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6 agosto 2009
GALASSIAMENTE
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La vulnerabilità allo stress
Non esistono determinismi, ovvero i fattori genetici
non influenzano con uno stringente legame di causaeffetto alcuni meccanismi neurobiologici, quali la
vulnerabilità allo stress. Reazioni chimiche, mentali e
relazionali si integrano vicendevolmente. Un gruppo di
ricerca dell’Istituto scientifico (IRCCS) “Eugenio Medea
- La Nostra Famiglia” di Bosizio Parini (Lecco) ha
dimostrato che le prime esperienze affettive (come
una buona relazione mamma-bambino, costitutiva di
uno stile di attaccamento “sicuro”) favoriscono una
migliore gestione dello stress, anche in bambini...
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6 agosto 2009
GALASSIAMENTE
6/8//2009
La vulnerabilità allo stress
ROSALBA MICELI
Non esistono determinismi, ovvero i fattori genetici non
influenzano con uno stringente legame di causa-effetto
alcuni meccanismi neurobiologici, quali la vulnerabilità
allo stress. Reazioni chimiche, mentali e relazionali si
integrano vicendevolmente. Un gruppo di ricerca
dell’Istituto scientifico (IRCCS) “Eugenio Medea - La
Nostra Famiglia” di Bosizio Parini (Lecco) ha
dimostrato che le prime esperienze affettive (come una
buona relazione mamma-bambino, costitutiva di uno
stile di attaccamento “sicuro”) favoriscono una migliore
gestione dello stress, anche in bambini che, sotto il
profilo genetico, sono maggiormente predisposti a
manifestare una iper-attivazione dei sistemi biologici implicati nella risposta agli stressor. Lo studio,
pubblicato sulla rivista scientifica “The Journal of Child Psychology and Psychiatry”, si avvale della
collaborazione tra l’IRCCS “E.Medea”, l’University College di Londra e l’University of Reading (UK).
I ricercatori del Medea, per la prima volta, hanno esaminato il ruolo giocato dall’interazione tra alcuni geni e
la relazione di attaccamento madre-figlio sulla risposta psicofisiologica agli stimoli stressanti in un campione
di oltre 100 bambini tra i 12 ed i 18 mesi. In particolare, hanno investigato se i livelli di due importanti
indicatori biologici di stress (l’ormone cortisolo e l’enzima alpha amylase), determinabili facilmente e in
modo non invasivo attraverso la saliva, potessero variare nel bambino in seguito a brevi momenti di
separazione dalla madre e se tali oscillazioni fossero correlate alla presenza di particolari geni legati allo
stress, agli stili di attaccamento o ad entrambi i fattori.
In accordo alla teoria dell’attaccamento sviluppata dallo psicoanalista britannico John Bowlby , il legame di
attaccamento del bambino alla figura che si prende cura di lui (caregiver) si manifesta e si attiva mediante la
ricerca o il mantenimento di una vicinanza ogniqualvolta il bambino si trova in una situazione di difficoltà
(paura ed ansia) e si attenua quando riceve conforto e protezione. Una delle funzioni primarie della relazione
di attaccamento è la regolazione degli stati del bambino, in particolare degli stati affettivi. I bambini con un
attaccamento “sicuro” sanno di poter contare sulla disponibilità del caregiver come “base sicura”, fonte di
conforto e cure in situazioni di stress. Di contro, i bambini con un attaccamento “insicuro” sperimentano una
condizione in cui la figura di attaccamento non è sufficientemente responsiva ai loro bisogni.
La valutazione delle configurazioni di attaccamento è stata effettuata mediante la “Strange Situation”, una
metodologia di osservazione del comportamento del bambino durante momenti di separazione e riunione
con il caregiver, messa a punto da Mary Ainsworth, allieva di Bowlby (i bambini con attaccamento “sicuro”
protestano per la separazione, ma si rasserenano facilmente, e al ritorno della madre le corrono incontro,
riprendendo il contatto fisico ed emotivo; i bambini con attaccamento “insicuro” sembrano non accorgersi
che la madre si è allontanata e al suo rientro tendono ad evitare il contatto).
L’analisi genetica è stata condotta sui poliformismi di tre geni implicati nella risposta fisiologica allo stress: il
gene trasportatore della serotonina (5-HTT) - è noto che sia nell’uomo che nei primati, i soggetti che
possiedono un allele 5-HTT corto, “i piccoli trasportatori di serotonina”, tendono a vivere ogni avvenimento
come un intenso stimolo e reagiscono dolorosamente alle separazioni e perdite affettive; il gene COMT che
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codifica per un enzima coinvolto nel metabolismo delle catecolamine ed il gene GABRA6, studiato per il
ruolo svolto dal neurotrasmettitore GABA nell’inibire i sistemi di risposta allo stress.
I risultati mostrano che la qualità del legame di attaccamento, in interazione con due (5-HTT e GABRA 6) dei
tre geni investigati, è associata a differenze individuali nei livelli di alpha amylase salivare mentre non sono
emersi effetti rilevanti legati al tipo di attaccamento, ai geni e alla interazione tra questi due fattori sui livelli
di cortisolo salivare.
In particolare, è stato rilevato che i bambini con un attaccamento insicuro e portatori di una o due coppie
dell’allele corto del gene 5-HTT mostravano un maggiore incremento nei livelli di alpha amylase a seguito
dello stress legato alla separazione dalla madre rispetto ai bambini con lo stesso genotipo ma con un
attaccamento di tipo sicuro; allo stesso modo, i bambini con un attaccamento insicuro ed omozigoti per
l’allele C del gene GABRA6 evidenziavano un aumento dei livelli di alpha amylase a seguito dell’evento
stressante rispetto ai bambini con lo stesso genotipo ma che avevano sviluppato un attaccamento di tipo
sicuro.
Il mancato effetto dell’attaccamento in interazione con i geni investigati sulla risposta del cortisolo allo stress
può indurre a diverse interpretazioni, quali la presenza di una soglia più alta di reattività dell'asse ipotalamoipofisi-surrene (di cui il cortisolo è un marker) rispetto al sistema nervoso simpatico (di cui l'alpha amylase è
un marker), l’esistenza di variazioni diurne dei livelli di cortisolo nell'infanzia e l'ampiezza del campione.
I dati raccolti indicano dunque che tra i bambini maggiormente predisposti dal punto di vista genetico allo
stress, coloro che hanno stabilito una relazione di attaccamento “sicuro” con la madre sono più abili a
regolare la loro risposta emotiva e non mostrano una iper-reattività dal punto di vista psicofisiologico.
“Questi risultati possono avere significative implicazioni cliniche, considerato l'impatto che lo stress esercita
sulla salute sia fisica sia mentale dell'individuo” - afferma Alessandra Frigerio, responsabile dello studio pertanto abbiamo deciso di ri-testare, in un progetto di ricerca corrente ministeriale attualmente in corso, lo
stesso campione di bambini per comprendere maggiormente l'impatto che le prime esperienze relazionali
esercitano sul funzionamento psicofisiologico del bambino. Vogliamo cioè capire se una buona qualità della
relazione madre-bambino possa continuare a rappresentare, anche a distanza di tempo, un fattore protettivo
capace di difendere chi possiede una predisposizione genetica avversa”.
Massimo Molteni, direttore sanitario e responsabile della linea di ricerca in psicopatologia dell’IRCCS Medea
di Bosizio Parini, suggerisce una duplice lettura dei risultati: “Se da un lato è possibile affermare che la
presenza di buoni geni conferisce resilienza nei bambini che hanno sperimentato una qualità delle cure
materne non ottimale, dall'altro è altrettanto possibile ipotizzare che una relazione di attaccamento sicuro
può costituire resilienza nei bambini che hanno cattivi geni. Sebbene queste due interpretazioni non siano
mutualmente esclusive e sono necessarie ulteriori evidenze empiriche per identificare e comprendere i
processi implicati in questo tipo di interazione gene-ambiente, i risultati ci incoraggiano ad avere speranza: è
possibile evitare l’ineluttabilità delle conseguenze negative legate a particolari fattori biologici, se operiamo
per sostenere le capacità genitoriali, in particolare della madre: che piaccia o no il benessere passa sempre
dalla famiglia”.
+ Istituto Scientifico Eugenio Medea
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