IL MISTERO DEI VENETI Per molti secoli, il Veneto rimase una “terra felice” dove la Vita scorreva serena in armonia con la Natura e in pace con tutti. I nostri Antenati, credevano talmente nella pace, che non c'era un vero esercito, anche se conoscevano le armi e in qualche caso le avevano usate per difendersi contro i popoli Barbari che periodicamente si affacciavano ai confini, attratti da queste terre fertili. E' curioso come non ci siano documenti che parlano di una guerra persa con Roma. L'Impero Romano, usò con i Veneti una tattica diversa : molti soldati delle Legioni Romane, venivano premiati con un pezzo di terra, dove andare a vivere in Serenità la vecchiaia. Per es. il FRIULI VENEZIA GIULIA, deriva questo ultimo nome dalla famiglia di GIULIO CESARE che per meriti acquisiti sul campo (da generale, ha vinto tutte le guerre fino a diventare Imperatore) ricevette in premio quella Regione. Questi ex-legionari, venendo a risiedere in Veneto, furono conquistati dalla bellezza “serena” delle nostre donne e sposandosi, mettevano al mondo dei figli che di diritto erano cittadini Romani. Così, piano piano, il Veneto divenne una Provincia dell'Impero Romano. I Veneti, erano noti fin dall'antichità come valenti costruttori di navi e vivevano di pesca ma erano anche abili allevatori di cavalli e ottimi agricoltori. Tali informazioni le potete facilmente riscontrare in diversi testi storici che qui sintetizziamo. 1. Quando Enea decise di partire da Troia, (con lui c'era anche Antenore, che poi fonderà Padova) si fece costruire le navi dagli ENETI un popolo confinante (abitavano nell'Asia Minore, nella Paflagonia) composto da gente pacifica, (erano alleati di Troia, ma si tennero alla larga dalla guerra con i Greci) descritta da Omero come "abili costruttori di navi, che vivevano di pesca, ma anche allevatori di cavalli e agricoltori provetti. " 2. Molti secoli dopo, in tutt'altra parte del Mondo, nel suo libro di memorie “De bello Gallico” Giulio Cesare scrive che per attaccare la Britannia via mare, si fa costruire le navi da un popolo che abitava la Regione del Nord della Gallia : anche loro si chiamavano VENETI ed oltre a costruire navi e vivere di pesca, erano bravi allevatori di cavalli ed esperti coltivatori 3. La teoria recentemente più accreditata dagli Storici (Polacchi e Sloveni) ritiene che questi due Popoli Veneti, provenissero in origine (1200 a. C.) da un'unica Area, denominata Lusezia. che si estendeva nella steppa dal Mar Baltico fino al Danubio. (l'attuale Polonia e parte della Germania) Più o meno la stessa Area dalla quale molti secoli dopo arriveranno anche i Celti. Si ritiene, quindi, che i nostri Antenati Veneti, avessero nelle vene sangue Celtico. Forse è per questo motivo che, quando i Celti arrivarono nel Veneto, non ci furono conflitti, ma si creò subito un'intesa e una spartizione pacifica del Territorio, con i Veneti in pianura e i Celti (Cimbri) sulle alture e montagne. (Alto-piano di Asiago). Vogliamo segnalare che la Civiltà UNETICA ha dato vita alla Civiltà Lusaziana che si diramò in Europa esportando l'amore per i commerci e l'agricoltura. Ma vorremmo anche sottolineare la forte religiosità di questi nostri Antenati, che si esplicava sopratutto nel Rito della “incinerazione dei defunti” raccogliendo le ceneri in apposite urne, che venivano sepolte in vasti campi verdi o al limitare di un bosco. Pertanto, i Veneti Antichi, sono i portatori della “Civiltà dei Campi di Urne” detti anche “CAMPI SERENI” e come tali fondatori e progenitori dell'Uomo Europeo. 4. IL MITO E LA LEGGENDA : Infine, quando si parla della mitica Atlantide, un continente leggendario che ancora oggi non si sa bene dove fosse, ma che sembra sia scomparso a causa di un sisma di potenza inaudita. Varie fonti storiche descrivono i suoi abitanti come : “abili costruttori di navi e allevatori di cavalli che avevano reso fertile la terra abitata.” Che sembra proprio la descrizione di un altro ceppo dei nostri Veneti. 2 LE RADICI CELTICHE DEL TRENTINO, DEL VENETO E DEL FRIULI Fino alla riforma amministrativa augustea che istituì la “Decima Regio, Venetia et Histria”, tutto il Triveneto era incluso nella Gallia cisalpina, e che ancora oggi i linguisti considerano i dialetti istro-veneti come facenti parte del più vasto ceppo Gallo – italico, segno indubbio di un’impronta celtica che si è mantenuta nel tempo. Sarebbe probabilmente stato opportuno dire qualche cosa di più sugli antichi Veneti e sui loro rapporti con i Celti con i quali si sono variamente mescolati nel corso dei secoli. Se noi consideriamo l’Italia preromana, prescindendo dalle colonizzazioni greca e fenicia–punica, tralasciando i Sardi, popolazione rigorosamente insulare ed isolata, troviamo nella Penisola cinque ceppi: 1) Italici propriamente detti, ossia il gruppo latino – tosco – umbro – sabellico (sabino e sannita), 2) i Galli cisalpini, 3) gli Etruschi, 4) i Liguri che costituivano una popolazione insediata non solo nella Liguria attuale e nel Piemonte meridionale, ma anche in vaste aree della Provenza e (sembra) dell’Aquitania, 5) i Veneti. *Riportiamo qui sotto il testo di alcune interessanti ricerche... Celti e Veneti si sono variamente incontrati e mescolati sia sulla sponda atlantica della Gallia sia nell’area compresa tra l’arco alpino, il Mincio ed il Po, erano fin dall’inizio con ogni probabilità popolazioni molto affini, rimaste fedeli per così dire al “tipo base” delluomo indoeuropeo e che non avevano difficoltà ad integrarsi, ma sulla presenza celtica in quella che fu la Venezia Giulia, dalle foci dell'Isonzo al Carso triestino, ai territori passati alla Jugoslavia dopo il secondo conflitto mondiale, è oggi possibile dire qualcosa di più. L’area carsica e delle Prealpi Giulie dall’Isontino fino all’Istria è caratterizzata dalla presenza di alcune tipiche fortificazioni protostoriche fatte di muri a secco (simili a dei piccoli nuraghi) che sono dette castellieri. Stando ad alcune ricerche, i castellieri sarebbero appunto di origine celtica, e se questo è vero, allora la presenza celtica in regione non si limita come fin allora si è ritenuto, alla sola area Carnica, ma si spinge ben addentro nel territorio considerato istroveneto. Sempre nel corso di queste ricerche, molto materiale di origine celtica è emerso nel sito del santuario preromano di Zuglio, l’antica Julium Carnicum; si tratta prevalentemente dei resti di armi, in particolare di lame di spada, che sembrano spezzate deliberatamente. Si ritiene che i guerrieri sopravvissuti ad una campagna bellica usassero sacrificare agli dei la propria spada a titolo di ex voto. Alcune delle spade ritrovate sono di fattura romana, e si pensa che venissero offerte anche le spade di preda bellica, oppure che si trattasse di armi appartenute a Galli Carni che militavano come mercenari nell’esercito romano. Un altro aspetto importante messo in luce da queste ricerche è che la presenza della cultura celtica nella regione è stata non solo più estesa nello spazio ma anche più persistente nel tempo di quanto finora si pensasse: gli scavi condotti nelle necropoli della Carnia hanno permesso di rivelare non solo la continuità degli insediamenti fra età antica ed Evo Medio, ma anche il persistere di una cultura celtica o gallo – romana fin addentro all’età medievale, rivelata dagli arredi funebri, dalla foggia delle fibule, dalla foggia degli abiti che la posizione delle fibule sui corpi lascia desumere, in sepolture che sono coeve degli insediamenti longobardi nella pianura. Nel 1982 si scoprivano nella Val d’Assa, (che è in pratica uno stretto canalone fittamente ricoperto di vegetazione che attraversa l’altopiano di Asiago) una serie di graffiti rupestri analoghi a quelli che costellano la ben più nota Val Camonica ed alcuni megaliti di aspetto affatto simile ai menhir celtici. Questa scoperta permetterebbe di stabilire un collegamento del tutto naturale e logico fra i Celti della pianura Padana ad occidente del Garda ed i Galli Carni insediati in età preromana non solo nell’attuale Carnia (la parte montana del Friuli) ma anche nella pianura veneto – friulana fino all’Adriatico. Cominciamo con l’osservare che la penisola italiana, tutta la penisola italiana, è stata oggetto di un intenso popolamento umano fino da età remotissime. Le popolazioni che rappresentano il sostrato pre-indoeuropeo dell’Italia centro – settentrionale dimostrano una sostanziale continuità dal neolitico all’età storica che ci è testimoniata dalle culture terramaricola, villanoviana, etrusca nelle quali è sempre riconoscibile lo stesso tipo antropologico: l’origine orientale degli Etruschi, sebbene sembri trovare qualche appiglio nelle fonti classiche, è una fantasticheria da 3 respingere nel limbo delle favole non meno di quella che vorrebbe i Romani discendenti di Troia. Imparentati con gli Etruschi sono i Reti insediati sui due versanti del crinale alpino; sono da considerarsi con ogni probabilità un frammento di quello stesso mondo villanoviano – etrusco che le invasioni venete liguri e celtiche hanno separato dai loro affini dislocati fra la pianura Padana, l’Appennino e il mar Tirreno. In Veneto la presenza di insediamenti retici è attestata nell’altopiano di Asiago. Un altro frammento dello stesso contesto villanoviano – etrusco – retico è rappresentato dai Liburni, popolazione costiera dell’Istria, della Dalmazia, delle isole dell’Adriatico. Abilissimi marinai e pirati, i Liburni causarono parecchi grattacapi a Roma quando cercò di sottometterli. Proprio in base a questa non molto fortunata esperienza, i Romani adottarono il loro modello di nave, la liburna dalla chiglia sottile, agile e manovriera che affiancò e quasi sostituì la trireme derivata dalla triera greca. Come per tutte le popolazioni dell’antichità preromana, anche per i Liburni si pone il medesimo interrogativo: fino a che punto la conquista romana ne ha cancellato e fino a che punto ne ha soltanto nascosto l’identità. Di sicuro, gli Uscocchi, i temibili pirati medievali che operando dalle stesse zone, le Isole della Dalmazia, diedero dei seri problemi alla repubblica di Venezia, ma erano temuti anche dall’impero Romano – germanico e dagli stessi Ottomani (che pure erano gente che non scherzava!) sembrano in tutto e per tutto i Liburni redivivi. Su questo sostrato pre-indoeuropeo, successive migrazioni e invasioni portarono alla sovrapposizione di altri popoli: Paleoveneti, Veneti e Celti, popolazioni indoeuropee o probabilmente indoeuropee. Per i Paleoveneti dobbiamo accontentarci di un “probabilmente”, poiché non ci sono rimaste testimonianze della loro lingua; si tratta del resto di una popolazione straordinariamente mal denominata, in quanto il termine “Paleoveneti” suggerisce una fase più antica della cultura veneta, (come si pensava un tempo) mentre sappiamo che non solo si trattava di una popolazione distinta, ma che se è vero che in alcune aree i Veneti si sovrapposero a loro o li sostituirono, in altre essi mantennero la loro cultura e la loro fisionomia fino alla dominazione romana. Si tratta della popolazione portatrice della cultura Atestina, così detta perché individuata grazie a ritrovamenti avvenuti nella località di Este in provincia di Padova; forse sarebbe meglio non chiamarli “Paleoveneti”, designarli come Atestini e basta. Scoperte recenti hanno gettato un po’ più di luce su di loro: si pensa che essi siano giunti nell’area veneto – friulana provenendo dall' Europa centrale: reperti dalle caratteristiche simili a quelle della cultura Atestina (si tratta per lo più di spille e minuti oggetti di oreficeria), sono venuti recentemente alla luce in Moravia e nella zona dei monti Tatra. Oggi noi pensiamo ai Veneti come ad una realtà di dimensioni regionali, ma in origine quello Veneto era uno dei rami principali della famiglia indoeuropea, come il celtico, il latino, il germanico, lo slavo, l’iranico, l’indiano e via dicendo. Formatisi come entità etnico – linguistica con ogni probabilità nell'Europa centrale, i Veneti nel corso delle loro migrazioni si scissero in tre rami, migrando alcuni attraverso le Alpi nella parte orientale della pianura Padana, altri verso occidente fino ad arrivare sull’estuario della Loira e sulle sponde dell'Atlantico; altri ancora si sarebbero diretti verso oriente in direzione del Baltico, ed è questo substrato venetico che spiegherebbe ad esempio la somiglianza di alcuno toponimi di quella che è oggi la Francia occidentale con quelli che si ritrovano in ciò che attualmente è una parte del mondo slavo: ad esempio Brest e Brest Litovsk nell’attuale Polonia. Dei Veneti occidentali, o Vendi, parla diffusamente Giulio Cesare nel De Bello Gallico; costoro erano insediati nella terra che ancora oggi porta il loro nome, la Vendee, che noi conosciamo come Vandea. Dei Veneti cisalpini, quelli che si insediarono nel Triveneto, Tito Livio ci riferisce che già prima della conquista romana erano notevolmente civili, e probabilmente, assieme ai Greci di Adria e di Spina, esercitarono un’influenza civilizzatrice sui Celti, poiché lo storico romano ci testimonia che già prima della fondazione di Aquileia gli uni e gli altri non si distingue-vano che per la lingua, essendo i costumi ed i modi di vita divenuti notevolmente affini. Alcuni toponimi come Concordia (divenuta poi in età romana Concordia Sagittaria perché gli artigiani locali erano specializzati nella produzione di frecce), fanno pensare che si trattasse di insediamenti nei quali comunità di diversa origine, celtica e veneta convivevano pacificamente assieme. Affini ai Veneti ma con caratteri che li distinguevano da questi, erano gli Istri che popolavano non solo l’Istria, regione passata alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale, ed oggi divisa fra Slovenia e Croazia, ma anche il vallone di Muggia e Trieste. Il più antico insediamento nella città giuliana sul “Caput Adriae” sembra essere stato un insediamento degli Istri, Il nome, Terges, “mercato”, 4 (Terges-Tergestis = Trieste) è un etimo istroveneto. E’ verosimile che in questo luogo, che era la propaggine più occidentale del territorio degli Istri, questi ultimi ed i Celti si incontrassero per commerciare. Ad articolare ancora di più il quadro storico ed antropologico certamente complesso che andiamo esaminando, non va neppure dimenticato il fatto che l’area veneta, caso unico in tutta l’Italia settentrionale, conosce in età preromana anche insediamenti greci; su di essa non lontano dal delta del Po sorgono le colonie greche di Adria (che ha dato il nome al mare Adriatico) e di Spina, ed indubbiamente anche queste ultime hanno avuto un’importante influenza culturale sulle popolazioni venete e celtiche ben prima dell’arrivo “civilizzatore” delle legioni romane. I Celti si possono distinguere in Celti cisalpini e transalpini. Celti cisalpini erano i Galli Carni, che alla Carnia, attualmente coincidente con la parte settentrionale montuosa del Friuli, hanno dato il nome; tuttavia occorre rilevare che, stando alle fonti romane, quando fu decisa nel 151 a. C. la fondazione della colonia di Aquileia per tenere sotto controllo i Celti transalpini che avevano iniziato a discendere dal crinale delle Alpi, essa venne fondata “in Carnia”, ossia nel territorio dei Galli Carni, che all’epoca evidentemente comprendeva anche la pianura, coincidendo dunque approssimativa-mente con il Friuli attuale. Occorre però ricordare che “cisalpino” e “transalpino” erano termini che per i Romani avevano un significato non antropologico o culturale ma meramente geografico. In questo caso, significavano che i Galli Carni, a differenza dei Celti di recente immigrazione per tenere d’occhio i quali fu fondata Aquileia, erano insediati nella loro terra da secoli; non se ne deve dedurre automaticamente che essi fossero affini più stretti dei Celti della valle Padana che di quelli che vivevano immediatamente al di là dei valichi alpini. Diversi indizi in effetti collegano i Celti carnici piuttosto alle popolazioni transalpine e danubiane che a quelle della valle Padana, a cominciare dal tipo di colture cerealicole, essi sembrano in effetti rientrare più che nella cultura di La Tene (la cultura “classica” dei Celti occidentali) in quella di Hallstatt, propria dei Celti transalpini e danubiani, e questo non è, a conti fatti, per nulla sorprendente. La località austriaca di Hallstatt fu per tutta l’età celtica, per quella romana e per buona parte di quella medievale un centro economico di notevole importanza che fece indubbiamente sentire i suoi effetti anche al di qua delle Alpi, e sappiamo che all’importanza economica si accompagna spesso l’influenza culturale; questo perché, adiacente alla più grande miniera di salgemma d’Europa, ancora oggi sfruttata, era un centro di primaria importanza nel commercio del sale, che nell’economia aveva un peso paragonabile a quello che ne ha oggi il mercato petrolifero. L’estrazione ed il commercio del sale dovevano avere un’importanza primaria per tutta quella parte del Noricum – oggi Austria -; è quanto ci attestano toponimi come Salzburg, Salisburgo e Obersalzberg. D’altra parte è del tutto verosimile che esistessero collegamenti anche con i Celti della valle padana. Nel 1981, nella Val d’Assa, una stretta valle che taglia l’altopiano di Asiago in direzione del lago di Garda sono stati scoperti graffiti molto simili a quelli della Val Camonica, e negli immediati dintorni dei megaliti, alcuni menhir ed una grande ara sacrificale. Tuttora però questi reperti non risulta siano stati adeguatamente studiati e descritti nella letteratura scientifica. Fin dove si estendesse in pianura la Carnia celtica oggi ristretta alla fascia montana, non è per nulla facile da determinare, anche perché spesso si trattava di insediamenti che si affiancavano ad altri contigui di Veneti ed Atestini senza dimostrare alcun barlume di quello spirito di “pulizia etnica” che caratterizza la nostra civilizzata epoca; alcuni indizi in proposito sono tuttavia molto interessanti. A Cividale, ad esempio, si trova l’ipogeo celtico, una caverna naturale ampliata dalla mano dell’uomo che, sebbene la cosa non sia del tutto certa, si suppone fosse un luogo impiegato per i riti d’iniziazione. Nel 1991, il prof. Maurizio Buora della Sovrintendenza Archeologica di Udine ha effettuato una campagna di scavi in due siti sulla riva del fiume Stella, due formazioni note come Cjastion e Cjastelir che presentano somiglianze con i castellieri del Carso triestino di cui in tempi recenti è stata riconosciuta l’origine celtica. I pochi manufatti rinvenuti, soprattutto minuti frammenti di vasellame, sembrano tuttavia ricollegarsi piuttosto alla cultura Atestina, l’origine celtica delle strutture appare ugualmente probabile; si trattava forse di strutture militari preposte al controllo di una via commerciale. I guerrieri celti ivi insediati non si sarebbero portati le stoviglie da casa, ma le avrebbero acquistate dalle popolazioni vicine. Per nulla dire delle campagne di scavi ancora più recenti (2001) condotte a Zuglio (Julium Carnicum), antico santuario celtico che ha restituito una notevole copia di manufatti, e nelle necropoli della zona che hanno evidenziato, dai reperti rinvenuti e dalla foggia degli abiti dei defunti 5 deducibile dalla posizione delle fibule sugli scheletri, il persistere nelle zone montane di una cultura celtica o gallo – romana fino ai VII – VIII secolo, coeva degli insediamenti longobardi della pianura, che allarga i limiti della celticità friulana non solo nello spazio ma anche nel tempo. A questo quadro già molto articolato va aggiunto un ulteriore elemento messo in luce in tempi recentissimi: il 15 aprile 2003 è stato presentato al pubblico il libro del professor Gino Bandelli dell’Università degli Studi di Trieste: La necropoli di San Servolo, Veneti, Celti e Romani nel territorio di Trieste. Lo studio condotto dall’archeologo triestino sui reperti ritrovati nelle numerose inumazioni del sito, ha evidenziato non solo una sostanziale continuità fra l’epoca anteriore e quella posteriore alla conquista romana, ma che nelle sepolture manufatti ed elementi veneti, celtici ed istri s’intrecciano, a dimostrazione palese che Trieste era fin dalle sue origini (che alcuni fanno risalire al 1000 a. C.), una città cosmopolita, una città – mercato dove le diverse etnie s’incontravano, commerciavano, convivevano. Molte questioni rimangono ovviamente aperte; indubbiamente le nostre conoscenze possono ancora progredire molto, anche se è probabile che la risposta ad alcuni interrogativi non l’avremo mai. Forse la questione che ha più potere di intrigare e di arrovellare, è che cosa ne sia mai stato dei Celti cisalpini con la conquista romana, se possiamo davvero figurarcela come una globalizzazione ante litteram, un rullo compressore che inesorabilmente schiaccia ed amalgama tutte le identità preesistenti. Quel che è certo, è che con la conquista romana della Gallia cisalpina cessa la cultura materiale che noi possiamo riconoscere per celtica. Questo non significa che la popolazione celtica sia scomparsa ma, romanizzandosi, è diventata per noi invisibile. Come ha scritto Fabio Prenc in Kurm: "I Celti ci saranno stati certamente, anche [in età romana], ma il fatto che si vestissero da Romani, mangiassero da Romani, vivessero insomma come Romani, ci impedisce di riconoscere il loro esser Celti". La linguistica e la toponomastica tuttavia ci testimoniano una sopravvivenza di questa celticità sotto la vernice della romanizzazione molto al di là di quanto non suffraghino i soli dati archeologici. Possiamo anzi chiederci come mai parole per indicare oggetti di uso quanto mai comune presenti nell’italiano di oggi non derivino dal latino ma dal celtico: cavallo da capal (e non da equus), carro da kar, capanna da caban, come evidenzia, sempre su Kurm il saggio di Ermanno Dentesano. Eppure, a pensarci bene, non c’è proprio di che stupirsene. L’italiano moderno deriva non dal latino classico ma dal vernaculum, la lingua di uso comune impiegata dal popolino; in particolare la lingua che si parlava con gli schiavi (o parlata dagli schiavi) addetti alle mansioni di servitori di casa (vernae), fra questi ultimi la componente celtica doveva essere piuttosto ben rappresentata. Occorre forse ricordare che Giulio Cesare condusse la conquista delle Gallie come una sorta di guerra privata, contro la volontà del Senato, precisamente allo scopo di procurarsi un gran numero di schiavi da immettere sul mercato romano? Che gli schiavi erano allora il motore dell’economia, una sorta di petrolio umano, e che in seguito alle conquiste di Cesare molte migliaia di Galli furono effettivamente venduti come schiavi a Roma? Che fine hanno fatto? Con il trapasso dall’antichità al medio evo e dall’economia servile a quella feudale, le differenze fra i coloni, i contadini liberi che vedono man mano ridotti i loro diritti, e i servi, gli schiavi che vedono alleviata la loro condizione (nell’Età di Mezzo la parola perde il significato di schiavo per assumere genericamente quello di servitore) si fanno progressivamente più esigue e spariscono, e le due classi si fondono. Gli Italiani di oggi hanno forse più sangue celtico di quanto non s’immaginano Link di ricerca Bibliografia. vai su : http://www.celticworld.it/sh_wiki.php?act=sh_art&iart=1088 6 LE INVASIONI BARBARICHE E LE ORIGINI DI VENEZIA I primi attacchi registrati dagli storici sono ad opera dei Quadi e dei Marcomanni(166/168 d.C.), che, provenienti dalla frontiera danubiana, distrussero Oderzo. I Romani impiantarono sulle Alpi Giulie già dal terzo secolo un possente sistema difensivo (i claustra Alpium Iuliarium citati da Ammiano Marcellino), appoggiato ai centri fortificati di Aquileia e Iulia Concordia. Le difese furono tuttavia superate nel V secolo: i Visigoti guidati da Alarico penetrarono in due riprese (401 e 408 d.C.) lungo la via Annia e nel 452 gli Unni di Attila conquistarono Aquileia, Concordia e Altino. In queste occasioni è probabile che le popolazioni dei territori saccheggiati si siano rifugiate temporaneamente nella zona lagunare, per far quindi ritorno alle proprie case una volta passato il pericolo. Nelle aree lagunari sorgevano all'epoca solo piccoli insediamenti, che si sostentavano con la pesca e lo sfruttamento delle saline. Dopo sessant'anni di dominio goto, l'intera Venetia fu conquistata dal generale Narsete all'Impero bizantino nel 555 d.C. Poco dopo, come racconta Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum, nel 568 i Longobardi guidati da Alboino, si impadronirono di Forum Iulii e delle zone interne, lasciando ai Bizantini i centri verso la costa, a cui si aggiungevano Oderzo e la via del Po (Padova, Monselice, Mantova e Cremona): l'invasione fu forse frutto di un accordo, attraverso il quale la Venetia marittima, (Laguna e Delta del Po) sottoposta all'esarcato di Ravenna, veniva ormai separata dalla Venetia dell'interno (terraferma), la futura Austria longobarda. Una delle conseguenze della nuova invasione fu il trasferimento delle autorità civili e religiose, che furono molto probabilmente seguite da parte notevole degli abitanti, dai centri dell'interno verso la costa, dove già nel secolo precedente si erano andati rafforzando e sviluppando gli scali di Chioggia, l'antica Malamocco (distrutta per una catastrofe naturale agli inizi del XII secolo e ricostruita quindi nella sede attuale), Equilio, Torcello e Caorle : il patriarca di Aquileia, Paolino, si trasferì a Grado, che ospitava già un castrum e due chiese. Il processo di separazione tra regioni costiere e interno fu forse accentuato da una serie di alluvioni (Paolo Diacono descrive come "diluvio" quella del 589) che mutarono l'assetto idrografico. Nel settimo secolo il dominio longobardo si espanse fino alla via Annia: nel 639 d.C. fu conquistata Oderzo (poi distrutta nel 669) e i Bizantini spostarono gli organi amministrativi sull'isola di Melidissa, chiamata in seguito Heraclia in onore dell'imperatore Eraclio. La divisione tra i domini bizantini e quelli longobardi venne sancita agli inizi del secolo, anche da una nuova suddivisione ecclesiastica : il patriarca di Aquileia, ormai aveva stabilito la sua Sede a Grado, dove aveva trasferito le insegne del potere pastorale e le reliquie dei santi e dei martiri fondatori della prima comunità cristiana veneta. Un anno storico per Venezia fu l’828 d.C. anno in cui i Veneziani trasferiscono il corpo dell’Evangelista Marco nella cappella del Palazzo ducale, già sorto nell’isola di Rialto. Secondo la leggenda, due mercanti, Tribuno e Rustico, capitarono in Alessandria d’Egitto nel momento in cui il Califfo faceva saccheggiare la chiesa cristiana dove era conservato il corpo di San Marco (martirizzato nel '68 d.C.). Temendo che il sacro corpo venisse profanato, i due mercanti lo trafugarono, trasportandolo sulla loro nave, in un cassone di legno ricoperto di quarti di maiale. I veneziani gli diedero poi onorata sepoltura nella prima basilica di San Marco e lo elessero loro patrono. Questo evento accrebbe il prestigio di Venezia, non solo come capitale ducale, ma anche come sede religiosa e comportò in seguito il trasferimento della sede patriarcale. Se volete approfondire vedi link: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Venezia 7