19 Spazi affini euclidei

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Geometria e Topologia I
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25 maggio 2005
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Spazi affini euclidei
(19.1) Definizione. Uno spazio vettoriale euclideo è uno spazio vettoriale E di dimensione
finita su campo R, munito di una forma bilineare definita positiva e simmetrica (cioè b : E ×
E → R è simmetrica e bilineare, e ∀x 6= 0, b(x, x) > 0). Scriviamo b(x, y) = hx, yi = x · y e
chiamiamo questo numero il prodotto scalare di x con y.
√
(19.2) Definizione. La norma di un vettore x è definita da x = x · x.
(19.3) Definizione. Se x · y = 0, allora x e y sono ortogonali. Un insieme di vettori {e1 , e2 , . . . , en } ⊂ E si dice ortogonale se i suoi elementi sono a due a due ortogonali:
∀i, j, i 6= j =⇒ ei · ej = 0, e ortonormale se è ortogonale e in più i vettori hanno norma uno,
cioè ∀i, |ei | = 1. Se l’insieme di vettori {e1 , e2 , . . . , en } è una base per E, allora si dice che la
base è ortogonale (risp. ortonormale) quando lo è come insieme di vettori.
(19.4) Esempio. L’esempio standard di spazio vettoriale euclideo è E = Rn , con il prodotto
scalare canonico dato da
   
x1
y1
n
 x2   y2 
X
   
h ..  ,  .. i =
xi yi .
. .
i=1
xn
yn
(19.5) (Disuguaglianza di Cauchy-Schwartz e disuguaglianza triangolare) Per ogni
x, y ∈ E si ha:
|hx, yi|
≤ |x||y|
|x + y| ≤ |x| + |y|.
Quindi la distanza definita su E da d(x, y) = |x − y| è una metrica (che rende E spazio
topologico, con la topologia metrica).
(19.6) (Formula del parallelogramma) Il prodotto scalare e la norma sono legate dalle
due identità (equivalenti)
|x + y|2
= |x|2 + |y|2 + 2hx, yi
1
hx, yi = (|x + y|2 − |x|2 − |y|2 ) .
2
−
→
(19.7) Definizione. Uno spazio affine euclideo è uno spazio affine (X, X ) per cui lo spa−
→
zio delle traslazioni (dei vettori) X è uno spazio vettoriale euclideo. Un riferimento affine
−−−→ −−−→
−−−→
{A0 , A1 , . . . , An } di X è ortonormale se (A0 A1 , A0 A2 , . . . , A0 An ) è una base ortonormale per
−
→
X . Allora X è uno spazio metrico con la metrica definita da
−→
d(A, B) = |AB|,
−
→
dove la norma è la norma euclidea in X .
(19.8) Definizione. Una isometria tra due spazi affini euclidei f : X → Y è una biiezione
che conserva le distanze: per ogni A, B ∈ X, |f (A) − f (B)|X = |A − B|Y (dove la norma | · |X
è la norma di X e la norma | · |Y è la norma di Y ).
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(19.9) Ogni spazio affine euclideo di dimensione n è isometrico allo spazio standard Rn .
Dimostrazione. Sia X uno spazio affine euclideo di dimensione n. Scelto un punto O ∈ X, si
−
→
ha la biiezione X ∼
= X data da
−→ −
→
x ∈ X 7→ Ox ∈ X .
−
→
Ora, lo spazio vettoriale euclideo X ha sicuramente una base ortonormale (per esempio, con
il processo di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt) {e1 , e2 , . . . , en } ⊂ E, mediante la quale si
può scrivere un isomorfismo
−
→
f: X ∼
= Rn
definito da

hv, e1 i
 hv, e2 i 

f (v) = 
 ... 
hv, en i

−
→
La composizione X → X → Rn è una isometria. Vediamo per prima cosa come è definita. Se
−
→
x ∈ X, il vettore associato in X è x − O, che viene mandato da f in


hx − O, e1 i
 hx − O, e2 i 
.
f (x − O) = 


...
hx − O, en i
Ora, presi x, y ∈ X, se definiamo per ogni i = 1, . . . , n i numeri xi = hx − O, wi i e yi =
hy − O, wi i , si ha che
x−O =
n
X
xi ei
n
X
yi ei ,
i=1
y−O =
i=1
e quindi


x1
 x2 
 
f (x − O) =  ..  ∈ Rn
.
xn
 
y1
 y2 
 
f (y − O) =  ..  ∈ Rn
.
yn
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da cui segue che
→
dX (x, y) = |x − y|−X
→
= |(x − O) − (y − O)|−X
n
X
→
=|
(xi − yi )ei |−X
vi=1
uX
n
X
u n
t
= h (xi − yi )ei ,
(xj − yj )ej i
i=1
j=1
v
uX
u n
=t
(xi − yi )(xj − yj )hei , ej i
i,j=1
v
u n
uX
= t (xi − yi )2
i=1
= |f (x) − f (y)|Rn = dRn (f (x), f (y)).
q.e.d.
(19.10) Siano X e Y spazi affini euclidei e f : X → Y una isometria (cioè una mappa tale
che |f (x) − f (y)|Y = |x − y|X per ogni x, y ∈ X). Allora f è un isomorfismo affine (una
trasformazione affine invertibile).
Dimostrazione. Cominciamo a mostrare che f è una mappa affine, cioè, per la definizione
−
→
−
→
(17.1), che per ogni x ∈ X la funzione indotta sugli spazi vettoriali sottostanti X → Y
definita da
−
→
−
→
v ∈ X 7→ f (x + v) − f (x) ∈ Y
−
→
→
è lineare. In realtà, per (17.5), basta farlo vedere per un solo x0 ∈ X. Sia T : X → −
y la
−
→
funzione definita da T (v) = f (x0 + v) − f (x0 ). Per ipotesi si ha che per ogni v ∈ X
→ = |(x0 + v) − x0 |X
|v|−X
= |f (x0 + v) − f (x0 )|Y
= |T (v)|−→
Y ,
e quindi la trasformazione T conserva la norma. Osserviamo anche che per v = 0 questo
implica che |T (0)| = 0, e quindi T (0) = 0 (dove qui con un abuso di notazione usiamo in
−
→
−
→
−
→
simbolo 0 sia per indicare 0X ∈ X che 0Y ∈ Y . Se v, w ∈ X sono due vettori, allora si ha
→ = |(x0 + v) − (x0 + w)|X
|v − w|−X
= |f (x0 + v) − f (x0 + w)|Y
= |f (x0 + v) − f (x0 ) + f (x0 ) − f (x0 + w)|Y
= |T (v) − T (w)|−→
Y ,
cioè
|T (v) − T (w)|2 = |v − w|2 .
−
→
Per la formula del parallelogramma (19.6), si ha quindi per ogni v, w ∈ X
2hT (v), T (w)i = |T (v) − T (w)|2 − |T (v)|2 − |T (w)|2
= |v − w|2 − |v|2 − |w|2
= 2hv, wi,
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cioè T conserva anche il prodotto scalare (non solo la norma).
−
→
Non rimane che finire dimostrando che T è lineare: siano a, b ∈ R due scalari e v, w ∈ X
−
→
due vettori. Allora, per ogni scelta di un terzo vettore e ∈ X si ha
hT (av + bw), T (e)i = hav + bw, ei
= ahv, ei + bhw, ei,
ed anche
haT (v) + bT (w), T (e)i = ahT (v), T (e)i + bhT (w), T (e)i
= ahv, ei + bhw, ei,
−
→
cioè per ogni e ∈ X si ha
hT (av + bw), T (e)i = haT (v) + bT (w), T (e)i.
Ora, dato che f è una biiezione, anche T lo è, per cui necessariamente deve essere
T (av + bw) = aT (v) + bT (w),
e quindi T è lineare. Per mostrare che è un isomorfismo, basta notare che è una biiezione, per
cui esiste l’inversa (che è naturalmente una isometria – vedi anche la definizione (17.6)). q.e.d.
(19.11) Una isomorfismo affine f : X → Y è una isometria se e soltanto se l’applicazione lineare associata L : v 7→ f (x + v) − f (x) è una trasformazione ortogonale (cioè una
trasformazione lineare che conserva la norma o, equivalentemente, il prodotto scalare).
Dimostrazione. Nella dimostrazione della proposizione precedente (19.10) abbiamo di fatto
dimostrato anche che la trasformazione L associata ad una isometria conserva il prodotto
scalare e le norme (abbiamo usato questa proprietà per mostrare che è lineare), e cioè che è
una trasformazione ortogonale. Viceversa, supponiamo che un isomorfismo affine f : X → Y
abbia la proprità che la trasformazione lineare associata L sia ortogonale. Allora L(v − w) =
−
→
L(v) − L(w) per ogni v, w ∈ X , e quindi per ogni x = x0 + v e y = x0 + w in X si ha
|f (x) − f (y)| = |f (x0 + v) − f (x0 + w)|
= |f (x0 + v) − f (x0 ) + f (x0 ) − f (x0 + w)|
= |L(v) − L(w)|
= |v − w|
= |x0 + v − (x0 + w)|
= |x − y|,
cioè f è una isometria.
q.e.d.
(19.12) Proposizione. Le isometrie tra spazi (affini) euclidei si scrivono, scelti sistemi di
riferimenti ortonormali, come
x 7→ Ax + b,
dove A è una matrice ortogonale e b un vettore.
Dimostrazione. Come la dimostrazione di (17.8) (esercizio (12.2)).
q.e.d.
(19.13) Le traslazioni sono isometrie.
Dimostrazione. Vedi esercizio (12.3).
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q.e.d.
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Angoli e proiezioni ortogonali
(20.1) Nota. Con il prodotto scalare definito su uno spazio euclideo non solo si possono
misurare le distanze tra punti, e quindi in generale lunghezze, ma anche gli angoli (orientati)
tra vettori, mediante la formula
cos θ =
hv, wi
.
|v||w|
Questo consente di calcolare l’angolo, per esempio in A, di un triangolo ABC, moltiplicando
−→ −→
(mediante prodotto scalare) i vettori AB e AC.
(20.2) Nota. Ricordiamo che in uno spazio metrico X la distanza tra un punto p e un
sottoinsieme S ⊂ X è definita con l’estremo inferiore delle distanze d(p, x), al variare di p in
S. In particolare, se X è uno spazio euclideo, si può definire la distanza di un punto p ∈ X da
una retta, da un piano, . . . , da un sottospazio affine S ⊂ X proprio come l’estremo inferiore
delle distanze tra punti di S e il punto p.
(20.3) Definizione. Due sottospazi U, W di uno spazio vettoriale euclideo E si dicono ortogonali se per ogni u ∈ U , per ogni v ∈ V i vettori u e v sono ortogonali, cioè il prodotto
scalare hu, vi è nullo.
(20.4) Definizione. Sia S ⊂ En un sottospazio affine di uno spazio affine euclideo con
−
→
−
→
giacitura S ⊂ Rn . Sia W il complemento ortogonale di S in Rn , cioè l’unico sottospazio
−
→
−
→
−
→
−
→
ortogonale a S tale che S + W = Rn (e in questo caso si scrive S ⊕ W invece che S + W ).
Allora per ogni x ∈ En si può definire la proiezione su S parallela al complemento ortogonale
W , seguendo la definizione (18.11)
pS,W : En → S.
Questa proiezione si chiama proiezione ortogonale di En su S ⊂ En . Dal momento che il
complemento ortogonale W esiste ed è unico, la proiezione è unicamente determinata da S.
(20.5) Sia r ⊂ En una retta (sottospazio affine di dimensione 1) di uno spazio affine euclideo
−
→
con giacitura S = hvi ⊂ Rn e A un punto di r. Allora la proiezione di un punto x ∈ En sulla
retta r si scrive come
hx − A, vi
pS (x) = A +
v.
hv, vi
Dimostrazione. La proiezione di x su r è un punto Q di r per cui Q − r è ortogonale a r. È
facile vedere che tale punto Q è unico (altrimenti si formerebbe un triangolo con due lati di
90◦ ). Dobbiamo trovare un punto Q per cui
hx − Q, vi = 0
e quindi, dato che Q = A + tv per un certo t ∈ R, tale che hx − (A + tv), vi = 0, ovvero
hx − A, vi − thv, vi.
Ma allora per t =
hx − A, vi
(v 6= 0!) si ottiene il punto cercato
hv, vi
pS (x) = Q = A +
hx − A, vi
v
hv, vi
come annunciato.
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q.e.d.
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(20.6) Definizione. Se pS è la proiezione ortogonale pS : En → S ⊂ En definita sopra, allora
si può definire come in (18.12) l’isometria (i.e. trasformazione ortogonale)
rS : x 7→ pS (x) + (pS (x) − x),
chiamata riflessione attorno a S 14 . È una involuzione (cioè rS2 è la trasformazione identica,
l’identità) che fissa S.
(20.7) Sia S ⊂ En un sottospazio affine di uno spazio affine euclideo, e p ∈ En un punto non
di S. Allora la distanza di p da S è uguale alla distanza di p dall’unico punto q di S per cui
il vettore p − q è ortogonale a S (cioè la proiezione ortogonale di p su S).
Dimostrazione. Supponiamo che la distanza di p sulla sua proiezione q sia maggiore di quella
→ per definizione è ortogonale a S, è ortogonale
tra p e un terzo punto A. Dal momento che −
qp
−
→
−
→
anche al vettore qA, che appartiene a S (dato che sia q che A appartengono a S). Ma allora,
−
→ −
→ →
visto che Ap = Aq + −
qp,
−
→
d(A, p)2 = |Ap|2
−
→ −
→
= hAp, Api
−
→ → −
→ →
= hAq + −
qp, Aq + −
qpi
−
→ −
→
−
→ −
→
→ + h−
→ −
→ −
→
= hAq, Aqi + hAq, qpi
qp,
Aqi + h−
qp,
qpi
−
→2
→2
= |Aq| + 0 + 0 + |−
qp|
2
−
→
≥ | qp|
= d(q, p)2 ,
−
→
cioè q realizza la minima distanza (è facile vedere che il minimo si ottiene per |Aq|2 = 0, cioè
quando A = q).
q.e.d.
Ripetendo la dimostrazione del teorema (17.10), si può dimostrare il seguente teorema:
(20.8) Teorema. Se S ⊂ En è un sottospazio affine passante per A, allora esiste un sotto−
→
spazio vettoriale W ⊂ Rn (il complemento ortogonale di S in Rn ) per cui i punti di S sono
tutti e soli i punti x di En tali che x − A è ortogonale a W . Se S è un iperpiano (cioè un
sottospazio di dimensione n − 1 in En ), allora la dimensione di W è 1, per cui i punti di S
sono tutti i punti tali che x − A è ortogonale ad un vettore fissato non nullo a di W (che si
può chiamare vettore normale a S):
S = {x ∈ En : hx − A, ai = 0}.
(20.9) Nota. Dato che hx − A, ai = 0 se e solo se hx, ai = hA, ai, ritorniamo a vedere che
l’equazione di un iperpiano è
a1 x2 + a2 x2 + · · · + an xn = b,
dove b = hA, ai. Per sottospazi generici (cioè non solo di dimensione n − 1, basta prendere una
base del complemento ortogonale W (e questi saranno vettori ortogonali a S) e, nello stesso
modo, scrivere S come luogo delle soluzioni di un sistema di equazioni.
14
Di solito si chiama riflessione una trasformazione isometrica di questo tipo solo quando la dimensione di
S è uguale a n − 1 – come se S fosse uno specchio. Per esempio, se S è un punto, quello che si trova è una
inversione centrale, per cui la scelta del nome non sembrerebbe appropriata. Se S è un punto e n = 2 si ottiene
la rotazione di 180◦ .
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