“ Epidemia da ebola virus, rischio reale?”
Giuseppe Forlani
Una indagine IPSOS, diffusa la scorsa settimana, descrive l’Italia come “un paese
che non fa i conti con la realtà”; sarebbe una nostra caratteristica la tendenza ad avere
una immagine della realtà poco accurata, basata molto sulla percezione.
Le conseguenze sono significative perché la conoscenza porta alla consapevolezza e
all’azione. La percezione, invece, provoca ansia e determina rimozione del problema.
Non sono un medico, né un epidemiologo; mi interesso di emergenza da oltre 40
anni, da studioso e da appartenente al corpo prefettizio che ha questa responsabilità
nella propria missione istituzionale.
Ciò che ho appreso durante tutti questi anni è l’importanza dell’informazione e della
comunicazione nella gestione delle emergenze.
Non può essere affrontata e superata nessuna situazione se coloro sui quali l’evento
impatta
non
mantengono
comportamenti
individuali
e
collettivi
coerenti
nell’autoprotezione e nel favorire le azioni del sistema organizzativo preposto alla
sicurezza ed al soccorso.
Naturalmente un risultato positivo non deriva solo dal livello di informazione che si
possiede sui fatti: essenziale è la fiducia che le persone hanno nelle Istituzioni e nella
loro capacità di affrontare al meglio la situazione.
Potete facilmente comprendere quanto sto dicendo pensando all’alluvione di Carrara
dei giorni scorsi ed alla protesta dei cittadini. Ma quella protesta è in grado di
migliorare la condizione e la sofferenza delle migliaia di persone danneggiate? Non
credo. È un classico esempio di ricorso al “capro espiatorio”, utile ad alleggerire la
tensione, che altrimenti si rivolterebbe contro le vittime stesse.
Prendo spunto da quest’ultimo episodio per proporre dei parallelismi che
naturalmente contengono molte differenze, sociali, culturali, economiche, ma che in
fin dei conti hanno in comune le dinamiche di fondo che le hanno generate.
Molti ricorderanno che in Liberia, la scorsa estate una folla inferocita ha assalito un
ospedale per la cura della malattia da virus ebola (minuscolo e non maiuscolo –
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evitiamo già nella parola di personalizzare - demonizzare la malattia) ed ha
ammazzato medici, infermieri e fatto scappare i malati.
Si era diffusa la credenza che quello fosse un avamposto per la diffusione del male,
che prelevavano sangue alle persone per riti stregonici ecc.
In questo modo la malattia ha avuto un’altra occasione di diffusione.
Altro parallelismo riguarda l’atteggiamento di diffidenza che molti abitanti delle
zone interessate dall’epidemia hanno verso l’apparato sanitario in campo. La malattia
è uno stigma, i malati non si fanno curare, i sani non si rivolgono alle strutture per
timore di essere emarginati.
E allora cosa dire dell’atteggiamento che si sta diffondendo anche nel nostro Paese
contro il sistema delle vaccinazioni obbligatorie e facoltative?
Poliomelite, difterite, tetano, morbillo, varicella, rosolia, papilloma virus, epatite;
tutte malattie che epidemiologicamente hanno impatto sulle nostre comunità e sul
sistema sociale e sul welfare in particolare.
Eppure la voce, “il rumor” che le vaccinazioni non siano sicure ed esporrebbero le
persone al rischio di altre malattie sta alimentando una resistenza vera verso delle
pratiche mediche che al contrario hanno ridotto la diffusione e hanno portato come
per il vaiolo e la poliomelite alla eradicazione delle malattie. Io come molti dei
presenti ho fatto da bambino la vaccinazione antivaiolosa.
In questo caso la sfiducia è verso la “medicina” ufficiale e verso gli istituti di ricerca
accusate di essere “al giogo delle case farmaceutiche”.
L’insicurezza, l’incertezza, le frustrazioni che caratterizzano la vita di tante persone
si attenua nell’individuazione di un colpevole, il medico, il sindaco, il prefetto.
Non possiamo però rinunciare al percorso che l’umanità ha compiuto da Galileo
Galilei in avanti; non possiamo abdicare al primato della scienza sulla superstizione e
sulla credulità. Il relativismo va combattuto senza censurare le opinioni diverse ma
sforzandoci di provare a dare le risposte a quelle domande, a quelle inquietudini.
Ho voluto introdurre in questo modo il mio intervento per precisare lo sfondo in cui
intendo collocare le raccomandazioni adottate e costantemente aggiornate dal sistema
di sorveglianza internazionale sulle malattie epidemiche tra cui il virus ebola,.
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Si tratta di informazioni accessibili a tutti tramite i siti internet dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (WHO), del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo
delle malattie (ECDC).
Con una dichiarazione del 23 ottobre 2014, l’OMS ha confermato l’emergenza
sanitaria internazionale per ebola virus in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Ha
dichiarato cessata l’emergenza in Nigeria e Senegal.
Ha ritenuto fondamentale lo screening in uscita da questi Paesi che deve consistere
almeno nella somministrazione di un questionario, nella misura della febbre , e se la
febbre è registrata , una gestione del rischio che la febbre possa essere collegata alla
malattia da virus ebola. WHO e gli Stati partner forniscono sostegno agli Stati in
emergenza sanitaria per implementare e rafforzare il dispositivo di sorveglianza.
L’OMS ha ribadito che non esiste un divieto generalizzato ai viaggi ed ai commerci
internazionali.
Un divieto del genere incrementerebbe lo spostamento incontrollato di persone dai
paesi contagiati, aumentando il rischio della diffusione della malattia in altri Stati.
Evidenzia l’importanza di normalizzare i traffici aerei e marittimi, incluso il trasporto
di merci da e per le aree infette per ridurre l’isolamento e la crisi.
Raccomanda che ogni necessario trattamento medico sia disponibile per equipaggi e
passeggeri.
Secondo l’OMS, la sorveglianza in ingresso, insieme a quella in uscita, può risultare
utile a contenere la diffusione.
Vanno però considerati i vantaggi e gli svantaggi.
Il potenziamento dei controlli in entrata, offre la possibilità di accrescere il livello di
informazione sulla malattia tra la popolazione, ma occorre mettere in campo risorse
importanti anche solo per i casi ritenuti a rischio (provenienza dai paesi in
emergenza) e tenere efficiente un sistema di gestione dei casi sospetti (sintomatologia
in atto, contatti accertati con persone ammalate).
Tutti i Paesi dovrebbero impegnarsi a sviluppare iniziative di educazione e
comunicazione per combattere lo “stigma”, timori sproporzionati, misure e reazioni
inappropriate in relazione alla malattia virus ebola.
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Il Centro Europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie ha rilasciato il 12
ottobre 2014 un rapporto tecnico sulle misure di controllo in entrata ed in uscita.
L’Unione europea ha un’organizzazione permanente che segue in particolare la
diffusione delle malattie epidemiche e per quella da virus ebola il Comitato dei
Ministri della Salute ha nominato un commissario ed è stata effettuata una missione
di esperti per verificare lo stato di approntamento delle misure di controllo in uscita
presso porti e aeroporti e di gestione di casi sospetti e conclamati da parte degli Stati
con infezione in atto, supportati significativamente dal CDC americano.
Sulla base di stime di prevalenza dell’infezione (2x10.000 persone nei paesi affetti),
nei primi due mesi di screening in uscita, il valore predittivo è stato molto basso: per
nessuna delle 77 persone risultate a rischio su 36.000 viaggiatori controllati è stata
confermata la malattia.
Naturalmente, se i controlli in uscita sono efficaci quelli in entrata potranno essere
utili su un numero veramente modesto di persone a fronte di risorse molto importanti
da investire.
Per questo viene suggerito di prevedere gli stessi nei seguenti casi:
- quando si ritiene che i controlli in uscita non siano stati adeguati
- quando la febbre può svilupparsi tra l’uscita e l’ingresso. Va considerata in
particolare l’ipotesi di viaggi di lunga durata, con connessioni multiple che si
estendono per più di 12 giorni.
In ogni caso i controlli in entrata sono considerati poco significativi a fronte
dell’impegno richiesto, come evidenziato in occasione di precedenti epidemie (Sars,
influenza pandemica). La limitatezza delle relazioni tra l’Italia ed i Paesi in
emergenza, e la condizione per la diffusione della malattia che, è bene ricordare, allo
stato della ricerca e dell’evidenza scientifica, è connessa esclusivamente al contatto
diretto con i liquidi biologici di una persona malata, fanno ritenere improbabile una
diffusione epidemica nel nostro Paese.
Concludo per mettermi anche io in ascolto delle approfondite informazioni e giudizi
che la dottoressa Artioli, primario del reparto malattie infettive del nostro ospedale,
sta per fornire.
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La malattia da virus ebola si sconfigge nei tre Paesi in cui attualmente è in fase
ancora diffusiva. Per questo occorre promuovere e sostenere gli sforzi di quei Paesi e
delle Comunità per mettere in campo ogni misura efficace ed utile allo scopo.
Un pensiero caro e riconoscente va a tutto il personale medico ed a quello di supporto
logistico, locale e proveniente da ogni parte del mondo, che stanno dedicando la loro
vita a questa missione in favore di tutti noi, a tutte le latitudini.
Sono loro i più esposti a rischio e dobbiamo evitare con paure ingiustificate di
limitarne l’operatività.
A loro deve andare il nostro incoraggiamento non provocare la loro emarginazione
come conseguenza della nostra ingiustificata paura.
È quello che ci invitano a fare Emergency, Medici senza frontiere perché “Se i
medici smettono di partire, questa epidemia non la fermeremo più” ci ammonisce
Gino Strada.
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