Il consenso informato nella sperimentazione clinica in psichiatria

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Rassegne
Il consenso informato nella sperimentazione clinica in psichiatria
The informed consent in
clinical trials involving psychiatric patients
GIANNA MAGNOLFI1, FEDERICA BERGAMASCHI2
1
Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova
2Psichiatra, psicoterapeuta, Padova
RIASSUNTO. Gli Autori affrontano il problema del consenso informato alla partecipazione a studi clinici di soggetti affetti
da malattie psichiatriche. Le normative in materia di sperimentazioni cliniche vigenti in Europa sottolineano la necessità di
una particolare attenzione ai soggetti vulnerabili (bambini, anziani, pazienti affetti da malattie psichiatriche e pazienti oncologici), indicando come, pur riconoscendo l’importanza dello svolgimento di studi clinici su tali categorie di soggetti, si debbano minimizzare i rischi connessi e ottimizzare con tutti i mezzi disponibili la tutela dei diritti dei pazienti più svantaggiati.
L’articolo riporta in sintesi le strategie per migliorare la comprensione e il processo di accettazione del trattamento nel contesto di uno studio clinico, affinché il consenso sia un atto cosciente e realmente “informato”.
PAROLE CHIAVE: psichiatria, consenso informato, sperimentazione clinica.
SUMMARY. The Authors analyze the process of the informed consent for the psychiatric patients involved in clinical
trials. The European Law underlines the need for the protection of the vulnerable subjects (children, elderly, psychiatric and
oncologic patients). In vulnerable categories of subjects it is extremely difficult to make them accept the concept of collective
benefit of the “experimental” studies over the individual and personal benefit due to the “therapeutic” studies. It is not right
because it could be a therapeutic misconception. For them the individual benefit must always prevail over collective benefit.
The paper synthesizes the strategies to ameliorate comprehension, knowing and consent about the study protocols where patients are invited to be enrolled.
KEY WORDS: psychiatry, informed consent, clinical trials.
INTRODUZIONE
co atto che, in ambito sanitario, su di lei verrà compiuto o che ella stessa compirà.
Ne consegue che la persona ha/non ha manifestato
il suo consenso/dissenso, non lo ha revocato, non è stata condizionata nel consentire.
Inoltre, nell’ambito della pratica medico-chirurgica,
va ricordato che atti preliminari a ogni tipo di accertamento e di intervento sono il dover informare (per il
medico) e il diritto di consentire (per il paziente); in
base all’art. 32 della Costituzione: “nessuno può essere
obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il consenso si caratterizza pertanto per il fatto di es-
Con il termine consenso si intende il permesso con
il quale un soggetto conferisce ad altro il potere di agire. Il consenso è giuridicamente rilevante soltanto se
valido e, per essere tale, deve essere dato da persona
che:
– dispone di tale diritto;
– è legittimata a consentire;
– ha la capacità di comprenderne il significato ed è libera di agire.
In altri termini, la persona è informata e consapevole del significato e delle conseguenze di quello specifi-
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sere l’ultimo atto di una sequenza i cui passaggi obbligati sono:
– l’informazione;
– la comprensione;
– la restituzione.
analizzare per ritenere validi o meno adesione e rifiuto agli accertamenti e alle cure proposte.
L’informazione costituisce il momento centrale dell’agire psicologico e psichiatrico. Una parte fondamentale della validità dell’informazione che viene data e la
risposta che si riceve si basa sulla correttezza formale,
sulla comprensibilità linguistica e sulla completezza
dei contenuti.
Per poter apprezzare appieno i risvolti etico-giuridici in merito, appare importante distinguere l’informazione dalla comunicazione:
– informare significa fornire notizie, rendere consapevole qualcuno di un fatto, di un processo, di un intervento, mettere al corrente, ragguagliare;
– comunicare significa informare con partecipazione,
con empatia, con umana e professionale compassione.
La comunicazione non avviene solamente attraverso la parola ma anche tramite il comportamento e le
emozioni (comunicazione verbale/non verbale). Inoltre, la comunicazione varia di forma e di contenuto, a
seconda delle risposte ricevute, per cui essa è condizionata, per molti versi, dalla relazione che si stabilisce o
meno tra i comunicanti.
Inoltre, la comunicazione non può prescindere dall’esame della restituzione del consenso. Non è, infatti,
sufficiente la certezza di aver parlato in modo chiaro,
semplice e intelligibile ma è indispensabile verificare
in che misura e in che modo il paziente ha compreso (il
comprendere è un processo psichico ben diverso da
quello di capire).
Un altro concetto importante da approfondire risulta essere la distinzione tra consenso e assenso:
– l’assenso, nel suo significato di benestare, di permesso, soddisfa esigenze formali e non sostanziali, di accesso immediato alla persona del paziente in situazioni in cui è indispensabile intervenire o in cui l’intervento dello psichiatra è ritenuto urgente, imperioso e non delegabile;
– il consenso è, invece, da intendere come incontro di
volontà, partecipazione, comunione di intenti, il cui
obiettivo è la costruzione dell’alleanza terapeutica
sulla quale articolare il progetto di cura. Inoltre, il
consenso non costituisce solo un atto formale che
si possa chiedere e ottenere una tantum o nell’immediatezza del primo incontro, bensì è un processo
continuo fatto di ben precisi contenuti (la verifica
periodica), che spesso prendono le mosse da un generico assenso per trasformarsi poi in vero e proprio consenso. Il consenso, essendo un processo e
non un evento, deve prevedere una continua comunicazione che rifletta l’evoluzione del trattamento.
IL CONSENSO IN PSICHIATRIA
L’entrata in vigore della legge 180/78 ha modificato
in modo radicale il modo di considerare e trattare il
soggetto affetto da disturbi psichici e come conseguenza si è passati dal concetto di malato di mente oggetto
di custodia e di coercizione intramurale al principio
che il soggetto, se non interdetto, ha il diritto di decidere circa la propria salute, a meno che non sussistano
gli estremi del tutto eccezionali che legittimano l’imposizione dell’obbligo di farsi curare (Trattamento Sanitario Obbligatorio) o non ci si trovi nella situazione
in cui il consenso deve essere espresso dal legale rappresentante.
Anche nel caso della patologia psichiatrica la volontà del paziente deve essere la guida sulla quale il
medico adatta il suo agire. In ogni caso, deve trattarsi di
una volontà rispettosa della qualità e della dignità della vita e deve essere manifestazione di un atto di volontà attuale e libero e di un ragionamento non viziato
da disturbi della percezione o del pensiero. Attuale significa che vale ciò che il soggetto esprime “qui e ora”;
libero significa privo da coazioni, da suggestioni, da interferenze patologiche e psichiche inficianti (per es., allucinazioni, deliri, stati di coscienza alterati, disturbi
mentali organici che deteriorano le funzioni psichiche
superiori, seri ritardi mentali, depressione maggiore, disturbi psicotici, bouffées deliranti o confusionali acute)
o da altri stati di incapacità (interdizione per abituale
infermità di mente, incapacità naturale e minore).
Come in ogni branca della medicina generale e specialistica, anche gli operatori della salute mentale devono informare correttamente e compiutamente ogni
loro paziente, usando un linguaggio chiaro e comprensibile.
Il primo aspetto del consenso è quindi costituito
dalla chiarezza e dalla linearità dell’informazione.
Anche la persona affetta da disturbo psichico è titolare del diritto assoluto a conoscere la verità, che gli
deve essere comunicata con le dovute garanzie di metodo e di rispetto, in modo che egli possa esprimere il
suo parere e prendere le sue decisioni, compatibilmente con il tipo di patologia di cui è portatore e le caratteristiche del contesto in cui avviene l’intervento.
Inoltre il significato della restituzione di un consenso o di un dissenso costituisce il secondo aspetto da
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plicazioni di test psicologici di cui il paziente non conosca le finalità o che non di rado siano mal tollerati,
sebbene consentano ai medici valutazioni standardizzabili, utili negli studi diagnostici e prognostici.
Sull’argomento vi è una serie di riflessioni che si riferiscono a:
– sequenza cronologica delle informazioni;
– etica del consenso, la quale comporta pure una dimensione etica della formazione professionale;
– tutela del paziente e contemporaneo consenso degli
esperti nel corso di una ricerca clinica controllata
che sia a favore dei pazienti, e consenta durante tutta la somministrazione una continua valutazione.
Il problema della ricerca clinico-scientifica è oggi di
piena attualità e si ha quindi l’obbligo di un attento
consenso informato, che renda compatibili la piena
consapevolezza dei diritti dei pazienti e la rigorosità
della ricerca.
Il paziente psichiatrico talora non dispone del sentimento della libertà e quindi della possibilità di decidere: può avere la capacità di intendere, ma non di volere.
Il miglioramento della qualità della vita del paziente deve essere ottenuto comunque nel pieno rispetto
della sua soggettività (2).
Il fatto che nella legge 180/78 non sia espressamente richiesto alcun accertamento formale sulla validità o
meno del consenso del malato al trattamento sanitario,
alla sua continuazione o revoca, non significa ritenersi
esonerati da questo obbligo giuridico-deontologico.
Anche al paziente psichiatrico si riconoscono, fino a
prova contraria, spazi di libertà, di capacità, di responsabilità e di autodeterminazione, che vanno cercati e
tutelati nell’incontro e nel divenire del rapporto con
l’operatore psichiatrico.
ASPETTI GIURIDICI E MEDICO-LEGALI
DEL CONSENSO
La discussione in ambito giuridico riguardo l’attività
sanitaria ha condotto a orientarsi ormai quasi univocamente nel riconoscere la natura contrattuale del rapporto medico-paziente, riconducendo le reciproche
posizioni soggettive delle figure coinvolte (medico e
paziente) nella teoria generale delle obbligazioni.
Il diritto considera dunque il rapporto medico-paziente come un contratto o obbligazione, cioè un rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto – detto
debitore – è tenuto a un determinato comportamento
nei confronti di un altro soggetto – detto creditore –
che può pretendere quel comportamento. Entrambi
sono tenuti alla correttezza nei reciproci rapporti ai
sensi del codice civile (art. 1175), ma solo al debitore
della prestazione, cioè al medico, è richiesto il dovere
della diligenza (art. 1176), che diviene così criterio di
valutazione della condotta in caso di inadempienze
contrattuali.
Appare, inoltre, importante evidenziare che il consenso alla terapia psichiatrica non possa considerarsi
alla stregua di quello dato dal paziente prima di un intervento chirurgico, ma sia piuttosto l’adesione sempre
più convinta a un trattamento, nel senso che il processo della cura, aiutando il paziente a recuperare progressivamente il proprio equilibrio psichico, viene a
fornire al malato i mezzi per esprimere un consenso
sempre più concreto e valido, partendo da una situazione di insufficiente conoscenza e di scarsa informazione, con l’intervento iniziale avviato solo da condizioni soggettive di disagio o addirittura da sollecitazioni esterne (per es., la famiglia) (1).
IL CONSENSO INFORMATO NEGLI STUDI CLINICI
CHE COINVOLGONO PAZIENTI PSICHIATRICI
Uno studio di survey svolto nel 1994 in Francia su
10.000 cittadini francesi ha dimostrato che dal 50 al
74% di essi era a conoscenza che per testare nuovi farmaci erano necessari degli studi clinici sull’uomo, ma
solo il 20% di essi sapeva che una recente legge francese era stata varata al fine di proteggere i diritti dei
soggetti partecipanti a studi clinici (3).
Fino all’istituzione dei Comitati Etici avvenuta nel
1998, probabilmente una larga parte della popolazione
era stata sottoposta a sperimentazione clinica senza esserne adeguatamente informata!
La tradizione bioetica europea nella relazione medico-paziente rispetta tre principi:
– principio di beneficio della cura;
– principio di giustizia;
– principio di rispetto della persona.
Poiché il “paternalismo” medico può dichiararsi superato, ormai è riconosciuto largamente il fatto che sia
doveroso coinvolgere il malato nelle decisioni mediche
e ciò ancora di più nel caso delle sperimentazioni cliniche.
Le componenti di un valido consenso espresso da
un malato sono:
LA RICERCA CLINICA CONCORDATA
La ricerca clinica concordata si riferisce a un’“alleanza di lavoro”, per esempio per la somministrazione di un nuovo farmaco, ma anche nelle eventuali ap-
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– capacità decisionale o competence, intesa come capacità di decidere qui e ora autonomamente in merito a un determinato problema;
– libertà decisionale;
– informazione adeguata, cioè adeguatamente data e
adeguatamente recepita.
Per quanto attiene al soggetto affetto da malattia
psichiatrica, esso può essere in grado di prendere una
certa decisione, e viceversa un soggetto può non essere psichicamente malato e tuttavia non essere in grado
di decidere.
La competenza decisionale va considerata di volta
in volta. Per riconoscere la competence può essere dirimente l’iter “processuale” teso a rilevare che:
– il soggetto sia in grado di comunicare con il curante;
– dia qualche segno esteriore a indicare di aver compreso e apprezzato l’informazione e di essere pronto a decidere;
– mostri di intendere le alternative;
– mostri di capire la gravità e le conseguenze del “non
intervento”;
– dia una risposta coerente e fondata su ragioni;
– persista nelle conclusioni decisionali da lui espresse.
Per consentire al sanitario di rappresentare fedelmente le istanze che subentrassero di non-competence,
di converso è stata proposta l’introduzione dello Psychiatric Will, cioè l’impiego di direttive anticipate dal
paziente, ancora capace di intendere, di esprimere i
propri desideri di cura in merito a condizioni future,
ipotetiche, di non-competence.
Inoltre, per garantire che venga ottenuto un valido
consenso informato ai malati, dovrebbe essere previsto
un consent auditor, figura preposta all’osservazione e al
controllo del processo di consenso. Compete poi ai Comitati Etici farsi garanti dell’analisi dei testi dei consensi informati da somministrare ai pazienti da inserire in
studi clinici, affinché essi rispondano ai criteri di adeguatezza, esaustività, chiarezza e semplicità richiesti (4).
L’eccessiva lunghezza dei testi di certi consensi informati, per esempio, può portare a seri problemi di comprensione e lettura per un paziente affetto da un episodio
acuto di disturbo bipolare (sia maniacale o depressivo)
in quanto sappiamo quanto la concentrazione e i livelli
di attenzione siano alterati in questi soggetti durante gli
episodi acuti.
Molti studi sono stati pubblicati sul modo di migliorare la comprensione del consenso ai trattamenti in
ambito di ricerca clinica (sia essa terapeutica o non-terapeutica) e rendere più efficace e sicuro l’insieme degli interventi educazionali in tale campo (5). È stato dimostrato che il livello culturale è direttamente proporzionale al grado di comprensione di uno studio presentato dal medico.
Sono stati individuati molteplici interventi utili nel
controllare efficacemente un corretto feedback da parte del paziente (6). Essi sono:
– adottare delle open-ended questions e cioè domande del tipo “Che cosa?”, “Dove?”, “Quanto spesso?”, “Quando?” e “Per favore mi descriva…”. Ad
esempio: “Mi descriva con parole sue lo scopo di
questo studio”. Oppure: “Che cosa vorrebbe sapere
più precisamente?”.
– evitare le close-ended questions del tipo: “Ha compreso?”, oppure “Ha altre domande?” (che prevedano risposte del tipo “si”/”no”);
– dare tempo al paziente di riflettere sulle informazioni che a volte sono molte e complicate;
– curare con particolare attenzione la scelta del linguaggio che deve essere semplice ma preciso, ed evitare termini e frasi “troppo tecniche”;
– invitare a partecipare, non raccomandare la partecipazione;
– riassumere solo allo scopo di chiarire, ma essere
esaurienti al tempo stesso;
– rivolgersi alla terza persona singolare : “lei è stata…”.
Affinché il paziente possa poi essere in grado di dare un consenso veramente informato, oltre alla comprensione deve anche essere edotto non solo degli scopi e delle modalità di svolgimento dello studio, ma anche aver recepito le seguenti informazioni:
– quanti pazienti prima di lui sono stati trattati con
quel farmaco;
– che lo studio è coperto da confidenzialità dei dati;
– dei rischi conosciuti del trattamento, ma sapere anche che potrebbero esserci dei rischi non ancora conosciuti;
– di possibili trattamenti alternativi e i rischi di un
eventuale non trattamento;
– che la sua partecipazione, essendo volontaria, può in
ogni momento essere revocata dal paziente stesso,
senza che ciò rechi pregiudizio alcuno affinché egli
possa ricevere cure mediche tradizionali.
Rimane, però, problematico l’ottenimento del consenso da parte di malati psichiatrici e non a partecipare a studi clinici randomizzati non terapeutici (vedi
studi pilota che coinvolgono per la prima volta pazienti e non volontari sani, studi di dose finding e primi studi di efficacia che potrebbero necessitare di confronti
con placebo).
IL PLACEBO
Grazie al lavoro delle Consensus Conference sulla
metodologia di svolgimento dei trial clinici del 1989, al
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sce deboli della popolazione: “Occorre tutelare in modo particolare le persone che non sono in grado di dare validamente il proprio consenso a una sperimentazione clinica. Queste persone non possono essere incluse in sperimentazioni cliniche se gli stessi risultati
possono essere ottenuti su persone che sono in grado
di dare il proprio consenso. Tali persone devono di
norma partecipare a studi soltanto qualora vi sia motivo di ritenere che la somministrazione del farmaco rechi al paziente un beneficio diretto superiore ai rischi
(cioè soltanto in sperimentazioni ‘terapeutiche’)”.
E prosegue al punto 4): “ […] nel caso di […] persone affette da demenza, pazienti psichiatrici, ecc., l’inclusione nelle sperimentazioni cliniche deve avvenire in
base a criteri ancora più restrittivi. I farmaci […] possono essere somministrati a tali soggetti solo se vi sia motivo di ritenere che tale somministrazione rechi beneficio diretto ai pazienti superiore ai rischi. In tali casi è necessario il consenso scritto del rappresentante legale del
paziente, dato in collaborazione con il medico curante”.
La Convenzione Europea di BioEtica del Consiglio
d’Europa tenutasi a Oviedo nel 1995 (10) sottolinea il
primato morale della singola persona e l’assoluta indisponibilità della sua integrità fisica (sia pure per un significativo beneficio per la collettività) allorché non vi
sia un consenso, ossia un esplicito e consapevole gesto
di solidarietà.
Comunque né per le sperimentazioni “terapeutiche”, né tanto meno per quelle “non terapeutiche”, il
consenso del soggetto può essere sostituito da quello
del rappresentante del malato o da un controllo di un
Comitato di Bioetica.
Il Consiglio delle Organizzazioni Internazionali delle Scienze Mediche (CIOMS) nel documento “Direttive etiche internazionali per la ricerca biomedica condotta su soggetti umani” (11) scrive:
“Prima di intraprendere una ricerca su soggetti che,
per disturbi mentali o comportamentali, non sono capaci di prestare un consenso adeguatamente informato, il Ricercatore deve assicurare che:
– tali persone non saranno impiegate come soggetti in
ricerche che possono essere condotte ugualmente
bene su persone nel pieno possesso delle loro facoltà mentali;
– lo scopo della ricerca è quello di ottenere conoscenze attinenti alle particolari necessità sanitarie delle
persone affette da disturbi mentali e comportamentali;
– il consenso di ciascun paziente è stato ottenuto in
proporzione alle sue capacità, e un eventuale rifiuto
da parte del soggetto di partecipare a una ricerca
non terapeutica sarà sempre rispettato;
– nel caso di soggetti incapaci di acconsentire, il con-
Codice Deontologico e alla Dichiarazione di Helsinki
(7), l’utilizzo del placebo è stato molto ridimensionato
e permesso limitatamente alle seguenti condizioni:
– qualora non esistano trattamenti standard di provata efficacia per una determinata patologia;
– qualora l’entità morbosa o i sintomi da trattare siano di lieve rilevanza clinica;
– qualora le terapie disponibili si siano dimostrate
non superiori al placebo;
– qualora sia richiesto l’utilizzo per un particolare disegno sperimentale noto come double dummy (che
salva la cecità del trattamento, ma non priva i soggetti di entrambi i gruppi di confronto di un trattamento attivo);
– qualora la durata del trattamento con placebo sia
così breve da non ritardare significativamente l’uso
del farmaco attivo (periodi di wash-out o run-in fra
trattamenti).
Per le condizioni psichiatriche, sia per la gravità delle stesse sia per la possibilità ormai di avere a disposizione molte molecole di provata efficacia, sia infine
per l’importanza ormai dimostrata di una migliore
prognosi se le cure farmacologiche sono intraprese
precocemente, riteniamo che l’uso del placebo sia da
evitare.
A tale proposito ricordiamo le parole della Dichiarazione di Helsinki: “I benefici, i rischi, il peso e l’efficacia di un nuovo metodo dovrebbero essere testati verso quelli che sono i migliori metodi terapeutici, preventivi e diagnostici a disposizione. Questo non esclude l’uso del placebo o del “non trattamento” in situazioni dove non esistano metodi di provata efficacia
preventiva, terapeutica o diagnostica”.
Nell’esperienza del Comitato Etico dell’Azienda
Ospedaliera di Padova, di cui una delle Autrici (GM) è
stata membro, solo in alcuni studi sul disturbo depressivo di gravità lieve-moderata è stato permesso l’uso
del placebo nel primissimo periodo di cura (1a settimana) per garantire un wash out e perché è stato dimostrato che la condizione depressiva è responsiva a un
trattamento con placebo in circa il 3% dei casi. È stato
comunque chiesto un attento monitoraggio clinico da
parte degli sperimentatori in tale periodo.
NORMATIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento Europeo con la Direttiva 2001/20/CE
del 4 aprile 2001 (8) – recepita nel Decreto Legislativo
n.211 del 24 giugno 2003 (9) ed entrata in vigore in Italia nel gennaio 2004 – ha inteso armonizzare le leggi
sulle sperimentazioni cliniche in vigore nei vari stati
dell’Unione Europea e si esprime così riguardo alle fa-
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senso informato viene ottenuto dal tutore legale o
da altro rappresentante debitamente autorizzato;
– l’entità del rischio inerente a interventi non destinati a giovare al singolo soggetto è bassa e commisurata all’importanza delle conoscenze attese;
– gli interventi intesi a fornire benefici terapeutici
hanno la probabilità di essere per lo meno altrettanto vantaggiosi per il singolo soggetto quanto ogni
altra alternativa”.
(quelle che di solito si danno al paziente), presentazioni illustrate e semplificate;
2. chiarire il therapeutic misconception (bene individuale e collettivo = studi terapeutici e sperimentali);
3. uso di ripetizioni, interviste su corretto feedback,
multiple learning trials;
4. dare tempo:
→ strategia: portare a casa per 2 o 3 giorni le informazioni scritte prima di dare il consenso.
Infine, è stato osservato che la discussione orale con
il medico non sembra aggiungere niente alla comprensione.
Inoltre, alcuni recenti studi hanno evidenziato che:
– in termini di comprensione i pazienti affetti da depressione non presentavano alcuna differenza rispetto ai controlli sani;
– i pazienti schizofrenici normalizzano la loro performance di comprensione con un buon intervento
educazionale che coinvolga anche un familiare o altra persona affettivamente rilevante per loro;
– predittori di performance: livello di istruzione, ricchezza di vocabolario, età.
I pazienti schizofrenici si avvantaggiano di interventi
educazionali e solo quelli con forti alterazioni cognitive
hanno capacità decisionale e di comprensione alterate.
In sintesi, l’uso di nuove tecnologie (video, web-based, tecnologie interattive), che valutino a distanza il
mantenimento della memoria sullo svolgimento dello
studio appreso all’inizio del trial, e di test e procedure,
che riescano a individuare i fattori di rischio e a valutare la reale capacità decisionale e di comprensione di
soggetti vulnerabili da inserire negli studi, dovrebbero
rendere più praticabile il processo di consenso informato, migliorando la protezione dei diritti dei soggetti
psichiatrici sottoposti a ricerca clinica.
COME VALUTARE LA COMPETENCE E
MIGLIORARE IL PROCESSO DI CONSENSO
La determinazione della competence di un soggetto
a dare il suo consenso informato è un problema centrale nella valutazione della sua espressione di consenso a un intervento medico. La capacità di esprimere
adeguatamente un consenso può essere compromessa
in certi stadi della vita (bambini, anziani) e durante
certe malattie.
Pazienti in situazioni limite, pazienti psichiatrici, pazienti affetti da demenza o da altre condizioni che ne
alterino le capacità cognitive possono essere limitati o
totalmente inabili nella loro capacità di fornire un consenso (12).
Studi di confronto su pazienti affetti o meno da disturbi psichiatrici hanno dimostrato che la malattia
psichiatrica non è un fattore di rischio e non predetermina se un paziente può comprendere o meno informazioni chiave (5). Anzi, molti studi dimostrano che
soggetti psichiatrici sono perfettamente capaci di prendere decisioni in questo campo.
Il concetto di “comprensione” coinvolge varie abilità cognitive quali attenzione, cognizione, memoria,
ma nel paziente psichiatrico in cui il legame con il proprio terapeuta è forse più pregnante rispetto ad altro
tipo di paziente, anche le influenze psicologiche soggettive si fanno più sentire (autorità, potere suggestivo
del terapeuta). Dovrebbe quindi assurgere a norma
etica quella di definire bene i ruoli di clinico del paziente e di ricercatore. Tali figure dovrebbero essere
ben distinte non essendo etico che lo psichiatra abituale di un paziente si trasformi in investigatore di un
trial clinico e recluti i “suoi” stessi pazienti (13)!
Di seguito vengono delineate alcune delle possibili strategie che potrebbero favorire la soluzione del
problema del consenso informato nei pazienti psichiatrici:
1. problema del ricordo insufficiente a distanza di tempo:
→ strategia: ravvivare la memoria con un colloquio
telefonico o la visita di un infermiere. Provvedere
dei video sull’argomento, informazioni scritte
QUESTIONI ANCORA DIBATTUTE
Un’approfondita rassegna (13) indica e commenta
una serie di questioni che non hanno ancora trovato soluzioni soddisfacenti e univoche nel campo dell’etica della ricerca, in generale, e del consenso informato, in particolare. Gli argomenti sono stati discussi da istituzioni come la Food and Drug Administration, i National Institutes of Health e l’Office for Human Research Protection
e compaiono nelle linee-guida nazionali dei Comitati
Etici (Institutional Review Boards) degli Stati Uniti.
Viene discussa la scelta dell’entità degli “incentivi”
economici alla partecipazione agli studi, visti come potenzialmente coercitivi alla partecipazione se non
commensurati al contributo che i pazienti stessi forniscono partecipando. Anche la fluttuazione della capa-
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cità decisionale dei pazienti affetti da disturbi psichiatrici può aggravare ulteriormente tale problematica. In
Italia solo eccezionalmente sono previsti compensi ai
pazienti reclutati per una ricerca e sempre e soltanto
modesti e sottoforma di “rimborso spese”. Ma come
può essere compensato il rischio di ricaduta all’interno
di uno studio clinico? Pazienti inseriti in trial spesso
vengono avviati a cambi di terapia (quelle previste dal
trial stesso) e gli sponsor dovrebbero essere obbligati a
provvedere finanziariamente alla cura della ricaduta
con la fornitura di farmaco di provata efficacia.
Rimane da chiarire come meglio trasmettere al paziente il concetto dell’assegnazione randomizzata ai trattamenti e quanto deve essere approfondita e ben documentata la notizia che viene data nei consensi sulla possibilità di trattamenti alternativi alla terapia in studio.
Per quanto riguarda gli studi che prevedono fasi di
mantenimento a lungo termine (alcuni anni), è opportuno che il consenso informato venga riproposto a cadenza almeno annuale.
Altri capitoli da perfezionare e che necessitano ancora di risposta sono quelli riguardanti le informazioni
da fornire a popolazioni speciali come bambini, adolescenti, donne in età fertile e anziani. Fermo restando il
concetto già espresso che in popolazioni affette da disturbi psichiatrici e per di più appartenenti a età estreme della vita come anziani e minori, risulta etico permettere e limitarne la partecipazione solo a quegli studi clinici che abbiano finalità terapeutiche e non di sola ricerca scientifica; sicuramente la ricerca psicofarmacologica ha necessità di svolgere seri trial in età pediatrica e adolescenziale, in quanto per i farmaci a uso
pediatrico si estrapolano spesso i dati dagli studi svolti
sugli adulti e la risposta ai farmaci nella pratica clinica
può risultare inaspettatamente e drammaticamente
differente; inoltre, ben poco si sa sugli effetti degli psicofarmaci sullo sviluppo cerebrale soprattutto nell’età
di passaggio rappresentata dalla pubertà.
Per quanto riguarda la partecipazione agli studi di
pazienti minori di età, è necessario che al consenso dei
genitori o dei tutori si affianchi l’assenso dei minori
stessi, a cui si deve fornire spiegazione adeguata dello
studio stesso. Rimane da chiarire a quale età del bambino (il grado di maturazione e di consapevolezza può
variare grandemente da soggetto a soggetto) è giusto
proporre l’assenso e come possono essere affrontati
sia la maggior suscettibilità dei giovani pazienti alla
pressione individuale e sociale, sia il loro timore di essere stigmatizzati per un eventuale rifiuto.
Per quanto riguarda le donne in età fertile, il consenso informato dovrebbe sempre contenere la notizia
che per i farmaci in sperimentazione non si hanno dati certi sul potenziale di embrio- o fetotossicità e di te-
ratogenesi, da cui la necessità di una copertura anticoncezionale che alcuni Comitati Etici chiedono addirittura sia doppia, cioè della donna e del partner.
Infine, con i pazienti anziani con diminuita capacità
di fornire un giudizio e un consenso valido, il ricercatore e il Comitato Etico stesso si assumono maggiori
responsabilità etiche e dovrebbero comunque cercare
di ottenere un valido assenso di essi alla partecipazione. Rimane da delineare, invece, una guida per il reclutamento nei trial di pazienti debolmente confusi, che
rappresentano una via di mezzo fra i competenti a dare un valido consenso e i pazienti francamente affetti
da demenza.
Forse risposte nette e univoche non possono esserci, ma i protocolli devono di volta in volta essere valutati alla luce del rapporto tra benefici e rischi nel contesto dei bisogni e delle capacità dei soggetti da coinvolgere.
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