l` instabilita` della colonna vertebrale lombare

L’ INSTABILITA’ DELLA COLONNA VERTEBRALE LOMBARE
La colonna vertebrale umana costituisce l’asse mobile di sostegno del corpo ed è responsabile
del nostro equilibrio statico e dinamico nei tre piani dello spazio. Responsabili di tale funzione
sono i corpi vertebrali. I corpi vertebrali uniti agli archi vertebrali formano un canale nel
quale trovano posto e protezione da influenze esterne, sia il midollo spinale che le sue
diramazioni (nervi). Per attenuare dolcemente le forze d’urto lungo il nostro asse tra i corpi
vertebrali si trovano degli «ammortizzatori» naturali e cioè i dischi intervertebrali. I dischi,
insieme alle articolazioni vertebrali, consentono movimenti rotatori, di flessione ed
estensione del busto. Dal punto di vista scheletrico la colonna è costituita da un insieme di
segmenti ossei sovrapposti, le vertebre, di forma fondamentalmente analoga tra loro e con
caratteristiche particolari, differenti, a seconda del tratto a cui appartengono. La possibilità di
orientare la testa nello spazio, di piegare il corpo
in avanti, praticamente fino a dimezzarne
l'altezza, di estenderlo all'indietro, di fletterlo
lateralmente e infine di ruotarlo, permettendo
alla testa, grazie alla somma di tutte le rotazioni
nei diversi segmenti, di completare quasi il giro
dell'orizzonte, è legata all'articolarità del rachide.
Per queste differenze che nella colonna
vertebrale distinguiamo un tratto cervicale, uno
dorsale, uno lombare e uno sacro-coccigeo. I più
sollecitati e mobili, sono il tratto cervicale e
quello lombare. La disposizione segmentaria
dello scheletro è la premessa della sua mobilità;
la robustezza dei legamenti e la distribuzione dei
muscoli sono la garanzia della sua forza e della
sua selettività di movimento. Ciò significa che i
legamenti per quanto potentissimi concedono
per la loro forma e disposizione anatomica una grande mobilità alla colonna, mobilità che
viene per così dire utilizzata, realizzata, dal giuoco muscolare che nella colonna normale è un
vero mirabile equilibrio di sottili rapporti di forza. Le vertebre sono in numero di 33-34, di cui
7 cervicali, 12 dorsali, 5 lombari, 9 o 10 sacro-coccigee.
Come cambiamenti degenerativi della colonna vertebrale si intendono tutti i processi di
invecchiamento naturali associati a cambiamenti patologici dei corpi vertebrali, dei dischi
intervertebrali, dei legamenti e delle articolazioni vertebrali. Tali cambiamenti possono
limitare considerevolmente sia la mobilità che la stabilità della colonna vertebrale. A
pregiudicare notevolmente il buon funzionamento della colonna vertebrale, oltre al naturale
processo di invecchiamento, possono contribuire inoltre un non corretto allineamento della
colonna vertebrale, anche di natura congenita, o una vita particolarmente sedentaria.
L'instabilità vertebrale lombare rappresenta una
patologia di carattere degenerativo, traumatico o
raramente congenita. In queste varie forme i sintomi
sono
spesso
sovrapponibili,
con
l'eccezione
dell'instabilità da trauma vertebrale acuto: le forme
traumatiche conseguono spesso ad incidenti o cadute,
più comunemente si tratta di traumi stradali. Una o più
vertebre
presentano
"fratture"
visibili
radiologicamente. Prevale il dolore locale e possono
associarsi
a
danno
neurale,
con
dolore
acuto,
paresi
o
paralisi.
Spesso in questi casi si richiede una stabilizzazione con barre e viti.
Nelle forme su base degenerativa propriamente dette (più frequenti, interessanti il rachide
lombare) invece il dolore è posturale (condizionato dalla posizione del corpo), manifesto in
certi momenti della giornata (alzandosi dal
letto) ed accentuato dalla stanchezza. A volte (e
questo si riscontra soprattutto nelle forme
associate a stenosi del canale vertebrale),
interviene
un
torpore
o
senso
di
addormentamento e debolezza agli arti
inferiori. Nei casi più avanzati e strutturati si
parla di spondilo-listesi (più o meno associata
a spondilo-lisi peduncolare), altrimenti rientra nel quadro più generale della spondilosi
(degenerazione con l'età e con l'usura della colonna vertebrale). In questo capitolo rientrano
le forme di stenosi, le fratture osteoporotiche, la microinstabilità con ipertrofia dei
legamenti.
Eventuali precedenti operazioni ai dischi intervertebrali, al midollo spinale o ai nervi, nelle
quali è richiesta un’apertura del canale vertebrale, possono concorrere ad una ulteriore
perdita di stabilità. L'usura, e l'invecchiamento delle parti osteo-legamentose comportano
una perdita di solidità articolare, riducendo lo spazio per le strutture nervose, in questo caso il
cono midollare e le radici nervose lombo sacrali. E' intuibile che i "nervi" (le radici nervose)
vengano ipersollecitate producendo dolore e limitazione motoria. L'osteoporosi aggrava
questo quadro, associando eventualmente uno "schiacciamento" vertebrale. La terapia è varia,
medica, fisioterapica fino all'ampliamento chirurgico del canale neurale con tecnica
mininvasiva ( meno spesso tradizionale ); in associazione la
stabilizzazione in una delle sue varianti e la eventuale
vertebroplastica
(
o
cifoplastica
).
Durante gli anni ’90 si è assistito al tentativo di ridurre l’invasività
chirurgica della chirurgia spinale: nel campo specifico del trattamento
chirurgico delle instabilità vertebrali (tralasciando in questa sede
l’argomento dei dispositivi interspinosi e interlaminari) sono stati
introdotti vari dispositivi di stabilizzazione con viti e barre percutanei
e minimamente invasivi. L’obiettivo che si propongono tali sistemi è ridurre la dissezione e il
trauma muscolare associati alle tecniche chirurgiche open. I sistemi percutanei necessitano
infatti di incisioni inferiori al cm, non vi è dissezione muscolare ma solo una divaricazione dei
fasci muscolari. I sistemi minimamente invasivi necessitano altresì di incisioni cutanee più
lunghe, ma la dissezione muscolare è comunque di grado inferiore rispetto alla tecnica open.
Presso il nostro centro utilizziamo, in particolare, uno strumentario che permette la fusione
(stabilizzazione) del segmento di colonna interessato per
via percutanea: esso è basato sull’utilizzo di un sistema di
viti trans-peduncolari e barre che permette di ottenere
un ottimale grado stabilizzazione (in compressione o
distrazione) secondo la tecnica di Wiltse modificata.
Mediante questo approccio è possibile quindi integrare la
sicurezza di una procedura “open” tradizionale ai vantaggi di un approccio mini-invasivo
(percutaneo).
Le controindicazioni a questo tipo di intervento sono: presenza di grave compromissione
dello stato generale del paziente, concomitanza infezioni (sistemiche o localizzate al sito di
impianto), osteoporosi di grado avanzato (non permette un adeguato fissaggio delle viti trans
peduncolari), osteopenia, cancro, insufficienza renale ed ogni condizione patologica che
precluda la possibilità di fusione. Altre controindicazioni relative si verificano in presenza di
obesità, gravidanza e patologie a carattere cronico-degenerativo. In più, il lavoro del paziente,
il livello di attività, lo stile di vita, il grado di richiesta funzionale o la capacità mentale del
candidato all’intervento possono influenzare il chirurgo nel porre indicazione a questo tipo di
chirurgia. Gli indiscussi vantaggi di queste tecniche (percutanee e minimamante invasive)
sono essenzialmente in relazione alle minori perdite ematiche intraoperatorie e
perioperatorie (senza necessità di ricorrere a sistemi di drenaggio), al ridotto dolore postchirurgico e conseguentemente alla precoce mobilizzazione e ripresa del carico del paziente
(già dalla prima-seconda giornata dopo l’intervento): ne consegue dunque una netta
riduzione dei tempi di degenza e ricovero ospedaliero, con relativo abbattimento dei carichi
assistenziali nei confronti del paziente.