Paolo Valore ALCUNE NOTE SULL’ATTUALITÀ DELL’ONTOLOGIA NELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA PIÙ RECENTE Sembra che il primo testo intitolato Ontologia sia un’opera di Wolff del 1729, Philosophia Prima sive Ontologia, che la definiva «scientia entis in genere, seu quatenus ens est», identificandola così con la metafisica in generale 1. Da allora il termine ha conosciuto alterne fortune ed è stato usato con accezioni molto diverse e talvolta incommensurabili. La ricerca in ontologia è stata spesso sovrapposta a, o identificata con, quella in metafisica generale. A me sembra che sia possibile introdurre almeno un criterio di distinzione, che fa riferimento al senso da attribuire alle due prospettive: ciò che chiamiamo ontologia può essere considerata una ricerca sull’essere e sull’esistenza in generale, mentre la natura (l’essenza) di tale essere (il suo significato ultimo, le sue note caratteristiche, ammesso che ve ne siano) restano oggetto d’indagine per la metafisica. Se possiamo includere l’esistenza dei pensieri tra i diversi oggetti ammessi nella nostra ontologia, non possiamo domandarci della natura del «pensiero», senza abbandonare l’ontologia per la metafisi1 Cfr. C. Wolff, Gesammelte Werke, hrsg. und bearb. von Jean Ecole und H. W. Arndt, 2. Abt.: Lateinische Schriften, 3: Philosophia prima sive Ontologia methodo scientifica pertractata, qua omnis cognitionis humanae principia continentur, edidit et curavit Joannes Ecole, Olms, Hildesheim 1962. 7 Paolo Valore ca. In alcuni casi, del resto, il confine tra i due ambiti non può essere tracciato in maniera così nitida, sia per ragioni intrinseche (di nesso effettivo tra i due piani) sia estrinseche (per la diffusa sovrapposizione di ontologia e metafisica tradizionale). In ogni caso, l’ambito della ricerca ontologica viene chiaramente rintracciato in relazione all’esistenza e all’essere. Ora, ha ancora senso, oggi, tornare ad occuparsi di ontologia, come ricerca sull’esistenza e sull’essere, per quanto ritagliata all’interno della più ampia metafisica? Il «significato dell’esistenza» viene classificato tradizionalmente tra i problemi metafisici, accanto a questioni quali quelle dell’essenza dell’anima o dell’origine del mondo. In quanto problema metafisico, il tema dell’essere e dell’esistenza, dovrebbe rientrare in quella che si può definire, kantianamente, «logica della parvenza», o, nei termini del neoempirismo, la vasta regione degli «pseudoproblemi», generati dal ‘corto circuito’ del linguaggio. I filosofi che si sono richiamati a Kant in funzione anti-idealista, i seguaci delle diverse filosofie ‘scientifiche’, coloro che si sono riconosciuti nella tradizione del neoempirismo logico o di quella che è stata definita filosofia analitica e che si è considerata, almeno per un certo periodo, l’erede legittima della scuola del Circolo di Vienna, rifiutano di solito «la metafisica». C’è un comune atteggiamento antimetafisico nella filosofia contemporanea. Il termine viene usato in senso quasi esclusivamente deteriore: anche per il Circolo di Vienna, la metafisica rappresentava l’ambito di cui già Kant si era sbarazzato in modo risolutivo. Molte altre tradizioni hanno esplicitamente rigettato la «metafisica della presenza», che faceva dell’Essere un oggetto che sta, in qualche modo, dinanzi a noi, aspettando di essere descritto. L’ontologia sembrava così, tra le discipline filosofiche, condannata ad un destino di oblio. Eppure, recentemente si è avuta un’autentica rinascita dell’ontologia. Basti ricordare qui la raccolta di saggi dedicata a Gustav Bergmann, per la quale si scelse il titolo, abbastanza profetico, di The Ontological Turn 2: dopo la svolta linguistica e assieme alla nuova svolta cognitiva, vi è stata, nella filosofia contemporanea più recente, un’inattesa svolta ontologica, che, in ogni caso, non si innesta misteriosa2 M.S. Gram - E.D. Klemke (eds.), The Ontological Turn, University of Iowa Press, Iowa City 1974 8 Alcune note sull’attualità dell’ontologia mente su una tradizione di pensiero del tutto impermeabile (neppure quando si tratta di neokantismo o neoempirismo), ma, piuttosto, sviluppa, in modo, questo sì, sorprendente, alcuni germi che forse già erano presenti persino nelle dottrine che più esplicitamente hanno rigettato la possibilità stessa di un’ontologia (e di una metafisica in generale). Ad esempio, lo stesso Bergmann, in cui onore si pubblicava The Ontological Turn, aveva pubblicato, nel 1954, un testo che cercava di ridimensionare l’attitudine antimetafisica della tradizione del positivismo logico, dal titolo provocatorio di The Metaphysics of Logical Positivism 3. Il dibattito attuale sembra addirittura monopolizzato dal confronto tra realismo e antirealismo, sia in ontologie, per così dire, locali (come nel caso del dibattito sulle entità astratte della matematica) sia in senso generale (come nel confronto tra i diversi realismi con aggettivi: pragmatici, interni, prospettici, metafisici … ). Basti ricordare il caso di Hilary Putnam e il suo percorso dal realismo «metafisico» al realismo «interno», con inserzioni di kantismo e pragmatismo. O ancora, il saggio del 1999, anch’esso intitolato The Ontological Turn, scritto da C.B. Martin e J. Heil 4 (che affianca tutta una serie di pubblicazioni, in cui si parla di «svolta ontologica» ). Infine, Ernst Tugendhat ha addirittura proposto di ridefinire la filosofia analitica non più come filosofia del pensiero-linguaggio, bensì come filosofia «dell’oggetto» (la tesi si trova già nel 1976, in Vorlesungen zur Einführung in die Sprachanalytische Philosophie 5). Certo, viene da chiedersi: l’ontologia che riscuote oggi un tale successo è ancora la vecchia ontologia della tradizione? È chiaro che l’ambito è ancora, per certi versi, lo stesso: il problema dell’esistenza e dell’essere: che cosa c’è, cosa è reale, sia nel senso della domanda sui singoli enti cui riconoscere realtà, sia nel senso dell’interrogativo su cos’è, in definitiva, la realtà. Ma come possiamo intendere quest’ambito nel dibattito contemporaneo? Da un punto di vista molto generale, ciò può essere inteso in al3 G. Bergmann, The Metaphysics of Logical Positivism, University of Wisconsin Press, Madison 1954. 4 C.B. Martin - J. Heil, The Ontological Turn, in P.A. French - H.K. Wettstein, New Directions in Philosophy, numero monografico di «Midwest Studies of Philosophy», 23 (1999). 5 E. Tugendhat, Vorlesungen zur Einführung in die Sprachanalytische Philosophie, trad. it. parziale Introduzione alla filosofia analitica, Marietti, Genova 1989. 9 Paolo Valore meno due sensi: o in relazione all’esistenza e all’essere in quanto tali, o all’esistenza e all’essere reali (in opposizione all’esistenza ordinaria, o fenomenica). Nel primo caso, possono essere percorse due vie: o il privilegio del senso comune, come comun denominatore delle differenti teorie e come criterio ultimo della verità fattuale dei vari piani di oggettualità, oppure il riconoscimento di diverse ontologie, in rapporto ad ambiti o teorie differenti, spesso con estrema tolleranza, anche della coesistenza di ambiti oggettuali in aperto contrasto gli uni con gli altri. Nel secondo caso, si intende l’ontologia come ricostruzione del dominio di realtà in sé, o anche solo di realtà autentica, al di là e spesso a fondamento del piano di oggettività dell’esperienza (è il caso anche del ‘reale’ [o dei ‘reali’] posto [posti] a render ragione dell’esperienza). Questa seconda sfumatura della ricerca ontologica difficilmente parla di ontologie al plurale e intende il lavoro in ontologia in modo molto simile alla ricerca metafisica tradizionale. Oggetto della ricerca ontologica è dunque, soprattutto, ciò che siamo pronti a riconoscere come reale, ciò che siamo pronti ad accettare o a porre. In questa definizione non va sottolineata nessuna connotazione psicologica: siamo costretti a porre un certo ambito di oggettualità (anche lo stesso piano di realtà in senso proprio) perché questo ambito deve essere riconosciuto. Un’ontologia include dunque tutto ciò che viene riconosciuto come reale (o come effettivamente reale). L’accento non è sull’atto del fare esperienza o del riconoscere oggetti, ma sul contenuto d’esperienza o sull’oggetto riconosciuto. Per questa caratteristica, che è, a mio parere ineliminabile, l’ontologia non può neppure essere risolta nell’epistemologia. In questa raccolta si è inteso render conto sia dell’eterogeneità delle ricerche in questo ambito, come ricostruzione del senso ultimo delle realtà d’esperienza oppure come indagine su queste stesse realtà, sia del nesso che lega profondamente ogni indagine che intenda mettere a fuoco la nozione di essere. Per garantire questa continuità, seppur tenue ed estremamente flessibile, si è evitato di includere in questa accezione di «ontologia» gli ambiti di ricerca che non chiamano in causa direttamente ed immediatamente l’oggettualità e la nozione di realtà: si è preferito, ad esempio, non includere l’indagine sul senso dell’esistenza umana (analitica dell’Esserci) che Heidegger chiama talvolta «ontologia». Quel che la presente raccolta intende fare è mettere a fuo- 10 Alcune note sull’attualità dell’ontologia co alcuni momenti della riflessione sull’ontologia, che forse non è del tutto inutile tornare a ripensare, anche per la ricerca teorica e concettuale, tipica della «svolta ontologica» contemporanea. 11