Geometria I
147
Figura 7: Icosaedro e dodecaedro
§ 17
Spazi affini euclidei e isometrie
Cfr: Sernesi, Vol I, Cap 2 [1].
(17.1) Definizione. Uno spazio vettoriale euclideo è uno spazio vettoriale E di dimensione
finita su campo R, munito di una forma bilineare definita positiva e simmetrica (cioè b : E ×
E → R è simmetrica e bilineare, e ∀x $= 0, b(x, x) > 0). Scriviamo
b(x, y) = %x, y& = x · y
e chiamiamo questo numero il prodotto scalare di x con y.28
(17.2) Definizione. La norma di un vettore x è definita da |x| = 'x' =
√
x · x.
(17.3) Definizione. Se x · y = 0, allora x e y sono ortogonali. Un insieme di vettori
{e1 , e2 , . . . , en } ⊂ E si dice ortogonale se i suoi elementi sono a due a due ortogonali: ∀i, j, i $=
j =⇒ ei · ej = 0, e ortonormale se è ortogonale e in più i vettori hanno norma uno, cioè
∀i, |ei | = 1. Se l’insieme di vettori {e1 , e2 , . . . , en } è una base per E, allora si dice che la base
è ortogonale (risp. ortonormale) quando lo è come insieme di vettori.
(17.4) Esempio. L’esempio standard di spazio vettoriale euclideo è E = Rn , con il prodotto
scalare canonico dato da
   
x1
y1
n
 x2   y2 
'
   
xi yi ,
% ..  ,  .. & =
. .
i=1
xn
yn
28
Una forma bilineare simmetrica non è un prodotto scalare, se non è definita positiva.
Geometria I
148
ossia ei · ej = δij .
(17.5) Esempio. Consideriamo lo spazio E di tutti i polinomi a coefficienti reali di grado al
più n:
p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + . . . + an xn .
È uno spazio vettoriale su R rispetto alla somma di polinomi e al prodotto per uno scalare.
Se p, q ∈ E, sia
( 1
%p, q& =
p(t)q(t) dt.
0
È uno prodotto scalare? È certamente bilineare, simmetrica e definito positivo (per esercizio
i dettagli: basta osservare che l’integrale di una funzione positiva o nulla p2 è nullo solo se la
funzione è zero, e se un polinomio è sero in [0, 1], allora è il polinomio nullo). Esiste una base
ortonormale in E? Come trovarla?
(17.6) (Disuguaglianza di Cauchy-Schwartz e disuguaglianza triangolare) Per ogni x, y ∈ E
si ha:
|%x, y&| ≤ |x||y|
|x + y| ≤ |x| + |y|.
Quindi la norma è una norma nel senso di (11.18 ) a pagina 94. E la distanza definita su E
da d(x, y) = |x − y| è una metrica (che rende E spazio topologico, con la topologia metrica),
nel senso di (1.1 ) a pagina 1.
Dimostrazione. Esercizio (9.3).
qed
(17.7) Il prodotto scalare e la norma sono legate dalle due identità (equivalenti)
|x + y|2 = |x|2 + |y|2 + 2%x, y&
*
1)
%x, y& =
|x + y|2 − |x|2 − |y|2 .
2
−
→
(17.8) Definizione. Uno spazio affine euclideo è uno spazio affine (X, X ) per cui lo spa−
→
zio delle traslazioni (dei vettori) X è uno spazio vettoriale euclideo. Un riferimento affine
−−−→ −−−→
−−−→
{A0 , A1 , . . . , An } di X è ortonormale se (A0 A1 , A0 A2 , . . . , A0 An ) è una base ortonormale per
−
→
X . Allora X è uno spazio metrico con la metrica definita da
−→
d(A, B) = |AB|,
−
→
dove la norma è la norma euclidea in X .
(17.9) Definizione (Spazio euclideo En ). Se Rn ha il prodotto scalare standard, allora lo
spazio affine An (R) è uno spazio affine euclideo, che indichiamo con il simbolo En .
Una isometria tra spazi affini non è altro che una funzione biunivoca che conserva le
distanze, e quindi:
Geometria I
149
(17.10) Definizione. Una isometria tra due spazi affini euclidei f : X → Y è una biiezione
tale che per ogni A, B ∈ X, |f (A) − f (B)|Y = |A − B|X (dove la norma | · |X è la norma di X
e la norma | · |Y è la norma di Y ).
Abbiamo visto che per (11.18) tutte le metriche indotte da prodotti scalari di E sono tra
loro equivalenti, e quindi inducono la stessa topologia. In realtà due spazi euclidei con prodotti
scalari qualsiasi risultano sempre isometrici, come segue dal seguente lemma.
(17.11) Ogni spazio affine euclideo di dimensione n è isometrico allo spazio standard En (con
il prodotto scalare standard).
Dimostrazione. Sia X uno spazio affine euclideo di dimensione n. Scelto un punto O ∈ X, si
−
→
ha la biiezione X ∼
= X data da
−→ −
→
x ∈ X /→ Ox ∈ X .
−
→
Ora, lo spazio vettoriale euclideo X ha sicuramente una base ortonormale (per esempio, con
il processo di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt) {e1 , e2 , . . . , en } ⊂ E, mediante la quale si
può scrivere un isomorfismo
−
→
f: X ∼
= Rn
definito da


%v, e1 &
 %v, e2 & 

f (v) = 
 ... 
%v, en &
−
→
La composizione X → X → Rn ∼
= En è una isometria. Vediamo per prima cosa come è
−
→
definita. Se x ∈ X, il vettore associato in X è x − O, che viene mandato da f in


%x − O, e1 &
 %x − O, e2 & 
.
f (x − O) = 


...
%x − O, en &
Ora, presi x, y ∈ X, se definiamo per ogni i = 1, . . . , n i numeri xi = %x−O, ei & e yi = %y−O, ei &
, si ha che
n
'
x−O =
xi ei
y−O =
e quindi
i=1
n
'
yi ei ,
i=1


x1
 x2 
 
f (x − O) =  ..  ∈ Rn
.
xn
Geometria I
da cui segue che
150
 
y1
 y2 
 
f (y − O) =  ..  ∈ Rn
.
yn
→
dX (x, y) = |x − y|−
X
→
= |(x − O) − (y − O)|−
X
n
'
→
=|
(xi − yi )ei |−
X
i=1
+
,'
n
'
, n
= -% (xi − yi )ei ,
(xj − yj )ej &
i=1
j=1
+
,'
, n
=(xi − yi )(xj − yj )%ei , ej &
i,j=1
+
, n
,'
= - (xi − yi )2
i=1
= |f (x) − f (y)|Rn = dRn (f (x), f (y)).
qed
(17.12) Siano X e Y spazi affini euclidei e f : X → Y una isometria (cioè una biiezione tale
che |f (x) − f (y)|Y = |x − y|X per ogni x, y ∈ X). Allora f è un isomorfismo affine (una
trasformazione affine invertibile).
Dimostrazione. Cominciamo a mostrare che f è una mappa affine, cioè, per la definizione
−
→
−
→
(15.1), che per ogni x ∈ X la funzione indotta sugli spazi vettoriali sottostanti X → Y
definita da
−
→
−
→
v ∈ X /→ f (x + v) − f (x) ∈ Y
−
→
−
→
è lineare. In realtà, per (15.5), basta farlo vedere per un solo x0 ∈ X. Sia T : X → Y la
−
→
funzione definita da T (v) = f (x0 + v) − f (x0 ). Per ipotesi si ha che per ogni v ∈ X
→ = |(x0 + v) − x0 |X
|v|−
X
= |f (x0 + v) − f (x0 )|Y
→,
= |T (v)|−
Y
e quindi la trasformazione T conserva la norma. Osserviamo anche che per v = 0 questo
implica che |T (0)| = 0, e quindi T (0) = 0 (dove qui con un abuso di notazione usiamo in
Geometria I
151
−
→
−
→
−
→
simbolo 0 sia per indicare 0X ∈ X che 0Y ∈ Y ). Se v, w ∈ X sono due vettori, allora si ha
→ = |(x0 + v) − (x0 + w)|X
|v − w|−
X
= |f (x0 + v) − f (x0 + w)|Y
= |f (x0 + v) − f (x0 ) + f (x0 ) − f (x0 + w)|Y
→,
= |T (v) − T (w)|−
Y
cioè
|T (v) − T (w)|2 = |v − w|2 .
−
→
Per la formula del parallelogramma (17.7), si ha quindi per ogni v, w ∈ X
−2%T (v), T (w)& = |T (v) − T (w)|2 − |T (v)|2 − |T (w)|2
= |v − w|2 − |v|2 − |w|2
= −2%v, w&,
cioè T conserva anche il prodotto scalare (non solo la norma).
−
→
Non rimane che finire dimostrando che T è lineare: siano a, b ∈ R due scalari e v, w ∈ X
−
→
due vettori. Allora, per ogni scelta di un terzo vettore e ∈ X si ha
%T (av + bw), T (e)& = %av + bw, e&
= a%v, e& + b%w, e&,
ed anche
%aT (v) + bT (w), T (e)& = a%T (v), T (e)& + b%T (w), T (e)&
= a%v, e& + b%w, e&,
−
→
cioè per ogni e ∈ X si ha
%T (av + bw), T (e)& = %aT (v) + bT (w), T (e)&.
Ora, dato che f è una biiezione, anche T lo è, per cui necessariamente deve essere
T (av + bw) = aT (v) + bT (w),
e quindi T è lineare. Per mostrare che è un isomorfismo, basta notare che è una biiezione, per
cui esiste l’inversa (che è naturalmente una isometria – vedi anche la definizione (15.6)). qed
(17.13) Una isomorfismo affine f : X → Y è una isometria se e soltanto se l’applicazione lineare associata L : v /→ f (x + v) − f (x) è una trasformazione ortogonale (cioè una
trasformazione lineare che conserva la norma o, equivalentemente, il prodotto scalare).
Geometria I
152
Dimostrazione. Nella dimostrazione della proposizione precedente (17.12) abbiamo di fatto
dimostrato anche che la trasformazione L associata ad una isometria conserva il prodotto
scalare e le norme (abbiamo usato questa proprietà per mostrare che è lineare), e cioè che è
una trasformazione ortogonale. Viceversa, supponiamo che un isomorfismo affine f : X → Y
abbia la proprietà che la trasformazione lineare associata L sia ortogonale. Allora L(v − w) =
−
→
L(v) − L(w) per ogni v, w ∈ X , e quindi per ogni x = x0 + v e y = x0 + w in X si ha
|f (x) − f (y)| = |f (x0 + v) − f (x0 + w)|
= |f (x0 + v) − f (x0 ) + f (x0 ) − f (x0 + w)|
= |L(v) − L(w)|
= |v − w|
= |x0 + v − (x0 + w)|
= |x − y|,
cioè f è una isometria.
qed
(17.14) Proposizione. Le isometrie tra spazi (affini) euclidei si scrivono, scelti sistemi di
riferimenti ortonormali, come
x /→ Ax + b,
dove A ∈ O(n) è una matrice ortogonale e b un vettore.
Dimostrazione. Come la dimostrazione di (15.10) (esercizio (9.2)).
qed
(17.15) Le traslazioni sono isometrie.
Dimostrazione. Vedi esercizio (9.4).
qed
Dato che una matrice ortogonale A ∈ O(n) ha determinante uguale a ±1, la parte lineare
di una isometria di En può avere determinante 1 oppure −1 (cioè essere in SO(n) oppure no).
(17.16) Definizione. Una isometria En → En rappresentata in un sistema di riferimento da
x /→ Ax + b è detta diretta se det A = 1 (cioè A ∈ SO(n) ⊂ O(n)), altrimenti è detta inversa.
Se x è la n-upla di coordinate rispetto ad un sistema di riferimento euclideo (ortonormale)
e x# è la n-upla di coordinate dello stesso punto rispetto ad un altro riferimento, si ha
x = Qx# + c
per una certa matrice ortogonale Q e un punto/vettore c. Allora la mappa x /→ Ax + b si
scrive, ponendo y = Ax + b, e y = Qy # + c
y = Ax + b
Qy + c = A(Qx# + c) + b
Qy # = AQx# + Ac + b − c
y # = Q−1 AQx# + Q−1 (Ac + b − c).
#
Geometria I
153
Ovviamente, se A è ortogonale, anche Q−1 AQ lo è, dato che si ha Qt = Q−1 e At = A−1
[Q−1 AQ]t [Q−1 AQ] = Qt At QQ−1 AQ = Qt At AQ = Qt Q = I.
Il determinante di Q−1 AQ è uguale al determinante di A, e quindi Q−1 AQ ∈ SO(n) ⇐⇒
A ∈ SO(n).
(17.17) Proposizione. La composizione di due isometrie dirette è una isometria diretta. La composizione di una isometria diretta con una inversa è una isometria inversa. La
composizione di due isometrie inverse è una isometria inversa.
Dimostrazione. L’affermazione è equivalente alla seguente: se associamo ad una isometria il
determinante della matrice associata, otteniamo un omomorfismo di gruppi (rispetto alla composizione di isometrie e al prodotto di numeri). Osserviamo che la matrice A di cui calcoliamo
−
→
il determinante è la matrice della trasformazione lineare f associata alla trasformazione affine
(isometrica) f : En → En . Ora, dimostriamo questa proposizione in generale: l’applicazione
−
→
f /→ f che manda una affinità nella sua mappa lineare associata è un omomorfismo di gruppi (dal gruppo affine al gruppo lineare): infatti se si hanno f : X → X e g : X → X, con
−
→ →
−−→
corrispondenti f e −
g , allora g ◦ f è definita da
−−→
g ◦ f (v) = g(f (x0 + v)) − g(f (x0 ))
−
→
per x0 ∈ X. Tenuto conto che per ogni x ∈ X e v ∈ X si ha
−
→
f (x + v) = f (x) + f (v)
→
g(x + v) = g(x) + −
g (v),
deduciamo che
−
→
g(f (x0 + v)) = g(f (x0 ) + f (v))
−
→
→
= g(f (x )) + −
g ( f (v))
0
−−→ → −
→
−
→
e quindi g ◦ f = −
g ◦ f . In particolare, quindi, l’applicazione f /→ f è l’omomorfismo tra il
gruppo delle affinità di An (R) e il gruppo GL(n, R). La restrizione di questo omomorsfismo
alle isometrie è ancora un omomorfismo. La dimostrazione si completa considerando che la
funzione determinante è a sua volta un omomorfismo, e questo è il teorema di Binet (det(AB) =
det(A) det(B)).
qed
(17.18) Esempio. Le isometrie dirette del piano euclideo E2 si scrivono dunque come
. / .
/. / . /
y1
cos θ − sin θ x1
b
=
+ 1 .
y2
sin θ cos θ
x2
b2
Se b1 = b2 = 0, si tratta di una rotazione attorno all’origine. Altrimenti, cerchiamo i punti
fissati dall’isometria, cioè le soluzioni dell’equazione
Ax + b = x
(I − A)x = b.
Geometria I
154
Dato che, se A $= I, la rotazione A non ha autovalore 1 (cioè fissa nessun vettore diverso dallo
zero), quindi la matrice I − A ha nucleo banale, e dunque è invertibile. La matrice I − A
risulta quindi invertibile se A $= I, altrimenti è la matrice nulla. Ma allora se A $= I esiste un
unico punto fissato dalla isometria (la soluzione di (I − A)x = b), che chiamiamo q. Trasliamo
il sistema di riferimento, portando l’origine in q: x = x# + q. L’isometria si scriverà quindi
y = Ax + b
y + q = A(x# + q) + b
y # = Ax# + (A − I)q + b = Ax# ,
#
cioè è una rotazione attorno a q. Quindi se A $= I si ha sempre una rotazione (anche se b $= 0).
In particolare, la composizione di una rotazione con una traslazione è ancora una rotazione! Attenzione che la composizione di rotazioni attorno allo stesso centro è commutativa, la
composizione di traslazioni è commutativa, ma non la composizione di rotazioni e traslazioni:
x /→ Ax /→ Ax + b
x /→ x + b /→ A(x + b) = Ax + Ab.
Cosa succede per rotazioni con centri diversi (si veda l’esercizio (9.22))?
Le isometrie del piano euclideo che non sono dirette sono le riflessioni attorno a rette (se
fissano una retta, simmetrie assiali) e le glissoriflessioni (se non fissano alcun punto), che sono
composizione di una riflessione e di una traslazione lungo la direzione dell’asse di simmetria.
(17.19) Esempio. In E3 , l’isometria di equazione y = Ax + b è una rotazione (attorno ad
una retta per l’origine) se A $= I e b = 0, dato che A ∈ SO(3). Altrimenti, come sopra un
punto x fissato dalla isometria risolve l’equazione (I − A)x = b. Ma ogni rotazione A ∈ SO(3),
se non banale, ha un autovettore con autovalore 1 (cioè fissa un vettore di R3 , e quindi tutta
la retta generata dallo stesso). Quindi la matrice I − A non è mai invertibile. Se A $= I,
il rango sarà 1 o 2. Certamente la direzione parallela all’asse di rotazione sarà nel nucleo di
I − A. È possibile vedere (con un cambio di coordinate: esercizio) che I − A ha rango 2 e ha
per sottospazio immagine il piano ortogonale all’asse di rotazione. Quindi, se b è un vettore
ortogonale all’asse di rotazione, ci sono punti fissati (una retta di punti fissati). Altrimenti,
no. Nel primo caso, si tratta di una rotazione attorno ad una retta (non non necessariamente
per l’origine), nel secondo caso? Scriviamo b come somma di due vettori b = b1 + b2 , il primo
ortogonale alla direzione fissata (e quindi nell’immagine di I − A) e il secondo b2 parallelo alla
direzione fissata (e quindi nel nucleo di I − A). Allora y = Ax + b = (Ax + b1 ) + b2 . L’isometria
y = Ax + b si scrive quindi come composizione
x /→ Ax + b1 /→ (Ax + b1 ) + b2 ,
dove la prima è una rotazione attorno ad una retta di E3 , e la seconda è una traslazione lungo
la direzione b2 (che è diversa da zero dato che b per ipotesi non è ortogonale all’asse). Si
Geometria I
155
tratta dunque di un avvitamento lungo la direzione b2 . Quindi le isometrie dirette di E3 sono
le traslazioni, le rotazioni e gli avvitamenti (twist).
Provare per esercizio a cercare/classificare le isometrie non dirette di E3 (riflessioni, glissoriflessioni, rotoriflessioni, . . . ).
Geometria I
§ 18
156
Angoli e proiezioni ortogonali
(18.1) Definizione. Con il prodotto scalare definito su uno spazio euclideo non solo si possono
misurare le distanze tra punti, e quindi in generale lunghezze, ma anche gli angoli (orientati)
tra vettori, mediante la formula
%v, w&
cos θ =
.
|v||w|
Questo consente di calcolare l’angolo, per esempio in A, di un triangolo ABC, moltiplicando
−→ −→
(mediante prodotto scalare) i vettori AB e AC.
Occorre notare che l’angolo è definito cosí a meno di segno (cioè non è l’angolo orientato) e
a meno di 2kπ (non c’è differenza tra angolo nullo e angolo giro). Non si tratta della definizione
della geometria elementare di misura di un angolo.
(18.2) Nota. Ricordiamo che in uno spazio metrico X la distanza tra un punto p e un
sottoinsieme S ⊂ X è definita con l’estremo inferiore delle distanze d(p, x), al variare di p in
S. In particolare, se X è uno spazio euclideo, si può definire la distanza di un punto p ∈ X da
una retta, da un piano,. . . , da un sottospazio affine S ⊂ X proprio come l’estremo inferiore
delle distanze tra punti di S e il punto p.
(18.3) Definizione. Due sottospazi U, W di uno spazio vettoriale euclideo E si dicono ortogonali se per ogni u ∈ U , per ogni v ∈ V i vettori u e v sono ortogonali, cioè il prodotto
scalare %u, v& è nullo.
Sia U ⊂ E un sottospazio, e e1 , . . . , ek una sua base ortonormale. La funzione
π: E → U
definita da
π(v) =
k
'
j=1
gode delle seguenti proprietà:
%v, ej &ej
(i) π è un omomorfismo di spazi vettoriali (cioè è lineare).
(ii) v ∈ U =⇒ π(v) = v.
(iii) ker π = {v ∈ E : ∀u ∈ U %u, v& = 0}
(iv) ker π è il complemento ortogonale di U : U ⊕ ker π = E.
Geometria I
157
Si ha
π(av + bw) =
k
'
j=1
=
k
'
j=1
=a
%av + bw, ej &ej
(a%v, ej & + b%w, ej &)ej
k
'
j=1
Inoltre se u ∈ U , allora u =
0k
%v, ej &ej + b
= aπ(v) + bπ(w).
i=1
k
'
j=1
%w, ej &ej
ui ei e quindi
π(u) =
k
'
j=1
%u, ej &ej
k '
k
'
=
%
ui ei , ej &ej
j=1 i=1
=
k '
k
'
j=1 i=1
=
k
'
i=1
=
k
'
ui
ui %ei , ej &ej
k
'
j=1
%ei , ej &ej
ui ei = u
i=1
Infine, v ∈ ker π se e soltanto se %v, ej & = 0 per ogni j = 1, . . . , k. Quindi se u ∈ U e v ∈ ker π,
0
si ha u = kj=1 uj ej e quindi
k
'
%v, u& = %v,
uj ej &
j=1
=
k
'
j=1
=
k
'
uj %v, ej &
uj 0 = 0,
j=1
e dunque v e u sono ortogonali. Cioè se v ∈ ker π, allora v è ortogonale a tutti gli elementi
di U . Viceversa, se v è ortogonale a tutti gli elementi di U , in particolare è ortogonale ai k
elementi e1 , . . . , ek , e quindi π(v) = 0. Per finire: per ogni v ∈ E si ha
v = π(v) + (v − π(v)),
Geometria I
158
dove u = π(v) ∈ U e
π(v − π(v)) = π(v − u)
= π(v) − π(u)
= u − u = 0.
Da questo segue che U + ker π = E. La somma è diretta, perché se ci fosse u ∈ U ∩ ker π, si
avrebbe π(u) = 0 e anche π(u) = u, da cui u = 0.
(18.4) Definizione. Sia S ⊂ En un sottospazio affine di uno spazio affine euclideo con
−
→
−
→
giacitura S ⊂ Rn . Sia W il complemento ortogonale di S in Rn , cioè l’unico sottospazio
−
→
−
→
ortogonale a S tale che S ⊕ W = Rn . Allora per ogni x ∈ En si può definire la proiezione su
S parallela al complemento ortogonale W , seguendo la definizione (16.11)
pS,W : En → S.
Questa proiezione si chiama proiezione ortogonale di En su S ⊂ En . Dal momento che il
complemento ortogonale W esiste ed è unico, la proiezione è unicamente determinata da S.
(18.5) Sia r ⊂ En una retta (sottospazio affine di dimensione 1) di uno spazio affine euclideo
−
→
con giacitura S = %v& ⊂ Rn e A un punto di r. Allora la proiezione di un punto x ∈ En sulla
retta r si scrive come
%x − A, v&
pS (x) = A +
v.
%v, v&
Dimostrazione. La proiezione di x su r è un punto Q di r per cui Q − r è ortogonale a r. È
facile vedere che tale punto Q è unico (altrimenti si formerebbe un triangolo con due lati di
90◦ ). Dobbiamo trovare un punto Q per cui
%x − Q, v& = 0
e quindi, dato che Q = A + tv per un certo t ∈ R, tale che %x − (A + tv), v& = 0, ovvero
%x − A, v& − t%v, v&.
Ma allora per t =
%x − A, v&
(v $= 0!) si ottiene il punto cercato
%v, v&
pS (x) = Q = A +
%x − A, v&
v
%v, v&
come annunciato.
qed
(18.6) Definizione. Se pS è la proiezione ortogonale pS : En → S ⊂ En definita sopra, allora
si può definire come in (16.12) l’isometria (i.e. trasformazione ortogonale)
rS : x /→ pS (x) + (pS (x) − x),
Geometria I
159
chiamata riflessione attorno a S 29 . È una involuzione (cioè rS2 è la trasformazione identica,
l’identità) che fissa S.
(18.7) Sia S ⊂ En un sottospazio affine di uno spazio affine euclideo, e p ∈ En un punto non
di S. Allora la distanza di p da S è uguale alla distanza di p dall’unico punto q di S per cui
il vettore p − q è ortogonale a S (cioè la proiezione ortogonale di p su S – dove q è il punto di
S con minima distanza da p).
Dimostrazione. Supponiamo che la distanza di p sulla sua proiezione q sia maggiore di quella
→
tra p e un terzo punto A. Dal momento che −
qp per definizione è ortogonale a S, è ortogonale
−
→
−
→
anche al vettore qA, che appartiene a S (dato che sia q che A appartengono a S). Ma allora,
−
→ −
→ →
visto che Ap = Aq + −
qp,
−
→
d(A, p)2 = |Ap|2
−
→ −
→
= %Ap, Ap&
−
→ → −
→ →
= %Aq + −
qp, Aq + −
qp&
−
→ −
→
−
→ →
−
→
→
→
→
= %Aq, Aq& + %Aq, −
qp& + %−
qp, Aq& + %−
qp, −
qp&
−
→2
→
= |Aq| + 0 + 0 + |−
qp|2
→
≥ |−
qp|2
= d(q, p)2 ,
−
→
cioè q realizza la minima distanza (è facile vedere che il minimo si ottiene per |Aq|2 = 0, cioè
quando A = q).
qed
Ripetendo la dimostrazione del teorema (15.12), si può dimostrare il seguente teorema:
(18.8) Teorema. Se S ⊂ En è un sottospazio affine passante per A, allora esiste un sotto−
→
spazio vettoriale W ⊂ Rn (il complemento ortogonale di S in Rn ) per cui i punti di S sono
tutti e soli i punti x di En tali che x − A è ortogonale a W . Se S è un iperpiano (cioè un
sottospazio di dimensione n − 1 in En ), allora la dimensione di W è 1, per cui i punti di S
sono tutti i punti tali che x − A è ortogonale ad un vettore fissato non nullo n di W (che si
può chiamare vettore normale a S):
S = {x ∈ En : %x − A, n& = 0}.
(18.9) Nota. Dato che %x − A, n& = 0 se e solo se %x, n& = %A, n&, ritorniamo a vedere che
l’equazione di un iperpiano è
29
a1 x2 + a2 x2 + · · · + an xn = b,
Di solito si chiama riflessione una trasformazione isometrica di questo tipo solo quando la dimensione di
S è uguale a n − 1 – come se S fosse uno specchio. Per esempio, se S è un punto, quello che si trova è una
inversione centrale, per cui la scelta del nome non sembrerebbe appropriata. Se S è un punto e n = 2 si ottiene
la rotazione di 180◦ .
Geometria I
160
dove b = %A, n&. Per sottospazi generici (cioè non solo di dimensione n−1, basta prendere una
base del complemento ortogonale W (e questi saranno vettori ortogonali a S) e, nello stesso
modo, scrivere S come luogo delle soluzioni di un sistema di equazioni.
(18.10) Esempio. Torniamo all’esempio (17.5): qual è il polinomio di grado 2 a coefficienti
reali che è più vicino (nel1 senso della distanza tra funzioni indotta dalla norma indotta dal
1
prodotto scalare %p, q& = 0 p(t)q(t) dt) alla funzione ex ? Qual è quello di grado n?
Area e volume negli spazi affini
Abbiamo definito la lunghezza e gli angoli a partire da un prodotto scalare definito sui vettori
di En . Possiamo fare lo stesso con la definizione di volume? Qual è la definizione assiomatica di
volume? Proponiamo al lettore di discutere e riflettere sulla validità e naturalezza dei seguenti
assiomi, per una funzione di area con segno A di un triangolo ABC (o equivalentemente di
−→
−−→
un parallelogramma ABCD), in cui a = CA e b = CB:
(A1) A(ca, b) = cA(a, b) = A(a, cb); per ogni c ∈ R.
(A2) A(a, b + c) = A(a, b) + A(a, c); A(a + c, b) = A(a, b) + A(c, b);
(A3) A(a, a) = 0;
(disegnare le figure corrispondenti agli assiomi)
Analogamente, una funzione di volume con segno V di un parallelogramma con i tre
−−→
−−→
−−→
spigolo concorrenti a = DA, b = DB, c = DC probabilmente dovrebbe soddisfare gli assiomi
(V1) V (ca, b, c) = cV (a, b, c) = V (a, cb, c) = V (a, b, cc); per ogni c ∈ R.
(V2) V (a + d, b, c) = V (a, b, c) + V (d, b, c); V (a, b + d, c) = V (a, b, c) + V (b, d, c);
V (a, b, c + d) = V (a, b, c) + V (a, b, d);
(V3) (se due vettori coincidono, il volume è nullo) V (a, a, b) = 0 = V (a, b, b) =
V (a, b, a);
In generale, per uno spazio affine X reale, una funzione di volume con segno (chiamiamola
−
→
forma di volume) sarà una funzione ω : X n → R
ω(v1 , v2 , . . . , vn ),
−
→
vi ∈ X , i = 1, . . . , n
che sia multilineare (cioè lineare in ogni sua variabile) e tale che ω(v1 , v2 , . . . , vn ) = 0 quando
almeno due dei vi coincidono. Osserviamo che da questa proprietà segue che
ω(v1 , . . . , vi , . . . , vj , . . . , vn ) + ω(v1 , . . . , vj , . . . , vi , . . . , vn ) = 0.
Geometria I
Infatti
161
0 = ω(v1 , . . . , vi + vj , . . . , vi + vj , . . . , vn )
= ω(v1 , . . . , vi , . . . , vi , . . . , vn ) + ω(v1 , . . . , vi , . . . , vj , . . . , vn )+
+ ω(v1 , . . . , vj , . . . , vi , . . . , vn ) + ω(v1 , . . . , vj , . . . , vj , . . . , vn )
= ω(v1 , . . . , vi , . . . , vj , . . . , vn ) + ω(v1 , . . . , vj , . . . , vi , . . . , vn ).
Quindi se si scambiano due variabili vi la funzione ω cambia di segno, cioè ω è alternante. Ora, quante sono le funzioni con queste due proprietà (multilineari e alternanti)? Nello
spazio euclideo standard ce n’é una, il determinante, che viene presa come unità di misura
per il calcolo delle aree e dei volumi. Lo studio dei determinanti di fatto non è altro che lo
studio della misura (nel senso di area/volume) con segno dei corrispondenti parallelogrammi/parallelepipedi. Provare a dimostrare che le isometrie di En conservano le aree/volumi dei
parallelogrammi/parallelepipedi.
(18.11) Esempio (Solidi platonici). Come vedremo nell’esercizio (9.25), è possibile classificare i sottogruppi finiti di rotazioni in SO(3), che sono legati ai gruppi di simmetrie dei poliedri
regolari, i solidi platonici.
Geometria I
162
Esercizi: foglio 9
*(9.1) Dimostrare che se {e1 , e2 , . . . , en } sono un insieme di vettori ortogonali di uno spazio
vettoriale euclideo E, allora sono linearmente indipendenti. È vero anche il viceversa (cioè che
se si considerano n vettori linearmente indipendenti in uno spazio vettoriale euclideo E allora
sono ortogonali)? (Suggerimento: se sono linearmente dipendenti allora si possono trovare n
coefficienti non tutti nulli λ1 , λ2 , . . . , λn tali che λ1 e1 + λ2 e2 + · · · + λn en = 0. Ma se λi $= 0
e si moltiplicano entrambi i membri per ei – con il prodotto scalare – si ottiene . . . . Per il
viceversa: in A2 (R) trovare due vettori linearmente indipendenti ma non ortogonali.
*(9.2) Dimostrare che le isometrie tra spazi (affini) euclidei si scrivono, scelti sistemi di riferimenti ortonormali, come
x /→ Ax + b,
dove A è una matrice ortogonale e b un vettore. (Suggerimento: come nella dimostrazione
(15.10 ))
(9.3) Dimostrare il lemma (17.6) a pagina 148.
(9.4) Dimostrare che le traslazioni di uno spazio euclideo sono isometrie.
*(9.5) Determinare una formula per la proiezione ortogonale di uno spazio euclideo En su un
suo sottospazio affine S di dimensione d < n, dato un punto di S e una base ortonormale per
−
→
S . (Suggerimanto: si veda la dimostrazione di (18.5 ), in cui si proietta su un sottospazio di
dimensione 1 – una retta. Proiettare sulle rette generate dagli elementi della base e sommare
...)
(9.6) Siano A, B, C ∈ En tre punti di uno spazio euclideo. Dati altri tre punti A# , B # , C # ∈ En ,
dimostrare che esiste una isometria f : En → En tale che f (A) = A# , f (B) = B # e f (C) = C #
se e solo se f conserva le distanze tra i punti, cioè
|A# − B # | = |A − B|, |B # − C # | = |B − C|, |A# − C # | = |A − C|.
 
 
 
1
0
0





(9.7) Siano A = 0 , B = 1 , C = 0 tre punti di E3 . Esiste una isometria f : E3 → E3
0
0
1
tale che f (A) = B, f (B) = C e f (C) = A? Se sì, quale (scriverla in forma matriciale)?
(9.8) Siano r1 e r2 due rette di E3 . Sotto quali condizioni esiste una isometria che manda r1
in r2 ?
 
 
1
1
3



(9.9) Calcolare la distanza tra il punto 1 di E e il piano passante per 2 ortogonale al
1
3
 
1
vettore 0.
0
Geometria I
163
(9.10) Determinare un vettore ortogonale al piano di E4 di equazione
x1 + 2x2 + 3x3 + 4x4 + 5 = 0.
*(9.11) Una similitudine f : En → En è una funzione che conserva i rapporti tra le distanze,
cioè una funzione per cui esiste una costante k > 0 tale che |f (x) − f (y)| = k|x − y| per ogni
x, y ∈ En . Dimostrare che le similitudini conservano gli angoli: se A, B, C ∈ En sono tre punti,
allora l’angolo tra B − A e C − A è uguale (a meno di orientazione) a quello tra f (B) − f (A)
e f (C) − f (A).
*(9.12) È vero che una similitudine, come definita nell’esercizio precedente (9.11), è sempre
una mappa affine? E una isometria? (Suggerimento: si veda la dimostrazione di (17.12 ))
(9.13) Si consideri il piano affine euclideo E2 . Dimostrare che ogni isometria del piano si
può scrivere componendo un numero finito di riflessioni lungo rette. (Suggerimento: anche le
traslazioni e le rotazioni si possono scrivere come composizione di due riflessioni lungo due
rette. . . parallele oppure no. . . )
(9.14) Dimostrare che se S ⊂ En è un sottospazio e pS è la proiezione ortogonale pS : En → S,
allora la funzione f : En → En definita da
f (x) = pS (x) + (pS (x) − x)
è una isometria che fissa tutti e soli i punti di S (cioè tale che f (x) = x se e solo se x ∈ S).
. / . / . /
0
1 0
(9.15) Scrivere una isometria del piano che manda i punti
,
ad una distanza
0
0 1
dall’origine di almeno 4 unità.
. / . /
. /
x1
0
1
(9.16) Sia S la retta di equazione parametrica
=
+t
in E2 . Scrivere le equazioni
x2
1
1
della riflessione (ortogonale) di E2 attorno a S.
. /
. /
. /
x1
p1
v
*(9.17) Sia S la retta di equazione parametrica
=
+ t 1 in E2 . Determinare i
x2
p2
v2
valori dei coefficienti ai,j e bi per cui la trasformazione affine
. /
.
/. / . /
x1
a1,1 a1,2 x1
b
/→
+ 1
x2
a2,1 a2,2 x2
b2
è la riflessione (ortogonale) attorno a S.
(9.18) Determinare tutte le isometrie del piano euclideo che fissano almeno un punto. (Suggerimento: usare (17.13 ) e trovare tutte le trasformazioni ortogonali di O(2).)
(9.19) Dimostrare che ogni rotazione di E2 è composizione di due riflessioni (lungo due rette)
(si considerino tre punti A, B, C di un sistema di riferimento affine euclideo per E2 , e le tre
immagini f (A) = A# , f (B) = B # , f (C) = C # : quali sono le riflessioni che mandano A in A# ?).
Geometria I
164
(9.20) Dimostrare che ogni isometria del piano può essere scritta come la composizione di
al più tre riflessioni (lungo rette). (Suggerimento: se A, B e C sono tre punti linearmente
indipendenti del piano, cioè non allineati, allora le immagini A# , B # e C # sono anch’esse tre
punti non allineati del piano. Con una riflessione (quale?) si può mandare A in A# . Poi si
può mandare B in B # riflettendo lungo una retta passante per A = A# , e quindi trovarsi con
A = A# , B = B # . . . )
*(9.21) Dimostrare che le isometrie (non banali) del piano sono tutte e sole le seguenti:
rotazioni, traslazioni, riflessioni, glissoriflessioni.
(9.22) Siano A e B due punti distinti di E2 , e f , g le rotazioni attorno ad A e B (rispettivamente) di angolo π/2. Determinare l’angolo e il centro delle rotazioni f g e gf . Che cos’è
il gruppo di isometrie di E2 generato da f e g? Determinare l’orbita di A, di B e del punto
medio del segmento AB.
(9.23) Dimostrare che se G è un gruppo finito di isometrie di E2 , allora esiste Q ∈ E2 fissato
da G.
Nel prossimo esercizio si dimostra il Teorema Fondamentale dell’Algebra. Questa dimostrazione si basa su proprietà elementari dei polinomi, principalmente della funzione norma,
e sul fatto che una funzione su un compatto di C ha certamente minimo.
**(9.24) Dimostrare le seguenti affermazioni.
(i) Sia p(x) un polinomio a coefficienti in R di grado dispari. Allora p(x) ha una radice
reale (cioè esiste x0 ∈ R tale che p(x0 ) = 0).
(ii) Se p(x) è un polinomio a coefficienti in C
p(x) = an z n + an−1 z n−1 + . . . + a1 z + a0 ,
e p̄(x) indica il polinomio i cui coefficienti sono i complessi coniugati āi , p̄(x) = ān z n +
ān−1 z n−1 + . . . + ā1 z + ā0 , allora p(x) ha coefficienti reali se e soltanto se p = p̄, e per
ogni z ∈ C si ha p(z) = p̄(z̄).
(iii) Per ogni p, q polinomi a coefficienti in C, se r = pq, allora r̄ = p̄q̄.
(iv) Per ogni polinomio p(z) a coefficienti in C il polinomio r(z) = p(z)p̄(z) ha coefficienti in
R.
(v) Se z0 è una radice di r(z) = p(z)p̄(z), allora z0 o z̄0 è una radice per p(z).
(vi) Sia p(z) un polinomio a coefficienti reali. Allora per ogni m > 0 esiste r > 0 tale che
|z| > r =⇒ |p(z)| > m.
(vii) Per ogni r > 0, esiste z0 tale che |z0 | ≤ r e |z| ≤ r =⇒ |p(z)| ≤| p(z0 )|.
(viii) La funzione |p(z)|, C → R, ammette un minimo globale z0 , tale che ∀z ∈ C, |p(z)| ≥
|p(z0 )|.
(ix) Se z0 ∈ C è il punto di minimo globale, e se z0 $= 0, allora la funzione definita da
p(z0 + z)
f (z) =
è un polinomio di grado n (il grado di p(z)) tale che f (0) = 1 e
p(z0 )
f (z) = 1 + z k r(z)
Geometria I
165
con r(z) polinomio di grado n − k tale che r(0) $= 0, e k ≥ 1. Inoltre il minimo globale
per |f (z)| è in 0 ∈ C.
(x) Esiste z1 ∈ C tale che z1k r(0) = −1.
(xi) La funzione g(z) = f (z1 z) è un polinomio in z di grado n che si scrive come
g(z) = 1 − z k + z k+1 r̂(z)
dove r̂(z) è un polinomio in z. Il minimo globale di |g(z)| è in z = 0.
(xii) Per ogni z ∈ C, si ha
|g(z)| ≤ |1 − z k | + |z k+1 ||r̂(z)|.
(xiii) Esiste t ∈ R tale che 0 < t < 1 e t|g(t)| < 1, e quindi
|g(t)| ≤ 1 − tk + tk+1 |g(t)| = 1 − tk (1 − t|g(t)|) < 1.
(xiv) Se p(z) è un polinomio a coefficienti reali di grado n ≥ 1, allora esiste z0 ∈ C tale che
f (z0 ) = 0 (si consideri che la funzione |p(z)| ha minimo in z0 , e questo punto non può
essere tale che |p(z0 )| = 0).
(xv) Se p(z) è un poliniomio a coefficienti complessi di grado n ≥ 1, allora esiste z0 ∈ C tale
che p(z0 ) = 0.
Nel prossimo esercizio dimostriamo un pezzo del teorema di classificazione dei sottogruppi
finiti di SO(3): Cn , Dk , T , O, I.
**(9.25) Sia G ⊂ SO(3) un gruppo finito e S = S 2 ⊂ E3 la sfera unitaria. Dimostrare le
seguenti proposizioni.
(i) Per ogni x ∈ S lo stabilizzatore Gx ⊂ G è un gruppo ciclico finito.
(ii) Per ogni g ∈ G ! {1}, lo spazio fissato da g in S, cioè S g = {x ∈ S : gx = x}, è un
insieme di due punti antipodali {x, −x}.
(iii) L’insieme X dei poli, cioè degli x ∈ S con stabilizzatore non banale X = {x ∈ S : |Gx | >
1} è invariante rispetto all’azione di G su S: ∀g ∈ G, gX = X (per ogni insieme finito
Y si denota con |Y | il numero di elementi di Y ).
(iv) Sia p : X → X/G la mappa di proiezione sullo spazio quoziente. Se x̄ è un’orbita in X/G,
allora x̄ ha |G|/|Gx | elementi. Se x e y stanno nella medesima orbita, allora |Gx | = |Gy |.
Sia nx̄ l’intero definito da nx̄ = |Gx | per un elemento x dell’orbita x̄. Il G-insieme X è
unione disgiunta delle sue orbite, e quindi
|X| =
' |G|
.
nx̄
x̄∈X/G
(v) Sia X̄ l’insieme X dei poli quozientato rispetto alla relazione di equivalenza data da
x ∼ −x. Allora 2|X̄| = |X|.
(vi) Sia f : G ! {1} → X̄ l’applicazione che associa ad ogni g ∈ G, g $= 1, la coppia di poli
{x, −x} ∈ X̄ fissata da g in S. Mostrare che f è suriettiva, e dedurre che X è finito.
Geometria I
166
(vii) Se [x] ∈ X̄ è una classe di equivalenza di poli, allora Gx = Gy per ogni y ∈ [x], e l’insieme
f −1 ([x]) ha |Gx | − 1 elementi.
(viii) Valgono le uguaglianze
'
'
2(|G| − 1) = 2
(|Gx | − 1) =
(|Gx | − 1)
x∈X
[x]∈X̄
(ix) Vale l’uguaglianza
2(|G| − 1) =
' |G|
(nx̄ − 1).
nx̄
x̄∈X/G
(x) Se G non è il gruppo banale, valgono le disuguaglianze
'
1
1≤
(1 − ) < 2.
nx̄
x̄∈X/G
(xi) Valgono le disuguaglianze
'
1
1
|X/G| ≤
(1 − ) < |X/G|,
2
nx̄
x̄∈X/G
da cui
2 ≤ |X/G| ≤ 3.
(xii) Ci sono 2 o 3 orbite di poli in X/G. Se X/G = {x̄1 , x̄2 }, allora posto n1 = nx̄1 e n2 = nx̄2
si ha
2
1
1
=
+ ,
|G|
n1 n2
e questo implica n1 = n2 = |G| (osserviamo che se n = |G|, allora n/ni è intero per
i = 1, 2 e che n/n1 +n/n2 = . . . ). Quindi G è il gruppo ciclico generato da una rotazione,
indicato con il simbolo Cn .
(xiii) Se X/G = {x̄1 , x̄2 , x̄3 }, allora posto n = |G|, n1 = nx̄1 , n2 = nx̄2 e n3 = nx̄3 si ha
1+
2
1
1
1
=
+
+ .
n
n1 n2 n3
Allora se supponiamo n1 ≥ n2 ≥ n3 > 1, deve essere n3 = 2, e quindi
1 2
1
1
+ =
+ .
2 n
n1 n2
(xiv) Dalla disequazione precedente e da n1 ≥ n2 ≥ 2, si deduce che n2 ∈ {2, 3}.
n
(xv) Se n2 = 2, allora 2n1 = n, quindi (n1 , n2 , n3 ) = ( , 2, 2). Il gruppo G è (deve essere!
2
perché?) il gruppo generato da due rotazioni di angolo π attorno a due assi che si
intersecano nell’origine con angolo 2π/n (gruppo diedrale di ordine n = 2n1 , indicato
con il simbolo Dn1 ).
Geometria I
(xvi) Se n2 = 3, allora
e quindi 3 ≤ n1 ≤ 5, da cui
167
1 2
1
+ = .
6 n
n1
n1 = 3 =⇒ n = 12;
n1 = 4 =⇒ n = 24;
n1 = 5 =⇒ n = 60.
(xvii) Esistono gruppi con n3 = 2, n2 = 3 e n1 ∈ {3, 4, 5}: sono i gruppi delle rotazioni che
sono simmetrie del tetraedro (T ), esaedro/ottaedro (cubo) (O), icosaedro/dodecaedro (I).
Descriverne gli assi di rotazione. Ci sono solo questi gruppi in SO(3) con questi insiemi
di poli?
(9.26) Sia G ⊂ GL(n, R) un sottogruppo finito di ordine |G| > 1, e x · y denoti il prodotto
scalare standard di Rn . Allora:
(i) Il prodotto %x, y&, definito per x, y ∈ Rn da
%x, y& =
1 '
(Ax) · (Ay)
|G| A∈G
è un prodotto scalare.
(ii) Per ogni A ∈ G, per ogni x, y ∈ Rn si ha
%Ax, Ay& = %x, y&.
(iii) Esiste una base b1 , . . . , bn di Rn ortonormale rispetto al prodotto %−, −&.
(iv) Se Q è la matrice del cambio di base, tale che Qbi = ei per ogni i = 1, . . . , n (ei vettori
della base standard), allora
%x, y& = (Qx) · (Qy) = xt Qt Qy.
(v) Per ogni A ∈ G la matrice coniugata QAQ−1 è ortogonale.
(vi) L’applicazione G → O(n) definita da A /→ QAQ−1 è un omomorfismo di gruppi, ed è
iniettiva.
(vii) Se G è un sottogruppo finito di GL(n, R), allora G è isomorfo ad un sottogruppo finito
di O(n).