SCALA ESATONALE o A TONI INTERI (Emanuele Pasqualin) Comunemente conosciuta come scala di Debussy, l'autore francese più conosciuto che la utilizzò, non entrò comunque in uso grazie a lui. Una scala di 5 toni interi (SOL – FA – MIb – REb – DOb) era infatti già stata impiegata nel 1818 da K. Loewe (in Edward); F. Schubert (Ottetto, 1824) e M. Glinka (Ruslan e Ljudmila, 1842) scrissero melodie impiantate sulla scala esatonale; infine Liszt ne fece la base per un nuovo sistema armonico (Pensée des morts, "Sursum corda" da Années de Pèlegrinages, III). Il principio fu poi ripreso intorno al 1870 in Russia (Borodin, Rebikov), più tardi in Francia (Dukas e, appunto, Debussy), quindi in Germania (Schönberg, R. Strauss) e in Italia (Puccini, Busoni). Dopo aver conosciuto grande favore, all'inizio del sec. XX, la scala esatonale fu abbandonata a causa delle limitate possibilità che offre. Vale aggiungere, a questo proposito, l’affermazione di Olivier Messiaen, che nel suo Technique de mon langage musical, pur includendo tra i suoi modi a trasposizione limitata anche la scala a toni interi, ne evita esplicitamente l’uso in quanto “Claude Debussy (in Pelléas et Mélisande) e, dopo di lui, Paul Dukas (in Ariane et Barbebleue) ne hanno fatto un uso talmente notevole che non c’è più nulla da aggiungere”1. Arnold Schönberg, rifiutando l’ipotesi che questa scala possa avere avuto origine su influsso di culture extraeuropee, ritiene che “la scala per toni interi sia nata da sé nella mente di tutti i musicisti del nostro tempo come conseguenza naturale degli ultimi sviluppi della musica”2. E aggiunge inoltre: “ Debussy impiega questo accordo [la triade eccedente, n.d.c.] e questa scala più nel senso di un mezzo espressivo impressionistico, quasi in funzione di timbro (come anche Strauss nella Salomé)3 […] è un artificio di deliziosa efficacia coloristica”4. Scale esafoniche Il termine esatonale non è sinonimo di esafonico. Scale esafoniche sono: 1. l'esafonica simmetrica, 2. la Prometheus, 3. la scala Prometheus napoletana 4. la scala a toni interi, l’unica ad essere esatonale. Vedere Es. 1-2-3-4 La tecnica di costruzione dei sette modi diatonici e dei cinque pentatonici produce sei modi per ciascuna scala esatonica per toni interi. Si può più facilmente evitare la monotonia armonica nelle scale esatoniche “pure” che in quelle pentatoniche per 1 Cit. in P. Hill: Olivier Messiaen – Dai canyon alle stelle. Milano-Il Saggiatore, 2008 p. 30. A. Schönberg: Manuale di Armonia. Milano- Il Saggiatore, 2008, p.488-489. 3 Ibidem, p. 496 4 Ibidem, p. 497 2 via dell'intervallo aggiuntivo. Le melodie derivate da queste scale sono spesso armonizzate con accordi che derivano da altre scale o con accordi che non hanno relazione tra loro. La scala esatonica (tranne quella per toni interi) ha principalmente una funzione melodica. Quando viene adoperata come fonte di ispirazione melodica, sviluppa una linea indipendente e unitaria. A volte l'armonia viene attirata nell'orbita tonale della melodia, ma nella maggior parte dei casi l'armonia non è esatonica e si muove indipendentemente dalle implicazioni melodiche. La tensione di consonanza e dissonanza causata dalle due forza separate crea una propria forma che varia e un proprio profilo. Nei passaggi esatonici le due entità forti, melodia e armonia, creano spesso situazioni politonali. (Es. 5) Scala esatonale Consiste nella suddivisione dell'ottava in 6 parti uguali, da cui risulta una successione di toni interi temperati, ossia 6 intervalli di 2a maggiore. Questa scala, come scala pentatonica in tale condizione, viene detta anche anemitonica, cioè priva di semitoni. Questa caratteristica determina l’assenza di un centro tonale stabile: una qualsiasi delle sei note può indifferentemente essere considerata come base, una melodia pertanto può iniziare e concludersi su qualsiasi grado. Olivier Messiaen l'ha catalogata come Primo modo a trasposizione limitata per il fatto che essa presenta solo due soli “aspetti” possibili (cioè senza note comuni) distanti un semitono l'una dall'altra, essendo dodici le altezze all'interno dell'ottava. Do Re Reb(Do#) Mi Mib(Re#) Fa#(Solb) Fa Sol#(Lab) Sol La#(Sib) La Si Nella scala esatonale mancano poli d'attrazione, ovvero gli intervalli fondamentali di 4a e 5a giusta) e zone di tensione (che nella scala diatonica sono determinate dalla sensibile e dalla 7a di dominante). Le sei triadi costruite sui gradi sono invariabilmente aumentate (o eccedenti; per es.: Do Mi Sol#, Re Fa# La#, ecc.) e quattro di esse altro non sono che i rivolti delle prime due. Esistono una sola specie di accordi di settima, uno di nona e una categoria di accordi per seconde (Es. 6). Al contrario di quanto avviene nel sistema tonale, le triadi non hanno il senso di dissonanze. Si può anzi dire che intervalli e accordi sono sempre consonanti, poiché non necessitano di concatenazioni e risoluzioni obbligate. Tale situazione, oltre a conferire staticità alla scala esatonale, causa anche la sospensione del cosiddetto "ritmo armonico": viene a ridursi considerevolmente la differenza tra accenti forti e accenti deboli, e il ritmo si limita a essere un semplice sistema di rapporti di durate. Da: Armonia del Ventesimo secolo di V. Persichetti, pp. 47-54.5 I materiali derivati dalla scala esatonale per toni interi vengono valorizzati quando si usano certi espedienti per prolungare l'interesse armonico. Questi sono: il moto contrario (Es. 7), l'alternanza delle due scale (Es. 8), il suono simultaneo nell'armonia di tutte sei le note (Es. 9), il cambiamento di densità e delle ampiezze intervallari (Es. 10), l'impiego simultaneo di entrambe le scale esatoniche per toni interi (Es. 11). Il vero valore della scala esatonica per toni interi risiede nel contrasto che essa crea quando è usata in combinazione con altre scale e tecniche. Quando è fusa con altre strutture può essere stimolante da un punto di vista creativo. Per esempio una melodia esatonica per toni interi armonizzata con accordi estranei alla scala (Es. 12), una melodia diatonica creata sopra un'armonia esatonica per toni interi (Es.13), accordi diatonici per toni interi trasformati in accordi con note aggiunte (che formano intervalli di seconda minore (Es.14), l'alternanza di passaggi derivati o meno dalla scala esatonica per toni interi (Es.15), e infine la scala esatonica per toni interi combinata con altre scale (Es.16). Composizioni esatonali: B.Bartok: Mikrokosmos, Vol V, n.136 (Boosey & Hawkes) Alban Berg: Sieben Frühe Lieder, p. 3 (Universal) C. Debussy: Preludes Vol. I, p. 3 (Durand) P. Hindemith: Neues vom Tage (rid.), p. 171 (Schott) Il modalismo in Debussy Della variegatissima tavolozza melodica e armonica cui fa ricorso Debussy, quel che qui interessa in particolare è l'assunzione di procedimenti più o meno esplicitamente fondati sulla modalità, intesa sì in un'accezione ampia almeno quanto lo esige l'epoca in cui il compositore opera, ma strutturata al punto da potersi ancora porre in maniera pertinente come sistema classificatorio. Almeno tre sono le vie che Debussy intraprende nell'esplorazione di questo territorio: la modalità diatonica eptafonica, il pentafonismo diatonico anemitonico e l'esatonalismo. La prima via menzionata si fonda sul sistema degli antichi modi ecclesiastici. Sulla loro assunzione da parte di Debussy la critica non sembra concorde, giacché da un lato, si sostiene che egli ne avrebbe acquisito la conoscenza direttamente dal 5 Milano-Guerini, rist. it. 2012 pp. 50-53. repertorio delle chiese parigine, dall'altra invece si asserisce che tale conoscenza sarebbe derivata dalla musica russa del gruppo dei Cinque; quel che è certo, ad ogni buon conto, è che nella musica di Debussy il ricorso ai modi ecclesiastici sembra andare ben oltre la pura citazione o il ricorso occasionale ad effetti coloristici, per diventare piuttosto un vero e proprio mezzo costruttivo e una marca stilistica. Si pensa per esempio a Le Martyre de Saint-Sébastian, dove, secondo Guido Turchi, a parte l'uso di triadi "perfette" ora in sequenze melodiche – d'altronde frequenti in Debussy – ora ristabilite in clima polifonico "arcaico"... l'invenzione trascorre fra molteplici mutazioni modali già nel Prélude della prima parte, in cui l'iniziale tono di Mib fluisce poi ambiguamente tra il primo e il quinto modo in vista di una stabilizzazione sul tono del V grado (Sib), che decisamente procede nell'ordine modale di Mi (il "frigio" per il quale Debussy aveva già mostrato una certa predilezione nell'esordio del Quartetto)". E si ricordi anche, all'inizio del Pèlleas et Mélisande, quella sequenza accordale in un inequivocabile modo dorico su re che contraddistingue l'apparizione di Mélisande all'aprirsi del sipario. L'impiego del pentafonismo in Debussy ha dato luogo a non pochi equivoci. E' noto che in occasione dell'Esposizione universale di Parigi del 1889 egli ebbe occasione di ascoltare musiche tradizionali giavanesi, il cui sistema sonoro si fonda sui modi slendro e pelog: il primo è un modo pentafonico solo molto vagamente equalizzato: gamelan Madukentir - terza 8a: 1 234 2 253 3 265 5 238 6 236 1 il secondo è un modo eptafonico di cui si impiegano di solito cinque soli suoni, che mostra l'accordatura pelog della quarta 8a del gamelan Madukusuma, il che dà luogo a qualcosa che solo molto alla lontana assomiglia ai modi pentafonici diatonici anemitonici di cui si è parlato nelle pagine precedenti. In alcune composizioni di Debussy successive al 1889, l'utilizzo intensivo di modi pentafonici anemitonici ha fato pensare ad un' intenzionale evocazione del mondo musicale giavanese, come ad esempio in questo passo tratto da "Pagodes" (n.1 della raccolta per pf. Estampes, 1903), basato sul modo pentafonico anemitonico dato dai suoni sol # si do# re# fa# sol#'. Per la verità, più che l'impiego della scala pentafonica – la cui intonazione "temperata" è molto diversa da quella propria del modo pelog – ciò che in questo passo sembra evocare la musica tradizionale giavanese è piuttosto l'utilizzazione di un tipo di scrittura polifonico-contrappuntistica che si rifà fortemente ad alcune caratteristiche peculiari del gamelan, una scrittura eterofonica costituita da una melodia nucleare lenta nelle parti gravi, da eventi mediamente mossi nelle pareti centrali e da eventi più rapidi nelle parti acute. Ma a parte queste considerazioni, il fatto interessante è che, come ha efficacemente dimostrato Constantin Brailiou, Debussy aveva cominciato ad impiegare il pentafonismo fin dalle prime melodie per voce e pianoforte, quindi ben prima del 1889, come ad esempio in Fleur des blés (circa 1880) o Romance (1883). Pentafonismo che egli avrebbe poi trasformato in un mezzo costruttivo altamente caratterizzante il suo intero percorso compositivo, e sfruttato in tutte le possibili combinazioni scalari. La terza via al modalismo che abbiamo segnalato nella scrittura di Debussy è l'esatonalismo: derivato dalla scala per toni interi, esso è sostanzialmente un modo esafonico equalizzato o per toni interi. Si osservi a tal proposito l'apertura (prime sei battute) di Voiles (n.2 dei Préludes, I, 1910). In questo caso si potrebbe ipotizzare un riferimento allo slendro (quasi) equalizzato, seppure l'8a utilizzata in Voiles sia suddivisa in sei intervalli anziché cinque e si presenti come un modo esafonico equalizzato o per toni interi (del resto il modo esafonico per toni interi sembra derivare quasi spontaneamente dall'8a cromatica dodecafonica a temperamento equabile: basta prendere un suono sì e uno no!). Prima di lasciarsi andare a facili e suggestive interpretazioni, non si dimentichi che altri compositori prima di Debussy – e a Debussy certamente noti – avevano utilizzato un modo di questo genere, come ad esempio Liszt e Rimsky Korsakov, senza certamente derivarlo dalle culture musicali dell'Estremo Oriente. E si tenga pure presente, a proposito dello slendro trasformato in modo pentafonico anemitonico, il fatto che proprio nei primi anni del Novecento diversi folkloristi, tra cui Cecil J. Sharp in Inghilterra e Béla Bartok in Ungheria, stavano cominciando a documentare raccolte di canti popolari denuncianti forti presenze di modi pentafonici anemitonici del tutto simile allo slendro "temperato" impiegato da Debussy. (L. Azzaroni: Canone infinito. Bologna-Clueb 1997, pp. 251-4) Claude Debussy Debussy è stato ed è tuttora, per molti musicisti anche d'avanguardia, una presenza effettiva, e non manca chi non esita, a dispetto dei dati anagrafici, a porre il compositore francese accanto a Schönberg, Stravinski e Bartok, come di un caposcuola a cui la musica contemporanea deve molto. E' inutile, nello sforzo di evitare a tutti i costi la banalità, schivare il discorsetto sull'impressionismo, movimento al quale solitamente si suole legare il nome di Debussy. In effetti la componente impressionistica del musicista francese è un dato di fatto: alla noia s'è ripetuto che il "colore" prevale sul disegno, ma questo particolare tecnico-formale esige una spiegazione. Se l'impressionismo ha voluto significare la liberazione musicale della "sensazione" a contatto con la materia sonora, questa aspirazione va messa immediatamente in relazione con il superamento di ogni residuo estensivo, la contestazione della limpidità classica, del discorso articolato, conseguente e simmetrico. E' proprio qui che si coglie quel legame che, nonostante tutto quanto è accaduto nel frattempo in campo musicale, sotterraneamente scorre tra Debussy e la "nuova musica". Il linguaggio della tradizione classica e romantica europea si fondava infatti sulla nozione di "discorso" compiuto, sui rapporti di carattere gerarchico tra suoni più o meno importanti, sui "gradi" della scala, insomma, sugli accordi dissonanti che tendevano a risolvere su accordi consonanti, su centri gravitazionali precisi, anche se poi il ricorso alla modulazione eccezionale degli accordi poteva imprimere agli svolgimenti una carica di sviluppo pressoché illimitata e il cromatismo condurre a repentine modulazioni ai toni anche più lontani. Il compito di corrodere il sistema tonale dall'interno, fino ad ottenere la negativa fotografica della tonalità, sarà svolto dagli espressionisti, che si porteranno di fronte alla tradizione, Schönberg primo fra tutti, in modo fortemente critico, dando contributi decisivi anche sul terreno teorico. Debussy segue una diversa strada, consona al suo temperamento aristocratico, in armonia con le sue letture dei poeti simbolisti: la dissonanza non viene infatti esasperata in antitesi perenne con la consonanza, non si danno un prima e un poi; non è che uno dei tanti modi possibili di associare i suoni in agglomerati accordali liberi da leggi precostituite. Né si può dire che l'alone prevalga sulla forma precisa, o che in Debussy sia assente il tematismo: solo che questo tematismo è fratto, si scinde in una miriade di incisi, di richiami, ove non c'è nulla di "svagato" e di anti-strutturale: è vero il contrario, cioè che tutto diventa struttura, dal timbro al segmento melodico, dal ritmo alla disposizione orchestrale, dalla scelta per esempio dei registri pianistici o dei modi d'emissione vocale. Il ricorso a modi esatonali, cioè alla scala per toni interi, seppure saltuaria in Debussy e perciò non mitizzabile come è stato fatto talvolta, è pur sempre un sintomo della tendenza all'eliminazione delle tensioni discorsive, di un'aspirazione alla staticità che trova riscontro in certe concezioni musicali extraeuropee e soprattutto asiatiche; e non è chi non veda come tale atteggiamento sia da mettere in relazione con un desiderio, forse inconscio, di fuga dalla civiltà europea avviata verso la corrosione, da ogni deformazione della libera spontaneità. Perciò l'interna polifonia della musica debussyana non ha autentica vocazione contrappuntistica, ma appare il movimento interno di un tessuto armonico a cui l'equiparazione dei gradi della scala conferisce i caratteri di un "materiale" che può anche essere inteso, impressionisticamente, come "macchia sonora", e che, similmente alla musica orientale, deve essere "assaporato" a lungo perché riveli la propria essenza, rappresentando il suono in sé l'elemento strutturale di base. In questa visione musicale sottratta al culto razionalistico della simmetria ritmica estensiva sta il significato profondamente innovatore della musica di Debussy. (A. Gentilucci: Guida all'ascolto della musica contemporanea. Feltrinelli-Milano, 1969, pp. 132-4)