U O M I N I Lares et Urbs - gennaio 2009 Eroe la cui storia, quale noi

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PERSONAGGI MITICI
E NEA
Eroe la cui storia, quale noi la conosciamo da Virgilio, è una costruzione mitica formatasi in epoca relativamente recente.
Si sa che, per volere dei Fati, portò in Italia i Penati di Troia, gli
stessi che Dardano aveva trasferito a Troia da Samotracia e che i Pelasgi, secondo i calcoli di Dionigi, avevano già portato in Italia da diciotto generazioni.
Su quali essi fossero sussistono diverse ipotesi:
— Giove, Giunone e Minerva, per i quali i mortali hanno vita ed
intelletto;
— Nettuno ed Apollo, costruttori delle mura troiane;
Nel matrimonio di Enea con Lavinia, figlia del re Latino, si celebra
la fusione della stirpe troiana con quella latina.
Enea stesso fu poi divinizzato sotto il nome di D e u s i n d i g e s =
dio nazionale, dal quale prese origine la successione dei re di Albalonga, fino ai mitici fondatori di Roma, Romolo e Remo.
Un l u c u s S o l i s i n d i g e t i s si trovava nel territorio di Lavinio
presso le foci del Numico, luogo dello sbarco dei Troiani e della mitica
“scomparsa” di Enea, che ne governava il flusso come dio padre
ctonio.
Al Sole indigete si sacrificava a Roma il 9 agosto e l’11 dicembre
(Septimontium).
Lares et Urbs - gennaio 2009
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UOMINI
— Cerere, Pale e Fortuna, principio di ricchezza e di ogni cosa divina ed umana.
PERSONALITÀ PUBBLICHE
Publio Cornelio S CIPIONE A FRICANO
Nato da illustre famiglia, una folgorante
carriera militare lo portò alla decisiva vittoria di Zama contro Annibale, che pose
fine alla II guerra punica nel 202 a.C., per
cui celebrò il trionfo e ricevette il soprannome di Africano. Fu console, censore e,
non ancora quarantenne, princeps Senatus.
Il suo programma politico, avversato prima dai conservatori e poi dai democratici,
portò Roma ad assumere un ruolo di arbitrato internazionale su tutto il bacino del
Mediterraneo. Base del suo potere furono gli
italici, l’esercito, l’enorme prestigio personale sul piano politico e culturale: sebbene conPUBLIO CORNELIO
trastato negli ultimi anni della sua vita, il
SCIPIONE AFRICANO
suo programma e la sua famiglia determinarono (in campi avversi) la politica di Roma per un cinquantennio.
Diede le sue due figlie in moglie, rispettivamente, al cugino Publio
Cornelio Scipione Nasica e a Tib e r io S e m p ro n i o G ra c co , padre
dei celeberrimi tribuni.
Uomo di profonda cultura, fondò il “circolo degli Scipioni”, che
tanto contribuì all’introduzione della cultura greca a Roma. Fu
membro della confraternita dei Salii.
Si recava spesso a meditare da solo nel tempio capitolino, cosa talmente inusitata che a Roma si diffuse la voce (da lui mai confermata
né smentita) che fosse figlio di Giove. La sua figura era talmente circondata da un’aura di prestigio e di carisma che dopo la sua morte ricevette l’onore, veramente insolito a Roma, di avere una sua effigie all’interno del tempio di Giove. Non a caso Cicerone lo fece portatore di
uno dei più alti messaggi della romanità nel Somnium Scipionis.
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gennaio 2009 - Lares et Urbs
SCRITTORI
Nato a Padova nel 59 a.C., fu autore di una delle opere storiche più
aste di tutti i tempi: i suoi 142 libri a b Ur b e co n d it a esponevano la
storia di Roma dalla sua fondazione fino al 9 d.C. (la morte, sopraggiunta nel 17 d.C., gli impedì di completare il progetto originario, che
doveva abbracciare l’intero regno di Augusto, fino al 14 d.C., in 150
libri). La materia, per la quale Livio consultò tutte le fonti all’epoca disponibili, è organizzata in senso strettamente cronologico, secondo la
tradizione annalistica romana.
Dal punto di vista religioso l’opera è di valore inestimabile: l’autore
è estremamente minuzioso nell’elencare prodigi, cerimonie, fondazioni di templi, introduzione di culti, istituzioni sacerdotali, formule
rituali, episodi carichi di significato religioso.
A lui dobbiamo l’esatta conoscenza di alcune importanti pratiche,
quali la p r oc u r a tio , l’evocatio , la d e v o tio .
A lui dobbiamo soprattutto la conoscenza della profonda religiosità
che permeava tutti gli aspetti della vita pubblica romana, che in quella
religiosità trovava la sua più genuina ispirazione; da Livio sappiamo
che se i Romani, soprattutto nei secoli della Repubblica, davano un’interpretazione religiosa delle loro fortune o sventure, non era per mero
scrupolo o per opportunismo di facciata, ma per un immenso,
profondo, tangibile sentimento di comunione religiosa che era l’unico
in grado di risolvere tutti i contrasti e legare tutti i cittadini, come un
solo uomo, al raggiungimento di un solo fine: la prosperità della r e s
public a, il mantenimento della p a x d e o r u m .
È per noi inconsolabile la perdita di circa tre quarti dell’opera di
Livio, di cui ci rimangono i libri I-X (dalle origini al 293 a.C.) e XXIXLV (dalla II guerra punica al 167 a.C.).
© Gregorio Grande - 2009
Lares et Urbs - gennaio 2009
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UOMINI
Tito L IVIO
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