione matematica), contenente vari argomenti, tra cui un metodo per risolvere il problema della trisezione di un angolo, paradossi geometrici, poliedri regolari e semiregolari, quadratrice e spirale, superfici minime, astronomia e meccanica. Sono famosi il cosiddetto Teorema di Pappo (la base della geometria proiettiva sintetica moderna) ed un teorema (riscoperto da Guldino nel 1640) sul calcolo del volume di solidi di rotazione. 1.3 Gli Elementi di Euclide I Greci dividevano la Matematica in Aritmetica (lo studio della “moltitudine” o delle “quantità discrete”) e Geometria (lo studio delle “grandezze” o “quantità continue”) e le consideravano entrambe di origine essenzialmente pratica. Proclo (412-485 d.C.) nel suo “Commentario su Euclide” afferma che la geometria (letteralmente misurazione della terra) nasce in Egitto per l’esigenza di ridefinire i confini delle proprietà cancellati ogni anno dallo straripamento del Nilo e l’aritmetica origina dalle esigenze dei commercianti fenici. Il contributo fondamentale dei Greci alla Matematica è stato quello di averla trasformata in una scienza astratta e quindi di aver “inventato” la Matematica nel senso moderno del termine, ovvero una scienza in cui le proposizioni devono essere di carattere generale e confermate da dimostrazioni. Ad esempio i matematici mesopotamici conoscevano già procedure per determinare le cosiddette terne pitagoriche, cioè terne (a,b,c) di numeri naturali tali che a2+ b2 = c2 (e.g. (3,4,5), (5,12,13)) e, molto probabilmente, sapevano che ogni terna pitagorica forniva i lati 6 Nicola Melone di un triangolo rettangolo. Quest’ultima proprietà fu dimostrata in modo rigoroso da Euclide nel Libro I (proposizione 47, ed in forma più generale nella proposizione 31 del Libro VI) e lo stesso Euclide nel Libro X prova sostanzialmente che: le terne pitagoriche sono tutte e sole le terne (a,b,c) di numeri naturali del tipo a = ρ(p2- q2) , b = ρ(2pq) , c = ρ(p2+q2), p,q, ρ numeri naturali tali che p>q, p,q primi tra loro ed uno soltanto dispari. Non sono del tutto certi i motivi che spinsero i Greci ad operare questa profonda trasformazione della Matematica. Alcuni storici sostengono che probabilmente fu causato dal fatto che i primi pensatori greci furono filosofi, interessati soltanto alle idee. La filosofia dell’influente scuola pitagorica (anche a seguito della scoperta del ruolo centrale dell’aritmetica nell’armonia musicale) si fondava sul principio che il mondo sensibile ha una struttura matematica (tutto è numero) e numeri e geometria erano identificati. In particolare ritenevano che ogni oggetto naturale fosse misurabile con un numero naturale o razionane (frazionario). Gli stessi pitagorici scoprirono, però, che il lato e la diagonale del quadrato unitario sono incommensurabili. Dal teorema di Pitagora segue infatti che d2 = 1 + 1 = 2 , onde se fosse d = , con p,q numeri naturali primi tra loro ( ipotesi non restrittiva), si avrebbe p2 = 2q2 e quindi p sarebbe d pari. Posto p = 2m, risulterebbe allora 2q2 = 4m2, ovvero anche q sarebbe pari, in contrasto con l’ipotesi che p,q soni coprimi. 1 A partire da questo risultato, nel IV secolo Teeteto ed Eudosso studiarono più a fondo gli irrazionali ed Euclide ne fece una teoria generale nel Libro X degli Elementi. La scoperta degli irrazionali e la conseguente esistenza di segmenti incommensurabili spinsero i matematici del tempo ad una revisione critica dei principi fondamentali della Matematica, in particolare del concetto di dimostrazione e di verità matematica. I tempi erano maturi per dare alla Matematica una struttura ipotetico-deduttiva. Questo è stato il fondamentale contributo di Euclide alla Matematica. Gli Elementi di Euclide rappresentano il punto d’arrivo più importante e definitivo del processo (iniziato con Talete, Pitagora, Ippocrate e Platone, per citare soltanto i più importanti), di trasformare la Matematica da scienza pratica a scienza teorica. Euclide suddivise il suo trattato in 13 Libri (capitoli) nei quali espose in forma assiomatico-deduttiva tutte le conoscenze matematiche del tempo (inventando così il metodo assiomatico). L’opera si apre con una serie di definizioni degli enti oggetto di 7 Nicola Melone studio (ad esempio, punto, retta, piano, angolo retto, acuto ed ottuso, rette perpendicolari, triangolo rettangolo, equilatero, isoscele e scaleno, quadrato, cerchio, parallelismo ...) e con le seguenti nozioni comuni (i.e. principi logici evidenti) e postulati (i.e. affermazioni la cui evidenza non necessitava di dimostrazioni). NOZIONI COMUNI 1. Grandezze uguali ad una stessa grandezza sono uguali tra loro; 2. Sommando (o sottraendo) grandezze uguali a (da) grandezze uguali si ottengono grandezze uguali; 3. Grandezze che coincidono sono uguali; 4. Un intero è maggiore di ogni sua parte; POSTULATI I. Esiste una (ed una sola) linea retta tra due punti; II. Ogni linea retta si può prolungare indefinitamente in una linea retta; III. Esiste un (solo) cerchio di centro e raggio fissati; IV. Gli angoli retti sono uguali tra loro; V. Se una linea retta interseca due linee rette formando angoli interni da uno stesso lato minori di due angoli retti, le due linee rette prolungate indefinitamente si intersecano nel lato dei due angoli interni minori di due retti. Una sommaria descrizione del contenuto degli Elementi è la seguente. Il Libro I tratta dei criteri di congruenza dei triangoli, delle relazioni tra area di triangoli e parallelogrammi e delle proprietà delle rette parallele. Il Libro II contiene proposizioni su triangoli, quadrati e rettangoli. Il Libro III è dedicato alle proprietà di cerchio e circonferenza. Il Libro IV illustra problemi di costruzione ed in particolare le costruzioni di poligoni regolari inscritti in cerchi. La costruzione di un pentagono regolare inscritto in un cerchio è considerato uno dei più bei risultati degli Elementi. Il Libro V sviluppa, senza utilizzare il contenuto dei libri precedenti, una teoria generale delle proporzioni indipendente dall’aritmetica. Il Libro VI si occupa dei criteri di similitudine dei poligoni. I Libri VII, VIII, IX trattano dell’Aritmetica: proporzioni numeriche, algoritmo della divisione, massimo comun divisore e minimo comune multiplo, numeri primi e fattorizzazione unica, il teorema sull’esistenza di infiniti numeri primi e numeri perfetti. Il Libro X libro molto lungo (contiene 115 proposizioni) e difficile (Fibonacci lo definì difficilior) presenta una teoria degli irrazionali (perfezionando i risultati di Teeteto ed Eudosso). Il Libro XI sviluppa la geometria solida (punti, rette, piani e sfera, parallelismo e perpendicolarità tra rette, rette e piani e tra piani, in analogia a quanto fatto per la geometria piana. 8 Nicola Melone Il Libro XII è dedicato ai rapporti tra cerchi, sfere e rispettivi raggi, a lunghezze, aree e volumi seguendo il metodo di esaustione dovuto ad Eudosso (e ad egli attribuito nel Libro). Il Libro XIII tratta dei Solidi Platonici e dei metodi per inscrivere tali solidi in una sfera. Nel corso dei secoli il metodo assiomatico euclideo contenuto negli Elementi è stato sottoposto ad un’approfondita analisi critica, essenzialmente sulle seguenti tre questioni: 1. Il V postulato, la cui formulazione non corrispondeva al criterio di evidenza degli altri quattro; 2. l’uso di nozioni e concetti che non vengono definiti (ad esempio il concetto di uguaglianza, quello di sovrapponibilità tra oggetti, …) 3. l’uso di enti la cui esistenza è garantita soltanto da figure (ad esempio punti di intersezione tra oggetti geometrici. Per quanto concerne il V postulato, per oltre duemila anni dalla comparsa degli Elementi, lo sforzo dei matematici si è rivolto al tentativo di provarne la dipendenza dagli altri quattro. Proclo nel suo Commento cita una dimostrazione di Tolomeo. Il motivo di tali ricerche dipendeva dalla formulazione del postulato più simile ad un teorema (se … allora …) e quindi, secondo l’influente pensiero di Aristotele (384-322 a.C.), doveva essere dimostrato. Questi tentativi hanno avuto molteplici importanti conseguenze nella Storia della Matematica, le principali delle quali sono le seguenti. • Varie formulazioni equivalenti del V postulato, la più nota e semplice delle quali è il cosiddetto Assioma di Playfair (1748-1819) : per ogni punto P e per ogni retta l esiste un’unica retta l ʹ per P parallela ad l . P • ∃! l lʹ La nascita delle Geometrie non euclidee; particolarmente importante è l’opera Euclides ab omni naevo vindicatus di Gerolamo Saccheri (1667-1733), nella quale egli sviluppa in modo logico una geometria basata soltanto sui primi quattro postulati, credendo erroneamente di essere giunto ad un assurdo. Pur non raggiungendo lo scopo, Saccheri impostò il suo tentativo negando il V postulato e deducendo vari teoremi che anticipano la nascita delle Geometrie ellittica e iperbolica. L’opera di Saccheri fu ripresa da Johann Heinrich Lambert (1728-1777), G.S. Klugel (1739-1812), Luigi Lagrange (1736-1813) e di Carl Friedrich Gauss (1777-1855), tutti convinti dell’impossibilità di dimostrare il V postulato. I teoremi di una geometria senza il V 9 Nicola Melone postulato portarono alla nascita della cosiddetta Geometria Assoluta. In particolare Gauss non pubblicò i suoi risultati per non contrastare la filosofia Kantiana dominante tra il XVIII e il XIX secolo, secondo cui i postulati e i teoremi della geometria euclidea sono giudizi sintetici a priori e quindi l’unico strumento innato per la conoscenza della realtà. L’onore della scoperta di geometrie non euclidee logicamente coerenti è stata attribuita ai matematici János Bolyai (1802-1860) e Nikolaj Ivanovič Lobačhevsky (1792-1856) che furono i primi a pubblicare due organiche geometrie assiomaticodeduttive indipendenti dal V postulato. Il principale effetto di tali ricerche fu la crisi definitiva della concezione kantiana della Geometria euclidea e una profonda revisione del concetto di geometria. Un contributo fondamentale alla nuova concezione della Geometria fu dato da Bernhard Riemann (1826-1866). Riemann espose i suoi risultati nella lezione per il conseguimento del titolo di Privatdozent all’Università di Gottingen, pubblicati nel 1868 con il titolo Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, una delle più grandi creazioni del XIX secolo. • Una profonda revisione critica dell’impostazione assiomatica di Euclide culminata con l’opera di David Hilbert (1862-1943) del 1899 Grundlagen der Geometrie in cui viene presentato un sistema di 20 assiomi che rendono completamente rigorosa la Geometria euclidea, trasformandola in un sistema formale senza contatti con il mondo reale. 1.4 Costruzioni con riga e compasso Euclide, come tutti i matematici del suo tempo, divideva le proposizioni matematiche in due categorie: i teoremi (dimostrazioni di proposizioni del tipo: ogni oggetto verificante certe ipotesi deve avere determinate proprietà) e i problemi (costruzioni di oggetti che devono verificare determinate proprietà). Costruire gli oggetti della Matematica era stato un imperativo di Aristotele (l’esistenza degli oggetti definiti matematicamente doveva essere provata mediante costruzioni geometriche). Come abbiamo già detto, un motivo di questa necessità è derivato probabilmente dalla scoperta delle grandezze incommensurabili e dei numeri irrazionali, che misero in crisi l’Aritmetica greca e spinsero i matematici del tempo a costruire gli enti geometrici che intervenivano nei loro ragionamenti per garantirne l’esistenza. Sebbene nella Matematica greca fossero presenti molti metodi e strumenti di costruzione (che essi chiamavano costruzioni meccaniche), certamente gli strumenti privilegiati furono riga e compasso. 10 Nicola Melone La riga ed il compasso per i Greci erano semplicemente strumenti per tracciare segmenti rettilinei (e non per misurare lunghezza) e per tracciare circonferenze di dato centro e passante per un dato punto (o avente un dato segmento come raggio), strumenti ideali per realizzare proprietà di incidenza tra punti, rette e circonferenze. Un primo motivo che ha spinto i Greci a preferire riga e compasso è probabilmente dovuto all’influente scuola platonica. Kline [MK] sostiene che Platone si opponesse all’uso di strumenti meccanici diversi da riga e compasso, in quanto questi ultimi appartengono al mondo dei sensi e non a quello delle idee. Un secondo motivo è certamente dovuto ad Euclide ed alla sua sistemazione della Geometria negli Elementi. Nell’opera di Euclide tutti i problemi sono risolubili mediante costruzioni basate sui primi tre postulati e quindi mediante il solo uso di riga e compasso. La grande influenza che immediatamente ebbero gli Elementi spinse a cercare di risolvere tutti i problemi di costruzione con il solo uso di riga e compasso, cioè a partire soltanto dai primi tre postulati ed utilizzando soltanto le seguenti: Operazioni grafiche di base: • Tracciare la retta per due punti dati; • Tracciare la circonferenza di dato centro e di raggio un dato segmento; • Determinare gli eventuali punti di intersezione tra due rette; • Determinare gli eventuali punti di intersezione tra una retta e una circonferenza; • Determinare gli eventuali punti di intersezione tra due circonferenze. Esaminiamo a titolo di esempio alcune elementari costruzioni con riga e compasso. (i) Costruzione della somma, differenza e prodotto di due segmenti AC = AB + BC A C B Figura 1 D C AD = AB AC AC = AB - BC A C B A 1 U B (ii) Costruzione del segmento doppio di un dato segmento AB (e quindi di un suo multiplo intero) Costruito il punto C come in figura, ovviamente AC = 2 AB. B C A Figura 2 11 Nicola Melone (iii) Costruzione di un multiplo razionale AB di un dato segmento AB (p,q numeri naturali) Sia a la misura di AB. Dal punto A si disegni una retta qualsiasi formante con AB un angolo acuto e su di essa si fissi un segmento AC di misura c ed il suo multiplo qAC = AD. Risulta AE : AB = AC : AD , da cui AE = = AB e quindi AB = pAE. D Figura 3 C A E B (iv) Costruzione del triangolo equilatero di dato lato AB (e quindi dell’esagono regolare inscritto in una circonferenza) Costruito il punto C come in figura, il triangolo Δ(ABC) è equilatero. D C A E B C B A F G Figura 4 (v) Costruzione della parallela ad una retta per un punto P Se il punto P appartiene alla retta ℓ , ovviamente la parallela ad ℓ per P coincide con ℓ . Sia ℓ. Fissato un punto A su ℓ e costruiti i punti B, C e P’ come in figura, la retta per i punti P e P’ è ovviamente la parallela ad ℓ per P. P P’ ℓ A B C Figura 5 (e dell’asse e (vi) Costruzione della perpendicolare per un punto P ad una retta del punto medio di un segmento) Se il punto P non Q’ P appartenente ad ℓ, fissato un qualunque punto A su P ℓ e costruiti i punti B e Q ℓ ℓ B come in figura, la retta per A B A i punti P e Q è ovviamente perpendicolare ad ℓ. Se, Q Q Figura 6 invece, P appartiene alla retta ℓ, fissato un punto A su ℓ diverso da P e costruiti i punti B, Q e Q’ come in figura (AB = 2AP), la retta per i punti Q e Q’ è ovviamente perpendicolare alla retta ℓ . 12 Nicola Melone (vii) Costruzione di un quadrato di area doppia di un dato quadrato Un quadrato costruito su una delle diagonali del quadrato assegnato ha area doppia (questa osservazione si trova già in un dialogo di Platone). a d=a√2 Figura 7 (viii) Bisezione di un angolo (costruzione della bisettrice) Costruiti i punti A, B e C come in figura, ovviamente la semiretta OC è la bisettrice dell’angolo Λ(AOB). A C O B Figura 8 D ix) Costruzione di √ (con b>0) √ Sia AB un segmento di misura b. Costruiti i punti C,D come in figura, risulta AB : BD = BD : BC , da cui BD = √ b A B 1 C Figura 9 (x) Costruzione della radice positiva dell’equazione x2+ax-b=0 (a,b sono le misure di due segmenti) Siano BC e AB i segmenti dati di misure a,√ rispettivamente. Costruiti i punti P,Q come in figura e denotata con x la misura di AP, è ben noto che AQ : AB = AB : AP, ovvero x(x+a) = b e quindi x2 + ax – b = 0 (da René Descart nel suo saggio Geometria). A C Q P O B Figura 10 (xi) Costruzione del quarto proporzionale di tre segmenti dati Siano a,b,c le misure di tre segmenti OA, OB, OC , costruiti come in figura (supponiamo c>b, altrimenti si scambiano i ruoli di B e C, ovviamente se b=c il quarto proporzionale coincide con a), il segmento OD è ovviamente il quarto proporzionale dei tre segmenti dati. C B O D Figura 11 A 13 Nicola Melone Nonostante Euclide negli Elementi avesse risolto più di cento problemi, molti altri problemi di costruzione furono risolti con altri metodi e strumenti e si dimostrarono non facilmente riconducibili alla riga e compasso. In particolare l’attenzione dei matematici si concentrò subito sui seguenti tre problemi, divenuti famosi nella storia della Matematica. I tre problemi di costruzione classici - Duplicazione del cubo: costruire lo spigolo di un cubo avente volume doppio di quello di un dato cubo; Trisezione dell’angolo: costruire due semirette che dividono un dato angolo in tre parti uguali; Quadratura del cerchio: costruire il lato di un quadrato di area uguale a quella di un cerchio dato. PRIMO PROBLEMA. naturale La duplicazione del cubo è una generalizzazione della duplicazione del quadrato ed era ben noto nella Grecia antica come Problema di Delo. Ad esempio Eratostene (284-192 Figura 12 a a √2 a.C.) nella sua opera Platonica narra che gli abitanti di Delo, colpiti da una grave epidemia, si erano rivolti all’oracolo di Delfo il quale aveva suggerito loro di costruire un altare di volume doppio di quello esistente per placare le ire del dio Apollo. Resisi conto che l’altare non si poteva costruire in maniera semplice (ad esempio raddoppiando la misura dello spigolo), gli abitanti si rivolsero a Platone per una soluzione, il quale rispose che non era necessario costruire il nuovo altare, in quanto il dio dell’oracolo aveva semplicemente voluto biasimare i greci per la loro scarsa considerazione per la Geometria. Il problema fu studiato da Ippocrate che lo trasformò nella determinazione di due medi proporzionali tra due segmenti assegnati. Volendo, ad esempio, determinare lo spigolo x tale che x3 = 2a3, basta determinare due medi proporzionali x,y tra a e 2. Da a: x = x : y = y : 2a si trae infatti x2 = ay e y2 = 2ax e di qui x3= 2a3 (ovviamente tale costruzione risolve, più in generale, l’equazione x3 = n⋅a3). La costruzione di due medi proporzionali tra due segmenti assegnati si può ottenere, come abbiamo già detto mediante il mesolabio di Eratostene. Come abbiamo più volte precisato, però, i matematici greci cercavano costruzioni geometriche (preferibilmente con riga e compasso). Una soluzione meccanica fu ottenuta da Menecmo, il quale costruì tre curve che a due a due si intersecavano in un punto le cui coordinate fornisco i due medi proporzionali. Nel linguaggio matematico moderno le tre curve sono le due parabole , e l’iperbole equilatera 2 . 14 Nicola Melone SECONDO PROBLEMA. La trisezione è un’ovvia generalizzazione del problema della bisezione di un angolo ed è di natura differente dagli altri due, sia perché non ha una storia interessante sulla sua origine come il problema di Delo, sia perché per angoli particolari (i.e. 90°, 27°) esistono semplici costruzioni con riga e compasso. Ad esempio la costruzione della trisezione di un angolo retto si ottiene al modo seguente (figura 13). Dato l’angolo retto Λ(CAB) e costruiti i C punti D,E ed F come in figura, il triangolo Δ(ADE) è equilatero e D AF biseca l’angolo Λ(DAB). Ippocrate si era occupato anche della trisezione dell’angolo ed aveva ottenuto la seguente F E A B semplice costruzione (figura 14). Dato l’angolo Λ(CAB) e Figura 13 costruiti i punti D, E come in figura, sul prolungamento di EC si fissi un punto F tale che, denotato con H il punto di intersezione di AF con CD, risulti HF E C H A F G Figura 14 D B = 2 AC e sia G il punto medio di HF . Per costruzione risulta HG = GF = AC ed inoltre HG = GF = CG , in quanto raggi della circonferenza circoscritta al triangolo rettangolo Δ(FHD). Ne segue Λ(CAE) = Λ(CGA) = 2 Λ(AFC) = 2 Λ(FAB) , ovvero Λ(FAB) = Λ(CAB). Osserviamo esplicitamente che tale costruzione non è eseguibile con riga e compasso in quanto, per la restrizione imposta alla riga di non poter effettuare misure di lunghezze, non si può costruire il punto F. La trisezione degli angoli era stata studiata anche dal matematico e filosofo Ippia, uno dei principali esponenti della scuola sofista (vissuto nel V secolo a.C. a Elide, città del Peloponneso). Per risolvere il problema Ippia inventò una curva meccanica (i.e. non costruibile con riga e compasso), nota come trisettrice di Ippia (figura 15). La curva è descritta dal punto P intersezione J A della retta JA, che si muove di moto rettilineo uniforme fino P alla posizione OI, con il raggio OJ, che si muove di moto θ rotatorio uniforme fino alla posizione OI, in modo che retta e raggio partano contemporaneamente e giungano contemporaneamente nella posizione finale OI. Con il O • H P0 I Figura 15 linguaggio matematico moderno, denotate con (x,y) le coordinate di P e posto I(1,0) e J(0,1), si ha che y e θ sono funzioni affini del tempo e quindi θ è funzione affine di y . 15 Nicola Melone Posto , dalle condizioni di simultaneità segue che per y=1,0 risulta rispettivamente θ = , 0 ovviamente e quindi k = e h = 0, onde . Risulta, inoltre, trisecare l’angolo θ , in base alla relazione . Per , è allora sufficiente trisecare il segmento PH e considerare il punto P’ della trisettrice di ordinata Λ , quindi l’equazione cartesiana della trisettrice è , risultando ovviamente (tale costruzione risolve anche il caso θ generale C E ). Archimede diede la seguente costruzione molto semplice della trisezione (figura 16). Disegnato l’angolo Λ(CAB) in modo che AB e AC siano raggi di F D A B Figura 16 una circonferenza, si consideri la secante CD tale che il segmento DE sia uguale al raggio AB = AC e sia AF il raggio parallelo al segmento CD. Risulta Λ(CAF) = Λ(ACE) = Λ(CEA) = 2 Λ(EDA) = 2 Λ(FAB). TERZO PROBLEMA. Anche la quadratura di un cerchio era piuttosto naturale, in quanto rientrava nella tipologia molto diffusa presso i Greci di problemi di costruzione di figure aventi area uguale a quella di figure assegnate. Dinostrato (390-320 a.C.) si servì della trisettrice di Ippia per risolvere il problema della quadratura (per questo motivo la curva è detta anche quadratrice di Dinostrato). Riferendoci alla Figura 15, risulta y = OP = θ π θ . Ne segue OP0 = lim θ π θ costruire, quindi, un segmento di misura π π θ e quindi . Utilizzando la trisettrice Dinostrato riuscì a π . In base alle Costruzione (x) e (xi) si possono allora costruire un segmento di misura π , come quarto proporzionale tra π , 2, 1 , e un segmento di misura √ , lato di un quadrato di area uguale a quella di un cerchio di raggio unitario, ottenendo una costruzione di un quadrato di area uguale a quella del cerchio unitario. La soluzione di Dinostrato non era, però, ottenuta con riga e compasso ma basata su una curva meccanica. Dei tre problemi questo è certamente il più famoso anche al di fuori della Matematica. Dante Alighieri (1265-1321) nell’ultimo canto della Divina Commedia (il XXXIII del Paradiso), alla vista dei tre cerchi che simboleggiano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, paragona l’impossibilità di spiegare l’armoniosa presenza di natura umana e divina alla difficoltà di risolvere il problema della quadratura del cerchio con i seguenti versi: 16 Nicola Melone Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, tal era io a quella vista nova … L’espressione “risolvere questo problema equivale a trovare la quadratura del cerchio” viene comunemente usata nel mondo occidentale per indicare questioni molto difficili da risolvere. Già nel V secolo a.C. questo problema era stato affrontato da Anassagora (499428 a.C.), ma non si conoscono gli eventuali risultati. Non si conoscono i suoi risultati, ma secondo lo storico Plutarco (46-127 d.C.) il problema doveva essere talmente famoso già ai tempi di Euclide, da essere inserito da Aristofane (450-388 a.C.), uno dei principali esponenti della Commedia antica, il seguente dialogo nella sua opera Gli uccelli: - Pistetero (nobile ateniese): “e dimmi che sono questi tuoi arnesi?“ - Metone (geometra): “squadre per l’aere: perché, ecco, quanto all’aspetto, l’aere, nel suo complesso, è come un forno. Io allora, di quassù, ci applico questa squadra ricurva e dentro ci inserisco il compasso … hai capito?” - Pistetero: “No.” - Metone: “Poi, dopo averla applicata, procedo alle misurazioni con una squadra dritta:così, il circolo ti diventa quadrato …” Il problema di determinare l’area di un cerchio attraverso la costruzione di un quadrato equivalente era già stato affrontato dai matematici egizi nel problema 50 del papiro Rhind in cui è sostanzialmente proposta la seguente soluzione: “per costruire un quadrato di area uguale a quella di un cerchio di diametro d è sufficiente prendere come lato un segmento di misura pari a d”. Questo risultato è straordinario in quanto, con linguaggio moderno, esso fornisce il seguente valore approssimato di π : π e quindi π= ≅ 3,16 . Nello stesso papiro si trova enunciato che il rapporto tra le aree di un qualunque cerchio e quella di un quadrati costruito sul suo raggio è una costante e che tale costante è anche uguale al rapporto tra le misure di una qualunque circonferenza e quella del suo diametro (il simbolo moderno π è stato introdotto sostanzialmente dal matematico svizzero Eulero (1707 - 1783)). La dimostrazione della prima proprietà è dovuta ad Eudosso e quella della seconda (e delle uguaglianze tra le due costanti) ad Archimede. Nella prima proposizione della sua opera La misura del cerchio egli dimostrò che l’area del cerchio è uguale a quella di un triangolo rettangolo, avente per altezza il raggio e per base la lunghezza della circonferenza (figura 17). Archimede nel suo trattato Sulle spirali introdusse una nuova curva meccanica, denominata oggi spirale di Archimede, e nella Proposizione 19 dimostrò 17 Nicola Melone che, denotato con T il punto di intersezione tra la retta per O perpendicolare al raggio OP della circonferenza e la retta tangente alla spirale nel punto P, la misura di OT è uguale a quella della circonferenza. Dalle due proposizioni si deduce che l’area del cerchio è uguale a quella del triangolo Δ(POT) avente per altezza il raggio e per base un segmento di lunghezza pari a quella della circonferenza. In base alla Costruzione (xi), si può costruire un Figura 17 segmento di misura ed in tal modo risolvere il problema della quadratura del cerchio. Archimede, inoltre, calcolando i perimetri di poligoni inscritti e circoscritti ad una circonferenza, riuscì π a provare che: 3,1483 3,1429 . Un altro problema di costruzione della Grecia antica, divenuto celebre nel tempo, è il cosiddetto Problema ciclotomico, che consiste nella suddivisione di una circonferenza in n archi di uguali lunghezze. Ovviamente dalla costruzione di una suddivisione di una circonferenza in n archi di uguale lunghezza se ne deduce immediatamente una in 2n archi, semplicemente bisecando gli angoli al centro. Tale problema è ovviamente equivalente alla costruzione di poligoni regolari di n lati (inscritti in una circonferenza). Le semplici costruzioni con riga e compasso del triangolo equilatero, del quadrato e del pentagono regolare (e quindi anche dell’esagono dell’ottagono e del decagono regolari) erano ben note nel periodo classico e furono inserite negli Elementi (figure 18, 19, 20). Costruzione del triangolo equilatero (figura 18). Sia AB asse del raggio OD. Essendo il triangolo rettangolo Δ(OMA) la metà di un triangolo equilatero (in quanto il cateto OM π π misura la metà dell’ipotenusa OA), si ha Λ(MAO) = , Λ(AOM) = e quindi Λ(CAO) = π Λ(ACM) = Λ(AOM) = . Costruzione del quadrato (figura 19). È sufficiente tracciare due diametri perpendicolari. D A C M • O C Figura 18 B B A D Figura 19 18 Nicola Melone Costruzione del pentagono regolare (figura 20). La seguente costruzione è dovuta a H.W. Richmond (1983). Siano XA un diametro del cerchio di B centro O e P il punto medio del raggio perpendicolare a XA. C P• Siano inoltre PQ e PR le bisettrici interna ed esterna dell’angolo Λ(APO). Assunto il punto A come uno dei vertici A del pentagono, gli altri quattro punti B,C,D,E sono ottenuti X • R O• Q come in figura 20. Assumiamo il raggio come unità di misura, √ onde OP = e AP = . In base alle proprietà delle bisettrici interna ed esterna PQ e PR, risulta OQ : QA = OP : PA e RA : RO = AP : OP e quindi √ √5 1 4 , quindi Λ(AOB) = e RO = , Λ(COR) = √ D E Figura 20 . Ora √ e Λ(COD) = 2 Λ(COR) = e , Λ(COB) = , ovvero AB , BC e CD sono lati consecutivi del pentagono regolare. La caratterizzazione completa dei poligono regolari costruibili con riga e compasso fu ottenuta da Gauss nella sua tesi di dottorato, collegando sorprendentemente il numero dei lati del poligono ai numeri di Fermat. Ricordiamo che un numero di Fermat è un intero del tipo 2 Ad esempio 0 3, 1 5, 2 17, 1. 3 257, 4 65.537. Come è facile constatare tali numeri sono primi e lo stesso Fermat aveva ipotizzato che primo, per ogni fosse . La congettura di Fermat si rivelò falsa circa un secolo dopo ad opera di Euler, il quale provò che 5 4.294.967.297 641 · 6.700.417. Nel 1796 Gauss provò che se p è un numero primo di Fermat allora il poligono regolare con p lati è costruibile (dando così risposta al problema di costruire il poligono regolare di 17 lati). Successivamente lo stesso Gauss dimostrò che: Teorema di Gauss. Se la scomposizione in fattori primi di un numero naturale 2 con , , … , compasso. · ··· è del tipo , primi di Fermat, allora il poligono regolare di lati è costruibile con riga e Nel 1836 Wantzel provò il viceversa, ottenendo la caratterizzazione completa dei poligoni regolari costruibili: Teorema di Gauss-Wantzel. Un poligono regolare di n lati è costruibile con riga e compasso se, e soltanto se, 2 · ··· , con , , … , primi di Fermat. 19 Nicola Melone Giova osservare che questo bel risultato teorico non risolve, però, il problema ciclotomico in quanto ancora oggi non si sa quasi nulla sui numeri di Fermat, ad esempio se esistono altri primi di Fermat. Un interessante ed istruttivo esempio della sostanziale differenza che può presentarsi nella generalizzazione spaziale di un problema geometrico piano è fornito dai poligoni regolari del piano e dai poliedri regolari dello spazio, noti anche come i solidi platonici. Risulta infatti • • 3 5 ; . Come abbiamo già accennato, di questo problema si era occupato l’allievo di Platone Teeteto, oltre un secolo prima della sistemazione dell’argomento nel XIII Libro degli Elementi di Euclide, in cui è esposta la dimostrazione elementare dell’esistenza di esattamente 5 poliedri regolari. Esponiamo in sintesi la dimostrazione Considerato un poliedro regolare P, le sue facce sono poligoni regolari di un certo numero n 3 di lati ed ogni vertice presenta lo stesso numero 3 di facce. Poiché ogni poligono regolare di lati ha gli angoli al vertice uguali a 2 e la somma degli angoli delle facce aventi un vertice in comune è minore di 2π, si ha 3 . Essendo la successione 2 2 strettamente decrescente, per 6 si ha 2 3 2 3 , un assurdo. Ne segue 3 5, ovvero le facce di un poliedro regolare possono essere soltanto - triangoli equilateri, quadrati pentagoni regolari. In corrispondenza a questi casi possibili si ha: 20 Nicola Melone m=3 3 3 3 m=4 5 m=5 4 5 2 3 5 3 3 21 Nicola Melone CAPITOLO 2 RICHIAMI DI ALGEBRA 2.1 Introduzione Ai matematici greci, nonostante il loro indiscusso valore scientifico, mancavano gli strumenti teorici sia per caratterizzare le costruzioni eseguibili con l'uso di riga e compasso, quindi per dimostrare l'impossibilità delle costruzioni con riga e compasso dei tre problemi classici, che per caratterizzare i poligoni regolari costruibili con riga e compasso. La risposta completa ad entrambe le questioni è, infatti, strettamente connessa alla nascita dell’Algebra moderna (la teoria dei campi) ed è stata ottenuta soltanto nei secoli XVIII e XIX. Dopo lo straordinario periodo della Grecia classica e alessandrina, che aveva saputo armonizzare speculazione pura e applicazioni pratiche (in particolare nel periodo alessandrino con Archimede), la Matematica (ed in realtà tutta la Scienza) attraversò un periodo buio della sua storia. Caddero in un lungo oblio non soltanto la matematica e l’astronomia ma anche la fisica, la medicina, la chimica e la biologia aristoteliche. L’Impero romano ed il Cristianesimo ne furono le cause principali. I Romani, dopo aver occupato l’Italia settentrionale e centrale, invasero l’Italia meridionale (la Magna Grecia), la Grecia e l’Egitto. Sebbene la civiltà romana e quella greca siano più o meno contemporanee, la Matematica romana era rozza ed elementare. L’imperatore Diocleziano (circa 243-311 d.C), ad esempio, distingueva la geometria, disciplina da studiare e da applicare, dall’arte della matematica pura che era vietata. La civiltà romana ha lasciato grandi opere di ingegneria (ponti, strade, viadotti e acquedotti), ma si è rifiutata di coltivare idee astratte e non immediatamente utili. Cicerone affermò in proposito: I Greci tennero il geometra nella più alta considerazione e di conseguenza nulla compì fra loro progressi più brillanti della Matematica. Noi invece abbiamo fissato come limite di quest’arte la sua utilità per misurare e per contare. Kline [MK] sostiene che i romani non produssero matematica perché interessati soltanto a problemi pratici. L’affermarsi del Cristianesimo, la diffusione del Vangelo ed il monopolio culturale della Chiesa avevano spento l'ansia della ricerca scientifica nel mondo occidentale: le risposte ai grandi problemi venivano date dalla religione. L’imperatore Teodosio nel 329 proibì le 22 Nicola Melone religioni pagane ed i sacerdoti romani cercarono con estrema durezza di cancellare la “cultura pagana”, bruciando i testi greci e distruggendo o trasformando i templi pagani. In questo periodo fu, ad esempio, bruciato il Serapeo (che conservava circa 300.000 manoscritti greci, eredità della grande biblioteca di Alessandria). Il cristianesimo, dominante ormai in tutta l’Europa, pretendeva di contenere in sé il sapere e l’interpretazione della natura (ogni conoscenza derivava dalle sacre scritture). Sant’Agostino (354-430), nonostante la vasta cultura e dichiarate simpatie neoplatoniche, diceva: qualunque sia la conoscenza che l’uomo può acquistare al di fuori della Sacra Scrittura, se è dannosa vi è condannata, se è salutare vi è contenuta. Fortunatamente la scienza greca fu salvata dagli Hindù e dagli Arabi. Gli Arabi, una volta completate le conquiste di vasti territori (india, Spagna, Africa del nord) e aver dato il colpo definitivo alla civiltà greca, nel 755 divisero l’impero in due regni, uno ad oriente con capitale Baghdad e l’altro ad occidente con capitale Cordoba (in Spagna). Entrambe le capitali (in particolare Baghdad dove sorse un’accademia, una biblioteca ed un osservatorio astronomico) divennero centri di cultura, attraendo scienziati stranieri (in particolare quelli greci appartenenti all’Accademia platonica, chiusa da Giustiniano nel 529 d.C.) e favorendo gli studi scientifici. Nel basso Medioevo (circa 1100-1400) i più grandi matematici erano afroasiatici e avevano tradotto in arabo le più importanti opere scientifiche della civiltà greca, recuperando e sviluppando la Scienza greca. Alla fine del XII secolo cominciò in Italia la rinascita della Matematica europea ad opera di Leonardo Pisano (1170-1250, detto il Fibonacci, cioè figlio di Bonaccio, un funzionario della dogana pisana), che ebbe modo di studiare la matematica araba nei suoi viaggi al seguito del padre in Egitto, Siria, Provenza, Tunisia, Algeria, Marocco. Nel suo trattato Liber abaci del 1202, sono esposte in modo sistematico, esauriente e chiaro le conoscenze matematiche elementari degli arabi fino al 900. Enrico Giusti (Università di Firenze) così scrive a proposito del trattato di Fibonacci: Quando il Liber abaci vide la luce, ottocento anni or sono, la matematica nell’Occidente cristiano era praticamente inesistente: se si eccettuano le traduzioni dall’arabo che alla fine del XII secolo un gruppo di studiosi andava conducendo nella Spagna mussulmana, traduzioni che riguardavano soprattutto i grandi classici (Euclide in primo luogo) dell’antichità greca, ben poco circolava in Europa all’inizio del Duecento. Soprattutto ben poco di comparabile per mole e per profondità a quanto Leonardo Fibonacci avrebbe reso pubblico nel 1202.” Allo scopo di divulgare i contenuti del trattato di Fibonacci sorsero le scuole d’abaco. Si sviluppò, così, una vera e propria cultura dell’abaco che interagì con la cultura umanistica ed influenzò e coinvolse tutta la cultura occidentale. Il rinascimento italiano ha tra le sue 23 Nicola Melone radici le scuole d’abaco. Piero della Francesca (1412-1492), Leonardo da Vinci (14521519) e Michelangelo (1475-1564) furono allievi di scuole d’abaco. Un altro importante evento si ebbe nel 1269 con la traduzione in latino direttamente dal greco delle opere complete di Archimede dovuta al domenicano Guglielmo di Moerbeke presso la corte papale di Viterbo (oggi conservata nella Biblioteca vaticana). L’invenzione della stampa a caratteri mobili ad opera di Gutenberg nel 1448, consentì la stampa e la rapida diffusione di molte traduzioni dei trattati scientifici greci (Euclide, Archimede, Apollonio, Pappo, Menelao..) dall’arabo anche nella lingua volgare di Dante e Boccaccio. Anche Luca Pacioli (1445-1514) francescano e matematico italiano, pubblicò in volgare la sua importante opera Summa de arithmetica, geometria, proportioni e proporzionalità, considerata la prima enciclopedia matematica. I contributi originali di Pacioli alla Geometria non sono di grande interesse, ma la sua opera contribuì in modo determinante alla diffusione di cultura geometrica, mostrando l’interesse scientifico ed applicativo della Matematica. I contributi decisivi alla nascita della Matematica moderna e, più in generale, di tutta la Scienza moderna, furono: - lo sviluppo della teoria delle equazioni algebriche ad opera di Niccolò Fontana (detto il Tartaglia, 1499- 1557), Girolamo Cardano (1501-1576), Rafael Bombelli (1526-1572); - la nascita dell’Algebra simbolica ad opera di Francois Viète (1540-1603) (a Viete si deve l’introduzione delle nozioni di variabile e parametro); - l’invenzione della Geometria analitica da parte di René Descartes (1596-1650), considerata il primo grande progresso della matematica dopo i greci. Descartes ed anche il suo contemporaneo Pierre de Fermat (1601-1665) applicarono la geometria analitica allo studio delle curve, teoria perfezionata dalla scuola olandese di Frans van Schooten (1615-1660) (alla quale apparteneva anche Christian Huygens(16291695)). Lo sviluppo della teoria delle curve fu una delle motivazioni per l’invenzione del Calcolo differenziale e integrale ad opera di Gottfried Leibniz (1646-1716) e Isaac Newton (1643-1727). Carl Boyer (storico della Matematica) afferma che il calcolo è stato il più efficace strumento per l’indagine scientifica mai inventato. La Geometria analitica ed il Calcolo differenziale e integrale determinano la nascita della Matematica e della Scienza moderna. L’introduzione delle coordinate in Geometria analitica, identificando i punti di un piano con coppie ordinate di numeri, consentì di trasferire la nozione di punto costruibile in quella di numero costruibile con riga e compasso: un numero è costruibile con riga e compasso se è una coordinata di un punto costruito con riga e compasso a partire dai 24 Nicola Melone punti aventi per coordinate numeri interi. Descartes dimostrò che un numero costruibile soddisfa un'equazione di grado al più due, avente come coefficienti dei numeri precedentemente costruiti e, quindi, un numero costruibile è soluzione di un’equazione algebrica il cui grado è una potenza di 2. Poiché la duplicazione del cubo e la trisezione di un generico angolo in termini algebrici equivale alla risoluzione di equazioni algebriche di terzo grado, cominciò ad apparire chiaro il motivo per cui tali problemi non fossero risolubili con riga e compasso. I risultati di Descartes furono ripresi da matematico francese Pierre Laurent Wantzel (1814-1848), il quale diede la prima dimostrazione rigorosa della caratterizzazione dei numeri costruibili come zeri di un polinomio avente per grado una potenza di due e per coefficienti dei numeri razionali. Wantzel dimostrò anche l’irriducibilità del polinomio. Da questi risultati segue ovviamente che con riga e compasso non è possibile duplicare il cubo o trisecare un angolo. Hartshorne [RH] ha trovato un errore nella dimostrazione di Wantzel ( precisamente nel punto in cui prova l'irriducibilità di f). Una versione corretta del teorema è dovuto al matematico danese Julius Peter Christian Petersen (1863-1878) e riappare nell'opera di Klein nel 1895 (senza citare Wantzel o Petersen, ma è verosimile che ne conoscesse i lavori). La lunga storia della dimostrazione dell'impossibilità di risolvere con riga e compasso i problemi classici ha avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo delle idee che stanno alla base dell'algebra astratta moderna. I profondi contributi alla teoria delle equazioni algebriche, in particolare alla loro risolubilità per radicali, di Gauss, Abel, Galois, Hilbert, Noether e molti altri, hanno portato alla nascita delle strutture algebriche fondamentali di gruppo e campo e, quindi, alla nascita dell'Algebra moderna. Come per la caratterizzazione completa delle costruzioni eseguibili con riga e compasso, anche il problema dei fondamenti della Geometria secondo l’impostazione di Hilbert incontra sul suo cammino le strutture algebriche di corpo e di campo. Il concetto di campo è stato usato implicitamente da Niels Henrik Abel (1802-1829) e Evariste Galois (1811-1832) nei loro lavori sulla risolubilità delle equazioni algebriche. Il nome campo fu usato per la prima volta da Dedekind nel 1871 e nel 1893, Heinrich Martin Weber (1842-1913) diede la prima definizione chiara di campo astratto. Questa storia lunga più di due millenni è un ottimo paradigma dell’obiettivo della ricerca matematica: a partire dall’esigenza di risolvere un singolo problema il matematico inventa 25 Nicola Melone una teoria che consenta di inquadrare il problema in un contesto generale in modo che la soluzione risulti banale. 2.2 Elementi di teoria dei campi Si definisce operazione binaria interna su un insieme S ogni applicazione :S S S e operazione binaria esterna su S con dominio di operatori un insieme Ω ogni applicazione :Ω . L’immagine di un’operazione interna (esterna , Ω , , ) su una coppia si denota usualmente con il simbolo xωy, si pone cioè ω x, y xωy . Esempi I • le ordinarie addizione e moltiplicazione tra numeri naturali, interi, razionali, reali e complessi : , · , : , · , : , · , : , · , : , · ; • l’applicazione : • • la composizione tra applicazioni di un insieme non vuoto S in se : . ; denotato con Sim(S) l’insieme delle permutazioni di S (i.e. applicazioni biettive), l’operazione di composizioni tra permutazioni è un’operazione binaria su Sim(S). • il prodotto righe per colonne tra matrici quadrate reali , ; , , , . Le operazioni su un insieme si denotano usualmente con i simboli classici delle operazioni tra numeri , · , quando non si dia luogo ad equivoci. Una struttura algebrica è un insieme non vuoto su cui siano definite una o più operazioni binarie (interne o esterne). Le principali strutture algebriche per i nostri scopi sono: , GRUPPO. Una struttura algebrica seguenti assiomi: • associativa : • esiste un elemento neutro e: • , Un gruppo ( , si dice gruppo se l’operazione , , ; , detto simmetrico di , tale che , verifica i , ; . si dice commutativo (o abeliano) se l’operazione è commutativa, cioè , .Un sottogruppo è un sottoinsieme H tale che , / sia un gruppo per ogni , ). Esempi II 26 Nicola Melone (i) , (ii) , , ,· non sono gruppi; ,· non è un gruppo; è un gruppo abeliano, (iii) (Sim(S), ) è un gruppo con elemento neutro l’applicazione identica e simmetrico di ogni elemento : l’applicazione inversa : . Se | S | tale gruppo non è commutativo; (iv) L’insieme GL(n,K) delle matrici quadrate invertibili (i.e. con determinante non nullo) ad elementi su un campo K è un gruppo che si chiama gruppo generale lineare di ordine n su K. L’elemento neutro è la matrice identica e il simmetrico di ogni elemento A è la . Si verifica facilmente che per 2 tale gruppo non è commutativo; matrice inversa (v) L’insieme delle n-uple ordinate , ,…, gruppo abeliano rispetto all’operazione di addizione , ,…, , ,…, di elementi di un campo K è un , ,…, Lo zero è la n-upla (0,0,…,0) è l’opposto di un elemento , ,…, . ANELLO. Una • , . , ,…, è la n-upla , , · si dice anello se struttura algebrica è un gruppo abeliano con elemento neutro 0 (zero dell’anello) ; • · è associativa ; • · è distributiva rispetto a : · · · e · · · . Un anello si dice commutativo se l’operazione · è commutativa e unitario se esiste l’elemento neutro 1 rispetto a · (unità dell’anello). Un ideale di un anello commutativo , , · è un sottogruppo H di , tale che per ogni e per ogni risulta tali che · · . Un ideale si dice primo se per ogni coppia di elementi , risulta oppure . Ovviamente A è un ideale di se stesso e l’intersezione di una famiglia di ideali è un ideale. Si può definire,quindi, l’ideale (S) generato da un sottoinsieme S come l’intersezione degli ideali contenenti S. Un ideale si dice principale se , ovvero è generato dal sottoinsieme . Se l’anello è commutativo unitario è del tipo · | risulta . Se è un ideale di un anello commutativo unitario , , · , la relazione binaria definita in A ponendo è di equivalenza. L’insieme quoziente / ha per elementi i laterali | e si struttura ad anello commutativo unitario mediante le operazioni definite ponendo , · · . Tale anello si chiama anello quoziente di A rispetto all’ideale H e si denota anche con / . Esempi III (i) , ,· è un anello commutativo unitario; (ii) Gli insiemi , , , dei polinomi nell’indeterminata X e a coefficienti interi, razionali, reali o complessi è un anello commutativo unitario rispetto alle usuali operazione di addizione e moltiplicazione tra polinomi. CORPO E CAMPO. Un anello unitario , , · si dice corpo se \ 0 ,· è un gruppo. Un corpo commutativo si dice campo. Un campo , ,· si dice estensione (o sovra campo) di un campo , ,· se è un sottoinsieme di e le operazioni su sono le restrizioni a delle operazioni su (si dice anche che K è un sottocampo di L). Ad esempio è un sottocampo di e questo è sottocampo di . 27 Nicola Melone Ovviamente l’intersezione di sottocampi è un sottocampo. L’intersezione di tutti i sottocampi di un campo si dice sottocampo fondamentale (o primo). Esso coincide con il minimo sottocampo rispetto all’inclusione. Si definisce caratteristica di un campo il minimo intero non negativo tale che · 1 0 . Ovviamente da · 1 0 segue · 0 , . Si verifica inoltre che 0 oppure è un numero primo. Ad esempio , , hanno caratteristica zero, mentre l’anello / (anello dei resti modulo p, quoziente di rispetto all’ideale generato da ) è un campo di caratteristica . • • Si prova facilmente che: in un campo di caratteristica zero il sottocampo minimo è isomorfo a ; in un campo di caratteristica il sottocampo minimo è isomorfo a . Esempi IV (i) , ,· , , ,· , , ,· sono campi. (ii) L’insieme K[X] dei polinomi nell’indeterminata X a coefficienti in un campo , ,· è un anello commutativo unitario rispetto alle operazioni di addizione e moltiplicazione tra polinomi (ovvie generalizzazioni delle operazioni analoghe tra polinomi a coefficienti complessi). Ovviamente tale anello non è un campo. (iii) Il corpo dei quaternioni. È ben noto che, fissato riferimento cartesiano ortonormale in un piano euclideo , ogni punto , si può identificare con il numero complesso e questa corrispondenza biunivoca risulta utile in molte applicazioni geometriche e è stata essenziale per lo sviluppo della Teoria delle funzioni di variabile complessa. Nel 1843 il matematico irlandese William Rowan Hamilton (1805-1865) , nel tentativo di generalizzare questa rappresentazione algebrica dei punti di un piano allo spazio tridimensionale inventò i quaternioni. Il corpo dei quaternioni si può definire in vari modi. Un quaternione è un una quaterna ordinata , , , di numeri reali, cioè un vettore numerico di . Ovviamente c’è corrispondenza biunivoca tra tali quaterne e le , ) di numeri complessi e queste ultime sono in coppie ordinate corrispondenza biunivoca con le matrici quadrate di ordine 2 sui complessi del tipo : , , , , = . L’operazione di addizione + in è definita come nell’esempio II,(v) (e coincide con la somma tra matrici) e la coppia , è un gruppo abeliano di elemento neutro (0,0,0,0). L’operazione di moltiplicazione è definita ponendo: , (1) , , · , , , = , = Dalla (1) segue che il prodotto in , , . , coincidendo con un prodotto righe per colonne, è 1 0 associativo, distributivo rispetto alla somma e il quaternione 1,0,0,0 è 0 1 elemento neutro rispetto al prodotto, ovvero , ,· è un anello unitario. Considerati i quaternioni 28 Nicola Melone 0 0,1,0,0 , 0 0 1 0,0,1,0 1 , 0 0 0,0,0,1 0 , risulta facilmente: , (2) · , · , , , · , 1 , · , , , , , · , · onde le operazioni di addizione e moltiplicazione tra quaternioni si possono eseguire come le ordinarie operazioni tra le espressioni polinomiali in , , e tenendo conto delle relazioni (2). Si definisce norma (o lunghezza) del quaternione , , , la sua norma euclidea come vettore di , si pone cioè: (3) , , , ∑ = . Dalla (1) si trae facilmente che: (4) · e quindi . Si definisce coniugato del quaternione , , , quaternione , , , e si ha ovviamente · . Per ogni quaternione non nullo q si può, pertanto, definire l’inverso · è un . Ne segue che ( \ 0 , ·) è un gruppo non commutativo e quindi , , · il corpo. Sia , , · un corpo, una struttura algebrica , , , : e operazioni binarie interna ed esterna su V, rispettivamente, si dice spazio vettoriale sinistro (destro) sul corpo K se sono verificati i seguenti assiomi: SPAZIO VETTORIALE SU UN CORPO • , • • , · 1 CAMPO). è un gruppo abeliano il cui zero si dice vettore nullo; • (O ( , , · , , ), , , ; , ; . Se il corpo è un campo ogni spazio vettoriale sinistro è ovviamente anche destro e le due definizioni coincidono. Di solito le operazioni del corpo e quelle dello spazio vettoriale si indicano con gli spessi simboli, il contesto consentendo di evitare confusioni. Agli spazi vettoriali su corpi si estende tutta l’algebra lineare degli spazi vettoriali su campi. In particolare le nozioni di base e dimensione. Se , ,· è un’estensione di un corpo , ,· , ovviamente L si può considerare come spazio vettoriale sinistro (e anche destro) su K. La dimensione di L come spazio vettoriale su K si denota con il simbolo [L:K] e si chiama grado dell’estensione. Ovviamente si ha [K:K]=1. Risulta inoltre 2: dall’espressione algebrica , , , di ogni numero complesso segue infatti che 1, è una base di su . Dalle definizioni e dalle proprietà associative segue immediatamente che l’elemento neutro di un gruppo e il simmetrico di ogni elemento sono unici. In un corpo , , · il simmetrico di un elemento rispetto a si dice opposto di e si denota con – e il simmetrico di un elemento non nullo rispetto a · si dice inverso di e si denota con o anche con . In un campo , , · sono verificate tutte le usuali proprietà delle operazioni di somma e prodotto tra numeri. In particolare vale la legge di annullamento del 29 Nicola Melone prodotto, si possono risolvere le equazioni del tipo 0 , 0, introdurre le espressioni · e (n intero non negativo) per le quali sussistono tutte le proprietà formali delle analoghe nozioni tra numeri. CAMPI ORDINATI. Ricordiamo che una relazione si dice relazione d’ordine se è • riflessiva: • asimmetrica: • transitiva: , ; , , tra le coppie di elementi di un insieme ; . Una relazione d’ordine si dice totale se per ogni coppia , di elementi è verificata una almeno delle condizioni , . Usualmente una relazione d’ordine si denota con il simbolo e la scrittura si legge minore o uguale ad . Il simbolo ( maggiore o uguale ad ) equivale a . Se e si scrive . Un campo ordinato è un campo , , · su cui sia definita una relazione d’ordine totale verificante le seguenti condizioni: • • 0 , , 0 , , ; 0. Gli elementi tali che 0 si dicono positivi e quelli per cui 0 negativi. Si denota con il sottoinsieme degli elementi positivi. Si prova facilmente che sussistono le proprietà: • • • • • , , ; ogni verifica una sola delle condizioni 1 ; ; 0 ha caratteristica zero. , 0 , ; I campi ed sono ovviamente ordinati rispetto all’usuale relazione d’ordine tra numeri. Il 1 0 . In un campo campo dei numeri complessi non è ordinabile in quanto ordinato , , ·, si introducono in modo ovvio le nozioni di minimo, massimo, estremo inferiore ed estremo superiore di un sottoinsieme. Ovviamente esistono esempi di campi in cui non ogni sottoinsieme è dotato di minimo (massimo) o di estremo inferiore (superiore). Esempi nel campo razionale: - il sottoinsieme | 0 1 non ha né minimo, né massimo, l’estremo inferiore è 0 e l’estremo superiore è 1; - il sottoinsieme dei numeri positivi non ha minimo, massimo, estremo superiore e l’estremo inferiore è 0; - l’insieme | 2 non ha minimo, massimo, estremo inferiore ed estremo superiore (tale estremo superiore dovrebbe essere infatti un numero razionale tale che 2, ovvero √2 e come abbiamo già visto √2 non è razionale). Si dimostra invece che il campo dei numeri reali è archimedeo, cioè 0 , tale che (assioma di Archimede) e completo, cioè verifica le seguenti proprietà equivalenti: • ogni sottoinsieme inferiormente limitato è dotato di estremo inferiore; • ogni sottoinsieme superiormente limitato è dotato di estremo superiore; 30 Nicola Melone • • ogni coppia A, B di sottoinsiemi separati (i.e. di separazione (i.e. un numero reale c tale che , , ogni coppia di sottoinsiemi A, B separati e tali che separazione (assioma di Dedekind) ) ha un elemento ); ha un unico elemento di Si dimostra inoltre che sussistono le seguenti caratterizzazioni: • • un campo ordinato completo è isomorfo al campo dei numeri reali; un campo ordinato archimedeo è isomorfo ad un sottocampo di . 2.3 L’anello dei polinomi a coefficienti in un campo , ,· Sia un fissato campo e coefficienti in l’anello dei polinomi nell’indeterminata a . Nel seguito denoteremo con lo stesso simbolo le operazioni del campo e quelle dell’anello dei polinomi, il contesto consente di fare le necessarie distinzioni. Gli elementi del campo si diranno anche costanti e, per ogni costante , porremo per brevità · e per ogni polinomio . Ricordiamo che si definisce grado di un polinomio non nullo , , il massimo intero tale che e si denota con 0 e il coefficiente relativo si chiama coefficiente direttore. Un polinomio non nullo si dice monico se il suo coefficiente direttore è uguale ad 1. I polinomi non nulli di grado nullo sono le costanti non nulle. Risulta ovviamente max , , · Dalla seconda di tali relazioni segue ovviamente che privo di divisori dello zero: L’anello 0, 0 · . è un dominio di integrità (i.e. 0). dei polinomi a coefficienti su un campo ha profonde analogie con l’anello degli interi. In particolare i concetti di divisibilità, elementi primi, massimo comun divisore, algoritmo euclideo delle divisioni successive, fattorizzazione si introducono allo stesso modo. Un polinomio si dice divisore (o fattore) di un polinomio · . In tal caso si dice anche che tale che in simboli | . Il polinomio divide se esiste un polinomio (o anche che si dice quoziente della divisione di per è multiplo di ), . Si assume per comodità che ogni polinomio divide il polinomio nullo. Ovviamente ogni polinomio divide se stesso ed è multiplo di 1, ogni costante non nulla divide ogni polinomio. Due polinomi non nulli e si dicono associati se esiste una costante c tale che ). Sono di ovvia verifica le proprietà: • | , | ⇒ | ; (ovviamente 31 Nicola Melone • | , | ⇒ | , Un polinomio , . si dice irriducibile su K se esso è divisibile in solamente per le costanti e per i suoi associati. Si definisce massimo comun divisore di due polinomi non nulli che divide entrambi ed è multiplo di ogni divisore di comun divisori di e e e ogni polinomio . Ovviamente due massimi sono associati. Tre risultati fondamentali per lo studio dell’aritmetica in sono le seguenti proposizioni. Fattorizzazione unica. Ogni polinomio non nullo è esprimibile come prodotto di fattori irriducibili e tale espressione è unica a meno dell’ordine dei fattori. Algoritmo della divisione. Per ogni coppia , polinomi , tali che di polinomi, con deg deg 0 , esistono due soli e . Esistenza del massimo comun divisore. Per ogni coppia di polinomi , esiste un massimo comun divisore e se è un massimo comun divisore , esistono due polinomi , tali che . L’algoritmo della divisione consente di determinare facilmente un massimo comun divisore di due polinomi , mediante il seguente algoritmo euclideo delle divisioni successive: in base all’algoritmo della divisione si ha: , , , , ad un certo passo s si avrà Essendo 0. Conseguentemente l’algoritmo terminerà con le due uguaglianze successive , ed è facile verificare che è un massimo comun divisore di precedenti si ricava inoltre e . quindi che sussiste una relazione del tipo Due polinomi e , . Dalle uguaglianze si dicono coprimi se i loro massimi comun divisori sono soltanto le costanti. Sussistono le seguenti proprietà di facile verifica: • , | • , | , | | ; | ; 32 Nicola Melone Ad ogni polinomio si associa l’applicazione polinomiale, che denoteremo con la stessa lettera , definita ponendo: : . Si chiama zero (o radice) del polinomio ogni costante tale che 0 . , · le operazioni di tutte Nel seguito per semplicità denoteremo con gli stessi simboli le strutture algebriche che intervengono, il contesto permetterà di distinguerle. Sia un’estensione di un campo . Ovviamente ogni polinomio a coefficienti in essere considerato come polinomio a coefficienti in , ovvero l’applicazione polinomiale associata ad un polinomio , cioè si può calcolare , Un’estensione di algebrico su K ed se è zero si dice algebrica se ogni suo elemento è algebrico. Se aventi genera l’ideale si dice algebrico su . Un elemento non algebrico si dice trascendente. 0, l’ideale è un polinomio tale che dei polinomi di , e quindi si estende ovviamente ad . Un elemento di un polinomio non nullo di può è coincide con l’insieme come zero. L’unico polinomio monico di grado minimo che si dice polinomio minimo di su e si verifica facilmente che esso è irriducibile. Un campo K si dice algebricamente chiuso se ogni polinomio non costante di uno zero in ha . Sussistono i seguenti teoremi. Teorema fondamentale dell’Algebra (Gauss, 1799). Il campo algebricamente chiuso. dei numeri complessi è Teorema di Steinitz (1871-1928): ogni campo ammette una chiusura algebrica (il più piccolo campo algebricamente chiuso, rispetto all’inclusione, estensione di ). Ad esempio si dimostra che la chiusura algebrica di è . Per lo studio degli zeri e della riducibilità dei polinomi sono utili le seguenti proprietà di facile verifica: • , • 0 | (teorema del resto); (teorema di Ruffini); • un polinomio di grado n ha al più n zeri; • Ogni polinomio di grado n a coefficienti in un campo algebricamente chiuso ha esattamente n zeri (non necessariamente distinti) ; • gr 1 ; 33 Nicola Melone • • 2, 3 è 2 ; ; Giova osservare che un polinomio irriducibile su un campo un’estensione di 1 è irriducibile su . Ad esempio il polinomio 1 quanto risulta in può risultare riducibile su e riducibile su . In base al teorema di Ruffini si può definire molteplicità di uno zero il massimo intero in divide tale che di un polinomio . Uno zero di molteplicità 1 (>1) si dice semplice (multiplo). Le nozioni di risultante di due polinomi e di derivato di un polinomio sono utili per stabilire l’esistenza e per determinare eventuali zeri multipli. Si definisce risultante di due polinomi , di il determinante di ordine definito ponendo: 0 0 … 0 0 0 0 , 0 … 0 0 2 1 , 1 2 3 0 0 1 2 3 0 0 1 2 2 0 0 1 0 2 0 0 , 3 Considerati ad esempio i polinomi 0 0 2 si ha: 0 0 3 0 1 . Si definisce derivato di un polinomio di grado 1 il polinomio definito ponendo: 1 . Il derivato di un polinomio costante si pone uguale a zero. Il risultante polinomio e del suo derivato si chiama anche discriminante di • , • , 0, 0 , , . Si dimostra che. di un 34 Nicola Melone • , 0. , Per quanto concerne l’irriducibilità dei polinomi a coefficienti nei campi si provano facilmente le seguenti proposizioni. • I polinomi irriducibili di • Ogni polinomio di grado n (>0) si decompone in un prodotto del tipo ∏ , ove , , ,…, sono gli zeri distinti e , , … , le rispettive molteplicità. • I polinomi irriducibili di discriminante negativo. • Se è uno zero complesso di un polinomio reale , allora anche il complesso coniugato di è uno zero di . Ne segue che un polinomio reale di grado dispari ha almeno uno zero reale. • Ogni polinomio ∏ tipo gli zeri reali distinti di , discriminante negativo ed sono tutti e soli quelli di primo grado; sono quelli di primo grado e quelli di secondo grado a di grado n (>0) si decompone in in un prodotto del · ∏ , costante, , , … , , 1, … , , polinomi reali di secondo grado a ∑ 2∑ . Per i polinomi a coefficienti razionali non esistono risposte definitive sull’irriducibilità come nel caso reale e complesso. Osserviamo intanto che per ogni polinomio ( = minimo comun denominatore dei coefficienti di ) esiste un intero tale che e, inoltre, e sono entrambi riducibili o irriducibili in studiare l’irriducibilità dei polinomi a coefficienti interi in La ricerca degli zeri di un polinomio di in . Ne segue che è sufficiente . si semplifica con la seguente un polinomio a coefficienti osservazione. Sia interi e uno zero razionale, con p,q privi di fattori comuni. Risulta allora = ) e quindi: (i) Gli zeri razionali di e denominatore divisore di divisore di hanno numeratore . Sussiste infine il seguente Criterio di irriducibilità di Eisenstein. Sia polinomio a coefficienti interi. Se esiste un numero primo p , allora è irriducibile in . tale che | , , … , un , 2.4 Estensioni algebriche e ricerca degli zeri di un polinomio Allo scopo di studiare le estensioni di un campo sono utili le seguenti proprietà. Proposizione 2.4.1. Siano , , tre campi con estensione di e estensione di Se : e : sono finiti, allora : è finito e risulta : : · : . . 35 Nicola Melone Dimostrazione. Denotate con ,…, una base di L su K e con ,…, una base di M su L , si verifica facilmente che ,…, ,……, ,…, è una base di M su K. Proposizione 2.4.2. Un anello commutativo unitario privo di ideali non banali (i.e. diversi da 0 , ). è un campo se, e soltanto se, è Dimostrazione. Se è un campo, considerato un ideale 0 ed un elemento \ 0 , si ha 1 e quindi . Sia, inversamente, privo di ideali non banali. Considerato un qualunque elemento \ 0 , l’ideale | coincide con , onde esiste un elemento tale che 1 , ovvero ogni elemento non nullo di è invertibile. Proposizione 2.4.3. Il quoziente di un anello commutativo unitario mediante un ideale massimale è un campo. Dimostrazione. Sia un anello commutativo unitario e un suo ideale massimale (i.e. non contenuto propriamente in un altro ideale) e poniamo / . Ricordiamo che gli elementi di sono i laterali , con variabile in . Considerato un ideale di e posto | , si verifica facilmente che è un ideale di contenente , onde 0 oppure oppure , essendo massimale. Ne segue , ovvero è privo di ideali non banali. Proposizione 2.4.4. L’anello dei polinomi a coefficienti in un campo è principale (i.e. ogni ideale è principali). Ne segue che l’ideale generato da un polinomio irriducibile è massimale. Dimostrazione. Sia un ideale non nullo e un polinomio non nullo e di grado minimo in . Considerato l’ideale principale si ha ovviamente . Considerato un qualunque polinomio e posto , , si ha . Essendo di grado minino in risulta 0 e quindi , ovvero . Sia ora un polinomio irriducibile e . Posto , dall’inclusione segue e quindi g, oppure q, è una costante non nulla. Nel primo caso e nel secondo . Proposizione 2.4.5. Se è un polinomio non nullo e irriducibile, l’anello quoziente / è un campo, l’elemento è uno zero di in e : .Tale campo si chiama estensione semplice di K, si denota anche con , e si dice ottenuto da K mediante l’aggiunzione di uno zero di f. Dimostrazione. Dalla Proposizione 2.4.3 segue che operazioni sul quoziente / si trae è un campo. Dalla definizione delle 0 . Considerato ora un qualunque elemento , = / 1 . Si ha , con sia = , ovvero ogni elemento : , essendo , … , . 1 e quindi di è combinazione lineare di , … , . 1 ovviamente linearmente indipendenti su . 36 Nicola Melone Dalla Proposizione 2.4.5 si trae un metodo semplice per costruire campi finiti. / Osserviamo intanto che / 0 , 1 ,…, coincide con l’anello dei resti modulo p e quindi 1 , avendo denotato con 0 , 1 ,…, 1 le classi di congruenza modulo p. Procedendo, inoltre, in modo del tutto analogo alla Proposizione 2.4.4, si prova che: • / . Considerato, allora, un polinomio irriducibile quoziente / è un campo di grado n su vettoriale di dimensione n su / , onde è isomorfo a di un certo grado n, l’anello . Ne segue che e quindi ha / è spazio elementi. Il campo è un esempio di campo finito che si chiama campo di Galois di ordine q = pn e si denota con uno dei simboli GF(q) oppure Fq. Sussiste il seguente: Teorema fondamentale dei campi finiti. Per ogni primo p e per ogni intero n≥1, esiste un campo di Galois di ordine pn. Due campi di Galois di stesso ordine sono isomorfi ed ogni campo finito è un campo di Galois. 37 Nicola Melone CAPITOLO 3 FONDAMENTI DI GEOMETRIA 3.1 Introduzione Gli Elementi di Euclide sono la più antica opera matematica greca pervenuta e sono pertanto una importante fonte per la Storia della Matematica di almeno due secoli precedenti. Per la prima volta le conoscenze matematiche vengono organizzate in modo assiomatico-deduttivo, in cui la generalità e la dimostrazione di tutti i teoremi sono il tratto caratteristico. Per queste caratteristiche l’opera è stata il più autorevole manuale di Matematica nella storia umana. Nonostante la sua importanza, le prime critiche al rigore dell’impostazione euclidea sono comparse abbastanza presto, già nei primi commentatori conosciuti Pappo e Proclo (412-485). Ad esempio Leibniz osservò che Euclide nella Proposizione I del Libro I si serve dell’esistenza di un punto comune a due cerchi, ciascuno contenente il centro dell’altro, basandosi sull’intuizione e sulle figure. Anche Gauss in una lettera del 1832 all’amico matematico Wolfgang Bolyai osservava che per parlare di parte di piano interna ad un triangolo era necessario un assioma. Molte dimostrazioni di Euclide si basano in maniera essenziale sull’accuratezza delle figure. Al riguardo, Bertrand Russell (1872-1970) osserva che la forza dimostrativa di una valida dimostrazione sta nel non disegnare alcuna figura. A partire da disegni errati si possono, infatti, dimostrare in modo corretto proposizioni false. Un esempio ben noto è la seguente proposizione. Ogni triangolo è isoscele. C Figura 1 E Dimostrazione. Considerato un triangolo Δ(ABC), se la F bisettrice dell’angolo Λ(ACB) è parallela all’asse del H segmento AB, il triangolo Δ(ABC) è isoscele in quanto la bisettrice dell’angolo in C è ortogonale alla base AB. A B D Supponiamo allora che bisettrice e asse si intersechino in un punto H. Considerate le perpendicolari HE e HF ai lati BC e AC, rispettivamente, dalla congruenza delle coppie di triangoli Δ(CFH) e Δ(CEH), Δ(AHF) Figura 2 C e Δ(BHE) segue in particolare CF = CE, FA = EB, onde CA = CB ed il triangolo Δ(ABC) è isoscele. La dimostrazione è corretta nonostante il teorema sia falso. L’errore deriva dalla posizione del punto H nella Figura 1. Si verifica, invece, O facilmente che il punto H appartiene alla circonferenza circoscritta ed uno tra i punti E, F deve essere interno e l’altro esterno al triangolo. Considerato, infatti, il punto H costruito B D A come nella Figura 2, risulta Λ(ACH) = Λ(AOH) = Λ(HOB) = Λ(HCB) e quindi CH è la bisettrice dell’angolo Λ(ACB). H 38 Nicola Melone La Geometria proiettiva sintetica, iniziata con la prospettiva rinascimentale e proseguita con l’opera dei matematici francesi Girard Desargues (1591-1661), Blaise Pascal (16231662), Gaspard Monge (1746-1818), Lazare Nicolas Marguérite Carnot (1753-1823), raggiunge la sistemazione definitiva con il Trattato sulle proprietà proiettive delle figure di Jean Victor Poncelet (1788-1867) del 1822. Il principio di dualità consentì di scambiare il ruolo di punti e rette e diede un ulteriore contributo alla necessità di una profonda revisione della concezione della Geometria. L’introduzione della geometria analitica in geometria proiettiva e l’introduzione della nozione di coordinate per le rette ad opera del matematico tedesco Julius Plücker (18011868) diede un impulso notevole allo sviluppo della geometria algebrica delle curve e superfici. Contributi fondamentali furono dati da Plücker, Bernhard Riemann (1826-1866), Alfred Clebsch (1833-1872), George Salmon (1819-1904), Gustav Roch (1839-1866), Luigi Cremona (1830-1903), Corrado Segre (1863-1924), Guido Castelnuovo (1865-1952), Ludwig Schläfli (1814-1895), Jakob Steiner (1796-1863), Max Noether (1844-1921) e Federico Enriques (1871-1946). Le coordinate plückeriane e la Geometria algebrica motivarono la nascita delle geometrie di dimensione maggiore di 3 ad opera soprattutto di Clebsch e Hermann Günter Grassmann (1809-1877). La comparsa delle Geometrie non euclidee segnò la crisi definitiva la concezione newtoniana della Geometria come parte della Fisica e quella kantiana della Geometria come scienza delle intuizioni spaziali pure. I successi ottenuti in geometria proiettiva sintetica spinsero i matematici ad approfondire il rapporto tra geometria proiettiva e geometria metrica. Risultati importanti in tale ordine di idee furono ottenuti da Karl Georg Christian von Staudt (1798-1867) e, successivamente, da Arthur Cayley (1821-1895). Quest’ultimo mediante il suo concetto di assoluto (una conica nel piano e una quadrica nello spazio), riuscì a definire in modo sintetico le nozioni metriche fondamentali di angolo e distanza tra punti. Klein, infine, generalizzando le idee di Cayley, unificò geometria euclidea e non euclidee in un’unica teoria. Nel corso dell’Ottocento inizia un processo di ricostruzione rigorosa di tutta la Matematica, in particolare del Calcolo differenziale e integrale, per chiarire i concetti di funzione, di infinitesimo e di continuo reale, essendo ormai la definizione puramente geometrica non soddisfacente. Queste esigenze portarono anche alla definizione dei numeri reali a partire soltanto dai numeri naturali. Per comprendere la portata di questi risultati basti considerare che ancora all’inizio dell’Ottocento si disponeva di definizioni 39 Nicola Melone molto vaghe di numero negativo. Leonhard Euler (1707-1783, noto in Italia con il nome di Eulero), affermava, ad esempio, “nello stesso modo in cui i numeri positivi sono incontestabilmente maggiori del nulla, i numeri negativi sono meno di nulla … Sarebbe certo della massima importanza in tutto lo sviluppo dell’Algebra che ci si formasse un’idea precisa delle quantità negative di cui abbiamo parlato. Io mi accontenterò tuttavia di osservare qui, che tutte le espressioni come +1 − 1, +2 − 2, +3 − 3, +4 − 4, . . .sono uguali a 0, o al nulla. E che +2 − 5 = −3 , perché se una persona ha 2 corone e ne deve 5 egli non solo non ha nulla, ma deve anche 3 corone”. Augustine-Louis Cauchy (1789-1857), Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor (1845-1918), Bernhard Bolzano (1781-1848), Julius Wilhelm Richard Dedekind (1831-1916), sono gli artefici di questa ricostruzione rigorosa dell’Analisi matematica. Tutto l’edificio poggia sul concetto di numero naturale, a partire dal quale si costruiscono i numeri razionali e reali. Anche l’obiettivo di costruire assiomaticamente i numeri naturali viene raggiunto con il contributo di molti eminenti matematici, tra cui Giuseppe Peano (1858-1932), Dedekind, Cantor. La Geometria, considerata per oltre due millenni la regina della Matematica, venne marginalizzata da questa fondazione rigorosa dell’analisi matematica, costringendo i geometri ad occuparsi dei suoi fondamenti logici. I tempi erano maturi per affrontare la questione dei fondamenti della Geometria. I primi importanti contributi alla fondazione assiomatica della Geometria furono dati da Moritz Pasch (1843-1930). Egli sosteneva che i termini punto, retta e piano possono non essere definiti e le dimostrazioni dei teoremi devono essere indipendenti dal significato empirico degli enti geometrici e dalle figure. Altri sistemi assiomatici furono proposti da Peano, Federico Enriques (1871-1946), Alfred North Whitehead (1861-1947), Oswald Veblen (1880-1960) e John W. Young (18791931). In particolare, questi due matematici introducono nei loro Projective Geometry (1910-1918) un sistema di assiomi per la Geometria proiettiva molto semplice e generale (che includevano geometrie con un numero finito di punti, geometrie con coordinate esclusivamente sul campo razionale e geometrie sul campo complesso), riuscendo ad ottenere con opportune specializzazioni della quadrica assoluto la geometria euclidea e molte geometrie non euclidee e completando, così, il lavoro di Klein. Una sistemazione rigorosa dei fondamenti della geometria (euclidea e non euclidee) che si avvicina molto all’impostazione euclidea ed ha ricevuto i maggiori consensi fu 40 Nicola Melone proposta da Hilbert nella sua opera Grundlagen der Geometrie del 1899, successivamente rivisto varie volte dallo stesso Hilbert. Hilbert, seguendo l’impostazione di Pasch, inizia con l’elenco dei concetti indefiniti (punto, retta, piano, giacere su, stare fra, congruenza di coppie di punti e di coppie di angoli), ai quali non era necessario attribuire alcun significato specifico. È famosa in proposito la sua affermazione “punti, rette e piani potrebbero essere sostituiti da tavoli, sedie e boccali di birra”. Il suo sistema si compone di venti assiomi suddivisi in cinque gruppi: assiomi di incidenza, assiomi di ordinamento, assiomi di congruenza, assioma delle parallele, assiomi di continuità. Gli obiettivi di Hilbert erano molteplici: • Restituire alla Geometria una legittimazione logica indipendente dal numero; • Chiarire il concetto ed il ruolo del continuo in geometria; • Chiarire il rapporto tra le varie dimensioni. Egli (come molti altri matematici dell’Ottocento, tra cui von Staudt) dedicò una particolare attenzione ai tentativi di Desargues di rappresentare lo spazio su un piano attraverso le operazioni di proiezione e sezione, con l’idea di dare una veste rigorosa alla prospettiva pittorica del Rinascimento. In particolare studiò a lungo i seguenti due teoremi configurazionali, che enunciamo in ambiente proiettivo. Teorema di Desargues (figura 3): Siano Δ(ABC) e Δ(A’B’C’) due triangoli con vertici e lati a due a due distinti. Se Δ(ABC) e Δ(A’B’C’) sono prospettici da un punto O (i.e. le rette AA’, BB’, CC’ si intersecano nel punto O), i tre punti L = AB∩A’B’, M = AC∩A’C’, N = BC∩B’C’ sono allineati. ℓ O N L • A C B • B’ M A’ C’ Figura 3 41 Nicola Melone Teorema di Pappo (figura 4): Siano ℓ e ℓ due rette incidenti in un punto V. Se A, B, C sono tre punti distinti su ℓ\ e A’ ,B’, C’ tre punti distinti su ℓ \ , i tre punti L = AB’∩A’B, M = AC’∩A’C, N = BC’∩B’C sono allineati. C’ B’ A’ V • L A • M • N B Figura 4 C Il teorema di Desargues ha carattere puramente grafico (cioè si dimostra servendosi soltanto degli assiomi di incidenza, cfr. Proposizione 4.3.4) sia se i due triangoli non sono complanari, sia se giacciono in uno stesso piano pensato immerso nello spazio. Se, invece, si vuole dimostrare il teorema come proposizione di geometria piana, Hilbert provò che erano necessari anche gli assiomi di congruenza (come nella dimostrazione originale di Desargues). In questo senso la validità del Teorema di Desargues era per Hilbert uno strumento per rappresentare lo spazio su un piano e per introdurre le coordinate su un corpo ed la validità del Teorema di Pappo garantiva che il corpo fosse commutativo. I due risultati di Hilbert che hanno determinato lo sviluppo della Geometria sintetica contemporanea i seguenti. • un piano proiettivo astratto, in cui valgono soltanto gli assiomi di incidenza e ordine, è immergibile nello spazio se, e soltanto se, in esso vale il Teorema di Desargues; • un piano proiettivo astratto in cui vale il Teorema di Desargues è coordinabile su un campo se, e soltanto se, in esso vale il Teorema di Pappo. 3.2 Gli assiomi di Hilbert Hilbert apre i Grundlagen con la seguente motivazione: "La geometria richiede - come anche l'aritmetica - per venire fondata in modo coerente, solo poche, semplici proposizioni fondamentali. Queste proposizioni fondamentali si chiamano gli assiomi della geometria. L'esposizione degli assiomi della geometria e l'indagine sui loro mutui rapporti costituiscono un problema che è stato discusso sin dai tempi di Euclide, in numerosi ottimi trattati della letteratura matematica. Il problema indicato porta all'analisi logica della nostra intuizione dello spazio. La presente ricerca è un nuovo tentativo di stabilire per la geometria un sistema di assiomi completo ed il più semplice possibile e dedurre dai medesimi le proposizioni geometriche più importanti, in modo tale da mettere chiaramente in luce il significato dei diversi gruppi di assiomi e la portata delle conseguenze da trarre dai singoli assiomi". 42 Nicola Melone Le differenze sostanziali tra l’impostazione assiomatica di Euclide e quella di Hilbert sono: • Euclide definisce gli enti geometrici punto, retta, piano, … probabilmente ritenendoli modelli di oggetti reali, per Hilbert, invece, queste nozioni non devono essere definite, potendo rappresentare un qualunque insieme di oggetti che verifichi gli assiomi; • Euclide costruisce gli oggetti da studiare, Hilbert invece ne dimostra l’esistenza. Gli assiomi proposti da Hilbert sono suddivisi nei seguenti 5 gruppi (cfr. [MK], [RH]). ASSIOMI DI INCIDENZA I1. Due punti distinti giacciono su un’unica retta; I2. Ogni retta contiene almeno due punti; I3. Esistono tre punti non allineati (i.e. non giacenti sulla stessa retta); I4. Tre punti non allineati giacciono su un unico piano ed ogni piano è non vuoto; I5. Se due punti di una retta giacciono su un piano, ogni punto della retta giace sul piano; I6. Se due piani hanno in comune un punto, allora hanno in comune almeno un altro punto (due piani ad intersezione non vuota si intersecano in una retta); I7. Esistono quattro punti non complanari (i.e. non giacenti sullo stesso piano). La retta (il piano) per due punti distinti A,B (per tre punti non allineati A,B,C) si denoterà con il simbolo AvB (rispettivamente con il simbolo AvBvC). ASSIOMI DI ORDINAMENTO O1. Se un punto B giace tra i punti A e C, allora B giace anche tra C ed A e A,B, C sono tre punti differenti della retta AvC ; O2. Per ogni coppia di punti distinti A,B esiste almeno un punto C sulla retta AVB tale che B giace tra A e C; O3. Dati tre punti istinti qualsiasi su una retta al più uno giace tra gli altri due; Definizione di segmento: una coppia non ordinata , di punti distinti di una retta r si dice segmento di estremi A,B e si denota con AB (o anche con BA). I punti di r tra A e B si dicono interni al segmento e gli altri punti di r esterni. Definizione di triangolo. Si definisce triangolo di vertici tre punti non allineati A,B,C e si denota con ∆ , , l’unione dei tre segmenti AB,BC,CA. O4. Siano A,B, C tre punti non allineati. Se una retta del piano AvBvC non passante per A,B,C contiene un punto del segmento AB, allora deve contenere anche un punto del segmento BC o AC (assioma di Pasch). Dagli assiomi di incidenza e di ordinamento si deducono le nozioni di semiretta e semipiano. Sussistono infatti le seguenti proposizioni (cfr. [RH]). • Fissato un punto A su una retta r, l’insieme \ si ripartisce in due sottoinsiemi non vuoti, detti le semirette di origine A, tali che due punti B,C di r appartengono (non appartengono) alla stessa semiretta se, e soltanto se, ( ). Se A,B sono due punti distinti, la semiretta di origine A e contenente il punto B si denoterà nel seguito con . 43 Nicola Melone • Fissata una retta r su un piano , l’insieme \ si ripartisce in due sottoinsiemi non vuoti, detti semipiani di origine r,tali che due punti di \ appartengono (non appartengono) allo stesso semipiano se, e soltanto se, il segmento AB ha un punto in comune con r (ha intersezione vuota con r). Definizione di angolo (piano): si definisce angolo (piano) l’unione di due semirette aventi una stessa origine e non appartenenti alla stessa retta. L’origine si dice vertice e le due semirette lati dell’angolo. Se A,B,C sono tre punti non allineati, l’angolo di vertice A e si denoterà nel seguito con Λ (o anche con Λ ). Un punto D si dice lati interno all’angolo Λ se B,D giacciono sullo stesso semipiano di origine la retta AvC e C,D giacciono sullo stesso semipiano di origine la retta AvB. ASSIOMI DI CONGRUENZA S1. Se A,B sono due punti di una retta r ed A’ è un punto di una retta r’ (eventualmente coincidente con r) su una qualunque delle due semirette di origine A’ esiste un punto B’ tale che il segmento AB sia congruente al segmento A’B’ (in simboli AB≡A’B’). S2. Se A’B’ e A”B” sono congruenti ad AB, allora A’B’≡A”B”. S3. Siano AB e BC segmenti di una retta r privi di punti interni comuni ed A’B’ , B’C’ segmenti di una retta r’ privi di punti interni comuni. Se AB≡A’B’ e BC≡B’C’ allora AC≡A’C’. S4. Sia Λ un angolo di un piano . Fissata su un piano una retta r’ e su di essa una semiretta A’B’, esiste un’unica semiretta A’C’ in un fissato semipiano di di origine r’ tale che Λ sia congruente ad Λ ( in simboli Λ ≡Λ ). Inoltre ogni angolo è congruente a se stesso. S5. Considerati tre angoli , , , se e allora . S6. Se in due triangoli Λ , , , Λ , , si ha AB≡A’B’, AC≡A’C’ e Λ allora i due triangoli sono congruenti, cioè BC≡B’C’, Λ Λ ≡Λ . ≡Λ ≡Λ , e In base a tali assiomi si possono definire le nozioni di somma tra segmenti e la relazione d’ordine tra segmenti. Definizione di somma tra segmenti. Dati i segmenti e denotato con E il punto della tale che , il segmento AE si dice somma dei segmenti , (sulla semiretta semiretta ), in simboli AE=AB+CD. Definizione della relazione d’ordine tra segmenti. Si dice che un segmento AB è minore di un segmento , in simboli , se esiste un punto E tra C e D tale che AB≡CE. Si può dimostrare (cfr. [RH]) che le relazioni di congruenza tra segmenti, angoli e triangoli sono di equivalenza ASSIOMA DELLE PARALLELE (nella forma di Playfair) Per ogni retta r e per ogni punto A non appartenente ad r nel piano determinato da A ed r esiste una sola retta r’ per A ad intersezione vuota con r (parallela a r, in simboli r’ // r ). In realtà l’esistenza di una parallela si dimostra sulla base degli assiomi precedenti. 44 Nicola Melone ASSIOMI DI CONTINUITÀ C1. (assioma di Archimede): Se , positivo n tale che · . sono due segmenti qualsiasi, esiste sulla un intero C2. (assioma di completezza lineare). L’insieme dei punti di una retta non è contenuto propriamente in un altro insieme che soddisfi gli assiomi I1, S1, S2, S3. 3.3. Elementi di Geometria proiettiva sintetica L’impostazione della Geometria sintetica odierna si basa, essenzialmente, sulle ricerche di von Staudt della metà del XIX secolo, successivamente valorizzati ed approfonditi da Hilbert e Gerhard Hessenberg (1874-1925) i quali mostrarono che a partire soltanto dagli assiomi di incidenza su rette e punti, dall’assioma delle parallele e dall’assioma di Desargues (i.e. la validità della configurazione di Desargues) si poteva costruire un corpo, introdurre le coordinate e, quindi, sviluppare la geometria analitica a coordinate su K. Felix Klein (1849-1925) nel suo fondamentale lavoro del 1872, noto come “Il Programma di Erlangen”, propose una nuova visione della geometria come studio delle proprietà dei sottoinsiemi di un insieme invarianti rispetto ad un fissato gruppo di trasformazioni dell’insieme. Nel lavoro Klein mostrò che lo spazio proiettivo poteva essere considerato l’ambiente geometrico fondamentale, a partire dal quale si potevano ottenere le varie geometrie semplicemente specializzando il gruppo di trasformazioni. I risultati di Hilbert, Hessenberg e Klein spinsero i matematici del primo Novecento ad interessarsi dei Fondamenti di Geometria proiettiva e, tra i tanti risultati, il punto di vista di Veblen e Young è il più semplice ed elegante. In queste note adotteremo questo punto di vista: dagli spazi proiettivi astratti, agli spazi affini astratti, dalle collineazioni alle affinità, dalle omologie alle dilatazioni e loro legame con la configurazione di Desargues, la costruzione del corpo delle coordinate e legame tra commutatività del corpo e configurazione di Pappo. Mostreremo, infine, come ottenere la geometria euclidea. Nel seguito chiameremo struttura di incidenza ogni coppia insieme non vuoto e da una famiglia dicono punti e quelli di incidenti se , costituita da un di suoi sottoinsiemi non vuoti. Gli elementi di si rette (o anche blocchi). Un punto P ed una retta ℓ si dicono ℓ. Una struttura di incidenza se sono verificati i seguenti assiomi: , si dice uno spazio proiettivo astratto (irriducibile) 45 Nicola Melone (P1) Due punti distinti A,B appartengono ad un’unica retta A∨B (la loro congiungente); (P2) Ogni retta contiene almeno tre punti (P3) Esistono almeno due rette; (P4) Considerati quattro punti A,B,C,D se le rette AvB e CvD hanno intersezione non vuota, allora anche le rette AvC e BvD devono avere intersezione non vuota. C D • • • • • • B A La condizione (P2) si dice assioma di irriducibilità. Diremo spazio proiettivo riducibile ogni struttura di incidenza verificante gli assiomi (P1), (P3) e (P4) ed in cui esistono rette con due soli punti. La condizione (P4) si chiama assioma di Veblen-Young, in quanto introdotta per la prima volta da Veblen e Young nel loro volume Projective Geometry del 1910. Nel seguito un sottoinsieme S si dirà allineato (o che i punti sono allineati) se è contenuto in una retta. Ovviamente ogni punto ed ogni coppia di punti sono sottoinsiemi allineati. Chiameremo triangolo ogni terna A,B,C di punti distinti e non allineati. I punti A,B,C si dicono vertici e le rette , , si dicono lati del triangolo. Nel seguito un triangolo di vertici A,B,C sarà denotato con il simbolo Δ(ABC). • Osserviamo esplicitamente che l’assioma di Veblen-Young si può C • enunciare al seguente modo equivalente: (VY) ogni retta incidente in punti distinti tra loro e dai vertici due lati di un triangolo incide anche il terzo lato. Un piano proiettivo è uno spazio proiettivo il seguente assioma più forte: , • A • • • B in cui all’assioma P4 è sostituita (PP) Due rette distinte hanno intersezione non vuota. Dalla definizione di spazio proiettivo segue ovviamente che due rette si intersecano in al più un punto. ESERCIZI I (I1) Le rette sono equipotenti. Dimostrazione. È sufficiente provare la proprietà per coppie di rette ad intersezione non vuota. Siano, quindi, r,s due rette aventi un punto O in comune e fissiamo due punti distinti A,B su r e due punti distinti C,D su s. In base all’assioma (P4) le rette AvC e BvD si intersecano in un punto E. Considerato un qualunque punto P su r, per l’assioma (P4) la retta P v E interseca s in un punto P’ e la corrispondenza è ovviamente biettiva. (I2) Sia Insiemi in corrispondenza biunivoca con il sostegno di uno spazio proiettivo. , uno spazio proiettivo e un insieme in corrispondenza biunivoca con . 46 Nicola Melone Fissata una biezione : e posto coppia , è uno spazio proiettivo. ℓ | ℓ , si verifica facilmente che la (I3) L’ampliamento proiettivo dello spazio euclideo ordinario. Denotiamo con l’insieme dei punti, con l’insieme delle rette e con Π l’insieme dei piani di uno spazio euclideo ordinario : ad esempio si può identificare con , ogni piano con l’insieme delle terne , , soluzioni di un’equazione lineare del tipo 0 , tale che , , 0,0,0 , ed ogni retta con l’insieme delle terne , , soluzioni di un sistema lineare compatibile e di rango 2 del tipo 0 . 0 Il parallelismo definisce in (ed anche in Π) una relazione di equivalenza e quindi si può considerare l’insieme quoziente ∆ /|| , i cui elementi sono le classi di parallelismo delle rette . Chiameremo gli elementi di ∆ punti all’infinito (o impropri) e quelli di punti al finito (o propri o, semplicemente, punti) dello spazio euclideo. Per ogni retta , si dirà il punto all’infinito di . Per ogni piano , denoteremo inoltre con l’insieme dei punti all’infinito delle rette di e chiameremo la retta all’infinito del piano . Si verifica facilmente che: || , || , || || , || . Posto ∆ e | | , proviamo che la struttura di incidenza , è uno spazio proiettivo, che si dice ampliamento proiettivo di . Gli assiomi (P2) e (P3) sono ovvi. Per quanto concerne gli altri due assiomi è sufficiente esaminare i seguenti casi: Assioma (P1) (i) A,B punti propri: denotata con la retta affine per i punti A,B risulta B A • • (ii) A proprio e ) si ha all’infinito: denotata con la retta per A parallela ad s (quindi A • (iii) , all’infinito: considerato un punto O, le rette , , rispettivamente, ed il piano determinato da , si ha O , per O parallele ad 47 Nicola Melone Assioma (P4) (i) tre vertici A,B,C propri: C C B A A B (ii) due vertici A,B propri e il terzo C all’infinito: A • C= • C= • C= B B A A B (iii) un vertice A proprio e gli altri due B, C all’infinito: • B= A • C= (iv) tre vertici A,B,C all’infinito: • ℓ ℓ • • • • (I4) Spazio proiettivo associato ad uno spazio vettoriale. Sia V(K) uno spazio vettoriale su un corpo (o campo) K, con 3. Considerato un qualsiasi sottoinsieme 48 Nicola Melone di vettori S, denoteremo nel seguito con (S) l’insieme dei sottospazi vettoriali 1dimensionali [u], al variare del vettore u∈S\{0}, porremo cioè: | Si dimostra che (cfr. n. 4.2) la coppia S , 1 , | . . , con , è uno spazio proiettivo, che si dice associato allo spazio vettoriale V(K). Se inoltre dimV=3, allora è un piano proiettivo. (I5) Provare che: una coppia , , costituita da un insieme non vuoto (i punti) e da una famiglia di sottoinsiemi di (le rette),è un piano proiettivo se, e soltanto se, verifica le seguenti condizioni: (PP1) due punti distinti appartengono ad un’unica retta; (PP2) due rette distinte si intersecano in un punto; (PP3) esistono quattro punti a tre a tre non allineati. 0,1 e lo spazio vettoriale numerico (I6) Piano di Fano. Considerato il campo tridimensionale , è un piano proiettivo, detto piano di Fano. Osservato che i sono 0,0,0 , 1,0,0 , 0,1,0 , 0,0,1 , vettori di (0,0,1) 1,1,0 , 1,0,1 , 0,1,1 , 1,1,1 e che le tabelle delle Piano di Fano operazioni nel campo 0,1 sono + 0 1 · 0 1 0 0 1 0 0 0 1 1 0 1 0 1 (0,1,1) (1,0,1) • (1,1,1) (1,0,0) (1,1,0) (0,1,0) ha 7 punti, 7 rette e può essere si trae facilmente che il piano di Fano rappresentato come in figura. Si verifica, inoltre, facilmente che il piano di Fano è lo spazio proiettivo irriducibile con il minor numero di punti. Un sottospazio proiettivo di uno spazio proiettivo , è un sottoinsieme di contenente la retta congiungente due qualsiasi suoi punti distinti. Un sottospazio proiettivo si dirà anche semplicemente sottospazio, se non sorgono equivoci sull’ambiente geometrico. Ovviamente il vuoto, i singoli punti (pensati come sottoinsiemi), le rette ed il sostegno • sono sottospazi. Risulta ovviamente: Per ogni sottospazio contenente almeno due rette, denotato con l’insieme delle rette di contenute in , la coppia , è uno spazio proiettivo; Inoltre si ha: Proposizione 3.3.1. L’intersezione di una famiglia sottospazio. Dimostrazione. Considerati due qualsiasi punti , onde , essendo un sottospazio, e quindi di sottospazi è un , per ogni . si ha , 49 Nicola Melone Poiché ogni sottoinsieme di punti è contenuto in qualche sottospazio (almeno il sostegno ), in base alla Proposizione 3.3.1 si può definire il sottospazio generato (o chiusura lineare o congiungente i punti) di un qualunque sottoinsieme S ponendo: | . è quindi il più piccolo sottospazio, rispetto all’inclusione, contenente S. Il sottoinsieme S si dice insieme di generatori del sottospazio generatori di un sottospazio . Più in generale, si definisce insieme di ogni suo sottoinsieme S tale che . Uno spazio proiettivo si dice finitamente generato se ammette un insieme finito di generatori. Ovviamente l’unione di sottospazi non è un sottospazio (basta considerare l’unione di , il sottospazio generato due punti). Considerata, quindi, una famiglia di sottospazi si chiama anche sottospazio congiungente i sottospazi dal sottoinsieme denoterà nel seguito con il simbolo e si , si porrà cioè: . Dalla definizione di sottospazio generato segue facilmente che: • , per ogni coppia di punti distinti A,B; • • ; • • ; ; , • ; • Considerati h punti … … ; ,…, , risulta … … … ; , per ogni permutazione p dell’insieme ,…, . ESERCIZI II: Spazi proiettivi riducibili (II1) Ogni insieme con almeno tre elementi è uno spazio proiettivo riducibile se come rette si considerano tutti i sottoinsiemi di ordine 2. (II2) Ogni spazio proiettivo riducibile , , dotato di rette con almeno tre punti, è unione disgiunta di sottospazi proiettivi irriducibili. Dimostrazione. Consideriamo la relazione binaria definita in ponendo: ~ . Ovviamente la relazione è riflessiva e simmetrica. Proviamo che | 3, | essa è transitiva. Siano, infatti, X,Y,Z tre punti tali che | | 3. In base all’assioma di Veblen-Young applicato al triangolo ∆ , , si trae | | 3 e quindi è anche transitiva. Fissato un punto A, sia la classe di equivalenza corrispondente e X,Y due Y • X • Z 50 Nicola Melone suoi punti distinti. Dalla definizione di segue che la retta ha almeno tre punti e per ogni punto , si ha , onde . Risulta quindi ovvero è un sottospazio proiettivo irriducibile di , . L’esistenza di almeno una retta con due soli punti comporta l’esistenza di almeno due classi di equivalenza distinte, inoltre tali sottospazi costituiscono una partizione di . (II3) Si provi che in uno spazio proiettivo , in cui ogni retta ha 3 punti sussistono le proprietà: (i) i piani sono piani di Fano; (ii) ogni sottospazio proiettivo finitamente generato ha un numero finito di punti. In base all’esercizio (II2), nel seguito ci possiamo limitare a studiare gli spazi proiettivi irriducibili. Un algoritmo per generare ricorsivamente un qualunque sottospazio mediante la congiunzione di punti è fornito dalla seguente proposizione. Proposizione 3.3.2. (i) Considerato un sottospazio ed un punto | . (ii) Più in generale, considerati due sottospazi non vuoti | , risulta , , si ha . , Dimostrazione. (i). Il sottospazio contiene il sottoinsieme | in quanto per ogni la retta ha i due punti P,Q in comune col sottospazio. Per provare l’asserto occorre dimostrare l’inclusione . A tale scopo proviamo prima che è un X=A B C sottospazio, cioè contiene la retta congiungente due • • • qualsiasi suoi punti distinti X,Y . L’asserto è ovvio se X,Y appartengono entrambi ad oppure se Z • •Y , onde resta da esaminare il caso in cui la retta non contiene il punto P ed uno almeno • dei punti X,Y non appartenente ad . Posto P e , sia . Considerato un punto Z su , la retta interseca in punti distinti i due lati , del triangolo , , , onde per l’assioma di Veblen-Young deve intersecare anche il A D C B terzo lato in un punto e quindi • • • • , ovvero . Supponiamo, infine, •Y , ed osserviamo che la retta Z • X • interseca in punti distinti i due lati , del triangolo , , . In base all’assioma di Veblen• Young essa interseca il lato in un punto . P Ne segue che, considerato un punto Z su , la retta interseca in due punti distinti i due lati e del triangolo , , e quindi per l’assioma di Veblen-Young interseca il lato in un punto , onde . Ora per definizione il sottospazio contiene e ovvero quindi contiene anche , essendo quest’ultimo il più piccolo sottospazio, rispetto all’inclusione, contenente . Ne segue | , | e di qui l’asserto. 51 Nicola Melone (ii). Osserviamo intanto che ovviamente | , di provare l’inclusione opposta è sufficiente dimostrare che è A=X un sottospazio. Consideriamo due punti distinti , . Se • , ovviamente . Supponiamo, quindi, che almeno uno dei punti X,Y non appartenga ad e siano , e , tali che e . Se A=A’ (oppure B=B’) allora . Sia , . Se X=A (analogamente se X=B, oppure Y=A’ o Y=B’), considerato un punto interseca in punti distinti i due lati , del triangolo Δ e, quindi, in base all’assioma di Veblen-Young A interseca il lato in un punto A’’. Ne segue • , cioè . Supponiamo infine che le rette • , siano a due a due disgiunte. I punti , X A,A’,B,B’ non appartengono ad uno stesso piano ((i) di tale • proposizione) ed inoltre [A,A’,B,B’] = [A,A’,B,Z]. Risulta allora B , , e , , . Ancora in base alla (i) di interseca , , questa proposizione si ha che la retta in un punto B’’, la retta interseca la retta in un punto A’’ ovvero . . Allo scopo A’ • A’’ • • Z B’ • la retta A’ • • Y B’’ • • B’ e quindi ed un punto e quindi due sottospazi distinti Dimostrazione. L’implicazione è ovvia se P = Q. Sia quindi Proposizione 3.3.2, la retta interseca in un punto A e quindi Per quanto concerne la seconda affermazione, basta osservare che . , Si definisce iperpiano dello spazio proiettivo • Z Proposizione 3.3.3 (proprietà di scambio). Considerato un sottospazio , risulta: \ . Ne segue in particolare intersecano in . A’’ • , . In base alla . e un sottospazio intersezione non vuota con ogni retta dello spazio. Ad esempio, se si ad è un piano proiettivo gli iperpiani sono tutte e sole le rette. Dalla definizione di iperpiano e dalla Proposizione 3.3.2 segue facilmente che: Proposizione 3.3.4. Se ad , si ha . Un sottoinsieme è un iperpiano e P un punto dello spazio non appartenente di punti dello spazio proiettivo punti sono indipendenti) se per ogni punto si dice indipendente (o che i suoi si ha \ . Un insieme non indipendente si dirà dipendente. Proposizione 3.3.5. Sussistono le seguenti proprietà: (i) Ogni sottoinsieme , tale che | | 2, è indipendente; (ii) Un sottoinsieme contenuto in un insieme indipendente è indipendente (⇔ un insieme contenente un insieme dipendente è dipendente); 52 Nicola Melone (iii) Tre punti sono indipendenti se, e soltanto se, sono non allineati. , (iv) ,…, 2 … , 1,2, … , 1, (algoritmo per costruire insiemi indipendenti). (v) , . Dimostrazione. Le proprietà (i),(ii) e (iii) sono ovvie. , ,…, sono indipendenti, in base alla definizione ed alla (ii) di questa (iv) Se proposizione segue … , per ogni i = 1,2,…,t-1. Proviamo l’implicazione inversa, procedendo per induzione su t. Se t=2, l’asserto è ovvio. Supponiamo quindi t>2 e vero l’asserto per t-1. Se , ,…, fossero dipendenti, esisterebbe un … … … … , inoltre e … … , in quanto per ipotesi di induzione , , … , , … , sono indipendenti. In base alla Proposizione 3.3.3 si avrebbe allora … … … … , in contrasto con l’ipotesi. (v) Per ipotesi esiste un punto tale che \ \ . Se , l’asserto è provato. Sia Q . Risulta allora \ ed inoltre \ , essendo indipendente. Dalla Proposizione 3.3.3 segue allora \ . 3.4 Spazi proiettivi finitamente generati In questo paragrafo si studieranno più a fondo gli spazi proiettivi generati da un insieme finito di vettori. Proposizione 3.4.1. Siano indipendente. Risulta allora , insiemi indipendenti finiti tali che sia . Dimostrazione. Se , coincidono oppure uno dei due è contenuto nell’altro l’asserto è ovvio. Possiamo quindi supporre e . Posto | |, l’asserto è quindi vero per t=0. Possiamo allora procedere per induzione su t, supporre cioè t>0 e vero l’asserto per t-1. Osserviamo che ovviamente risulta . Proviamo l’inclusione inversa. Fissato un punto \ , per ipotesi di induzione risulta \ \ . Supponiamo che esista un punto \ . Dall’ipotesi di induzione segue \ e inoltre \ . In base alla Proposizione 3.3.3 ed essendo , si trae allora \ \ \ , assurdo essendo e indipendente. Si definisce base di uno spazio proiettivo generatori dello spazio (cioè un insieme indipendente , ogni insieme indipendente di tale che ). ESEMPI. (I) Le basi di un piano proiettivo , sono tutte e sole le terne di punti non allineati. Dimostrazione. Una terna , , di punti non allineati è indipendente, proviamo che . Posto , dalla Proposizione 3.3.2 segue che . Considerato un qualunque punto , se P = C, ovviamente ; se , in base all’assioma (PP) la retta interseca la retta r in un punto e quindi, a norma della Proposizione 3.3.2, si ha . Ne segue . Se esistesse una base avente almeno 4 punti A,B,C,D , i punti , , sarebbero indipendenti e quindi non allineati e , una contraddizione. 53 Nicola Melone (ii) In uno spazio proiettivo facilmente che: ,…, Ne segue che le basi di associato ad uno spazio vettoriale V(K), si verifica sono del tipo ,…, | , . . Proposizione 3.4.2. Per un sottoinsieme di uno spazio proiettivo , sono equivalenti le seguenti condizioni: (i) base; (ii) insieme indipendente massimale; (iii) insieme di generatori minimale. Dimostrazione. (i)⇒(ii). Se è una base, per ogni punto P dello spazio risulta e quindi è dipendente, onde non può esistere un insieme indipendente contenente propriamente . (ii)⇒(iii). Considerato un insieme indipendente massimale , per ogni punto si ha che è dipendente. Dalla (v) di Proposizione 3.3.5 segue , ovvero e quindi è un insieme di generatori. Se esistesse un insieme di generatori contenuto propriamente in , considerato un punto \ , si avrebbe \ , \ e quindi sarebbe dipendente. (iii) ⇒(i). Per ipotesi è un insieme di generatori e quindi resta da provare che è indipendente. Se fosse dipendente, esisterebbe un punto tale che \ . Si avrebbe allora \ e quindi \ , ovvero \ sarebbe un insieme di generatori propriamente contenuto in , in contrasto con la minimalità di . Proposizione 3.4.3. Se è una base finita di uno spazio proiettivo fissato punto di , esiste un punto tale che \ è una base di , e P un . Dimostrazione. Se è sufficiente porre Q=P. Sia e un sottoinsieme minimale di , rispetto all’inclusione, tale che . Fissato un punto Q di , risulta allora \ e di qui segue \ , altrimenti per la Proposizione 3.4.1 si avrebbe \ \ . Essendo \ e \ \ indipendente, in base alla (iv) di Proposizione 3.3.5 si ha che \ è indipendente. Infine dalle condizioni \ , \ e dalla Proposizione 3.3.3 segue \ \ \ , cioè \ è insieme di generatori. Allo scopo di introdurre negli spazi proiettivi la nozione di dimensione, in analogia all’Algebra lineare risulta essenziale il seguente teorema di Steinitz ([BR]). Proposizione 3.4.4. Se è una base finita di uno spazio proiettivo sottoinsieme indipendente si ha | | | | ed esiste un sottoinsieme una base. , , per ogni tale che è Dimostrazione. Sia | | , | | e dimostriamo l’asserto supponendo s finito. Procediamo per induzione su s. Se allora s=1 n. Inoltre in base alla Proposizione 3.4.3 esiste un punto Q in tale che \ è una base e quindi basta porre \ . Supponiamo quindi s>1 e vero l’asserto per ogni sottoinsieme indipendente di cardinalità s-1. Fissato un punto , \ è indipendente di cardinalità s-1 e quindi per ipotesi di induzione si ha 1 ed esiste un sottoinsieme di cardinalità n-(s-1) tale che \ è una base. Se fosse s-1=n, si avrebbe e quindi \ sarebbe una base, in contrasto con la (ii) di Proposizione 3.4.2. Ne segue . Poiché \ , esiste un sottoinsieme di \ ,minimale rispetto all’inclusione, tale che . Se fosse \ si avrebbe \ , assurdo essendo indipendente, 54 Nicola Melone onde . Fissato un qualunque punto , ragionando come nella dimostrazione della Proposizione 3.4.3 si ha che \ \ \ è una base dello spazio. Se, infine, s fosse infinito, esisterebbero n+1 punti indipendenti e, per quanto provato sopra, sarebbe 1 , assurdo. Un corollario importante di tale teorema è la seguente proposizione che fornisce anche due differenti algoritmi per costruire basi. Proposizione 3.4.5. Sia , uno spazio proiettivo finitamente generato. Risulta: (i) esistono basi finite; (ii) due basi hanno lo stesso numero di elementi; (iii) ogni insieme indipendente si completa in una base. Dimostrazione. (i). Sia un insieme finito di generatori, esistente per ipotesi. Il seguente algoritmo determina una base finita contenuta in . Passo 1. Se è indipendente, allora è una base finita. Se è dipendente, esiste un punto dipendente da \ e quindi \ . Ne segue allora \ , ovvero \ è un insieme di generatori. Passo 2. Ragionando a partire da \ come nel passo 1, \ è una base finita oppure esiste un punto \ tale che \ , è un insieme di generatori. Dopo un numero finito di passi si ottiene un insieme minimale di generatori, ovvero una base contenuta in , in base alla Proposizione 3.4.2. (ii). Considerate due basi , , in base al Teorema di Steinitz si ha | | | | | , ovvero | | | | . | | | e (iii) Sia un insieme indipendente. Il seguente algoritmo completa in una base finita. Passo 1. Se , è una base. Se , esiste un punto e quindi è indipendente. Passo 2. Ragionando a partire da come nel passo 1, è una base oppure , esiste un punto e l’insieme è indipendente. Dopo un numero finito di passi si ottiene un insieme indipendente massimale e quindi una base, in base alla Proposizione 3.4.2. Sia , uno spazio proiettivo finitamente generato e quindi dotato di basi finite. Se d+1 è la cardinalità di una base (e quindi di tutte), il numero naturale d si definisce dimensione dello spazio proiettivo. Dalla definizione segue subito che: • Le basi di un sottospazio proiettivo h-dimensionale hanno cardinalità h+1; • t+1 punti indipendenti costituiscono una base del sottospazio da essi generato. Ovviamente il vuoto è l’unico sottospazio di dimensione -1, i sottospazi 0-dimensionali sono i singoli punti, i sottospazi 1-dimensionali sono tutte e sole le rette e quelli 2dimensionali si dicono piani. ESERCIZI III (III1) I piani proiettivi hanno dimensione 2. 55 Nicola Melone (III2) Se V(K) è uno spazio vettoriale con 3 ∞, lo spazio proiettivo è finitamente generato e risulta 1. In particolare se K è un campo n di Galois Fq (q=p , p primo) e V(Fq) è uno spazio vettoriale di dimensione finita, lo spazio proiettivo ha un numero finito di punti e di rette. Un teorema essenziale per lo studio delle proprietà di incidenza tra sottospazi di uno spazio proiettivo è la seguente formula di Grassmann. , Proposizione 3.4.6. Se finita, allora sono sottospazi di uno spazio proiettivo di dimensione . , , , e sia Dimostrazione. Poniamo ,…, una base di (se si prende ). Essendo ,…, indipendente sia in che in , in base alla Proposizione 3.4.2 esistono in ,…, e in tali che , sono basi in e , rispettivamente. L’insieme ,…, contiene 1 punti e si ha , onde , ovvero genera . Per ,…, completare l’asserto occorre provare che è indipendente e quindi una base di . Sia ,…, dipendente. Esiste allora un suo punto \ . Si può supporre , in quanto negli altri casi si ragiona allo stesso modo. Risulta allora \ \ e \ , essendo indipendente. In base alla (ii) di Proposizione 3.3.2 esistono due punti , tali che . Ne segue e quindi in base alla Proposizione 3.4.1 . assurdo. La formula di Grassmann ha come semplici corollari le due seguenti proposizioni. , Proposizione 3.4.7. Sia (i) ogni sottospazio (ii) considerati due sottospazi (iii) (iv) (ii1) (ii2) ha dimensione finita e risulta , ; 1 risulta: per ogni intero h , con dimensione h. uno spazio proiettivo di dimensione finita d. Si ha: (in particolare 1 1 , esiste un sottospazio proiettivo di . Dimostrazione. (i). Una base del sottospazio (eventualmente indipendente dello spazio. Dal Teorema di Steinitz segue allora 0 | | | | 1 1 = . è un insieme 1 e quindi (ii1). L’asserto segue dal teorema di Steinitz in quanto una base del sottospazio insieme indipendente del sottospazio . è un 56 Nicola Melone (ii2). L’implicazione è ovvia. Se è indipendente di ordine massimo in , una base e quindi è base anche di . del sottospazio (iii). È sufficiente considerare h+1 punti di una base di . (iv). Proviamo l’implicazione . Poiché ogni retta dello spazio ha intersezione non vuota con , fissato un punto risulta e quindi dalla formula di Grassmann segue 1. Proviamo l’implicazione . Considerata una retta ℓ , dalla formula di Grassmann segue dim ℓ 0 e quindi ℓ . Proposizione 3.4.8. Per ogni sottospazio t-dimensionale di uno spazio proiettivo di dimensione finita d, esiste un sottospazio (d-t-1)-dimensionale , detto supplementare di , tale che , . Dimostrazione. Posto e considerata una sua base ,…, , in base alla tale che sia una base dello Proposizione 3.3.8 esiste un insieme ,…, spazio. Il sottospazio … ha ovviamente dimensione d-t-1 ed inoltre , in base alla formula di Grassmann si ha allora 1 1, ovvero . In base alla Proposizione 3.3.2 l’operatore di congiunzione consente di costruire ogni sottospazio semplicemente congiungendo i punti di una sua base. Proviamo ora che l’operazione di intersezione tra iperpiani consente di costruire tutti i sottospazi. Proposizione 3.4.9. Sia (i) (ii) (iii) , uno spazio proiettivo di dimensione finita d. Allora: 1; dim 1; (iv) per ogni sottospazio (d-t)-dimensionale . dim 1; esistono t iperpiani ,…, tali che Dimostrazione. Le (i) e (ii) seguono ovviamente dalla formula di Grassmann. (iii). Il sottospazio contiene propriamente (essendo L’asserto segue allora dalla formula di Grassmann. ) e quindi . del sottospazio , siano t punti che (iv). Fissata una base ,…, ,…, completano in una base ,…, , ,…, dello spazio (cfr. Proposizione 3.4.4). Considerati gli iperpiani … … , 1, … , proviamo che procedendo per induzione su t. Per t=1, e l’asserto è vero. Supponiamo, quindi, t>1 e vero l’asserto per t-1, cioè per ogni sottospazio di dimensione d(t-1)=d-t+1. Il sottospazio ha dimensione d-t+1, in quanto , onde per ipotesi di induzione … . L’iperpiano … … non contiene e quindi non contiene . In base alla (iii) di questa proposizione, interseca in un sottospazio di dimensione d-t che coincide con in quanto per costruzione . Ne segue allora . 3.5 Spazio duale di uno spazio proiettivo Considerato uno spazio proiettivo , di dimensione finita d, si definisce stella di iperpiani di asse un sottospazio (d-t)-dimensionale iperpiani contenenti , si pone cioè: , e si denota con ( )*, l’insieme degli 57 Nicola Melone ( )* Ovviamente *= , | . * coincide con l’insieme di tutti gli iperpiani e ( )* = , per . Le stelle di iperpiani di asse un sottospazio di dimensione d-2 si dicono ogni iperpiano fasci. Le stelle di iperpiani dello spazio proiettivo , si possono interpretare come sottospazi di uno spazio proiettivo, come mostra la seguente proposizione. Proposizione 3.5.1. Denotato con * l’insieme degli iperpiani e con * l’insieme dei fasci di iperpiani di uno spazio proiettivo , , la coppia *= *, *) è uno spazio proiettivo (detto il duale di ). Dimostrazione. Assioma P1. Considerati due punti distinti , di *, è un sottospazio di dimensione d-2 di e quindi la stella * è un fascio di iperpiani di ed è ovviamente l’unico contenete , , ovvero la retta di * contenente i punti , *. è Assioma P2. Considerato un fascio di iperpiani ( )* di , l’asse è un sottospazio di dimensione d-2 e quindi, in base alla Proposizione 3.4.8, esiste una retta ℓ supplementare ad . Fissati tre punti distinti A,B,C su ℓ, i sottospazi , , sono ovviamente tre iperpiani distinti di appartenenti al fascio ( )*, ovvero tre punti distinti di * sulla retta ( )*. ℓ • C • B • A Assioma P3. È sufficiente considerare i fasci di iperpiani di centri due sottospazi (d-2)-dimensionali distinti , (ottenuti ad esempio congiungendo due (d-1)-ple differenti di una base dello spazio). Assioma P4. Consideriamo in * un triangolo di vertici gli iperpiani , , e lati i fasci ( )*, ( )*, ( = )* di . Essendo e , in base alla (iii) di Proposizione 3.4.9 si ha 3. Sia ( )* una retta di * (fascio di iperpiani di ) che interseca i lati ( )* e )* rispettivamente nei punti , . Essendo , (d-2)-sottospazi distinti contenenti , si * • • ha ovviamente 2 , inoltre e quindi 3. Ne segue dim 3. Dalla formula di Grassmann segue allora dim 1, onde è un iperpiano appartenente ad entrambi i fasci ( )* e ( )*, ovvero è un punto di * appartenente all’intersezione delle rette ( )* e ( )*. 58 Nicola Melone Proposizione 3.5.2. (i) Le stelle di iperpiani di sono sottospazi proiettivi di (ii) Denotato con * l’operatore di congiunzione nello spazio proiettivo sottospazio ( )* e per ogni punto di * si ha: ( )* * *. . *, per ogni Dimostrazione. (i). Sia ( )* una stella di iperpiani. Se oppure è un iperpiano allora ( )* è il vuoto oppure il punto { e quindi ( )* è un sottospazio . Supponiamo che ( )* contenga almeno due punti distinti. Considerati due suoi punti distinti , , per ogni punto della retta * si ha , ovvero )*. * e quindi )* è un sottospazio proiettivo di *. Ne segue (ii). In base alla (i) di Proposizione 3.3.2, si ha intanto che ( )* * coincide con l’unione delle rette , al variare del punto . Ne segue che, per ogni punto tale che appartiene alla retta e ( )* * , esiste un punto quindi , ovvero ( )* * *. Sia, inversamente, *. Se , ovviamente ( )* * . Supponiamo quindi . Esiste allora un punto \ ed il sottospazio è un iperpiano , in quanto . Ne segue che è un punto della contenente retta *, con ( )*, cioè * ( )* * . , Proposizione 3.5.3. Sia (i) , sono sottospazi di uno spazio proiettivo di dimensione finita d. Risulta: tali che . (ii) I sottospazi proiettivi di * sono tutte e sole le stelle di iperpiani di . (iii) (iv) (v) (vi) . . *. *… * ,…, (vii) * )* = d - dim 1. - 1. (iix) dim * = d. Dimostrazione. La proprietà (i) segue ovviamente dalla definizione di stella di iperpiani. (ii).In base alla (ii) di Proposizione 3.5.2 è sufficiente provare che ogni sottospazio di è una stella di iperpiani di . Sia un sottospazio di *. Se oppure , allora * e ( )*, rispettivamente, e quindi è una stella di iperpiani. Supponiamo quindi che contenga almeno due punti distinti , . La retta ( )* è contenuta in (essendo sottospazio), onde è non vuoto l’insieme delle stelle contenute in . Denotato con un sottospazio di di dimensione minima tale che ( )* , per ogni deve risultare , ovvero ( )*. In caso contrario, considerato un punto di non contenente , la stella *= ( )* * sarebbe contenuta in , un assurdo essendo e quindi . (iii). Dalla (i) segue: , (iv). Posto ovvero implica che , si ha e quindi e quindi (v). Segue ovviamente da (iv). , . e quindi dalla (i) segue , , . Inversamente, ancora la (i) . 59 Nicola Melone (vi). Dalla Proposizione 3.3.5 segue ,…, * … Procedendo per induzione su t si trae allora facilmente che , , , . 1. )* = t, esistono 1 , … , tali che ( )*= *… * . In base alla (v) di questa proposizione si ha allora * e quindi 1, ovvero l’asserto. La (vi) segue infine banalmente dalla (v) di questa proposizione e dall’uguaglianza * = *. (vii). Posto Dalle considerazioni precedenti segue in particolare che il duale di un piano proiettivo è un piano proiettivo, ovvero le rette e i fasci di rette di un piano proiettivo , si * retta • punto retta fascio possono considerare come punti e rette, rispettivamente, di un nuovo piano proiettivo. Questo risultato, contenuto nel Trattato sulle proprietà proiettive delle figure di Poncelet del 1822 è, come abbiamo già osservato, il primo contributo alla crisi delle concezioni newtoniana della Geometria, come parte della Fisica, ed a quella kantiana, come scienza delle intuizioni spaziali pure. I punti, le rette, i piani non sono più descrizioni matematiche di oggetti del mondo reale e, con l’opera di Hilbert, la Geometria si libera definitivamente del pregiudizio di essere una scienza sperimentale. Si definisce proprietà grafica in uno spazio proiettivo , di dimensione finita d, ogni proposizione G il cui enunciato si esprima mediante le operazioni di intersezione, congiunzione e inclusione tra i sottospazi di una fissata famiglia. La duale di una proprietà grafica G è la proprietà grafica G* ottenuta da G sostituendo all’operatore di intersezione (congiunzione) quello di congiunzione (intersezione), alla relazione ( ) la relazione ( ) e ad ogni sottospazio t-dimensionale un sottospazio (d-t- 1)-dimensionale. G t-sottospazio G* (d-t-1)-sottospazio 60 Nicola Melone Ovviamente dalla definizione segue che (G*)*=G. Una proprietà grafica G si dice autoduale se risulta G=G*. ESERCIZIO I . Provare che in un piano proiettivo (cfr. esercizio (I5) del n. 3.3) risulta: (PP1)*=(PP2) (PP2)*=(PP1) (PP3)*= “esistono 4 rette a tre a tre non formanti fascio”. Due esempi interessanti di proprietà grafiche sono espressi dalle seguenti proposizioni. Proposizione 3.5.4. Per ogni famiglia ℓ , ℓ, ℓ |ℓ di rette di si ha: ) è un punto oppure ℓ |ℓ G) è un piano. Dimostrazione. Se le rette della famiglia passano tutte per uno stesso punto l’asserto è ovvio. Supponiamo che esistano tre rette ℓ , ℓ , ℓ non ℓ ℓ passanti per uno stesso punto e formanti, quindi,un ℓ triangolo e sia il piano generato dalle tre rette. Una ℓ ℓ ℓ qualunque retta di G, diversa da ℓ , ℓ , ℓ , dovendo intersecare le tre rette, ha almeno due punti distinti in ℓ ℓ comune con e quindi è contenuta in . La Proposizione 3.5.4 si può enunciare al modo seguente: G: “una famiglia di rette a due a due aventi un punto in comune è costituita da rette per uno stesso punto oppure da rette in uno stesso piano” e quindi la sua duale è la seguente: G*: “una famiglia di sottospazi (d-2)-dimensionali a due a due congiunti da un iperpiano è costituita da sottospazi contenuti in uno spesso iperpiano oppure da sottospazi contenenti uno stesso sottospazio (d-3)-dimensionale”. Proposizione 3.5.5. Considerate due rette disgiunte ℓ , di uno spazio proiettivo di dimensione 3, ogni punto ℓ appartiene ad al più una retta avente intersezione non vuota con ℓ e . Dimostrazione. Dalla formula di Grassmann segue che il sottospazio ℓ ha dimensione 3. Se , ovviamente non esiste una retta per P avente intersezione non vuota con ℓ e . Sia . Poiché ℓ ,ℓ , sono due piani contenenti il punto P e contenuti in . Dalla formula di ℓ Grassmann segue allora che ℓ è ℓ una retta ℓ che contiene il punto P e ha • P ℓ intersezione non vuota con ℓ e , essendo contenuta nei piani ℓ e . Un’altra retta ℓ per P avente intersezione non vuota con entrambe le rette ℓ, è ovviamente contenuta nei piani ℓ , e quindi coincide con ℓ . ESERCIZI II (II1) La duale della Proposizione 3.5.5 è: “considerati due sottospazi (d-2)-dimensionali , congiunti da , ogni iperpiano non contenente contiene al più un sottospazio (d-2)-dimensionale tale che , siano iperpiani”. 61 Nicola Melone (II2) Provare che la Proposizione 3.5.4 si generalizza ad una qualunque famiglia di sottospazi di stessa dimensione, ovvero sussiste la seguente proprietà: una famiglia di sottospazi t-dimensionali che a due a due si intersecano in un sottospazio (t-1)-dimensionale è costituita da sottospazi contenenti uno stesso sottospazio di dimensione t-1 oppure da sottospazi contenuti in uno stesso sottospazio di dimensione t+1. (II3) Enunciare la duale della proprietà dell’esercizio (II2). Sussiste il seguente: Principio di dualità: Una proprietà grafica G è vera in ogni spazio proiettivo ddimensionale se, e soltanto se, è vera la proprietà G*. Dimostrazione. Osserviamo intanto che, essendo (G*)*=G, è sufficiente provare l’implicazione: G vera ⇒ G* vera. Sia G una proprietà grafica su una famiglia di sottospazi vera in ogni spazio proiettivo . Allora la proprietà G è vera anche in * relativamente ad una famiglia di sottospazi , con dim = . Poiché i di * sono stelle di iperpiani di tali che 1 sottospazi 1 e gli operatori , si scambiano nel passare dalle stelle agli assi, per la famiglia degli assi è vera la proprietà ottenuta da G scambiando gli operatori , e sostituendo a ciascun il sottospazio , di dimensione 1, e tale proprietà per definizione coincide con G*. 3.6 Spazi affini dal punto di vista proiettivo Esistono varie definizioni assiomatiche di spazio affine, tutte basate sulla nozione di spazio vettoriale. In questo numero daremo una definizione sintetica, indipendente dall’algebra lineare, di spazio affine deducendola da quella di spazio proiettivo. , Una struttura di incidenza esiste uno spazio proiettivo • \ ; • ℓ\ |ℓ L’insieme \ , si dice spazio affine (di dimensione finita d) se (di dimensione d) ed un suo iperpiano . dei punti si dice sostegno dello spazio affine. restrizione affine dello spazio proiettivo . I punti di tale che: , , si dice anche di iperpiano all’infinito (o improprio) si dicono punti all’infinito (o impropri o direzioni) di . I punti di si dicono anche punti affini (o propri) per distinguerli dai punti all’infinito. I punti dello spazio affine sono pertanto i punti di sono le rette di all’infinito. non appartenenti all’iperpiano all’infinito e le rette di non contenute nell’iperpiano all’infinito, ciascuna privata del suo punto Nicola Melone 62 Osserviamo esplicitamente che la restrizione affine di uno spazio proiettivo irriducibile può essere una struttura di incidenza in cui ogni retta contiene due soli punti. Si verifica infatti facilmente che la restrizione affine del piano di Fano è il tetraedro, un piano affine (riducibile) con 4 punti (i vertici), 6 rette (gli spigoli) ed in cui ogni retta ha due soli punti (vedi figura). (0,0,1) (0,0,1) Piano di Fano (0,1,1) (1,0,1) • (1,1,1) (1,0,0) (1,1,0) • (1,1,1) (0,1,0) (0,1,0) (1,0,0) Nel seguito uno spazio affine , restrizione affine di uno spazio proiettivo all’infinito di iperpiano \ . , si denoterà spesso semplicemente con il simbolo Uno spazio affine di dimensione 2 si dice piano affine. Il suo iperpiano all’infinito è ovviamente una retta, che si chiama retta all’infinito (o impropria) del piano. Questa definizione di spazio affine, sebbene meno elegante dell’approccio algebrico, presenta il notevole vantaggio di poter derivare facilmente la Geometria Affine dalla Geometria Proiettiva (nello spirito di Poncelet, von Staudt, Klein,..). Si definisce sottospazio affine (o semplicemente sottospazio se non sorgono equivoci , sull’ambiente geometrico) dello spazio affine sottospazio proiettivo di la restrizione affine di un . Considerato, precisamente, un sottospazio t-dimensionale non contenuto nell’iperpiano improprio , il sottoinsieme sottospazio affine di dimensione t, ottenuto per restrizione affine di proiettivo direzioni di Essendo si chiama giacitura di \ di si dice . Il sottospazio ed i suoi punti si dicono punti all’infinito o . Porremo nel seguito . , il sottoinsieme vuoto non si considera come sottospazio affine. I sottospazi di dimensione 0 sono i punti affini, quelli di dimensione 1 sono le restrizioni delle rette, gli iperpiani affini sono le restrizioni affini degli iperpiani di l’unico sottospazio affine di dimensione d è il sostegno Due sottospazi affini \ , \ diversi da . si dicono paralleli , in simboli se uno dei due contiene tutte le direzioni dell’altro, cioè e || , Nicola Melone 63 oppure . Sussistono le seguenti proprietà. Proposizione 3.6.1 Sia , la restrizione affine di uno spazio proiettivo ddimensionale , di iperpiano all’infinito (o improprio) . Si ha: (i) due sottospazi affini di stessa dimensione sono paralleli se, e soltanto se, hanno la stessa giacitura; \ ed un punto affine P (ii) considerato un sottospazio affine t-dimensionale non appartenente ad , esiste un unico sottospazio affine t-dimensionale per P parallelo ad (generalizzazione dell’assioma di Playfair); (iii) il parallelismo è una relazione di equivalenza tra sottospazi affini di stessa dimensione. Dimostrazione. Le proprietà (i) e (iii) sono ovvie in base alla definizione di parallelismo. Proviamo la (ii). Il sottospazio proiettivo ha dimensione t-1, essendo . Poiché , in base alla (ii) di Proposizione 3.4.9 ha , cioè || ed è ovviamente dimensione t, inoltre per costruzione l’unico sottospazio proiettivo t-dimensionale per P parallelo ad . I piani affini hanno una semplice descrizione sintetica. , Proposizione 3.6.2. Una struttura di incidenza soltanto se, sono verificati i seguenti assiomi: è un piano affine se, e (PA1) due punti distinti appartengono ad un’unica retta ed ogni retta ha almeno due punti; (PA2) , ! (la parallela); (PA3) esistono tre punti non appartenenti alla stessa retta (non allineati). Dimostrazione. Se è un piano affine, le proprietà (PA1), (PA2), (PA3) seguono facilmente dalle proprietà di incidenza dei piani proiettivi. Supponiamo, inversamente, che , verifichi le condizioni (PA1), (PA2), (PA3). La relazione di parallelismo || definita dalla (PA2) è ovviamente una relazione di equivalenza in e quindi si può considerare l’insieme quoziente /|| , cioè l’insieme i cui elementi sono le classi di parallelismo delle rette . Posto | , proviamo che , è un piano proiettivo. Assioma (PP1). Siano P,Q due punti di . Se , , è l’unica retta per essi. Se , , denotata con r l’unica retta di che li contiene, è l’unica retta di per essi. Supponiamo, infine, che uno dei due punti sia all’infinito, per esempio . Se , allora è l’unica retta di per P,Q, se , denotata con r’ la retta per P parallela ad r (esistente per l’assioma (PA2)), la retta è l’unica retta di contenente P e Q. Assioma (PP2). Siano ℓ, due rette distinte di . Se una delle due è la retta all’infinito, ad esempio , allora ℓ ℓ . Se le rette affini ℓ\ ℓ , \ non sono parallele, la loro intersezione è non vuota per l’assioma (PA2) e il loro punto affine comune è ovviamente comune anche ad ℓ, . Se, infine, le rette affini ℓ\ ℓ , \ sono parallele, il punto all’infinito ℓ è ovviamente comune ad ℓ, . Assioma (PP3). In base alla (PA3), esistono tre punti A,B,C non allineati e quindi iI punto A non appartiene alla retta r passante per B,C. Dall’assioma (PA2), esiste una sola retta Nicola Melone 64 per A parallela ad . Fissato un punto sono a tre a tre non allineati. diverso da , ovviamente i punti A,B,C,D Per come è stato definito, si ha ovviamente che restrizione affine di di retta all’infinito coincide con , . Osserviamo esplicitamente che dall’assioma (PA2) segue ovviamente che: • Due rette non parallele di un piano affine si intersecano in un punto. , Per i sottospazi di uno spazio affine grafici , si possono introdurre gli operatori di intersezione e di congiunzione a partire dagli analoghi operatori proiettivi. La seguente proposizione chiarisce le analogie e le differenze. , Proposizione 3.6.3. In uno spazio affine \ (i) L’intersezione di una famiglia oppure il sottospazio affine sussistono le seguenti proprietà: di sottospazi affini è l’insieme vuoto . (ii) L’intersezione di tutti e soli i sottospazi affini contenenti un sottoinsieme non vuoto S di è un sottospazio affine che si chiama sottospazio generato da e coincide con la restrizione affine del sottospazio proiettivo . (iii) Il congiungente (affine) della famiglia è il sottospazio affine \ (iv) Formula di Grassmann affine: dati due sottospazi affini dim . , \ si ha: dim Dimostrazione. (i). Risulta ovviamente: \ \ . (ii). L’asserto segue ovviamente dalla (i) di questa proposizione, osservando che i sottospazi affini contenenti sono le restrizioni affini di tutti e soli i sottospazi proiettivi contenenti . (iii). L’asserto è ovvia conseguenza della (ii) precedente. (iv). In base alla (iii) di questa proposizione ed alla formula di Grassmann proiettiva,risulta infatti dim dim dim . , Sia lo spazio affine, restrizione affine di uno spazio proiettivo iperpiano all’infinito , di . Le nozioni di dipendenza e indipendenza di insiemi di punti, di insiemi di generatori e di basi si deducono in modo ovvio da quelle proiettive. In particolare risulta: • • • \ . , ; ; Nicola Melone 65 ESERCIZI I (I1) Si determinino tutte le possibili configurazioni: • tra una retta e un piano in uno spazio affine di dimensione 3; • tra una retta e un piano in uno spazio affine di dimensione > 3; • tra due piani , in uno spazio affine di dimensione 3; • tra due piani , in uno spazio affine di dimensione 4. (I2) Si provi che in uno spazio affine irriducibile , risulta: , , . Dimostrazione. L’implicazione è ovvia per definizione di sottospazio affine. Dimostriamo l’implicazione provando che il sottoinsieme ℓ | ℓ è un sottospazio proiettivo. Verifichiamo intanto che, considerati un punto ed una retta ℓ non passante per A, la retta ℓ parallela ad ℓ per A è contenuta in S. Fissata infatti una retta per A incidente ℓ in un punto B ed un punto C su diverso da A e da B (esistente perché lo spazio è irriducibile), si ha e per ogni punto ℓ la retta è contenuta nel piano ℓ e non è parallela ad ℓ . Ne segue che incide ℓ in un punto D e quindi è contenuta in S per ipotesi. Siano ora A,B due punti distinti di e proviamo che e quindi per definizione . Se A,B appartengono ad S, per ipotesi . Siano e ℓ , con ℓ . Denotata con ℓ la retta parallela ad ℓ per A, per quanto provato risulta ℓ e quindi ℓ . Supponiamo infine che ℓ , , con ℓ , . Denotata con la parallela ad per un fissato punto di ℓ , risulta e il piano affine ℓ è contenuto in S, onde la contiene i punti ℓ , ed è contenuta in per retta proiettiva ℓ definizione di . (I3) Le proprietà di incidenza di uno spazio affine tridimensionale. Si provi che in ogni spazio affine tridimensionale , sussistono le seguenti proprietà di incidenza. (i) I sottospazi affini sono i punti, le rette, i piani e lo spazio. (ii) Due punti distinti appartengono ad un'unica retta (la retta che li congiunge). (iii) Due piani distinti si intersecano in una retta oppure sono paralleli. (iv) Due rette sono congiunte da un piano (complanari) se, e soltanto se, si intersecano in un punto oppure sono parallele. (v) Una retta e un punto non appartenente alla retta sono congiunti da un piano. (vi) Un piano e una retta non contenuta nel piano si intersecano in un punto oppure sono paralleli. (vii) Una retta che ha almeno due punti distinti in comune con un piano è contenuta nel piano. 3.7 Spazi proiettivi ed affini con un numero finito di punti Esempi di spazi proiettivi con un numero finito di punti furono costruiti per la prima volta da Fano nel 1892 e, successivamente, da Hessenberg nel 1902. I matematici che hanno dato, però, i primi importanti contributi in quest’ambito e l’impulso allo studio delle geometrie con un numero finito di punti sono stati Veblen e W.H. Bussey nel 1906. Nicola Melone 66 Nell’esercizio del paragrafo 4.2 illustreremo gli spazi proiettivi di Galois, ovvero spazi proiettivi numerici finiti un campo di Galois associati a spazi vettoriali V( ) di dimensione finita su . In questo numero studieremo le proprietà aritmetiche degli spazi proiettivi e affini finiti, costituiti cioè da un numero finito di punti. A tale scopo premettiamo alcune proprietà dei coefficienti gaussiani, una generalizzazione dei coefficienti binomiali. Si definisce coefficiente gaussiano relativo alla terna ordinata interi positivi e , , , con numero reale positivo diverso da 1, il numero reale definito ponendo: 1 1 1 1 1 1 1 1 . Risulta ovviamente dalla definizione; Si pone inoltre 1 , 0 1 1. 1. Le proprietà aritmetiche degli spazi proiettivi finiti sono riassunte nella seguente proposizione. Proposizione 3.7.2. Sussistono le seguenti proprietà. 0. (i) (ii) (iii) (iv) lim 1 1 1 , 1 . , Dimostrazione. (i). Ovvia in quanto i k numeri ,…, sono positivi, avendo numeratore e denominatore di ogni frazione uguale segno. (ii). Risulta 1 1 1 1 1 1 1 1 · 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Nicola Melone 67 1 1 1 1 1 . 1 (iii). L’asserto è vero per k=1, in quanto si ha in tal caso 1 0 1 1 1 . 1 Supponiamo quindi k>1. Risulta allora 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 · 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 · . (iv). Si ha ovviamente: lim 1 · lim 1 lim · 1 1 1 1 2 2 · Proposizione 3.7.1. (i) Uno spazio proiettivo ha dimensione finita. (ii) Le rette hanno lo stesso numero 1 lim 1 1 1 · lim 1 . 1 , 1 di punti. L’intero con un numero finito di punti si chiama ordine di . (iii) Per ogni sottospazio h-dimensionale si ha | | ∑ . In particolare | | ∑ . (iv) Lo spazio duale , ha lo stesso ordine . Ne segue | | | |, cioè il numero dei punti è uguale a quello degli iperpiani e, per ogni stella di iperpiani di | ∑ . In particolare un piano asse un sottospazio h-dimensionale, si ha | proiettivo di ordine q ha 1 punti e 1 rette. (v) Denotato con l’insieme dei sottospazi h-dimensionali di , risulta | | 1 . 1 Dimostrazione. (i). Ovvia in quanto l’ordine degli insiemi indipendenti massimali è finito. (ii). Segue dall’esercizio (I1) del paragrafo 3.3. (iii). Per h=1 si ha e l’asserto segue dalla (ii) di questa proposizione. Procediamo per induzione su h. Sia dunque h>1 e vero l’asserto per h-1. Considerato un qualunque sottospazio h-dimensionale , siano un suo sottospazio (h-1)-dimensionale e P un punto di \ . Risulta allora | (cfr. (i) di Proposizione 3.3.2) e ∑ per l’ipotesi di induzione si ha | | ∑ . Ne segue | | | \ | 1 | |· 1 1 1 1. (iv). Osserviamo intanto che, essendo finito l’insieme dei punti, ovviamente è finito il numero dei sottospazi e quindi degli iperpiani. Sia ℓ una retta di . Per definizione . Fissata una esiste allora un sottospazio (d-2)-dimensionale di tale che ℓ Nicola Melone 68 retta ℓ di supplementare ad (cfr. Proposizione 3.4.8), per ogni punto ℓ il sottospazio è un iperpiano contenente , ovvero un punto di ℓ . In base alla formula di Grassmann l’applicazione : ℓ ℓ è biettiva e quindi |ℓ | |ℓ| 1. La seconda parte dell’asserto segue ovviamente dalla (iii). (v). Per h=0 si ha e l’asserto segue dalla (iii) di questa proposizione e dalla definizione di coefficiente gaussiano. Procediamo per induzione su h. Sia dunque h>0 e 1 | . Contiamo in due modi gli elementi vero l’asserto per h-1, cioè | dell’insieme , | , , . Fissato un sottospazio (h-1)dimensionale ed un sottospazio (d-h)-dimensionale supplementare di , per ogni punto il sottospazio ha dimensione h e per la formula di Grassmann la corrispondenza tra i punti P di e i sottospazi h-dimensionali contenenti è biettiva. Ne segue che il numero degli elementi , con la prima componente fissata è uguale a | | ∑ , onde | | | | 1 . Fissato invece un sottospazio hdimensionale , i sottospazi (h-1)-dimensionali contenuti in sono tutti e soli gli iperpiani di . Dalla (iv) di questa proposizione si trae allora che il numero degli elementi e quindi | | , con la seconda componente fissata è uguale a | | ∑ | | | | 1 . Dal doppio conteggio segue | | 1 | | 1 , e di qui si trae | | 1 1 | | 1 1 1 1 1 1 · 1 1 Considerato uno spazio proiettivo finito di ordine q, Uno spazio affine finito \ . , = è la restrizione affine di uno spazio proiettivo con un numero finito di punti. L’ordine , di si dice ordine dello spazio affine . Le proprietà aritmetiche degli spazi affini finiti si deducono facilmente da quelle degli spazi proiettivi finiti. Proposizione 3.7.2. Sia ordine q. Risulta allora: , = \ uno spazio affine finito di dimensione d e (i) Le rette hanno lo stesso numero q di punti. (ii) Per ogni sottospazio h-dimensionale (iii) Denotato con 1 1 1 si ha | . In particolare | | | l’insieme dei sottospazi affini h-dimensionali di . In particolare un piano affine finito di ordine q ha , risulta | punti e . | rette. Dimostrazione. (i). Ovvia in quanto le rette dello spazio affine sono quelle dello spazio proiettivo non contenute nell’iperpiano all’infinito ciascuna privata del suo punto all’infinito. (ii). Per definizione si ha \ \ e quindi, essendo sottospazio proiettivo di dimensione h-1, dalla (iii) della Proposizione 3.7.1 segue | | | | | ∑ ∑ . (iii). L’asserto segue dalla ovvia uguaglianza | | | | | ∞ |. un | Nicola Melone 69 CAPITOLO 4 SPAZI PROIETTIVI SU CORPI E CAMPI 4.1 Elementi di algebra lineare su corpi , : Sia : ,·: un corpo. Considerata l’operazione binaria interna · , definita ponendo , : algebrica , : , , si verifica facilmente che la struttura è un corpo, che si chiama opposto di K e si denota con il simbolo K°. , : Una struttura algebrica , ·: si definisce spazio vettoriale sinistro sul corpo K se sono verificati i seguenti assiomi: (V1) , (V2) · è un gruppo abeliano , · · (V3) (V4) 1 · · , · · , , · (V5s) , , , , , , , · · , , , , : La struttura algebrica , ·: si dice invece spazio vettoriale destro sul corpo K se verifica gli assiomi (V1), (V2), (V3), (V4) ed il seguente: · (V5d) · · , , , Uno spazio vettoriale su un corpo si dice bilatero se è contemporaneamente sinistro e destro. Ovviamente se K è un campo le nozioni di spazio vettoriale sinistro, destro e bilatero coincidono. Si verifica, inoltre, facilmente che uno spazio vettoriale sinistro (rispettivamente destro) su un corpo K è destro (rispettivamente sinistro) sul corpo opposto K°. Per gli spazi vettoriali destri su un corpo si preferisce utilizzare la notazione destra per l’operazione di moltiplicazione esterna : . Con questa convenzione l’assioma (V5d) si scrive al modo seguente: (V5d) · · · , , , . Gli elementi di V si dicono vettori e quelli di K scalari. L’elemento neutro del gruppo , si dice vettore nullo e si denota con 0. Si verifica facilmente che: · Da tale proprietà segue che: 0 . Nicola Melone 70 Uno spazio vettoriale su un corpo è bilatero se, e soltanto se, K è un campo. Dimostrazione. È sufficiente osservare infatti che, considerato un vettore non nullo due qualsiasi scalari , , si ha · · · , onde · quindi . e e Agli spazi vettoriali su corpi si estendono in modo naturale tutte le nozioni ed i risultati della teoria degli spazi vettoriali su campi: dipendenza e indipendenza lineare, basi (e riferimenti) e dimensione, sottospazi vettoriali, operazioni tra esottospazi. formula di Grassmann, applicazioni lineari e isomorfismi. · Nel seguito, per semplificare le notazioni, porremo (rispettivamente · ). ESERCIZI I. (I1). Provare che l’insieme delle n-ple ordinate di scalari si struttura a spazio vettoriale sinistro (rispettivamente destro ) definendo le operazioni al modo seguente: ,…, · (I2). ,…, ,…, ,…, ,…, ,…, ,…, . . Dimostrazione. L’implicazione è ovvia, proviamo l’implicazione . Sia : isomorfismo. Fissato un vettore ,…, 0, … ,0 risulta allora ogni coppia , di scalari si ha allora , onde e quindi ab = ba. Siano , isomorfismo : due spazi vettoriali sinistri sui corpi K e K’. Considerato un porremo nel seguito per comodità , . si dice σ-semilineare se verifica le seguenti condizioni: Un’applicazione : , (SL1) (SL2) un . Per , , , In modo ovvio si modifica la definizione se gli spazi vettoriali , sono destri oppure uno dei due è sinistro e l’altro destro. Un’applicazione σ-semilineare biettiva si dice isomorfismo σ-semilineare. Un isomorfismo semilineare di uno spazio vettoriale in sé si dice anche automorfismo semilineare. Se la linearità. ovviamente la nozione di -semilinearità coincide con Nicola Melone 71 Ovviamente ogni isomorfismo semilineare trasforma insiemi indipendenti (dipendenti) in insiemi indipendenti (dipendenti) e insiemi di generatori (basi) in insiemi di generatori (basi). Alle applicazioni semilineari si estendono, con ovvie modifiche, le nozioni e i risultati delle applicazioni lineari. Considerata un’applicazione σ-semilineare : vettoriali , tra gli spazi risulta in particolare: - f(0) = 0 - L’immagine di un sottospazio vettoriale di V è un sottospazio vettoriale di V’; - L’immagine inversa di un sottospazio vettoriale di V’ è un sottospazio vettoriale di V; | , sono sottospazi vettoriali; - (Teorema del rango) se dimV < ∞, si ha . spazi Proposizione 4.1.1. (Teorema di esistenza e unicità). Siano , vettoriali su corpi e supponiamo che V(K) abbia dimensione finita . Fissato un isomorfismo : , un riferimento ,…, di V ed una n-pla ordinata ,…, di vettori di V’, esiste un’unica applicazione σ-semilineare : tale che , per ogni 1, … , . Dimostrazione. Osserviamo preliminarmente che possiamo supporre V e V’ spazi vettoriali sinistri, in quanto la dimostrazione si modifica in modo ovvio negli altri casi. Posto per ogni vettore è univocamente definito il vettore di V’ e si verifica facilmente che l’applicazione : è lineare e . Per quanto concerne l’unicità, è sufficiente osservare che un’altra applicazione σ-semilineare : verificante la tesi coincide con sui vettori di un riferimento e quindi coincide con . spazi vettoriali sui corpi K,K’,K’’. Proposizione 4.1.2. (i) Siano , , Se : è un’applicazione semilineare rispetto all’isomorfismo : e : un’applicazione semilineare rispetto all’isomorfismo : , allora : è -semilineare. (ii) Se : è isomorfismo σ-semilineare, : è -semilineare. (iii) L’insieme degli automorfismi semilineari di uno spazio vettoriale V(K) su un corpo K è un gruppo rispetto alla composizione tra applicazioni e il sottoinsieme GL(V) degli automorfismi lineari è un sottogruppo normale. Dimostrazione. (i) La condizione (SL1) è ovvia. Per quanto concerne la (SL2) si ha . (ii) verifica ovviamente la condizione (SL1). Per provare la (SL2), considerato un elemento e posto si ha , essendo e . (iii) è un gruppo rispetto alla composizione tra applicazioni in base alle (i) e (ii) di questa proposizione ed essendo l’applicazione identica ovviamente elemento neutro rispetto alla composizione. Per completare l’asserto occorre provare che Nicola Melone , con : 72 , ovvero che , l’automorfismo del corpo relativo ad , risulta , . Denotato . Sia V(K) uno spazio vettoriale sinistro (destro) su un corpo K. Si verifica facilmente che : l’insieme | si struttura a spazio vettoriale destro (sinistro) su K mediante le operazioni : , : : (rispettivamente ). Lo spazio vettoriale V*(K) si dice duale di V(K) ed i suoi elementi si dicono forme lineari o covettori. Supponiamo che V(K) sia uno spazio vettoriale sinistro di dimensione finita ,…, un suo fissato riferimento. Ogni vettore e sia ha un’unica espressione del e quindi è ben definita l’applicazione tipo : ∑ . Proviamo che: Proposizione 4.1.3. (i) ,…, è un riferimento dello spazio vettoriale destro , che si chiama duale di R. Ne segue in particolare che: dimV*=dimV=n. (ii) Le applicazioni : ,…, : ,…, sono isomorfismi tra spazi vettoriali. (iii) Per ogni sottospazio vettoriale (n-t)-dimensionale U di V(K), il sottoinsieme | 0 è un sottospazio vettoriale t-dimensionale di V*(K), che si dice duale di U. Risulta inoltre . (iv) Ogni sottospazio vettoriale (n-1)-dimensionale U di V(K) è nucleo di una forma lineare : e quindi nel riferimento R si rappresenta mediante l’equazione lineare omogenea non identica 0 , ove si è posto ,…, . (v) Ogni sottospazio vettoriale h-dimensionale U di V(K) si rappresenta nel riferimento R mediante un sistema di n-h equazioni lineari omogenee del tipo Dimostrazione. (i) Proviamo intanto che , , due scalari a,b e posto : 0 0 . è lineare. Considerati infatti due vettori , , si ha Nicola Melone 73 e quindi, in base alla definizione di risulta . Dimostriamo ora che è insieme di generatori linearmente indipendente. Sia e poniamo . Per ogni vettore , posto , dalla linearità di f e dalla definizione di segue , ovvero e quindi genera V*. Posto infine , risulta in particolare 0 per ogni j, onde è anche linearmente indipendente. (ii). L’asserto segue facilmente dalla definizione di componenti di un vettore in un riferimento. (iii). Ovviamente è un sottospazio vettoriale di . Sia ,…, un riferimento di U, ,…, , …, un suo completamento in un riferimento di V ed ,…, il riferimento duale. Per ogni vettore si ha e quindi,in base alla definizione di , risulta 0 1, … , , ovvero ,…, appartengono ad e sono linearmente indipendenti. Considerato infine un qualsiasi elemento , dalla (i) di questa proposizione segue … … , essendo 0. I covettori ,…, sono anche un insieme di generatori e quindi una base di . Considerata una base ,…, di , ovviamente risulta . Considerato, inversamente, un vettore e ∑ ∑ ∑ posto , risulta , ovvero e quindi . Per completare l’asserto è sufficiente provare che . Per t=1 l’asserto è vero in quanto Ker e quindi Ker , essendo 1. Procediamo per induzione su t. Sia t>1 e vero l’asserto per t-1. Per ipotesi di induzione il sottospazio di V ha dimensione n-t+1, inoltre e 1. Essendo ,…, , si ha , onde per la formula di Grassmann ha dimensione n-t e quindi coincide con U, in quanto ovviamente . (iv). Dalla (iii) di questa proposizione fissata una base posto ,…, , risulta , cioè . di Ker onde, , si trae (v). In base alla (iii) di questa proposizione, fissata una base e quindi, posto , si ha ,…, ,…, di , si ha 0 . 0 Osserviamo esplicitamente che se V(K) è spazio vettoriale destro di dimensione n, apportando le ovvie modifiche nella Proposizione 4.1.3 si ottiene la seguente proposizione. Proposizione 4.1.4. (i) ,…, è un riferimento dello spazio vettoriale sinistro , che si chiama duale di R. Ne segue in particolare che: dimV*=dimV=n. (ii) Le applicazioni Nicola Melone 74 : ,…, : ,…, sono isomorfismi tra spazi vettoriali. (iii) Per ogni sottospazio vettoriale (n-t)-dimensionale U di V(K), il sottoinsieme | 0 è un sottospazio vettoriale t-dimensionale di V*(K), che si dice duale di . U. Risulta inoltre (iv) Ogni sottospazio vettoriale (n-1)-dimensionale U di V(K) è nucleo di una forma lineare : e quindi nel riferimento R si rappresenta mediante l’equazione lineare omogenea . non identica 0 , ove si è posto ,…, (v) Ogni sottospazio vettoriale h-dimensionale U di V(K) si rappresenta nel riferimento R mediante un sistema di n-h equazioni lineari omogenee del tipo Sia : 0 0 . , un’applicazione lineare tra gli spazi vettoriali sinistri (destri) di dimensioni finite , : , rispettivamente. Per ogni covettore : . l’applicazione è ovviamente lineare e, quindi, si può definire l’applicazione : . Proposizione 4.1.5. (i) L’applicazione : è lineare e si chiama duale di f. . (ii) (iii) dim dim Dimostrazione. (i) . Risulta . 0 (ii) In base alla definizione di duale di un sottospazio si ha 0 , . (iii) Dal teorema del rango e dalla Proposizione 4.1.3 segue allora dim dim dim dim . Sia : ,…, un’applicazione , ,…, definisce matrice associata ad - la matrice di tipo -semilineare tra gli spazi vettoriali , due riferimenti di : avente per righe le componenti di e , rispettivamente. Si nei riferimenti R,R’ , in R’, se V’ è spazio vettoriale sinistro, Nicola Melone - 75 la matrice di tipo : avente per colonne le componenti di in R’, se V’ è spazio vettoriale destro. Tale matrice consente di rappresentare analiticamente : qualunque vettore ,…, ,…, , denotate con le componenti di ,…, . Considerato infatti un le componenti di in R e con in R’, risulta facilmente: ,…, , , è è . Tali equazioni sono indipendenti dall’essere V spazio vettoriale sinistro o destro e si nei riferimenti , dicono equazioni di Supponiamo ora : . lineare, V e V’ spazi vettoriali sinistri (in modo analogo si procede negli altri casi) e sia : l’applicazione lineare duale di . Sussiste la seguente proposizione. Proposizione 4.1.6. (i) La matrice associata ad coincide con la matrice di nei riferimenti , . (ii) ,…, dim dim ,…, : nei riferimenti , . ,…, il sottospazio vettoriale generato in dalle righe di A e (avendo indicato con con ,…, il sottospazio vettoriale generato in dalle colonne di A). Dimostrazione. (i) Lo spazio vettoriale V* è destro e quindi la matrice associata , all’applicazione lineare nei riferimenti duali ,…, ,…, di , , rispettivamente, ha per colonne le componenti in dei covettori . La colonna j-sima di tale matrice è allora ,…, ,…, . (ii) L’uguaglianza segue facilmente dalla (iii) di Proposizione 4.1.5, dalla definizione delle matrici associate ad , e dall’equivalenza tra indipendenza di insiemi di vettori e insiemi delle loro componenti in un riferimento fissato. Osserviamo esplicitamente che le nozioni di rango e determinante per matrici ad elementi in un corpo non si generalizzano in modo del tutto ovvio. La nozione di determinante è stata generalizzata da Dieudonné (cfr. ad esempio, [EA]). Per quanto concerne la nozione di rango osserviamo preliminarmente che, considerata una matrice di tipo ad elementi in un corpo K, le sue righe possono Nicola Melone 76 essere considerate come vettori di oppure di oppure di e le sue colonne come vettori di ed è facile verificare che, se K non è commutativo, in generale risulta: ,…, ,…, ,…, e Fissati ad esempio due elementi , , tali che ,…, . , si verifica facilmente che per la matrice 1 0 0 0 0 , 1 risulta: , , 3 , , , , , 2 , , . Per estendere al caso non commutativo l’uguaglianza tra dimensione del sottospazio immagine di un’applicazione lineare f e rango di una matrice ad essa associata, in base alla (ii) di Proposizione 4.1.6, si conviene di definire rango di una matrice di tipo ad elementi in un corpo K il massimo numero di righe linearmente indipendenti nello spazio vettoriale ovvero il massimo numero di colonne linearmente indipendenti nello spazio vettoriale . 4.2 Spazi proiettivi su corpi In questo numero vogliamo studiare più a fondo gli spazi proiettivi associati a spazi vettoriali su corpi e su campi (in particolare sul campo reale), essendo questi i modelli numerici di riferimento per l’approccio sintetico alla geometria a partire da von Staudt nel suo libro Geometrie der Lage del 1847. Importanti contributi in quest’ordine di idee furono dati da Klein (1873), Pasch (1882), Wiener (1890). Nel seguito chiameremo spazio proiettivo uno spazio proiettivo astratto (definito nel paragrafo 3.3) e spazio proiettivo numerico uno spazio proiettivo associato ad uno spazio vettoriale su un corpo. Fissato uno spazio vettoriale V(K) di dimensione (finita o infinita) denoteremo nel seguito con ,…, ,…, 3 su un corpo K, il sottospazio vettoriale generato dai vettori . Considerato un sottospazio vettoriale W, risulta ovviamente Nel seguito per ogni sottospazio vettoriale W, denoteremo con sottospazi vettoriali 1-dimensionali di W, porremo cioè | \ . . l’insieme dei Nicola Melone 77 Le principali proprietà degli spazi proiettivi numerici sono contenute nella seguente proposizione. Proposizione 4.2.1. (i).Considerato uno spazio vettoriale corpo K di dimensione 3 (finita o infinita), la coppia | \ , , sinistro (destro) su un | , è uno spazio proiettivo sinistro (destro) che si dice associato a V(K). (ii). I sottospazi proiettivi sono tutti e soli i sottoinsiemi di V(K). Inoltre si ha . , con U sottospazio vettoriale di sottospazi proiettivi, risulta: (iii) Considerata una famiglia , (iv) Risulta: ,…, ∞ risulta: (v) Se . ,…, 1 e, per ogni sottospazio vettoriale U, 1. Dimostrazione. Proviamo la (i). Assioma (P1). Considerati due punti distinti P = [u] e Q = [v], i vettori u,v sono linearmente indipendenti, essendo [u] ≠ [v], e quindi , è una retta ovviamente contenente i punti [u] e [v]. Se , è un’altra retta contenente i punti [u], [v], si ha , , , onde , , e quindi , , . Assioma (P2). Considerata una retta contiene i tre punti distinti [u], [v], [u+v]. , , , si ha u+v∈[u,v] e quindi la retta Assioma (P3). Considerati tre vettori linearmente indipendenti {u,v,w}, le due rette , , , sono distinte, altrimenti [v] ⊆ [u,w], cioè v dipenderebbe linearmente da u,w. Assioma (P4). Siano u1, u2, u3 tre vettori linearmente indipendenti (dimV ≥ 3). I tre punti [u1], [u2], [u3] sono allora i vertici di un triangolo, i cui lati sono le rette ([u1,u2]), ([u1,u3]) e ([u2,u3]). Considerata una retta ([v,w]) incidente le rette ([u1,u2]), ([u1,u3]) in due , , , punti distinti , , rispettivamente, risulta , , , . In base alla formula di Grassmann vettoriale risulta allora dim([u2,u3]∩[v,w]) = 1, ovvero la retta ([v,w]) ha un punto in comune anche con ([u2,u3]). (ii) Considerato un sottospazio vettoriale W di V(K), se W={0} si ha e quindi è un sottospazio proiettivo. Sia quindi W≠{0}. Considerati due punti distinti , , risulta , e quindi , . Fissato, inversamente, un sottospazio proiettivo di , se si ha . Supponiamo e consideriamo il sottoinsieme \ | di V(K). Risulta ovviamente , inoltre per ogni coppia di vettori , e per ogni coppia a,b di scalari si ha , . Se , ovviamente ; se , si ha , , essendo sottospazio proiettivo e quindi , per la definizione di U, ovvero U è un sottospazio vettoriale di V(K). La seconda parte dell’asserto è ovvia. (iii). Si ha: Infine dalla (ii) di questa proposizione segue ovviamente che sottospazio proiettivo, rispetto all’inclusione, contenente tutti i sottospazi . è il più piccolo . Nicola Melone 78 (iv). Dalla (iv) della Proposizione 3.3.5 e dalla (iii) di questa proposizione, segue ovviamente che: ,…, … ,…, ,…, . (v). L’asserto è immediata conseguenza della (iv) di questa proposizione. , In uno spazio proiettivo numerico sinistro di dimensione finita d+1 si introduce in modo naturale la geometria analitica. Si definisce ,…, , riferimento proiettivo di ogni (d+2)-pla , la (d+1)-pla di punti a d+1 a d+1 indipendenti. Posto ,…, ordinata di vettori è ovviamente un riferimento vettoriale di riferimento proiettivo si dice associato al riferimento vettoriale. Posto ∑ , per ipotesi 0 , scegliere per ciascun punto ∑ risulti 1, … , 1, onde , ovvero ∑ 1 1 ∑ , il vettore numerico ed il ed e quindi, a meno di il vettore rappresentante normalizzato rispetto al riferimento vettoriale posto ordinata , si può supporre che . Il riferimento proiettivo si dice allora . Considerato un qualsiasi punto P = [u] e ,…, si dice vettore delle coordinate proiettive del punto P nel riferimento proiettivo . Osserviamo esplicitamente che, in base alla definizione, risulta: - Le coordinate proiettive sono non tutte nulle e sono definite a meno di un comune fattore non nullo di proporzionalità. - Due (d+1)-ple ordinate di scalari ,…, ,…, sono coordinate , proiettive di un stesso punto P = [u] se, e soltanto se, esiste uno scalare non nullo ρ tale che , 1, … , 1. In modo del tutto ovvio si introducono le nozioni di riferimento proiettivo e di coordinate proiettive se è uno spazio proiettivo destro. Nel seguito per indicare che ,…, è un vettore delle coordinate proiettive di P in un fissato riferimento proiettivo scriveremo ,…, o anche esplicitamente . Le nozioni di riferimento proiettivo e di coordinate consentono di rappresentare i sottospazi proiettivi mediante sistemi di equazioni lineari omogenee. Precisamente sussiste la seguente proposizione. Proposizione 4.2.2. Ogni sottospazio proiettivo h-dimensionale di uno spazio proiettivo numerico (sinistro o destro) di dimensione d si rappresenta in un Nicola Melone 79 fissato riferimento proiettivo mediante un sistema di d-h equazioni lineari omogenee in d+1 indeterminate del tipo: 0 0 , se è sinistro; , se è destro. 0 0 In particolare ogni iperpiano si rappresenta con un’equazione lineare omogenea non identica del tipo 0, se è sinistro, con un’equazione del tipo 0 , se è destro. ,…, , il riferimento Dimostrazione. Supponiamo sinistro e sia proiettivo normalizzato associato ad un riferimento vettoriale ,…, di V(K). In base alla (v) di Proposizione 4.1.3 il sottospazio vettoriale (h+1)-dimensionale di si rappresenta in mediante un sistema di 1 1 equazioni lineari omogenee in d+1 indeterminate , … , del tipo: Σ: 0 0 , ovvero un vettore u appartiene ad se, e soltanto se, le sue componenti ,…, in sono una soluzione del sistema Σ. Dalla definizione di coordinate proiettive segue allora che ,…, ,…, Σ. Se lo spazio proiettivo Proposizione 4.1.4. è destro l’asserto si ottiene in modo analogo dalla Esercizio Spazi proiettivi di Galois. Si definisce spazio proiettivo di Galois uno spazio proiettivo numerico associato ad uno spazio vettoriale su un campo di Galois. Sia un fissato campo di Galois di ordine ( primo) e uno spazio vettoriale di dimensione finita 1 sul campo . Fissato un riferimento vettoriale dello spazio, l’applicazione : , che associa ad ogni vettore la (d+1)-pla delle sue componenti in , è un isomorfismo tra spazi vettoriali e conseguentemente | | . Considerato lo , associato allo spazio vettoriale è suriettiva e per ogni risulta spazio proiettivo numerico l’applicazione : \ | \ 0 , onde | \ 0 | inoltre una retta ℓ si ha , | 1 · | | e quindi | | , l’applicazione \ 0 . Ne segue | , 1. Lo spazio proiettivo di Galois : \ , | \ ∑ , . Fissata ℓ è suriettiva e 1 |ℓ| e quindi |ℓ| è finito, ha dimensione d e ordine q. 4.3 Teoremi di Desargues, Pappo e Fano Il Teorema di Pappo (IV secolo, fine del periodo alessandrino) e quello di Desargues (XVII secolo, agli albori della Geometria proiettiva), sono due teoremi dimostrati dagli Nicola Melone 80 autori nell’ambito della geometria euclidea classica. Le ricerche di Hilbert ed Hessenberg alla fine del XIX secolo (come abbiamo già detto nel paragrafo 3.1) hanno messo in evidenza l’importanza e il ruolo che questi teoremi hanno nei moderni Fondamenti della Geometria. In particolare le loro ricerche hanno messo in evidenza le seguenti proprietà. • Il Teorema di Desargues è valido in ogni spazio proiettivo su un corpo; • il teorema di Desargues è valido in uno spazio proiettivo astratto se, è del tipo per un opportuno corpo K. • il teorema di Desargues è conseguenza degli assiomi (P1), (P2), (P3), (P4) nel caso di spazi proiettivi astratti di dimensione 3, onde ogni spazio proiettivo astratto di dimensione 3 è del tipo . • La validità del Teorema di Pappo in uno spazio proiettivo commutatività del corpo K. • In uno spazio proiettivo astratto il teorema di Pappo implica quello di Desargues. se, e soltanto equivale alla Proposizione 4.3.1. Teorema di Hilbert-Desargues. Sia uno spazio proiettivo numerico su un corpo K e siano Δ(ABC) e Δ(A’B’C’) due triangoli privi di vertici in comune. Se le rette A∨A’, B∨B’ , C∨C’ si intersecano in un punto O distinto dai vertici (si dice che i vertici sono prospettivi dal centro O), allora i punti L = A∨B∩A’∨B’, M = A∨C∩A’∨C’ e N = B∨C∩B’∨C’ sono allineati (figura 1). Dimostrazione. Posto A = [a], B = [b], C = [c] e A ’ =[a’], B’ = [b’], C’ = [c’], risulta A∨A’ = [a,a’], B∨B’ = [b,b’], C∨C’ = [c,c’], A∨B = [a,b], A∨C = [a,c], B∨C = [b,c], A’∨B’=[a’,b’], A’∨C’=[a’,c’], B’∨C’=[b’,c’]. Ne segue che esiste un punto O comune alle rette A∨A’, B∨B’, C∨C’ se, e soltanto se, esistono 6 scalari α, α', β, β', γ, γ' non nulli tali che αa + α'a' = βb + β'b' = γc + γ'c'. Da tali uguaglianze segue u = αa-βb = - α'a'+β'b', v = βb-γc = - β'b'+γ'c', w = αa+γc = α'a'-γ'c' e quindi L = [u], M = [w] e N = [v]. Inoltre u+v+w=(αa-βb) + (βb-γc) + (-αa + γc) = 0, ovvero u,v,w sono linearmente dipendenti, ovvero i punti L,M,N sono allineati. ℓ O N • A C L B • B’ M A’ C’ Figura 1 Proposizione 4.3.2 Teorema di Hilbert-Pappo. Sia uno spazio proiettivo numerico su un corpo K. Considerate due rette ℓ, ℓ incidenti in un punto V, tre punti distinti , , ℓ\ e tre punti distinti , , ℓ \ , i tre punti , , sono allineati se, e soltanto se, K è commutativo (figura 2). Dimostrazione. Proveremo che fissate ℓ, ℓ e su di esse i quattro punti , ℓ\ , , ℓ \ , l’asserto è vero al variare dei punti ℓ, ℓ . Osserviamo intanto che i punti , , , , , , appartengono al piano ℓ ℓ e quindi le coppie di rette AB’ e A’B, AC’ e A’C, BC’ e B’C si intersecano a due a due. Posto , , , risulta ℓ ℓ , , e quindi , con , , non nulli. Nicola Melone Essendo 81 , . Poiché inoltre , , non è restrittivo supporre , si ha: , e , 0, ( avendo posto )e 0, ). Al variare di , i punti C,C’ descrivono le rette A∨B e A’∨B’, rispettivamente. Proviamo che i punti L, M, N sono allineati se, e soltanto se, risulta . Ovviamente si può supporre 0, 1. Risulta allora: C’ ( , infatti dall’uguaglianza segue , 1 1 • • • N M A B ℓ Figura 2 C , essendo segue , , ovvero , e 1 , onde 1 , essendo 0. 1 : segue , , onde , Risulta allora che L,M,N sono allineati se, e soltanto se, se, esistono due scalari , tali che 1 Uguagliando i coefficienti delle due combinazioni lineari si trae 1 1 e quindi 1 1 0; : , infatti dall’uguaglianza 1 L V ovvero , , infatti dall’uguaglianza , onde , essendo 0; quindi B’ A’ : 0, ℓ onde , ovvero 1 . ovvero se, e soltanto . 1 Si definisce quadrangolo piano completo di uno spazio proiettivo configurazione costituita da quattro punti complanari B che li congiungono a due a due. I punti si dicono vertici e le rette lati del quadrangolo. Si dicono • A A, B, C, D, a tre a tre non allineati e dalle sei rette L • • • •N • C D Figura 3 • opposti due lati privi di un vertice in comune. I tre M punti , ,e 1 , , di intersezione delle coppie di lati opposti, si dicono punti diagonali (figura 3). una Nicola Melone 82 Gino Fano (1871-1952), esponente della grande scuola geometrica italiana della prima metà del 900, studiò, tra l’altro, a fondo gli spazi proiettivi su campi di caratteristica positiva. A lui si deve l’esempio di un piano proiettivo con il minor numero di punti (cfr. paragrafo 3.3) e la seguente caratterizzazione degli spazi proiettivi numerici su corpi di caratteristica 2. Proposizione 4.3.3 (Teorema di Fano). Sia uno spazio proiettivo numerico sul corpo K. I punti diagonali di un qualunque quadrangolo piano completo sono allineati se, e soltanto se, il corpo K ha caratteristica 2. Dimostrazione. Siano A, B, C, D i vertici di un qualunque quadrangolo piano completo contenuto in un piano π ed L, M, N i punti diagonali. Posto A = [a], B = [b], C = [c], risulta , , e quindi . Poiché , , , non è restrittivo supporre . Con argomentazioni analoghe a quelle della Proposizione 4.3.2, si verifica facilmente che: L = [a + b] , M = [a + c] , N = [b + c]. Ne segue: L,M,N allineati ⇔ ⇔ , \ 0 tali che ⇔ 1 , 0 ⇔ 2=0 ⇔ carK=2. 3 il teorema di Desargues è Proviamo, infine, che negli spazi proiettivi di dimensione conseguenza degli assiomi (P1), (P2), (P3), (P4). Proposizione 4.3.4. Il teorema di Desargues è valido in ogni spazio proiettivo (astratto) , di dimensione 3. Se Δ(ABC) e Δ(A’B’C’) sono due triangoli privi di vertici in comune e prospettivi da un punto O distinto dai vertici (cioè le rette A∨A’, B∨B’ , C∨C’ contengono O), allora i punti L = A∨B∩A’∨B’, M = A∨C∩A’∨C’ e N = B∨C∩B’∨C’ sono allineati. Dimostrazione. Siano π e π’ i piani che contengono i due triangoli, rispettivamente, e distinguiamo i due casi e . I) (figura 4). Osserviamo preliminarmente che le coppie di rette e , e , e hanno intersezione non vuota in quanto sono contenute nei piani , , , rispettivamente. I punti A’,B’,C’ appartengono al sottospazio tridimensionale O∨π, onde anche il piano π’ è contenuto in O∨π. In base alla O Figura 4 • π’ B’ A’ C’ B π C A formula di Grassmann si ha allora che π e π’ ℓ si intersecano in una retta ℓ che Nicola Melone 83 ovviamente contiene i punti L,M,N ciascuno essendo intersezione di una retta di π con una retta di π’. II) (figura 5). Essendo 3, esiste una retta ℓ per D • ℓ O non contenuta in e su di essa due punti D, D’ distinti tra loro e da O. Le rette A∨D’ e A’∨D Figura 5 D’ • appartengono al piano ℓ e • C0 quindi si intersecano in un punto A0 • • B0 A0, le rette B∨D’ e B’∨D appartengono al piano ℓ e C C’ quindi si intersecano in un punto C’∨D B0 e le rette C∨D’ e B B’ appartengono al piano ℓ e O A’ quindi si intersecano in un punto A C0. I punti A0,B0,C0 sono distinti e nessuno di essi appartiene a , (altrimenti la retta ℓ sarebbe contenuta in ). Inoltre tali punti non sono allineati, altrimenti i punti A,B,C e A’,B’,C’ sarebbero allineati. Il triangolo Δ(A0B0C0) appartiene ad un piano , distinto da e contenuto nel sottospazio tridimensionale ℓ. In base alla formula di Grassmann si ha che ℓ è una retta. Risulta inoltre ovviamente: ℓ , ℓ , ℓ . Nel seguito diremo spazio proiettivo desarguesiano ogni spazio proiettivo astratto in cui sia valido il teorema di Desargues. Diremo inoltre spazio affine desarguesiano la restrizione affine di uno spazio proiettivo desarguesiano. Osserviamo che i teoremi di Desargues e Pappo non sono indipendenti. Sussiste infatti la seguente proposizione. Proposizione 4.3.5. Teorema di Essemberg. La validità del teorema di Pappo in uno spazio proiettivo implica quella del teorema di Desargues. Dalle Proposizioni 4.3.4 e 4.3.1 segue che gli spazi proiettivi (astratti) di dimensione 3 e gli spazi proiettivi numerici sono desarguesiani. Ne segue che possono esistere spazi proiettivi non desarguesiani soltanto nella dimensione 2. Il primo esempio di piano proiettivo non dearguesiano è stato costruito nel 1899 da Hilbert nei Grundlagen der Geometrie, allo scopo di provare l’indipendenza del teorema di Desargues dagli altri assiomi dei suoi fondamenti. Nel 1902 Forest Ray Moulton (1872-1952) costruì un esempio di piano non desarguesiano ottenuto dal piano reale, deformando alcune rette (molto più semplice di Nicola Melone 84 quello di Hilbert) e nel 1907 in un articolo di Veblen e Joseph Henry Maclagan Wedderburn (1882-1948) si costruiscono i primi esempi di piani non desarguesiani con un numero finito di punti. In queste note daremo un esempio di piano proiettivo non desarguesiano, illustrando un procedimento di costruzione di piani proiettivi (infiniti) a partire da particolari configurazioni di punti e rette. , tale che due qualsiasi punti distinti appartengono ad al più una retta. Due punti A,B di appartenenti ad Si definisce configurazione ogni struttura di incidenza una retta si diranno nel seguito congiungibili. Ovviamente una configurazione può essere priva di rette, inoltre sono esempi di configurazioni ogni piano proiettivo ed ogni piano affine (astratti). Altri esempi di configurazioni sono in figura: • • • • • Esempio 3: due rette Esempio 2: una retta Esempio 1: priva di rette , Una configurazione si dirà confinata se ogni punto appartiene ad almeno tre rette ed ogni retta ha almeno tre punti. In uno spazio proiettivo la configurazione di Desargues sull’insieme dei punti {O,A,B,C,A’,B’,C’,L,M,N}, da luogo ad una configurazione non confinata, se le rette sono le terne {A,A’,O}, {B,B’,O}, {C,C’,O}, {A,B,L}, {A’,B’,L}, {A,C,M}, {A’,C’,M}, {B,C,N}, {B’,C’,N}, e confinata, se si aggiunge come retta anche la terna {L,M,N} (vedi figura) O O N N • A C B • A L C • • B’ B’ M A’ C’ L B M A’ C’ Nicola Melone 85 Descriviamo ora un algoritmo che ci consentirà di costruire un piano proiettivo a partire da una fissata configurazione. , Sia una fissata configurazione. , Passo 1: Denotiamo con la configurazione ottenuta da aggiungendo per ogni coppia A,B di punti non congiungibili la nuova retta {A,B}. Risulta quindi . , | , , Per costruzione si ha quindi che in ogni coppia di punti distinti appartiene ad un’unica retta. Applicando il passo 1 agli esempi precedenti si ottiene: Esempio 3: due rette Esempio 2: una retta Esempio 1: priva di rette , Passo 2: Denotiamo con aggiungendo un nuovo punto vuota, e ad ogni retta ℓ di ℓ, la struttura di incidenza ottenuta da , per ogni coppia ℓ, il sottoinsieme ℓ, | di rette di ad intersezione ℓ . Per costruzione risulta: in ogni coppia di rette distinte ha un punto in comune. Applicando il passo 2 agli esempi precedenti si ottiene: • • • Esempio 1: priva di rette Passo n: Sia , Esempio 2: una retta la struttura di incidenza ottenuta da se n è dispari, il passo 2 se n è pari. Esempio 3: due rette applicando il passo 1 Nicola Melone 86 , , è . è Posto , la coppia , ℓ | ℓ si dice struttura di incidenza libera generata da Proposizione 4.3.6. La struttura di incidenza libera proprietà: , . verifica le seguenti (i) Due punti distinti appartengono ad un’unica retta; (ii) Due rette distinte hanno un (sol) punto in comune. . Essendo Dimostrazione. (i). Siano A,B due punti distinti di , per ogni m, esiste intero tale che , e quindi A,B sono congiungibili in o in . Analogamente, considerate due rette distinte ℓ, di , esistono due interi n’,n” tali che ℓ e , e " " . Posto n = max {n’,n”}, risulta ℓ quindi ℓ, hanno intersezione non vuota in o in . Proposizione 4.3.7. Se incidenza libera contiene quattro punti a tre a tre non allineati, la struttura di , è un piano proiettivo. Dimostrazione. Gli assiomi (P1) e (PP) seguono dalla proposizione precedente. L’assioma (P3) segue ovviamente dall’esistenza di quattro punti a tre a tre non allineati. Proviamo infine che ogni retta contiene almeno tre punti. Sia ℓ una retta di e A,B,C,D quattro punti a tre a tre non allineati. Se ℓ contiene due di tali punti, ad esempio , ℓ , la retta interseca ℓ in un punto E diverso da A,B e quindi su ℓ esistono i tre punti distinti A,B,E. Se ℓ contiene uno soltanto di tali punti, ad esempio ℓ , le rette e intersecano ℓ in due punti diversi tra loro e da A. Se, infine, ℓ non contiene nessuno di tali punti, le rette , , intersecano ℓ in tre punti distinti. Proposizione 4.3.8. Ogni configurazione confinata finita di è contenuta in . Ne segue che è un piano proiettivo con infiniti punti, infinite rette e infiniti punti su ogni retta. Dimostrazione. Sia una configurazione confinata finita. Per ogni punto P (rispettivamente per ogni retta ℓ ) di definiamo livello di P (rispettivamente di ℓ) il minimo intero (rispettivamente ℓ ) tale che (rispettivamente, ℓ ) e ℓ ℓ denotiamo con n il massimo degli interi , ℓ al variare di , ℓ in (esistente in quanto è costituita da un numero finito di punti e rette). Dalla costruzione di segue allora che è contenuta in . Se n = 0, l’asserto è provato. Supponiamo per assurdo che sia n > 0. Se n fosse il livello di una retta ℓ , si avrebbe ℓ , ℓ e quindi, per il passo 1 dell’algoritmo, ℓ dovrebbe contenere soltanto due punti, contro l’ipotesi che è confinata. Analogamente, se n fosse il livello di un punto P, si avrebbe , e quindi, per il passo 2 dell’algoritmo, P sarebbe del tipo ℓ, e quindi apparterrebbe a due sole rette, ancora contro l’ipotesi che è confinata. Proposizione 4.397. Se è costituita da punti a tre a tre non allineati, il piano proiettivo , è non desarguesiano. Dimostrazione. Siano , , , , , due triangoli prospettivi da un punto O. Se il piano fosse desarguesiano i tre punti , , Nicola Melone 87 sarebbero allineati e la configurazione di Desargues costituita dai punti {O,A,B,C,A’,B’,C’,L,M,N} e dalle rette {A,A’,O}, {B,B’,O}, {C,C’,O}, {A,B,L}, {A’,B’,L}, {A,C,M}, {A’,C’,M}, {B,C,N}, {B’,C’,N}, {L,M,N} sarebbe confinata e quindi, in base alla Proposizione 4.3.8, dovrebbe essere contenuta in , assurdo in quanto contiene soltanto quattro punti. Nicola Melone 88 CAPITOLO 5 SPAZI PROIETTIVI DESARGUESIANI 5.1 Collineazioni e affinità In questo numero introdurremo e studieremo le trasformazioni geometriche fondamentali. Mostreremo, in particolare, che l’esistenza di opportune trasformazioni consente di provare che gli spazi proiettivi desarguesiani sono tutti e soli gli spazi numerici su corpi. , Si definisce collineazione (o anche isomorfismo) tra due spazi proiettivi , ogni applicazione biettiva : e che insieme all’inversa conserva l’allineamento delle terne di punti (cioè trasforma terne di punti allineati in terne di punti allineati). Nel seguito per indicare una collineazione si userà anche la notazione : . Le proprietà essenziali delle collineazioni sono descritte dalle seguenti proposizioni. Proposizione 5.1.1. Sia condizioni: (i) : una biiezione. Sono equivalenti le seguenti è una collineazione. (ii) trasforma rette di coppia di punti , . in rette di . In particolare per ogni (iii) trasforma sottospazi di in sottospazi di e sottospazi di dimensione finita in sottospazi di stessa dimensione. Ne segue, in particolare, che . Dimostrazione. (i)⇒(ii).Sia ℓ una retta di , A,B due suoi punti distinti e poniamo A’= (A), B’= , ℓ . Ogni punto X su ℓ\ , è allineato con A,B e quindi per ipotesi si ha è allineato con A’,B’ , ovvero ℓ ℓ . Ragionando in modo analogo su ℓ ℓ e quindi ℓ ℓ . Considerati due punti distinti A,B, la retta contiene i due punti distinti , e quindi coincide con . (ii)⇒(iii). Sia un sottospazio di . Ovviamente se è vuoto oppure un punto la sua immagine è rispettivamente il vuoto oppure un punto e quindi è un sottospazio. Supponiamo che contenga almeno due punti • O distinti. Per ogni coppia X’,Y’ di punti distinti di • O’ , esistono due (soli) punti X,Y in tali che • A’ ω • A , e, in base alla (ii), si ha e • B • B’ quindi è un sottospazio. Supponiamo ora che abbia dimensione finita t e procediamo Figura 1 per induzione su t. Per t=1 l’asserto è vero per ipotesi. Supponiamo quindi t>1 e vero l’asserto per ogni sottospazio di dimensione t-1. Considerato un sottospazio (t-1)-dimensionale contenuto in ed un punto \ , per ipotesi di induzione è un sottospazio . Denotato con il sottospazio (t-1)-dimensionale di non contenente il punto t-dimensionale di , per ogni punto \ la retta O A è contenuta in e, in base alla formula di Grassmann, interseca in un punto B (eventualmente A=B). Posto Nicola Melone 89 , la retta O contiene il punto B’ di contenuta in , onde ovvero . Sia ora . Se oppure , allora . Se , , la retta in un punto , onde risulta ancora , ovvero . e quindi è interseca e quindi L’implicazione (iii)⇒(i) è ovvia. Proposizione 5.1.2. (i) L’applicazione identica : è una collineazione, l’inversa di una collineazione è una collineazione e l’applicazione composta di due collineazioni è una collineazione. (ii) L’insieme Ω( delle collineazioni di uno spazio proiettivo in sé è un gruppo rispetto alla composizione tra applicazioni. La geometria proiettiva in (secondo Klein) è lo studio delle proprietà dei sottoinsiemi dello spazio invarianti sotto l’azione di tale gruppo. Dimostrazione. L’asserto segue facilmente dalla definizione di collineazione. Proposizione 5.1.3. Ogni collineazione : verifica le seguenti proprietà. per ogni famiglia di sottospazi (i) (ii) . , per ogni sottoinsieme S di punti. , per ogni famiglia di sottospazi (iii) . (iv) trasforma insiemi di punti indipendenti (dipendenti) in insiemi di punti indipendenti (dipendenti). (v) Se uno dei due spazi proiettivi ha dimensione finita, risulta Dimostrazione. (i). L’asserto segue ovviamente dalla biettività di (ii). Osservato che i sottospazi di , con sottospazio di precedente. . . contenenti il sottoinsieme sono tutti e soli del tipo contenente S, l’asserto segue ovviamente dalla (i) (iii). L’asserto è immediata conseguenza della (ii) precedente. (iv). È sufficiente osservare che, in base alla (ii) di questa proposizione, considerato un insieme di punti, si ha \ \ \ (v). In base alle (ii) e (iv) di questa proposizione ed essendo che , trasformano basi in basi. \ . una collineazione, si ha ESERCIZIO I I1) Collineazioni tra spazi proiettivi numerici. Siano , , , spazi proiettivi numerici (sinistri) di dimensione d sui corpi , e : un isomorfismo tra corpi, cioè una biiezione tale che . Si definisce isomorfismo semilineare di V(K) associato a ogni biiezione : verificante le identità: , , , , (per si ottiene la nozione di automorfismo vettoriale). Si verifica facilmente che è semilineare associata a . Inoltre conservano dipendenza e indipendenza Nicola Melone 90 lineare e trasformano sottospazi vettoriali in sottospazi di stessa dimensione. Da tali proprietà segue facilmente che l’applicazione : è una collineazione tra e che si dice indotta dall’ automorfismo semilineare f. Sussiste il seguente:Teorema fondamentale della Geometria proiettiva: Ogni collineazione : tra spazi proiettivi numerici (sinistri) su corpi è indotta da un isomorfismo semilineare : associato ad un isomorfismo : tra corpi. Inoltre un altro isomorfismo semilineare : associato ad un isomorfismo : induce la stessa collineazione se, e soltanto se, esiste uno scalare non nullo tale che e . (cfr. [EA], [OS], [GD]). I2) Prospettività. Siano , due sottospazi h-dimensionali di uno spazio proiettivo di dimensione finita d e un sottospazio di supplementare di e di , . Posto , in base alla formula di Grassmann risulta 2 e 1. Per ogni punto il sottospazio ha dimensione e quindi il sottospazio è un punto. Risulta pertanto ben definita l’applicazione : . che si chiama prospettività di centro . Dalla definizione segue ovviamente che è biettiva. Per ogni retta ℓ , risulta ovviamente ℓ ℓ , onde ℓ è una retta di , essendo per la formula di Grassmann ℓ 1 e quindi : è una ℓ 1. Dalla Proposizione 5.1.1 segue che la prospettività collineazione. Sia : , una collineazione tra gli spazi proiettivi stessa dimensione finita d), l’iperpiano di un iperpiano di , e , (di il corrispondente . Considerati gli spazi affini \ \ \ \ , ℓ\ , |ℓ ℓ\ \ |ℓ , \ , l’applicazione : definita da : , \ tra gli insiemi \ e affine o affinità (o isomorfismo affine) tra gli spazi affini seguito si userà anche il simbolo : ed , si dice collineazione indotta da . Nel . Le principali proprietà delle affinità sono esposte nelle seguenti proposizioni. Proposizione 5.1.4. Ogni affinità : verifica le seguenti proprietà. (i) per ogni sottospazio affine di . Ne segue che sottospazi affini in sottospazi affini della stessa dimensione. (ii) (iii) , per ogni famiglia , per ogni sottoinsieme di sottospazi affini di risulta trasforma di sottospazi affini di . . In particolare, per ogni famiglia Nicola Melone 91 (iv) trasforma insiemi di punti indipendenti (dipendenti) in insiemi di punti indipendenti (dipendenti). Dimostrazione. L’asserto segue facilmente dalla definizione di affinità e dalla Proposizione 5.1.3. Proposizione 5.1.5. (i) . (ii) Per ogni coppia di collineazioni : posto , " , si ha (iii) collineazione : , : " e per ogni iperpiano . : , cioè l’inversa dell’affinità . di , è l’affinità indotta dalla (iv) L’insieme Ω delle affinità di uno spazio affine in sé è un gruppo rispetto alla composizione tra applicazioni. La geometria affine in (secondo Klein) è lo studio delle proprietà dei sottoinsiemi dello spazio invarianti sotto l’azione di tale gruppo. Sussiste la seguente caratterizzazione delle affinità. una biiezione tra gli spazi affini Proposizione 5.1.6. Sia : \ . Sono equivalenti le seguenti condizioni: (i) (ii) è l’affinità indotta da una collineazione : \ e , trasforma rette in rette e rette parallele in rette parallele. trasforma rette in Dimostrazione. (i)⇒(ii). In base alla (i) di Proposizione 5.1.4 rette. Considerate inoltre due rette parallele ℓ , di , per definizione le rette ℓ, di si intersecano in un punto P di . Ne segue che le rette ℓ , di si intersecano e quindi le rette ℓ ℓ ℓ è nel punto di sono parallele in . (ii)⇒(i). Proviamo intanto che: (*) trasforma rette non parallele in rette non parallele. (**) è un piano di , per ogni piano di . (*). Siano ℓ , due rette di tali che ℓ || . Fissato un punto ℓ e considerata la parallela ad per A, si ha che e ℓ sono parallele ad per il punto e quindi ℓ in base alla (ii) di Proposizione 3.6.1 Dalla ℓ , ovvero se ℓ || allora ℓ || . biettività di segue allora (**). In base alla (i) di Proposizione 3.3.2, fissata una retta ℓ ed un punto \ℓ , è l’unione delle rette , ℓ e della parallela ad ℓ per P. Ne segue che è l’unione delle rette , ℓ ℓ e della parallela ad ℓ ℓ per e quindi coincide con il piano ℓ . Sia ora : l’applicazione definita ponendo , ℓ , \ ℓ . è ben definita su . Se infatti è una retta parallela ad ℓ risulta ℓ e ℓ , essendo per ipotesi ℓ . Dalla (*) segue inoltre che è biettiva. Proviamo che : trasforma rette in rette. Sia ℓ una , il suo punto di intersezione con e denotiamo con ℓ retta di non contenuta in la retta di tale che ℓ ℓ e con il suo punto di intersezione con . Si ha Proviamo che Nicola Melone 92 e quindi per la definizione di risulta ℓ ℓ ℓ ℓ ℓ ℓ ℓ . Pertanto trasforma rette di non contenute in in rette di non contenute in . Sia infine ℓ una retta di contenuta in . Denotato con un piano di non contenuto in e tale che ℓ, in base alla (**) si ha che è un piano di , con piano di . Dalla definizione di segue allora ℓ , ovvero : è una collineazione proiettiva la cui restrizione affine ovviamente coincide con . ℓ ,ℓ ℓ ℓ Proposizione 5.1.7. La restrizione affine di uno spazio proiettivo numerico di dimensione 3 sul campo reale è isomorfa allo spazio euclideo ordinario , , ,Π . Dimostrazione. Fissato un riferimento cartesiano , , , in è possibile identificare i punti con le terne ordinate di numeri reali ed ogni retta con l’insieme delle soluzioni di un sistema lineare compatibile di rango 2 del tipo 0 . 0 Sia , , , , il riferimento proiettivo normalizzato associato ad un riferimento vettoriale , , , dello spazio vettoriale e denotiamo con il piano che in è rappresentato dall’equazione X4=0. Per ogni punto , , , \ 0 e la terna , , non dipende ovviamente dalla scelta delle coordinate risulta proiettive di P. Ne segue che è ben definita l’applicazione: : , , , \ , , , inoltre per ogni punto , , , il punto P = [ ha coordinate proiettive , , , 1 ed è l’unico punto di tale che . L’applicazione : \ è quindi biettiva. Considerata una retta ℓ non contenuta in , la sua è data da un sistema lineare omogeneo compatibile e di rango 2 rappresentazione in del tipo (cfr. Proposizione 4.2.2) 0 . 0 Σ Deve risultare inoltre 2, altrimenti il sistema Σ sarebbe equivalente al seguente Σ 0 0 e la retta ℓ sarebbe contenuta in , contro l’ipotesi. Ne segue che il punto d’intersezione tra ℓ e ha coordinate del tipo , , , 0 con , , soluzione del sistema omogeneo associato a Σ e le immagini mediante dei punti di ℓ ℓ\ hanno coordinate , , soluzioni del sistema lineare 0 , 0 Σ: ovvero ℓ è una retta di e , , è una sua terna di numeri direttori. Siano, infine, Nicola Melone 93 0 , 0 ℓ: due rette non contenute in e tali che ℓ || i due sistemi lineari omogenei associati a ℓ 0 0 : . Risulta allora ℓ 0 , 0 e quindi 0 0 ℓ , sono parallele. In base alla Proposizione è un isomorfo affine tra \ e . sono equivalenti, onde le rette 5.1.6 l’applicazione : \ 5.2 Collineazioni centrali e dilatazioni Sia : , una collineazione dello spazio proiettivo dice unito (o fisso) per se , (cioè Una collineazione . Un sottoinsieme S di punti si dice unito se ). : esistono un iperpiano , di uno spazio proiettivo (detto asse) ed un punto , è unito (i.e. in sé. Un punto P si ) e ogni retta per si dice centrale se (detto centro) tali che ogni punto di è unita (i.e. ℓ ℓ, ℓ ) e quindi , , in quanto O è intersezione di rette unite. Denoteremo nel seguito con l’insieme delle collineazioni centrali di asse Una collineazione centrale omologia generale) se : e centro O. di asse e elazione (o omologia speciale) se La restrizione di una collineazione centrale affine \ si dirà omologia (o e centro : . di asse l’iperpiano allo spazio si dice dilatazione dello spazio affine. Dalla definizione di collineazione centrale segue ovviamente che: (*) . Proposizione 5.2.1. Una collineazione : avente un iperpiano centrale, cioè esiste un punto unito tale che ogni retta per è unita. Dimostrazione. Se esiste un punto unito ovviamente , : considerata infatti una retta ℓ per O e posto ℓ , si ha ℓ ℓ. Supponiamo ora che nessun punto fuori di sia unito. Per ogni punto risulta allora e la retta è unita. Posto infatti , si ha e quindi di punti uniti è A P • U A’ • O P’ Figura 1 P’’ • Nicola Melone 94 . Per dimostrare l’asserto è sufficiente provare che le rette congiungenti le due punti coppie di punti corrispondenti passano per uno stesso punto O di . Siano , corrispondenti e poniamo (vedi figura 1). Considerato un punto P non unito, se ovviamente in quanto è unita, onde . Supponiamo quindi . Sia U il punto di intersezione di A∨P con e P’ il punto di intersezione di O∨P con U∨A’, esistente in base all’assioma di Veblen-Young applicato al triangolo Δ(AUA’). Posto , ancora per l’assioma di Veblen-Young applicato allo stesso triangolo, la retta interseca la retta in un punto che è unito in quanto intersezione di due rette unite. Poiché per ipotesi non esistono punti uniti fuori di , si ha e . In base a tale proposizione l’insieme delle collineazioni che hanno uniti i punti di un fissato iperpiano coincide con l’insieme delle collineazioni centrali di asse , , cioè . Una semplice caratterizzazione delle dilatazioni di uno spazio affine è la seguente. Proposizione 5.2.2. Siano , uno spazio proiettivo, un fissato iperpiano ed , la restrizione affine di di iperpiano all’infinito . Un’applicazione biettiva : è una dilatazione se, e soltanto se, trasforma rette in rette parallele. Dimostrazione. Se è una dilatazione, per definizione essa è la restrizione affine di una collineazione centrale : di asse l’iperpiano . Ne segue ovviamente che trasforma ogni retta ℓ in una retta ad essa parallela in quanto i punti all’infinito sono uniti per . Supponiamo, inversamente, che trasformi rette in rette parallele. Ne segue allora ovviamente che trasforma rette in rette e rette parallele in rette parallele e quindi, in base alla Proposizione 5.1.6, è un’affinità, restrizione affine di una collineazione : che sui punti all’infinito ℓ agisce al modo seguente: ℓ ℓ ℓ essendo, per le ipotesi fatte su , ℓ ||ℓ . In base alla Proposizione 5.2.1, si ha che è una collineazione centrale di asse e quindi, per definizione, è una dilatazione. ESERCIZIO I. Collineazioni centrali negli spazi proiettivi numerici. Sia uno spazio proiettivo numerico (sinistro) di dimensione finita d su un corpo K. Fissato un riferimento vettoriale , ,…, , e considerato il riferimento vettoriale , ,…, , (ρ scalare non nullo fissato), sia : l’automorfismo vettoriale univocamente determinato dai riferimenti R e R’ , cioè definito ponendo ∑ : ,…, ed ogni ∑ è una collineazione centrale di asse Considerata una collineazione centrale , . Considerati l’iperpiano e per , ∑ onde ∑ la collineazione indotta da , risulta ed il punto ∑ , nel seguito per ogni punto ∑ ,…, : e centro , . , due punti corrispondenti porremo per comodità Nicola Melone e , 95 . È immediato verificare che il corrispondente del punto è dato da (la figura 2 si modifica in modo ovvio per un’elazione) (**) , • • , • • O • P A • A0 P0 • Figura 2 • Osserviamo esplicitamente che, in base all’assioma di Veblen-Young applicato al triangolo Δ(OAP), nella figura 2 le rette , e si intersecano e il punto , è allineato con A0 e P0 . Proposizione 5.2.3. (i) L’unica collineazione centrale : punto unito U non appartenente ad e diverso da è l’identità. , avente un (ii) L’insieme delle collineazioni centrali di asse un fissato iperpiano di uno spazio proiettivo , è un gruppo rispetto alla composizione tra applicazioni e per ogni punto di , il sottoinsieme , delle collineazioni centrali di asse e centro è un sottogruppo di (iii) Una collineazione centrale : , è univocamente determinata da una fissata coppia , di punti corrispondenti distinti. Dimostrazione. (i). Posto , per ogni punto , essendo le rette , , unite e , , risulta ovviamente , . Ogni punto non appartenente alla retta è quindi unito. Fissato un punto unito , ripetendo il ragionamento precedente a partire dal punto unito V, si prova che ogni punto non appartenente alla retta è unito (in particolare ogni punto della retta ) e quindi è l’applicazione identica. (ii). L’applicazione identica : , la composta di due collineazioni centrali di asse e l’inversa di una collineazione centrale di asse ovviamente appartengono a , avendo uniti i punti di (cfr. Proposizione 5.2.1), onde è un gruppo. Considerata una collineazione , e la sua inversa : , si ha , , cioè : ha asse , inoltre per ogni retta ℓ per , si ha ℓ ℓ e quindi ℓ ℓ ℓ , ovvero , . Siano infine : , : , ed ℓ una retta per . Risulta ℓ ℓ ℓ ℓ e , ovvero , . (iii). Sia : (ii) precedente si ha , : un’altra collineazione centrale tale che . In base alla , e . Per la collineazione centrale Nicola Melone 96 , risulta allora alla (i) di questa proposizione, e quindi, in base ovvero . È naturale chiedersi se esistono spazi proiettivi privi di collineazioni centrali non , identiche, cioè per i quali il gruppo è identico, qualunque sia l’asse ed il centro. In proposito sussiste la seguente proposizione che mette in evidenza la profondità del teorema di Desargues. Proposizione 5.2.4. Teorema di Baer. Sia , uno spazio proiettivo desarguesiano. Fissato un iperpiano e tre punti allineati e distinti , , , con , , esiste un’unica collineazione centrale : di asse , centro O e tale che . Dimostrazione. L’unicità è provata nella (iii) di Proposizione 5.2.3 Proviamo, quindi, \ , in base alla (**) si può considerare l’applicazione l’esistenza. Posto , , : , , , . O • A • A’ • • P • , , e che ha uniti tutti i punti di diversi da Si verifica facilmente che , , , e le rette per . Fissata una coppia di punti corrispondenti , e posto , \ , si può definire in modo analogo l’applicazione , , : , , , . Ovviamente è invertibile, ha uniti tutti i punti di diversi da e fissa , le rette per . Proviamo che su e , , , . Sia , , , distinguiamo i due casi: e . Se si ha , , , , onde . , , , , , , Supponiamo e poniamo . I triangoli Δ(ABC) e Δ(A’B’C’) sono , prospettivi dal punto O. Onde in base al teorema di Desargues i punti , , e sono , , allineati. Essendo , , si ha che N appartiene ad , onde , . , e , . Ne segue , , , Nicola Melone 97 O • A • A’ • B • C B’ • C’ N , , Risulta, quindi, ben definita l’applicazione : , , , . , In base alla definizione si ha che è invertibile, trasforma A in A’ ed ha uniti i punti dell’iperpiano e le rette per O. Per completare l’asserto resta da provare che è una collineazione, ovvero che e conservano gli allineamenti delle terne di punti distinti. Poiché per definizione di si ha ovviamente , , , , , , è sufficiente provare l’asserto soltanto per . Siano C,D,X tre punti allineati su una retta ℓ di . Se ℓ l’asserto è ovvio in quanto , , . Se ℓ contiene il punto O, per costruzione ℓ ℓ e quindi , , ℓ. Supponiamo ℓ non contenuta in e non contenente O e sia ℓ . Posto , e ℓ , risulta allora e quindi ℓ , per la definizione di , , ovvero , , appartengono alla retta ℓ . (Le figure precedenti si riferiscono al caso e si modificano in modo ovvio al caso ). Proposizione 5.2.5. L’insieme di . Fissato un punto sottogruppo di . delle elazioni di asse è un sottogruppo abeliano , l’insieme , delle elazioni di centro O è un Dimostrazione. Se ed il punto O è il suo centro, ovviamente ha uniti i punti di e punti corrispondenti sono allineati con O, ovvero è elazione di centro O e quindi . Siano , . Dalla (i) di questa proposizione segue intanto che è una collineazione centrale di asse . Se , ovviamente . Sia e supponiamo che esista un punto tale che . Risulta allora e quindi . Dalla (iii) di Proposizione 5.2.3 segue allora , ovvero , assurdo. Pertanto il centro di appartiene ad e cioè . è quindi un sottogruppo di . Inoltre se , sono due elazioni appartenenti a , , Nicola Melone 98 ovviamente coppie di punti corrispondenti in e sono allineate con O e quindi , , , ovvero , è un sottogruppo di . Proviamo che è abeliano, cioè , , . P •• L’asserto è ovvio se una delle due elazioni è , l’identità. Possiamo quindi supporre che siano diverse dall’identità. E’ sufficiente provare • l’uguaglianza per ogni punto . Siano , i centri di , rispettivamente ed esaminiamo prima il caso • . L’elazione trasforma la retta nella retta , la retta in sé e quindi . Analogamente trasforma la retta nella retta , la retta in sé e quindi . Supponiamo, infine, . , hanno centro O. Fissato allora un punto \ ed Le elazioni un’elazione di centro V (esistente in base al teorema di Baer), si ha ovviamente che , , , hanno centro e quindi, per quanto già provato si ha , . Inoltre non può , avrebbe centro O. Ancora per quanto già provato, avere centro O, altrimenti risulta . Ne segue: , da cui . Un corollario immediato del Teorema di Baer e della Proposizione 5.2.5 è la seguente proposizione. Proposizione 5.2.6. Siano , uno spazio proiettivo desarguesiano ed fissato iperpiano. Sussistono le seguenti proprietà. (i) Il gruppo di \ . delle elazioni di asse un agisce in modo strettamente transitivo sui punti (ii) Per ogni punto , il gruppo , delle omologie di asse e centro O agisce in modo strettamente transitivo sui punti di ogni retta per O diversi da O. 5.3 Il Teorema di rappresentazione degli spazi affini e proiettivi desarguesiani Nel seguito del paragrafo supporremo di aver fissato uno spazio proiettivo , desarguesiano , di dimensione finita \ . Denoteremo con il gruppo delle dilatazioni di traslazioni le restrizioni delle elazioni di asse omologie di asse 2, un suo iperpiano e centro un punto e lo spazio affine e chiameremo e omotetie di centro O le restrizioni delle . Dalle (*), (**) del paragrafo 5.2, dalla Proposizione 5.2.5 e dalla Proposizione 5.2.6 si deducono facilmente le seguenti proprietà. Nicola Melone 99 Proposizione 5.3.1. (i) L’insieme delle traslazioni è un sottogruppo abeliano di che agisce in modo strettamente transitivo sui punti di . (ii) Per ogni punto , l’insieme delle omotetie di centro è un sottogruppo di che agisce in modo strettamente transitivo sui punti di ogni retta per diversi da . (iii) Le rette congiungenti coppie di punti corrispondenti in una traslazione sono unite e parallele tra loro (la direzione comune di dice direzione della traslazione). Il sottoinsieme costituito dalle traslazioni aventi una fissata direzione è un sottogruppo di . (iv) Le coppie di punti corrispondenti in un’omotetia di centro rette per sono unite. sono allineate con e le Dalle proprietà (iii) e (iv) della proposizione precedente si deducono facilmente le seguenti costruzioni dell’immagine di ogni punto in una traslazione e in una omotetia, nota una coppia di punti corrispondenti: Costruzione dei punti corrispondenti in una omotetia di centro O, nota una coppia di punti corrispondenti A,A’ A’ • A • • O • P A’ • Costruzione dei punti corrispondenti in una traslazione, nota una coppia di punti corrispondenti A,A’ Sia ora P’ • P’ A • • P , un fissato punto dello spazio affine e consideriamo l’applicazione : . In base alla (i) di Proposizione 5.3.1, per ogni punto : : che trasforma in P, ovvero tale che esiste un’unica traslazione , e quindi l’applicazione è biettiva. Ne segue allora facilmente che: Proposizione 5.3.2. L’operazione binaria, definita ponendo per ogni coppia , determina su una struttura di gruppo abeliano , isomorfo a e l’opposto di un punto P è il punto , . Lo zero è il punto . Nicola Melone 100 P , Q non allineati P , Q allineati P + Q= Q • A • P O P Q O Proposizione 5.3.3. (i) Ogni retta di contenente è un sottogruppo di , . (ii) Ogni retta di non contenente è un laterale del sottogruppo costituito dalla retta per ad essa parallela. Dimostrazione. (i). Sia ℓ una retta per e poniamo ℓ . Dalla (*) del paragrafo 5.2 segue che, per ogni traslazione , la retta ha la direzione e quindi coincide con ℓ , onde ℓ , . Ne segue ℓ . Considerato, ha ovviamente inversamente, un qualsiasi punto ℓ , la traslazione direzione , ovvero ℓ e quindi ℓ . La retta ℓ è pertanto immagine mediante l’isomorfismo del sottogruppo . (ii). Sia una retta non contenente il punto ed ℓ la parallela ad essa passante per . Fissato un punto e considerata la traslazione che trasforma in F, in base alla Proposizione 5.2.2 risulta ℓ , onde dalla biettività di e dalla definizione di ℓ | ℓ ℓ . somma tra punti segue che Proposizione 5.3.4. L’applicazione : è un’omotetia di centro . Dimostrazione. Essendo una biezione che fissa il punto , in base alla Proposizione 5.2.2 è sufficiente provare che trasforma rette in rette parallele. Se ℓ è una retta per , dalla (i) di Proposizione 5.3.3 segue ovviamente che ℓ ℓ . Sia una retta non e denotata contenente . In base alla (ii) di Proposizione 5.3.3, fissato un punto con ℓ la parallela ad ℓ per , risulta ℓ e quindi ℓ ||ℓ || , essendo una dilatazione. Proposizione 5.3.5. Le omotetie di centro sono automorfismi del gruppo , . Dimostrazione. Essendo le omotetie applicazioni biettive, è sufficiente provare che ogni omotetia è un omomorfismo, ovvero , , . Distinguiamo i due casi , , non allineati e , , allineati. (*). Siano , Proviamo che dalla (*) segue: (**) Se , , non allineati. L’omotetia trasforma le rette nelle parallele ad esse per i punti , rispettivamente, siano e . Ne segue . , • Q . ovviamente si ha O P Nicola Melone 101 . Sia quindi non sono allineati in quanto altrimenti e Y un punto non allineato con , X . I punti , essendo sottogruppo, e . Per la (*) si ha allora , onde . , , , (***). Supponiamo ora , , allineati e sia ℓ la retta che li contiene. Se Q=-P, dalla (**) segue . Sia quindi e fissiamo un punto X non appartenente alla retta ℓ . Supponiamo che i punti . Risulta ℓ , altrimenti , , appartengano ad una retta ℓ (essendo ℓ un sottogruppo). Essendo le rette per sottogruppi, si ha allora ℓ , ovvero , contro l’ipotesi. I punti , , sono quindi non allineati e dalle (*), (**) segue . Proposizione 5.3.6. (i) Per ogni coincide con l’omotetia ; (ii) Per ogni , un’omotetia di centro , l’applicazione – : , l’applicazione : oppure l’applicazione nulla : è . Dimostrazione. (i). In base alla (**) della Proposizione 5.3.5 si ha e l’asserto segue dalla Proposizione 5.3.4. (ii). Proviamo intanto che: . Poiché , ℓ ℓ ℓ ℓ ℓ . fissano il punto O, si ha . . Dalla Proposizione 5.3.5 segue: . . Essendo ℓ precedente, per ogni ℓ ed ℓ sottogruppo, ovviamente ℓ segue infine ℓ ℓ ; dalla (**) ℓ . Supponiamo ora che esistono due punti distinti X,Y tali che , e proviamo che è l’applicazione nulla. Dalla (**) precedente segue , ovvero, posto Z=X-Y, e quindi le omotetie , coincidono sul punto Z . Dalla (iii) di Proposizione 5.2.3 segue allora che , ovvero . Sia infine iniettiva. In base a quanto precede, si ha che , . Fissato un punto , essendo sottogruppo e si ha e quindi i punti , , sono allineati e . In base al Teorema di Baer, esiste un’omotetia tale che (eventualmente se ). Proviamo che . Considerato un qualsiasi punto X non allineato con ,F si ha e quindi . Dalla (***) precedente ed essendo si trae Nicola Melone 102 . D’altra parte per le proprietà di risulta anche . \ Ne segue per ogni punto scambiando i ruoli di F ed F’, si ha che quindi su . . Fissato infine un punto per ogni punto \ Proposizione 5.3.7. L’insieme operazioni al modo seguente: si struttura a corpo definendo le , e e · . L’unità del corpo è l’applicazione identica 1 . Dimostrazione. Osserviamo intanto che, in base alla Proposizione 5.3.6, l’operazione di addizione è un’operazione binaria interna su K. Essendo, inoltre, , un gruppo abeliano di elemento neutro il punto , si verifica facilmente che (K,+) risulta un gruppo abeliano di elemento neutro l’applicazione nulla ed opposto di un’omotetia l’omotetia . Inoltre la struttura algebrica \ , · per definizione coincide con il gruppo , e quindi è un gruppo. Dalla Proposizione 5.3.5 segue infine: · · · · · · , . Le Proposizioni 5.3.5, 5.3.6 e 5.3.7 hanno il seguente corollario immediato. Proposizione 5.3.8.Il gruppo abeliano , si struttura a spazio vettoriale sinistro sul corpo definendo l’operazione di moltiplicazione esterna ponendo: , . Proposizione 5.3.9. Teorema di rappresentazione per spazi affini desarguesiani. Sia , \ uno spazio affine desarguesiano. Esiste uno spazio vettoriale sinistro W(K) su un corpo K tale che i punti sono i vettori di W e le rette sono i laterali dei sottospazi vettoriali 1-dimensionali. Dimostrazione. Fissato un punto , in base alla Proposizione 5.3.8 sull’insieme dei punti si introduce una struttura di spazio vettoriale sinistro sul corpo . Considerata una retta ℓ per e fissato su di essa un punto , dalla (ii) di Proposizione 5.3.1 segue che per ogni punto ℓ \ esiste un’unica omotetia tale che ed inoltre . Dalla Proposizione 5.3.3 segue allora che ℓ è il sottospazio vettoriale 1-dimensionale generato da F. In base alla (ii) di Proposizione 5.3.3 ogni retta è, quindi, laterale di un sottospazio vettoriale 1-dimensionale. Considerato infine un sottospazio vettoriale 1-dimensionale , risulta ovviamente . Ne segue che ogni sottospazio vettoriale 1-dimensionale è una retta per O e quindi ogni laterale di un sottospazio vettoriale 1-dimensionale è una retta. Proposizione 5.3.10. Teorema di rappresentazione per spazi proiettivi desarguesiani. Sia , uno spazio proiettivo desarguesiano. Esiste uno spazio Nicola Melone 103 vettoriale sinistro V(K) su un corpo K, tale che numerico . risulti isomorfo allo spazio proiettivo Dimostrazione. Fissato un iperpiano ed un punto \ , in base alla Proposizione 5.3.9 i punti e le rette dello spazio affine \ sono , rispettivamente i vettori e i laterali dei sottospazi vettoriali 1-dimensionali dello spazio vettoriale sinistro , , , . Si verifica facilmente che sull’insieme si definisce una struttura di spazio vettoriale sinistro sul K di vettore nullo , ponendo: , , · , , , . Nel seguito porremo per semplificare le notazioni , . Proviamo che esiste una collineazione tra , e lo spazio proiettivo numerico , . Consideriamo la corrispondenza : definita ponendo ,1 , . , , Osserviamo che se è un altro punto di (essendo la retta affine \ quindi risulta , , un’applicazione ben definita. \ , , \ , , esiste uno scalare tale che un sottospazio vettoriale 1-dimensionale) e , , . Ne segue che è Proviamo che : è iniettiva. Siano X,Y due punti di e distinguiamo i tre casi , , , , . Se , e ,1 , 1 , esiste tale che ,1 , ,1 , e quindi 1 . Supponiamo ora , e , , , \ , \ , . Esiste allora tale che , , , , . Ne segue che , , sono allineati e quindi anche , , sono allineati, onde . Se infine risulta ovviamente ,1 , , \ , . Proviamo che è anche suriettiva. Sia , essendo , un punto di . Se . Se invece , si ha , in quanto , è , si ha , , , , e il sottospazio vettoriale sottospazio vettoriale 1-dimensionale e quindi di è una retta affine per . Denotato con il suo punto all’infinito, risulta ovviamente , . L’applicazione : è quindi biettiva. Per completare l’asserto, resta da provare che essa trasforma rette in rette. Sia ℓ una retta di e distinguiamo tre casi. Caso 1. ℓ , ℓ | , 1 ℓ . Posto | ℓ , onde , , , Caso 2. ℓ ℓ , ℓ. Posto | ℓ ℓ ,1 , ,1 , , | ,1 , | ℓ , . ,1 , , si ha ℓ e fissati due punti ℓ , , . Ne segue e | ℓ\ e fissato un punto \ | ,1 , , , , . , risulta Nicola Melone 104 Caso 3. ℓ . Fissati due punti distinti , su ℓ e due punti \ , e \ , , il piano affine ℓ coincide con il sottospazio vettoriale 2dimensionale , di . Considerato, infatti, un qualsiasi punto P di tale piano non appartenente alle rette , e denotati con , i punti di intersezione di con la parallela per P ad , risulta , e quindi ℓ , . L’inclusione inversa è ovvia in base alla definizione di somma in . Considerato allora un qualsiasi punto ℓ ed un punto \ , , si ha , onde , , , , e quindi ℓ , , , . Osservazione 5.3.11. Lo spazio proiettivo numerico di cui alla Proposizione 5.3.10 non è univocamente determinato, in quanto lo spazio vettoriale , , , dipende in modo essenziale dalla scelta dell’iperpiano e del punto . Considerati, però, un iperpiano ed un punto , procedendo in modo analogo, si costruisce uno spazio vettoriale su un corpo tale che , risulti isomorfo allo spazio proiettivo numerico . Tra gli spazi proiettivi numerici e esiste, pertanto, una collineazione : . In base al Teorema fondamentale della Geometria proiettiva (cfr. Esercizio I del paragrafo 5.1), esiste un isomorfismo σ. Si semilineare : indotto da un isomorfismo tra corpi : tale che può, pertanto, affermare che: - A meno di isomorfismi, lo spazio proiettivo numerico che rappresenta univocamente determinato. , è BIBLIOGRAFIA [AR] Alessio Russo, Numeri, Gruppi, Polinomi.(2008), Aracne. [BR] Albrecht Beutelspacher & Ute Rosenbaum, Projective Geometry, from foundation to applications,(1998),Cambridge University Press. 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