Principi di Economia – a.a. 2016/2017 – Docente Anna Giunta Che cosa capisco leggendo i giornali? Riparliamone alla fine del nostro corso di Principi di Economia. Benvenuti! L'importanza di studiare economia (08 agosto 2011) “..C'è un aspetto particolare, tuttavia, dei nostri problemi educativi che riguarda più da vicino la vita di tutti i giorni: l'insufficiente attenzione che il sistema educativo riserva all'insegnamento dell'economia. .. Sapere di economia e di finanza serve a tutti. Oggi l'economia è per molti un oggetto misterioso: non sai perché ti pagano X e non Y, non sai perché c'è la recessione, non sai se è bene o male che i cinesi ci facciano concorrenza, non sai perché lo Stato non ha soldi..Studiare l'economia è essenzialmente questo: riprendere la dignità di cittadini consapevoli e rifiutare l'ignoranza inerme. Studiare economia serve. Il «sapere perché» facilita l'arte di trovare rimedi. L'economia infatti non è fuori dal nostro controllo: il nostro «destino economico» è nelle nostre mani.” L'Istat vede al rialzo la crescita italiana, più vicini gli obiettivi del governo Nel terzo trimestre il Pil è cresciuto dello 0,3% rispetto al periodo precedente e dell'1% annuo. La crescita acquisita per l'intero 2016 sale così allo 0,9%, leggermente al di sopra dell'indicazione contenuta nel Def. I benefici sul debito/Pil. (01 dicembre 2016) “..si evidenzia la dinamica positiva dei principali aggregati della domanda interna: crescita dello 0,2% dei consumi finali nazionali e dello 0,8% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni sono aumentate dello 0,7% e le esportazioni dello 0,1%. La domanda dall'estero ha pesato per lo 0,1% sulla crescita del Prodotto, mentre contributi positivi sono arrivati dalla domanda nazionale al netto delle scorte (0,3 punti percentuali) e dalla variazione delle scorte (0,1 punti percentuali). Andamenti trimestrali positivi sia per il valore aggiunto sia dell'industria (+0,8%) sia dei servizi (+0,1%), mentre il valore aggiunto dell'agricoltura registra un calo dell'1,5%... Come ricostruito..c'è una inversione di tendenza sulla crescita del debito/Pil, frutto del combinato disposto di una crescita a ritmo più lento del debito pubblico e di un passo in avanti da parte del Prodotto, con effetti sul rapporto tra le due componenti…” La disoccupazione cala, ma il mercato del lavoro s’agita più in profondità Diminuisce la disoccupazione ma anche il numero degli occupati; aumentano gli inattivi. E’ un panorama complesso e non troppo positivo quello che emerge dai dati Istat sull’occupazione italiana. (01 dicembre 2015) “..Da un lato si conferma un calo del numero di disoccupati (meno 13 mila), con il tasso di disoccupazione che scende all’11,5 per cento, ma questo è compensato dalla crescita di coloro, 32 mila, che hanno smesso di cercare un lavoro, poiché rassegnati. Il dato più interessante è però quello relativo alle fasce d’età in cui vengono creati posti di lavoro. Nell’ultimo anno abbiamo avuto 226 mila posti in più tra gli over 50, un calo di 175 mila posti nella fascia 36-49 e una sostanziale stagnazione in quelle più giovani. Tutti segnali di un mercato del lavoro che sta cambiando, con lavoratori che invecchiano e contratti a tempo indeterminato che non decollano fermandosi a soli 13 mila posti in un anno…” Se in gioco c’è il destino del lavoro (22 febbraio 2017) “…Il mondo dei call center, costruito troppo in fretta come un castello di carte sulle speranze giovanili di stagisti, co.co.co e contratti a tempo determinato, vive oggi di gare a ribasso proposte da grandi committenti pubblici e privati, vinte o perse sul filo di un euro. …la evidenza provata di una competizione impari, la bandiera bianca issata sull’insostenibile divario del costo del lavoro tra l’occidente e il mondo emergente dell’est Europa…Attività che si spostano in Albania o in Romania, perché il lavoro… si sposta inesorabilmente dove vi sono condizioni strutturalmente più vantaggiose e stabili. …È possibile salvaguardare al contempo i livelli occupazionali e il recupero di produttività? Fa bene Trump a minacciare nell’interesse nazionale pesanti sanzioni fiscali nei confronti delle aziende americane che delocalizzano le produzioni in Messico? Due domande solo apparentemente diverse, ma facce della stessa medaglia. È impossibile darci una risposta univoca, se non proviamo a riflettere su ciò che la storia ha insegnato: l’economia può e deve essere regolata dalla politica, ma ogni volta che le logiche del mercato sono state stravolte da muri, confini, fili spinati e dighe, l’economia è collassata. Per la crescita della produttività come per il mantenimento dell’occupazione a nulla serve erigere muri di contenimento o ricorrere a indefiniti tamponi assistenzialistici. Serve innovazione. E questa richiede all’economia coraggio imprenditoriale e non rendita, e alla politica visione e non interventi tampone.” «Ora una risposta alla crisi economica» (06 dicembre 2016) “Dare una risposta «decisa» alla crisi economica. E andare avanti aprendo «immediatamente una stagione ancora più importante di riforme economiche». All’indomani del referendum, che ha segnato la vittoria del no, per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il risultato è la riprova che devono essere affrontate rapidamente le questioni economiche. «La crescita è l’unico modo per combattere disuguaglianze e povertà. Questi nodi cruciali vanno ora affrontati con una politica economica di medio periodo e ampio respiro», ha incalzato Boccia. «.. Ieri come oggi le questioni economiche, debito, deficit e crescita ancora insufficiente, restano aperte e vanno risolte»… «..la crescita è un elemento importante della politica economica. Bisogna andare avanti con una stagione di riforme, approvare la legge di bilancio e proseguire su un’idea importante come la questione industriale, a partire dal Mezzogiorno». Gli industriali avevano espresso il proprio parere per il sìi.. per avere la stabilità di governo e politiche di medio termine che danno sicurezza alle imprese. Puntare alla crescita con le riforme economiche, quindi, e farle presto. Boccia ha messo in evidenza lo sforzo delle aziende per reggere la competizione internazionale: «Le nostre imprese sono impegnate allo spasimo in uno sforzo cruciale per competere sui mercati internazionali. Per questo chiediamo alle forze politiche di rispondere alle necessità del paese, alla questione industriale e alla questione europea, raccogliendo la sfida della competitività». . i Al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (n.d.r.) Il made in Italy e i 60 miliardi persi in prodotti contraffatti (1 giugno 2015) “..Un altro pezzo di economia nazionale che merita un occhio di riguardo, e non solo per via di Expo, è l’industria agroalimentare, le cui esportazioni crescono a velocità doppia rispetto al totale delle esportazioni italiane: siamo a 34,3 miliardi di euro nel 2014. Esportiamo vino e dolci, e poi formaggi, pasta, passata di pomodoro, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Ma anche l’estremo oriente e il Brasile sono in crescita e oggi oltre 1,2 miliardi di persone comprano almeno un prodotto agroalimentare italiano all’anno. Oltre la metà (750 milioni) compra spesso prodotti italiani. La filiera agroalimentare vale l’8,7 per cento del nostro pil e riguarda 3,3 milioni di posti di lavoro: il 13,2 per cento degli occupati (fonte: Nomisma per Adm). Oggi le esportazioni valgono un po’ più di un quinto (20,5 per cento) della nostra intera produzione. Ma Germania (33 per cento), Francia (26 per cento) e Spagna (22 per cento) fanno meglio, anche se noi già guadagniamo di più perché i prodotti che esportiamo sono tipici, eccellenti e più cari. Proprio per questo sono anche più esposti alle imitazioni: da una parte c’è l’italian sounding (prodotti fatti altrove che si fingono italiani), dall’altra le contraffazioni vere e proprie...”