La conquista delle Americhe 1500

La conquista delle Americhe
1500
Gli anni successivi alla scoperta delle Americhe furono anni di conquista. Nel corso del Cinquecento spagnoli e portoghesi occuparono i territori americani del centro e del sud, formando imperi
di enormi dimensioni che cambiarono la storia del continente americano e del mondo.
Tra il 1519 e il 1522 i conquistadores spagnoli guidati da Hernàn Cortès conquistarono le terre
messicane distruggendo il fiorente impero azteco.
L’impero dei Maya nello Yucatàn fu sconfitto dai conquistadores guidati da Pedro de Alvarado.
L’immenso impero degli Incas, che si estendeva lungo quasi tutta la costa occidentale del Sud
America, venne distrutto tra il 1533 e il 1535 da Francisco Pizarro, che guidava poco più di 200
uomini.
I territori conquistati diventarono Vicereami dell’impero coloniale spagnolo: il Vicereame del Perù
e il Vicereame della Nuova Spagna. La stragrande maggioranza della popolazione indigena venne massacrata o morì a causa delle malattie contratte dagli europei.
1519-1625
Città del Messico
Tenochtitlàn (oggi Città del Messico) era la capitale
dell’Impero azteco. Tra il 1519 e il 1625 la popolazione indigena messicana è
passata da 25 milioni a 1 milione. Causa principale di morte furono le malattie.
1519
Messico
La giovane nativa Malinalli, ribatezzata
dagli spagnoli “La Malinche” o “Doña Marina” fa parte del
bottino di guerra di Hernàn Cortés.
Ne diventa amante e da lui ha un figlio; ma soprattutto,
come si vede da questa miniatura tardocinquecentesca
della Historia de las Indias del gesuita Diego Duràn, ne
è l’interprete e traduttrice presso Montezuma e i sacerdoti, dischiudendo ai conquistatori il mondo della civiltà
azteca.
Teotihuacan
La “città santa” di Teotihuacán raggiunge il suo massimo
splendore tra il III e il VII secolo dopo Cristo, arrivando a
contare circa 180.000 abitanti.
Qui vediamo la Piramide del Sole, che insieme a quella
della Luna e al tempio di Quetzalcoatl è il più importante
edificio del centro religioso: per dimensioni è paragonabile alla Piramide di Cheope in Egitto.
1522
Michoacán
Questa copia del “Lienzo de Tlaxcala”,
un codice azteco perduto realizzato intorno al 1550, ci
mostra la battaglia di Michoacán, avvenuta nel 1522: gli
indigeni Tlaxcala erano alleati con gli spagnoli contro gli
aztechi.
Codex
Mendoza
Il cosiddetto “Codex Mendoza” (dal nome del viceré che
lo commissionò), conservato a Oxford, è destinato all’imperatore Carlo V; dipinto intorno al 1542 da pittori indigeni, esso fornisce un’accurata e spettacolare descrizione
per immagini della civiltà azteca. In questa pagina vediamo i sei livelli di iniziazione necessari ai giovani per
diventare sacerdoti-guerrieri.
Messico
Durante le cerimonie religiose gli aztechi indossano maschere rituali come questa, che rappresenta Quetzalcoatl, realizzata tra XV e XVI secolo, in legno ricoperto da
un mosaico di pietre dure e conchiglie.
Codex
Laud
Tabasco
Calendario e testo religioso allo stesso
tempo, il Codex Laud, scoperto dall’arcivescovo inglese
William Laud, è uno straordinario documento probabilmente di origine Olmeca, databile a prima dell’impresa
di Colombo.
In questa pagina vediamo una raffigurazione simbolica
del Sole, al centro, un’aquila che vi si tuffa e, in basso, la
Morte intenta a compiere un sacrificio umano.
Piedra del
Sol
La “Piedra del Sol” viene scolpita poco prima della scoperta dell’America con strumenti di selce in un unico
monolito di basalto dal diametro di 3,60 metri. Essa è
insieme un complesso calendario che tiene conto di tre
differenti computi del tempo e una raffigurazione della
cosmologia e del pantheon degli Aztechi.
Tempio di
Kuculcán
Chichén Itzá
Uno dei più importanti monumenti della civiltà maya, il tempio di Kuculcán (nome Maya del dio
Quetzalcoatl) è costruito tra il XI e il XIII secolo; l’altezza
della piramide a gradoni sulla quale sorge l’edificio sacro
è di 24 metri. L’impero maya, esteso tra Yucatàn, Guatemala e Honduras era organizzato in una federazione di
città-stato autonome.
Machu
Picchu
Costruita nel XV secolo come sede dei sovrani ma già
abbandonata dal potere regale al tempo dell’arrivo degli
spagnoli, che dunque non vi mettono piede, la città inca
di Machu Picchu è portata all’attenzione del mondo solo
nel 1911 dallo storico americano Hiram Bingham.
Statuetta
femminile
Ande argentine
La pratica dei sacrifici di bambini
nelle culture mesoamericane rimane avvolta dal mistero:
questa statuetta femminile fa parte del corredo funerario
rinvenuto insieme a tre piccole mummie di vittime sacrificali in un santuario Inca sulle Ande argentine.
Vaso
Inca
Il giaguaro è per le culture mesoamericane una delle personificazioni del Sole; la sua immagine si ritrova
spesso anche nelle arti minori, come testimonia questo
vaso Inca dai manici che ne riproducono la figura e il
caratteristico manto a macchie.
1533
Cuzco
Nel 1533 Atahualpa, l’ultimo sovrano Inca,
viene imprigionato nel Tempio del Sole di Cuzco e poi
ucciso da Francisco Pizarro, nonostante quest’ultimo
abbia promesso di liberarlo dietro il pagamento di un ricchissimo riscatto in oro. L’Inca e lo spagnolo sono qui
raffigurati dalla penna di Felipe Guaman Poma de Ayala.
1533-1600
Cuzco
Cuzco era la capitale dell’Impero inca. Durante la seconda metà
del 1500 gran parte degli indigeni vengono decimati dalle malattie portate dagli
europei: su di loro si abbattono vere e proprie epidemie di vaiolo, di morbillo, di
influenza.
Si calcola che in Perù la popolazione indigena sia passata da 9 milioni di abitanti
nel 1533 a poco più di 500.000 all’inizio del 1600.
1535
Lima
Lima viene fondata nel 1535 dagli spagnoli ed è la capitale del Vicereame del Perù.
Il sottosuolo dell’Impero degli Incas era ricco di oro e soprattutto di argento. Gli
spagnoli hanno portato via dalle Americhe, nel corso del Cinquecento, 16.000
tonnellate di argento.
Cortés, donna Marina e la conquista del Messico
Nel 1519 i conquistadores guidati da Hernan Cortés arrivarono in Messico, dove si trovava il fiorente impero azteco guidato dal sovrano Moctezuma.
La conquista spagnola dell’impero fu rapida nonostante la forte differenza
di numeri in campo. Cortés arrivò con undici navi, un centinaio di marinai
e circa cinquecento soldati. L’impero messicano aveva all’incirca undici
milioni di abitanti.
La superiorità militare degli europei era però schiacciante: gli spagnoli
avevano cavalli – che in America erano sconosciuti –, armi da fuoco e
pesanti armature. Inoltre giocò a favore degli spagnoli una credenza azteca, secondo la quale
la fine dell’impero era vicina, poiché un dio, il serpente piumato chiamato Quetzalcóatl, sarebbe
giunto da Oriente, e quindi dal mare, per distruggere Montezuma, il sovrano azteco, e il suo regno. Quando Cortés arrivò in Messico fu identificato con il dio: gli aztechi accolsero il condottiero
e i suoi uomini con grande timore e con un atteggiamento fatalista. Spaventati, combatterono con
poca tenacia e non seppero opporsi alla forza e alla violenza spagnole.
Importante nella storia della conquista del Messico fu la figura di una giovane donna, chiamata
Malinche, nota nelle cronache del tempo come donna Marina. Fu venduta a Cortés come schiava insieme ad altre venti ragazze, tre giorni dopo il suo sbarco sulle coste messicane.
Marina conosceva la lingua degli aztechi, e parlava la lingua maya, che gli spagnoli capivano
grazie a un interprete. Diventò l’interprete personale di Cortés, tradusse tutti i suoi discorsi agli
Aztechi, e viceversa: indispensabile mediatrice, rese possibile la comunicazione tra due mondi
- quello spagnolo e quello azteco - che si scontravano. «Passavano per le sue labbra i discorsi
degli ambasciatori, le lagnanze degli oppressi, la sottomissione delle città, ogni genere di rapporti
e notizie, non esisteva altro mezzo di comunicazione» (storiografo messicano ottocentesco Manuel Orozco y Berra: Historia Antigua de la conquista de México, 1880, citato in Angelo Morino,
La donna marina, Sellerio, Palermo, 1992).
Gli spagnoli e l’oro
Felipe Guamàn Poma de Ayala, un Inca nato intorno al 1535, scrisse nel
1615 al re di Spagna Filippo III, anticipandogli l’invio di un manoscritto di
quasi 1.200 pagine sulla storia del Perù. Nel prologo, rivolto ai “cristiani
lettori spagnoli”, è esplicita l’intenzione di lasciare una testimonianza dei
misfatti compiuti dagli spagnoli ai danni degli indiani del Perù.
Il libro è scritto in spagnolo. Rimase inedito fino al 1936, quando fu pubblicato per conto del Musée de l’Homme di Parigi. Risultò di grande importanza per conoscere la storia del Perù precoloniale e delle conquiste
degli spagnoli.
Nel brano che segue l’autore racconta la brama che gli spagnoli avevano nei confronti dell’oro e
dell’argento americani.
«Don Francisco Pizarro e don Diego de Almagro, i due capitani generali, e gli altri, misero insieme trecentocinquanta soldati. Tutta la Castiglia era in grande fermento: “Le Indie, le Indie, oro,
argento, oro, argento del Perù”. Persino i musicanti cantavano la romanza “le Indie, l’oro, l’argento”. E si misero insieme i detti soldati e messaggeri del re Nostro Signore Cattolico di Spagna e
del Santo Padre Papa.
Nei millecinquecentododici anni, Papa Giulio II, del suo pontificato sette, Imperatore Massimiliano II, del suo impero diciassette, regina di Spagna donna Giovanna, del suo regno cinque, Vasco
Nuñez de Balboa ebbe notizia del Mare del Sud. A questa notizia, si eccitò ancora più il paese.
Che, se la regina lo avesse permesso, credo che l’intera Castiglia sarebbe partita a una notizia
così ricca e agognata: oro e argento. Si credeva che la gente era tutta vestita di oro e argento
e che il suolo che calpestavano era tutto di oro e argento. Tuttora dura quel desiderio di oro e
argento e si ammazzano gli spagnoli e spogliano i poveri indiani. E per l’oro e l’argento è ormai
spopolata parte di questo regno, i villaggi dei poveri indiani, per l’oro e l’argento».
(Felipe Guamàn Poma de Ayala, Conquista del Regno del Perù, Sellerio Editore, Palermo, 1992)
La conquista del Perù: Atahualpa e il libro
Questa testimonianza scritta, lasciata nel 1615 dall’Inca Felipe Guamàn
Poma de Ayala, è una delle poche “voci dei vinti” che sono giunte ai nostri
giorni, e che sono servite agli storici per conoscere la storia del Perù e
delle conquiste degli spagnoli.
Nel brano che segue l’autore racconta l’incontro tra Pizarro e Almagro,
condottieri spagnoli, e Atahualpa, sovrano Inca: è l’incontro tra due modi
di vivere completamente diversi, tra due realtà che per millenni hanno vissuto all’insaputa una dell’altra, senza mai incontrarsi. La prima conosceva
la parola scritta, la seconda no.
«Don Francisco Pizarro, don Diego de Almagro e fra’ Vicente dell’ordine del signor san Francesco. Atahualpa Inca dai bagni tornò alla città e alla corte di Cajamarca.
E arrivato in tutta la sua maestà e circondato dai suoi capitani e da molti altri, attorniato da centomila indiani, nella città di Cajamarca, nella piazza pubblica, al centro, al suo trono e seggio, fatto
di gradini, e che si chiama usno, sedette Atahualpa Inca.
E subito cominciarono don Francisco Pizarro e don Diego de Almagro a parlargli mediante la
lingua (l’interprete, ndr) Felipe, indiano di Guancabilca. Gli dissero che erano messaggeri e ambasciatori di un grande signore e che si mostrasse amico, poiché solo per questo venivano.
Rispose con grande cortesia a quanto diceva don Francisco Pizarro e lo dice la lingua Felipe,
indiano. Risponde l’Inca con grande maestà e disse che sarà vero che da una terra tanto lontana
venivano come messaggeri e che credeva che si trattasse di un grande signore, ma che non era
tenuto a fare amicizia, perché pure lui era un grande signore nel suo regno.
Dopo questa risposta interviene a dire la sua fra’ Vicente, tenendo nella mano destra una croce
e nella sinistra il breviario. E dice al detto Atahualpa Inca che pure lui è ambasciatore e messaggero di un altro signore, grandissimo, amico di Dio, e che gli fosse amico e adorasse la croce
e credesse nel vangelo di Dio, e non adorasse null’altro, perché tutto il resto era cosa da burla.
Risponde Atahualpa Inca e dice che non deve adorare nessuno se non il Sole che non muore
mai, e le sue huaca (oggetti e luoghi sacri, ndr) e gli altri dèi che ha nella sua legge: a quello era
fedele.
E domandò il detto Inca a fra’ Vicente chi glielo aveva detto. Fra’ Vicente risponde che glielo
aveva detto il vangelo, il libro. E disse Atahualpa: «Dallo a me, il libro, perché me lo dica». E così
glielo diede e lui lo prese tra le mani; e cominciò a sfogliare le pagine di detto libro. E dice il detto
Inca: «Perché non me lo dice, a me, né mi parla questo libro?». E parlando con grande maestà
seduto sul suo trono, si lasciò cadere di mano il detto libro, il detto Inca Atahualpa.
Allora fra’ Vicente si mise a gridare e disse: «A me, cavalieri, contro questi indiani gentili che
sono contro la nostra fede!». E don Francisco Pizarro e don Diego de Almagro, dal canto loro, si
misero a gridare dicendo: «Avanti, cavalieri, contro questi infedeli che sono contro la cristianità
nostra e del nostro imperatore e re, diamogli addosso!».
E così subito cominciarono i cavalieri e spararono i loro archibugi e diedero battaglia e i detti
soldati cominciarono a uccidere indiani come formiche. E per il terrore degli archibugi e il rumore
dei sonagli e delle armi e del vedere per la prima volta uomini mai visti, essendo piena di indiani
la piazza di Cajamarca, crollarono le mura che la circondavano e si uccisero tra loro. Nell’accalcarsi e calpestarsi e nell’inciampare dei cavalli, morì tanta gente tra gli indiani che è impossibile
contarla.
Dalla parte degli spagnoli morirono cinque persone per colpa loro, perché nessun indiano osò,
atterrito dallo spavento. Dicono che stavano in mezzo agli indiani morti quei cinque detti spagnoli;
e che devono essere stati travolti come gli indiani e che devono avere inciampato, i detti cavalieri.
Così don Francisco Pizarro e don Diego de Almagro catturarono Atahualpa Inca. Dal suo stesso
trono lo portarono via senza ferirlo e lo tenevano prigioniero sotto scorta gli spagnoli, presso il
capitano don Francisco Pizarro. Rimase molto triste e sconsolato e spodestato della sua maestà,
seduto a terra, privo del suo trono e del suo regno».
(Felipe Guamàn Poma de Ayala, Conquista del Regno del Perù, Sellerio Editore, Palermo, 1992)
Il sistema delle encomiendas
La prima colonizzazione dell’America meridionale ad opera degli
spagnoli avvenne nel segno delle encomiendas. Ai militari e ai nobili che accettavano di affrontare i pericoli e gli stenti del nuovo
mondo la monarchia concedeva il diritto di sfruttare ampie zone
del territorio con il lavoro degli indigeni che le abitavano. Non era
una vera e propria schiavitù perchè in cambio gli indigeni venivano
protetti dalle tribù nemiche, imparavano lo spagnolo e ricevevano
una educazione cattolica di cui avrebbero volentieri fatto a meno.
Gli encomenderos non avevano su di loro poteri di vita e di morte, ma nei fatti poco ci mancava.
Il sistema delle encomiendas avrebbe dovuto garantire il controllo del territorio e uno sviluppo
ordinato delle colonie. Ma gli abusi erano continui - li ha ben raccontati il domenicano Bartolomè
De Las Casas, che aveva un passato di encomendero - e il rendimento economico assai dubbio.
I colonizzatori trovarono più conveniente acquistare le terre per le loro piantagioni, e importare
schiavi neri dall’Africa. Ma questa è un’ altra storia.
1532
I territori a est della Raya stabilita dal Trattato di Tordesillas furono occupati dai portoghesi, che
costruirono lungo la costa città portuali fortificate utili per il commercio. I portoghesi non incontrarono civiltà organizzate in grandi imperi, ma tribù di Tupì Guaranì che vivevano in villaggi.
I colonizzatori iniziarono la coltivazione della canna da zucchero, utilizzando la manodopera di
schiavi che fecero arrivare dalle coste africane.
1553-1568
Bahia
Tra il 1553 e il1558 inizia nelle piantagioni la produzione di canna
da zucchero per l’esportazione. Gli indios sono ridotti in schiavitù e costretti a
lavorare nei campi.
Quando nel 1568 il traffico di schiavi diventa ufficiale, gli indios vengono sostituiti
con gli africani, più resistenti. Ciascun produttore di zucchero poteva comprarne
fino a 120.
1555-1556
San Paolo
Il francescano francese André Thévet
soggiorna in Brasile tra il 1555 e il 1556; al suo ritorno pubblica un’opera intitolata “Singolarità della Francia
antartica”, dove descrive la fauna, la flora e le civiltà incontrate. In quest’incisione vediamo il metodo adoperato
dagli indigeni per accendere il fuoco.
1532
1572
San Vicente
San Vicente, il primo stanziamento portoghese, viene fondato
nel 1532. Lungo la costa i portoghesi non trovano grandi giacimenti di metalli preziosi, per cui costruiscono città portuali fortificate, e da lì intraprendono spedizioni
nell’interno.
Nel 1572 il re del Portogallo crea il vicereame del Brasile con capitale Salvador
(Bahia).
Pau-brasil
Rio de Janeiro
I portoghesi commerciano con gli indigeni un legno pregiato
chiamato pau- brasil. La parte interna della pianta è utilizzata per tingere i tessuti
di un colore rosso fuoco. Dà qui deriva il nome definitivo al paese: brasa in portoghese significa “brace”.
La tratta degli schiavi
Legname e piantagioni, e, più tardi, miniere. Questo c’era in Brasile, ma per sfruttare queste ricchezze occorreva manodopera. Gli
indigeni si dimostrarono inadatti: erano pochi, non si adattavano ai
forsennati ritmi di lavoro imposti dai bianchi. Quelli che non si suicidavano morivano per gli stenti, e dunque non erano convenienti.
Per questo già nel sedicesimo secolo si ricorse a schiavi importati
dall’Africa, più robusti e anche più docili.
Per un nero dell’interno l’essere catturato dalle tribù nemiche della
costa ed essere venduto, in genere agli arabi, era una eventualità sempre possibile. I bianchi si
inserirono in un commercio già avviato e lo perfezionarono con le loro navi capaci di varcare gli
oceani, e dunque in grado di portare manodopera a buon mercato là dove questa scarseggiava.
In Brasile l’importazione dei neri popolò il paese, e fu la pressione demografica, con le inevitabili
mescolanze, a mettere in crisi la schiavitù che molti paesi europei stavano vietando. Nel 1871 fu
varata una prima importante legge, che fu chiamata del ventre libero. Da lì in avanti tutti i figli degli schiavi furono considerati liberi. La definitiva abolizione è del 1888, e fu decisa da Isabella del
Brasile. Oggi è celebrata in tutto il paese. Allora dovette vedersela con l’ira dei grandi produttori
di caffè, che si ribellarono ad una monarchia già indebolita e la costrinsero all’esilio in Francia,
dove morì nel 1921.
1565
I territori del Nord America, abitati da popolazioni nomadi e seminomadi, furono colonizzati in
modo sistematico solo a partire dal 1600. Le prime esplorazioni, nella Florida e nel Texas, furono
compiute dagli spagnoli.
Sulla costa atlantica vennero fondati stanziamenti estivi provvisori per l’essiccazione del pesce
da imbarcare verso l’Europa. Numerosi furono gli scambi di tipo commerciale – soprattutto di
pellicce - con gli indiani indigeni.
Molti tentativi di fondare colonie agricole permanenti fallirono a causa del freddo e degli attacchi
degli Indiani, ma ci furono anche alcuni insediamenti riusciti, come quello di St. Augustine e di
Jamestown.
1513-1540
Florida
Nella prima metà del 1500 gli europei compiono le prime esplorazioni (le cosiddette entradas) su territorio nordamericano: nel 1513 lo spagnolo Juan Ponce de Leòn approda sulle coste dell’attuale Florida, nel 1527 Alvar
Nuñez Cabeza de Vaca viaggia dalla Florida al Texas, ed è il primo europeo a
vedere i bufali. Nel 1540 Francisco Coronado si spinge fino al Grand Canyon e
in Kansas. Durante il viaggio perde numerosi cavalli, che vengono così introdotti
in Nord America.
1539
1565
St. Augustine
Nel 1539 Hernando de Soto approda in Florida, si inoltra lungo
il fiume Mississippi in cerca di ricchezze. È il primo europeo a esplorare la Florida.
Nel 1565 il conquistatore Pedro Menendez de Aviles fonda il primo stanziamento
a St. Augustine, la più antica città abitata continuativamente negli Stati Uniti.
1541
1608
Quebec
I commercianti di pellicce francesi stabiliscono avamposti nella
regione dei Grandi Laghi.
Nel 1541 Jacques Cartier esplora le terre del Canada. Prova a stanziarsi in Quebec, ma fallisce a causa dell’inverno incredibilmente freddo. Dà il nome al Canada: nella lingua degli indiani Irochesi “Kanata” significa “villaggio”.
La prima colonia nel Quebec viene fondata qualche anno più tardi, nel 1608, da
Samuel de Champlain.
Metà 1500
Virginia
Così apparivano a metà Cinquecento gli
insediamenti pellerossa: in questa incisione colorata di
Theodor De Bry pubblicata nel 1591 vediamo un villaggio indiano fortificato in Florida.
1584
Roanoke
Nel 1584 Walter Raleigh sbarca in North Carolina.
Con due navi raggiunge l’isola di Roanoke e tenta di fondare una colonia, ma
senza risultati. Walter Raleigh porta in Irlanda le prime piante di patata e di tabacco.
1607
Jamestown
Fondata nel 1607, Jamestown, in Virginia, è la prima colonia
inglese di una certa entità.
Spunti per approfondire
Una delle più importanti testimonianze della conquista delle Americhe da parte degli spagnoli è
quella lasciata dal frate domenicano spagnolo Bartolomé de Las Casas:
Bartolomé de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano, 1987;
Le strade dell’impero inca erano una rete di quasi 40.000 chilometri. Alcune sono ancora oggi
percorribili. Quella che unisce Cuzco a Machu Picchu è lunga 40 chilometri, passa attraverso le
montagne, ed è oggi un trekking turistico di grande bellezza paesaggistica.
Puoi vedere i luoghi che attraversa su questo link:
http://www.flickriver.com/photos/tags/inca+trail/interesting/
L’arte precolombiana in un museo virtuale:
http://amolt.interfree.it/Messico/arte_prec02_museovirtuale.htm
Consigli cinematografici
Aguirre, furore di Dio, con Klaus Kinski, di Werner Herzog, Germania, Perù, Messico, 1972.
Il Nuovo Mondo, con Colin Farrell, Q’Orianka Kilcher, Christian Bale, di Terrence Malick, USA,
2005.
The Mission, con Robert De Niro, Liam Neeson, Jeremy Irons, di Roland Joffé, Regno Unito,
1986.