12 agosto 2012 IL CAFFÈ PENS SIERI C4 CULTURA | SAPORI | INCONTRI Milly Carlucci “Ritornerei volentieri sugli schermi della Rsi” A PAGINA 46 Mercati e piazze finanziarie usano un indicatore per dire ciò che nessuno vuole sentire: i ritocchi di bilancio non bastano. Serve più crescita economica LA PARO LA LORETTA NAPOLEONI Chi è Loretta Napoleoni, autrice di questo articolo per il Caffè, è economista, esperta di economia del terrorismo, consulente per la Bbc e la Cnn; sul Caffè cura una rubrica settimanale I l miglior indicatore della fiducia e sfiducia dei mercati è il tasso d’interesse al quale si è disposti a prestare denaro. Lo spread, parola anglosassone, è la differenza tra un tasso ed un altro. Può riferirsi a interessi a breve o a medio termine, a tassi di obbligazioni di due distinti Paesi, come ai differenziali dei mutui immobiliari. Dal 2010, dall’inizio della crisi del debito sovrano, si parla di spread in tutta l’Europa riferendosi ai differenziali tra il tasso d’interesse al quale la Germania si indebita e quelli chiesti al resto di Eurolandia. Nelle aste dei titoli di Stato dei Paesi della periferia, i Piigs, lo spread è cresciuto al punto da costringere la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda a chiedere aiuto all’Eu, alla Banca centrale europea ed al Fondo monetario. Negli ultimi 12 mesi, i tassi d’interesse imposti all’Italia e alla Spagna – che ancora non hanno chiesto aiuto – non solo sono tornati ai livelli della fine degli anni Novanta, quando i mercati chiedevano una garanzia aggiuntiva per prestare i soldi a nazioni che avevano la brutta abitudine di svalutare la propria moneta, ma li hanno superati. L’effetto benefico dell’euro è dunque svanito, mentre rimane quello negativo: le banche centrali dei singoli Paesi non possono né stampare né svalutare la moneta. La perdita della sovranità monetaria contribuisce ad alimentare la sfiducia nei confronti di nazioni come l’Italia, con un debito superiore al 120 per cento del Pil, e questa si manifesta attraverso lo spread. Per fare un esempio, il Giappone, dove il debito si attesta oltre il 200 per cento del Pil, non si trova nella stessa situazione, il problema dello spread con obbligazioni tedesche o americane Le inutili scelte di Italia, Spagna e Grecia L’effetto Monti è durato poco. L’elezione di Rajoy ha fatto lievitare il costo del debito e il ricambio in Grecia non ha risolto nulla neppure si pone, perché questa nazione può stampare carta moneta e ha una banca centrale che fa da creditore dell’ultima spiaggia. I mercati e le piazze affari usano gli spread per dire quello che nessuno vuole sentire: se le cose non cambiano Italia e Spagna, e molto probabilmente anche la Francia, non ce la faranno a sostenere interessi in costante aumento. Il cambiamento di cui abbiamo bisogno non è la promessa di far quadrare il bilancio, né la riorganizzazione dei conti dello Stato attraverso lo spostamento di qualche voce da un titolo di spesa a un altro, e neppure la riduzione di alcune di queste ultime. Non basta nemmeno il cambio della guardia di politici e coalizioni. L’effetto Mario Monti è durato poco. L’elezione di Mariano Rajoy ha fatto gravitare il costo del debito per la Spagna ed il cambio della guardia in Grecia non ha placato l’opposizione del popolo alla politica di austerità. I mercati chiedono la ripresa della crescita economica e lo fanno facendo salire gli spread, chiedendo più denaro agli italiani e meno ai tedeschi, ai finlandesi ed agli svizzeri. Così queste nazioni sono riuscite ad emettere titoli a tassi negativi, sotto zero insomma. Chi compra obbligazioni deve pagare l’emittente per tenerle in portafoglio. Perché? La risposta è semplice, questi titoli sono una sorta di beni rifugio, di assicurazione contro il rischio euro, permettono agli investitori di parcheggiare il denaro in un luogo sicuro fino alla fine della crisi. Lo spread è dunque un importante indicatore economico ed allo stesso tempo l’unico strumento nelle mani del mercato per influenzare la politica economica. Ad esempio, il debito italiano ha una maturità relativamente lunga, circa sette anni, ma il costo è al 6 per cento e lo spread continua a salire. Se l’Italia crescesse come la Cina non ci sarebbe alcun problema ma questo Paese non cresce, anzi nel 2012 il Pil si contrarrà almeno del 2 per cento. Come estrarre allora da un bilancio ne- DOMENICA LIBERO D’AGOSTINO IL TURISMO PAGA IL DAZIO A giugno un meno 11,2 per cento di pernottamenti in Ticino. Ora si lamenta il drastico calo dei turisti tedeschi. Se il tracollo del turismo non è da imputare soltanto al cambio franco-euro, visto che da vent’anni i pernottamenti sono in caduta libera, certo è che i prezzi gli stanno dando il colpo di grazia. Così persino i tedeschi, che in Europa se la passano meglio di tutti, scansano il cantone. Del resto, a Monaco di Baviera alla Hofbräuhaus, storica birreria della città, una cena con due mega stinchi di maiale, una minerale, un’insalata di patate, un succo di mele e un litro di birra, costa 38 euro appena; nei nostri grotti un mini stinco da solo costa 30 franchi. Se non si eliminano almeno cartelli e dazi che, con affitti e spese per il personale, gonfiano i costi dell’industria delle vacanze, del Ticino turistico resterà solo un ricordo pagato a caro prezzo. gativo quel 6 per cento del Pil necessario per pagare l’interesse sul debito? Tagliando drasticamente la spesa, che è quello che hanno fatto la Grecia e la Spagna con i disastrosi risultati a tutti noti. Ebbene l’aumento dello spread significa che i mercati dei capitali bocciano questa politica, non credono che funzionerà. Il paradosso è che tale politica mira proprio a rincuorarli e a convincerli a riprendere a prestare denaro ai Paesi in crisi, come Italia e Spagna. L’aumento dello spread ci dice che senza la condivisione del debito, ormai pochi credono che l’euro sia stato benefico per le economie deboli. Ed ancora una volta è la storia economica italiana a dircelo. Poco meno di vent’anni fa, nel 1994, quando Berlusconi entrò in politica, lo scenario economico veniva definito devastante: il debito pubblico era il 121 per cento del Pil, il tasso sulle obbligazioni decennali era al 9 per cento (l’inflazione, va detto, ai tempi era al 4,2 per cento mentre oggi è al Quando c’era la svalutazione Per quanto poco decorosa, almeno la svalutazione riportava l’equilibrio tra due nazioni le cui economie erano diverse 2,6). Lo spread con i titoli tedeschi oscillava tra i 300 e i 450 punti. Molte quindi le similitudini con la situazione economica italiana attuale. Ma nel 1994 l’economia italiana cresceva al ritmo del 2,2 per cento contro lo 0,5 previsto per il 2011. Il Paese godeva di un avanzo delle partite correnti pari all’1,2 per cento del Pil, allora però la manovra della svalutazione nei confronti delle monete forti, come il marco tedesco ed il franco svizzero, era possibile. Per quanto poco decorosa sia, la svalutazione riportava l’equilibrio tra due nazioni le cui economie erano profondamente diverse e lo spread rifletteva queste differenze. Oggi è lo spread a cercare di ricreare questo equilibrio e le conseguenze sono disastrose non solo per le economie deboli ed indebitate, ma per l’Europa Unita e chi gli vive accanto come la Svizzera che da mesi è costretta a difendere il tasso di cambio con l’Euro per neutralizzare forti spinte verso la rivalutazione.