Metodi di analisi mutazionale I metodi impiegati per l’analisi di mutazioni o polimorfismi nel DNA genomico possono essere suddivise in due principali categorie: (1) metodi per individuare mutazioni note, generalmente allo scopo di sottoporre a screening una popolazione; (2) metodi per localizzare e caratterizzare mutazioni ancora sconosciute nel gene (mutazioni sconosciute). Metodi basati sulla PCR per la rivelazione di piccole mutazioni note. La PCR permette di selezionare una specifica porzione del genoma e di amplificarla esponenzialmente. Alcune mutazioni possono essere evidenziate direttamente dal prodotto d’amplificazione, altre richiedono trattamenti post-PCR, altre ancora prevedono particolari tipi d’amplificazione ed eventualmente anche trattamenti post-PCR. Metodi basati sulle dimensioni del prodotto d’amplificazione. Piccole delezioni o inserzioni possono essere direttamente rivelate mediante l’analisi elettroforetica dell’amplificato del campione in esame sotto forma di bande di lunghezza anomala rispetto a quelle osservate con l’amplificato di un allele normale. Questo in linea di principio ma in pratica molto dipende dalle condizioni elettroforetiche utilizzate. Con l’elettroforesi su gel di poliacrilammide si possono facilmente evidenziare delezioni o inserzioni superiori alle 4 basi in amplificati di lunghezza inferiore alle 200 paia di basi. Un metodo alternativo è l’analisi degli eteroduplici. Metodi basati su trattamenti post-PCR con enzimi di restrizione. Le sequenze amplificate, sia normali sia mutate, possiedono sempre un certo numero di siti di restrizione e possono essere rivelate con gli appropriati enzimi disponibili in commercio. Se accade che la mutazione in esame introduce o elimina un sito di restrizione rispetto all’allele normale, basta “digerire” l’amplificato con l’appropriato enzima e confrontare il “pattern” di restrizione, cioè l’insieme dei frammenti di digestione, con quelli di un DNA normale e ad un positivo per la mutazione. Nella pratica vi sono però limitazioni e difficoltà all’applicazione di questa strategia. La mutazione cercata potrebbe non alterare il pattern di restrizione; oppure i siti bersaglio dell’enzima potrebbero essere così numerosi nell’amplificato da rendere inservibile questo metodo a causa della molteplicità dei frammenti generati. Oppure l’enzima non è facilmente reperibile in commercio o è costoso o anche ha una scarsa attività nei confronti di quel dato sito bersaglio. In questi casi bisognerà ricorrere ad un approccio alternativo, come vedremo più avanti. Metodi basati sull’amplificazione con primers mutagenici e trattamenti post-PCR con enzimi di restrizione. Se il prodotto di amplificazione dell’allele mutato ha lo stesso pattern di restrizione dell’allele normale si può usare l’approccio del primer mutagenico o primer mismatch. Questo metodo consiste nel disegnare un primer che pur avendo un errore d’appaiamento in vicinanza dell’estremità 3’ viene tollerato e riesce ugualmente ad appaiarsi al DNA campione e dare un amplificato contenente una mutazione artificiale introdotta dalla base non correttamente appaiata. Nel caso che l’errore di appaiamento si trovi abbastanza vicino alla mutazione naturale c’è la possibilità che la combinazione delle due mutazioni crei un sito di restrizione che distingua l’allele mutato da quello normale. Metodi basati sull’amplificazione PCR allele-specifica (ARMS) In questo metodo due primers vengono disegnati in modo da appaiarsi correttamente uno con l’allele mutato e l’altro con l’allele normale e che daranno luogo, pertanto, ad un prodotto d’amplificazione solo con l’allele corrispondente. Questa possibilità si basa sul fatto che alcuni errori d’appaiamento o mismatches sull’estremità 3’ del primer possono compromettere totalmente l’appaiamento, mentre altri sono tollerati. Per disegnare un primer allele-specifico bisogna quindi far sì che l’estremità 3’ del primer coincida con la mutazione e che in corrispondenza della mutazione vi sia un mismatch non tollerato con l’allele normale e tollerato con l’allele mutante. Il sistema funziona se con la PCR si ottiene una banda della lunghezza attesa con un campione positivo per la mutazione in esame, mentre non si ha alcuna amplificazione con un campione normale. Per essere certi che la PCR funzioni si può introdurre uno standard interno cioè una coppia di primer non allele-specifica che amplifica una regione del genoma diversa da quella che contiene la mutazione. Si avrà così una seconda banda, corrispondente all’amplificazione dello standard interno e che garantisce che la reazione di PCR ha funzionato. Infine, l’amplificazione allelespecifica si presta bene a distinguere il genotipo di un campione mediante la quantificazione dell’amplificato con l’impiego della PCR real-time. Metodi per l’individuazione di mutazioni sconosciute Esistono diverse tecniche di screening per individuare mutazioni sconosciute ma quelle più comuni sono le tecniche di SSCP (Single Strand Conformation Polymorphism) e HA (Analisi degli eteroduplici). La tecnica SSCP, facilmente applicabile all’indagine di mutazioni puntiformi non conosciute, si basa sulla capacità delle mutazioni di alterare la mobilità di piccoli frammenti di DNA a singolo filamento (ssDNA) in una corsa elettroforetica su gel di poliacrilammide in condizioni non denaturanti. L’utilità della tecnica si deve al fatto che il “setaccio” molecolare costituito dai pori del gel permette la separazione di filamenti singoli di DNA che differiscono anche per la sostituzione di una sola base. La mobilità elettroforetica dei filamenti di DNA in condizioni non denaturanti dipende da diversi fattori tra cui la carica, che rimane costante nelle molecole delle stesse dimensioni, e la configurazione adottata dai singoli filamenti di DNA. Nella matrice del gel di poliacrilammide, in condizioni non denaturanti, mentre alcuni frammenti a singolo filamento si riappaiono con i filamenti complementari formando DNA a doppio filamento, altri vanno incontro ad appaiamenti intramolecolari (struttura secondaria), in corrispondenza di tratti di sequenza complementari, all’interno dello stesso filamento. Sia la configurazione adottata dal DNA che la mobilita elettroforetica sono molto variabili e dipendenti dalla sequenza di basi. Pertanto una mutazione, anche puntiforme, modificando la sequenza può provocare un cambiamento della struttura molecolare del DNA a singolo filamento, rispetto al normale, modificandone la mobilità elettroforetica e permettendone la separazione. La mobilità elettroforetica che contraddistingue i diversi frammenti di DNA a singolo filamento, dipende strettamente dalla loro carica, dimensione e forma. La carica negativa è uguale in frammenti di pari lunghezza, ma è molto più importante, in relazione alla mobilità elettroforetica, la configurazione che può assumere un frammento di DNA. Originariamente i frammenti erano visualizzati per mezzo di radioisotopi e autoradiografie; oggi questo metodo è stato superato da una varietà di metodi non isotopici che includono la colorazione con nitrato d’argento (silver staining). In linea di principio, i metodi SSCP e HA sono capaci di scoprire fino 90% delle mutazioni, ma nessuno dei due dà indicazioni sulla posizione della mutazione. Dato che entrambe le tecniche utilizzano un gel elettroforetico nativo si può, con opportuni accorgimenti, combinare le due analisi in un’unica corsa. Un parametro molto importante da considerare in un’analisi sperimentale è la dimensione dei frammenti di DNA. Il massimo della sensibilità si ottiene con piccoli frammenti di circa 150 bp. La mutazione di una singola base in frammenti di grosse dimensioni può portare ad uno shift di mobilità così piccolo da non essere osservato. Tuttavia i frammenti grandi possono essere analizzati senza la perdita troppo grande in sensibilità ottimizzando altri parametri: tagliando larghi frammenti PCR in siti interni di restrizione10 e combinando l’analisi SCCP con HA. Tecnica d’analisi degli eteroduplici (Heteroduplex Analysis o HA) L’amplificazione PCR di porzioni di DNA che includono una piccola mutazione in eterozigosi, genera singoli filamenti di DNA tra loro diversi che possono appaiarsi, durante i cicli termici, anche in modo non esattamente complementare. Queste strutture a doppio filamento sono detti eteroduplici e derivano, ad esempio, dall’appaiamento di un filamento senso normale con un filamento antisenso mutante o viceversa. Il DNA eteroduplice che deriva dall’appaiamento di un filamento normale con un filamento affetto da una mutazione puntiforme, avrà tutti gli appaiamenti regolari tranne uno, in corrispondenza della mutazione. L’eteroduplice avrà, per quest’alterazione strutturale, un maggiore grandezza rispetto ad un DNA in cui l’appaiamento dei due filamenti è perfetto (omoduplice). Ciò provoca una piccola riduzione della mobilità elettroforetica dell’eteroduplice rispetto all’omoduplice che si evidenzia come sdoppiamento di banda in una corsa elettroforetica ad alta risoluzione su gel di poliacrilammide non denaturante. Dato che la vera omozigosi di una mutazione dà necessariamente luogo alla formazione di strutture omoduplici, così come accade in campioni omozigoti normali, si preferisce mescolare in parti uguali l’amplificato del campione in esame con l’amplificato di un campione wild ed effettuare un ciclo termico di denaturazione e rinaturazione per favorire la formazione di eteroduplici. In tal modo sia le mutazioni in omozigosi che in eterozigosi produrranno un eteroduplice e la relativa banda. L’addizione di urea al 10% o di formamide al 15% al gel elettroforetico crea condizioni di lieve denaturazione che migliorano lo risoluzione omoduplice-eteroduplice. Questi additivi riducono però la capacità di risoluzione di frammenti a singolo filamento e non sono perciò raccomandabili se si vuole ottenere attraverso un’unica corsa elettroforetica l’analisi SSCP e HA. PCR quantitativa Nelle lezioni precedenti abbiamo visto la reazione PCR e come essa viene utilizzata per l’amplificazione in vitro del DNA. Adesso dobbiamo parlare della cosiddetta PCR real time (“in tempo reale”) con la quale è possibile monitorare la reazione PCR mentre essa è ancora in svolgimento: i dati che si ottengono alla fine dei cicli si possono utilizzare per effettuare una quantificazione relativa del frammento amplificato. La differenza principale tra la PCR normale e la PCR real time è che mentre nella prima bisogna attendere che la reazione sia terminata per accertare la formazione o meno di un prodotto di amplificazione, con la PCR real time la formazione del prodotto viene seguita all’interno delle provette stesse durante la reazione man mano che il prodotto di amplificazione si accumula durante i cicli termici. Quindi la prima è una reazione “a termine” nel senso che bisogna aspettare che sia finita per sapere se la reazione è avvenuta o meno, la seconda è una reazione “cinetica” cioè che si può seguire nel tempo. Inoltre la PCR real time può essere quantitativa nel senso che con questa tecnica è possibile ottenere una quantificazione dell’amplificato valutando l’intensità della fluorescenza emessa da una sostanza che si lega al DNA, come l’etidio bromuro. La metodica è resa possibile grazie allo sviluppo di apparecchiature in grado di monitorare in modo automatico la fluorescenza del DNA che si forma durante la PCR. Attualmente è possibile sia quantificare l’amplificato che seguire la cinetica di amplificazione senza ricorrere a manipolazioni post-amplificazione con enormi vantaggi di tempo e di affidabilità dei risultati. Soprattutto in virologia sono stati sviluppati kit per la determinazione quantitativa di RNA HIV, EBV, Parvovirus B19 e Herpes 8, etc. Come è possibile seguire l’andamento della reazione PCR in tempo reale? Abbiamo visto che questo è possibile tramite l’impiego di marcatori fluorescenti il cui accumulo segue la stessa cinetica della reazione PCR. La fluorescenza di questi marcatori viene eccitata da un raggio proveniente da una sorgente luminosa che attraversa le provette contenute nel termociclatore e che viene quindi misurata in tempo reale da una telecamera CCD. Tutti le operazioni relative alle misurazioni avvengono sotto il controllo di un software gestito da computer. Fondamentalmente la PCR real time si può realizzare mediante l’impiego di (1) coloranti intercalanti (es. SYBR green), che si legano in maniera aspecifica a tutto il DNA, oppure (2) tramite sonde ad ibridazione marcate con molecole fluorescenti. Sybr Green. Come abbiamo visto nella lezione precedente il Sybr Green è un colorante altamente sensibile che che viene utilizzato in alternativa al bromuro di etidio. Si tratta di una molecola capace di legarsi alla scalanatura minore della doppia elica del DNA Quando viene eccitato alla lunghezza d’onda giusta emette una luce verde la cui intensità è proporzionale al numero di molecole di DNA presenti. Durante una reazione di PCR il numero di molecole di DNA amplificato aumenta di continuo man mano che la reazione procede e quindi aumenterà anche il numero di molecole di Sybr Green legate alle doppie eliche appena sintetizzate. Durante una reazione si osserva quindi un aumento progressivo della fluorescenza del Sybr Green che indica l’accumulo di molecole di DNA amplificato. Se la fluorescenza non aumenta vuol dire che la reazione PCR non è avvenuta. In un tracciato evidenziato al computer durante una reazione PCR real time si osserva innanzitutto un valore basale di fluorescenza per i primi 16-17 cicli, seguito da un aumento lineare della quantità di fluorescenza dal 18° al 26° ciclo, dopo di che il segnale raggiunge un plateau fino al termine dei cicli. Molto spesso si fanno avvenire più reazioni contemporaneamente e quindi nel monitor sono presenti vari segnali colorati ciascuno corrispondente ad un singolo campione. Il vantaggio di usare la tecnica col Sybr Green è che non occorre far uso di sonde ma sono sufficienti i primer di amplificazione, quindi si risparmia nei costi. Uno svantaggio, però, è che il Sybr Green si lega a qualsiasi DNA a doppia elica e quindi anche a DNA aspecifico. Inoltre non si può far avvenire più di una reazione per provetta. Sonde fluorogeniche TaqMan. La sonda di tipo TaqMan è un oligonucleotide che, come i primers della PCR, viene disegnato per essere complementare alla sequenza bersaglio dello stampo da amplificare. Presenta all’estremità 5’ un fluoroforo “Reporter” ed all’estremità 3’ una molecola “Quencher”. reporte r R Q Q quencher In una configurazione di questo tipo la molecola “Quencher” impedisce l’emissione di fluorescenza da parte del “Reporter”. Nel corso di ogni ciclo di PCR, nella fase di estensione del filamento di DNA complementare alla sequenza bersaglio, quando l’enzima Taq Polimerasi incontra l’estremità 5’ della sonda effettua il distacco del “Reporter”. In questo modo il fluoroforo va in soluzione, non subisce più l’inibizione del “Quencher” ed emette fluorescenza Reporter Quencher (Fluoresceina) (Rodamina) Trasferimento di energia Fam Vic Tet Eccitazione laser In base a questo meccanismo l’intensità della fluorescenza aumenta in funzione della concentrazione dell’amplificato specifico della reazione. Reporter Quencher (Fluoresceina) (Rodamina) Taglio sonda 5’ Fam Vic Tet Eccitazione laser La quantificazione di acidi nucleici tramite PCR o RT-PCR e’ diventata un importante elemento nella clinica diagnostica. Questo vale particolarmente per la diagnosi e il controllo della terapia delle malattie infettive. Es.: HIV o HCV. Anche nel campo dell’ oncologia interessa spesso la determinazione quantitativa di particolari mRNA.