L. Gratton
SISS AA: 2000-01
Ottica geometrica:
Lenti sottili, ingrandimento ottico (lineare, angolare), strumenti ottici, potere e risolutivo degli
strumenti ottici.
La relazione fondamentale che descrive il funzionamento delle lenti sottili ( si suppone che le
superfici siano sferiche!) è la seguente:
1
p
1
p

1

1
q

1
f
1 1
 n  1 
q
 r1 r2



dove p e la distanza, lungo l'asse ottico, dell'oggetto dal centro della lente sottile e q che la distanza
dell'immagine dal centro della lente sottile; n è l'indice di rifrazione relativo all'aria, f è il fuoco
della lente. r1 ed r2 sono i raggi di curvatura delle due superfici bella lente sottile.
Nb. p, q ed f hanno un segno che dipende dalla convenzione scelta. I raggi di curvatura hanno un
segno che dipende dalla convenzione scelta. In genere si sceglie come convenzione che p è positivo
a destra (sinistra) se i raggi provengono da destra (sinistra) cioè se si tratta di un oggetto reale,
altrimenti p è negativo. La stessa cosa vale per q e per il fuoco f. q sarà pertanto positivo se
l’immagine è reale, negativo nel caso contrario. Per le lenti convergenti f è positivo, negativo per
quelle divergenti. r1 è positivo se la convessità è rivolta dalla parte da cui provengono i raggi
negativo nel caso contrario, per r2 vale l’ opposto.
Il fuoco f di una lente è il punto il cui convergono i raggi provenienti da un oggetto a distanza
infinita, cioè i raggi paralleli all'asse ottico; se i raggi che raggiungono la lente sono paralleli ma
provengono da una direzione diversa dall’asse ottico, essi convergeranno in un punto del piano
focale. La lente sottile ha ovviamente due fuochi simmetrici uno da una parte ed uno da un'altra
della lente stessa. Il fuoco può essere reale o immaginario nel senso che per una lente doppio
convessa o piano convessa (convergente) rappresenta il punto in cui convergono i raggi provenienti
dall'oggetto a distanza infinita mentre per una lente divergente biconcava o piano concava i raggi
sembrano provenire dal fuoco che per tanto non rappresenta un punto in cui realmente c'è passaggio
di energia. Esistono anche lenti concavo convesse che possono essere convergenti o divergenti
secondo i valori dei raggi di curvatura rispettivamente della parte concava e della parte convessa
(vedi la relazione che lega il fuoco ai raggi di curvatura delle superfici della lente).
in figura è rappresentato il funzionamento di una lente come ingranditore da diapositive. L'analisi
della figura permette di ricavare l'ingrandimento lineare di una lente funzionante in questo modo. Si
ricava dalla similitudine dei triangoli OAB e Oab:
ab
AB

aO
AO
ma
1

q
p
ingrand. 
dim. immagine
dim. oggetto
M 
ab
AB

q
p
In questo caso si può parlare di ingrandimento lineare.
L'immagine risulta capovolta e l'ingrandimento lineare M è negativo. Questo è sostanzialmente lo
schema del proiettore (cinema o diapositiva), l'immagine è infatti reale ed ha bisogno di uno
schermo di proiezione per essere vista.
Potere risolutivo dell'occhio e distanza di visione nitida.
In media un occhio umano riesce a distinguere due punti posti alla distanza di 0.150.10 mm fra di
loro e distanti 250 mm dall'occhio; ciò vuol dire che in media l'occhio umano e in grado di
distinguere (risolvere)due oggetti che siano visti sotto un angolo b=1'36"’".
Lente di ingrandimento (microscopio semplice)
.
Vediamo ora come viene usata una lente per ingrandire (la lente di ingrandimento da tavolo).
L'oggetto AB è posto tra il fuoco F e la lente; il fuoco f è in genere piccolo (così si può porre
approssimativamente pf). L'immagine che si forma è virtuale ed è tale che disti dall'occhio circa
25 centimetri (distanza della visione nitida). Dalla similitudine dei triangoli OAB e Oab si ricava
che:
M 
ab
AB

q
p
L’ingrandimento è tanto maggiore quanto maggiore e q (bisogna porre al dente vicino all'occhio)
nel caso limite q=25 cm =d (distanza di visione nitida) ed essendo pf sia ha:
M 
25
f
Dove f va espresso in cm. L'immagine è virtuale ma diritta; d'ingrandimento è positivo.
2
Microscopio (microscopio composto).
Si chiama composto perché è costituito (almeno) da due lenti: una è l'obiettivo, l'altra è l'oculare.
L'obiettivo funziona come un proiettore e l'oculare con una lente d'ingrandimento.
L'obiettivo (a focale molto corta) ha, ovviamente, la funzione di ingrandire ma anche quella di
creare un'immagine reale dell'oggetto che viene a porsi tra l'oculare ed il suo fuoco, ma prossima al
fuoco stesso, l'oculare o produce a sua volta un'immagine virtuale tale che sia posta la distanza di
visione nitida dall'occhio che osserva e che è "appoggiato" all'oculare stesso. L'ingrandimento M
sarà dato dal prodotto dell'ingrandimento dell'oculare e dell'obiettivo. Lo schema è:
Calcoliamo l’ingrandimento. Osservando la figura si nota come l’obiettivo si comporti come un
proiettore da diapositive e l’oculare come lente di ingrandimento. Abbiamo pertanto.
p
M ob 
q
ma pfob e qL (con L si indica la lunghezza del microscopio); ne consegue che (vedi figura)
L
M ob 
f ob

a ' b'
AB
Per l’oculare si ha:
M oc 
ab
a ' b'

q'
p'
Ma q'd (distanza di visione nitida)=25cm e p'=foc, pertanto:
M oc 
25
f oc
L'ingrandimento complessivo è pertanto dato da:
M  M oc  M ob 
d
f oc

L
f ob

ab
AB

Ld
f ob f oc
In teoria, cioè in base all'ottica geometrica (approssimazione zero), non ci sono limitazioni
all'ingrandimento ottenibile sia con le lenti d'ingrandimento sia con un microscopio. È
sperimentalmente verificabile che ciò è falso, cioè l'approssimazione dell'ottica geometrica non
permette di determinare i limiti di questi strumenti.
Prendiamo in esame solo il microscopio (diciamo comunque che per le lente d'ingrandimento le
maggiori limitazioni sono dovute alle aberrazioni cromatiche, sferiche, di coma, ecc.).
Prendiamo in esame soltanto alcuni aspetti: potere risolutivo, profondità di campo, luminosità.
I problemi dovuti alle aberrazioni vengono, almeno in parte, risolti progettando degli obiettivi e
degli oculari costituiti non da lenti semplici ma da gruppi di lenti anche molto complessi il che
aumenta notevolmente il costo dei microscopici di buona qualità.
3
Luminosità
È un fattore determinante. È l'intuitivo che la luce proveniente dall'oggetto che viene ingrandito, si
ripartisce "uniformemente" sull'immagine, pertanto se si ottiene un'immagine ingrandita 1000 volte
(x1000) la sua superficie risulta ingrandita106 volte! Ne consegue che l'intensità di luce proveniente
da una data porzione dell'oggetto diventa al più un milione di volte inferiore in una porzione uguale
dell'immagine (se non ci sono perdite per assorbimento e riflessione dei gruppi ottici ecc.).
Nb. La intensità totale della luce proveniente dall'immagine sarà minore o uguale di quella
dell'oggetto; pertanto un sistema di illuminazione molto buono dell'oggetto da ingrandire è una
condizione irrinunciabile in uno strumento di buona qualità. Inoltre bisogna che il rivelatore
(l'occhio, la macchina fotografica o altro) siano sufficientemente sensibili per rivelare il segnale. La
scarsa luminosità crea anche problemi di contrasto e altri inconvenienti ancora.
Potere risolutivo.
Passiamo ora ad esaminare i due problemi che rimangono e che sono i limiti veri e insuperabile per
gli strumenti ottici, essi sono intrinseci agli strumenti stessi. Per comprendere a fondo le cause che
li producono è necessario tener conto oltre che della rifrazione anche della diffrazione.
Il potere risolutivo e la minima distanza cui devono trovarsi due oggetti perché possano ancora
essere visti distinti dallo strumento. Per l'occhio abbiamo visto che la condizione ottimale è a 25 cm
ed è di circa 0.1 mm. Per il microscopio la teoria della diffrazione permette di dimostrare che il
potere risolutivo dell'obiettivo vale:


R

2 nsen 
NA
NA prende il nome di apertura numerica dell’obiettivo.  è la lunghezza d’onda utilizzata (in genere
il visibilem). n è l'indice di rifrazione del mezzo in cui si trova l'oggetto (n per l'aria 1)
 è la metà dell'angolo sotto cui l'oggetto vede l'obiettivo (vedi figura)
Poiché
  5  10 7 m
n 1
  90 
Se poniamo sen=1 (l'oggetto è molto vicino all'obiettivo!!) si ottiene per la risoluzione limite:
R
5  10 7
2
m
L'ingrandimento un utile massimo ottenibile risulta essere
M ut 
potere risol. occhio
potere risol. microsc.
 10  4
2
5  10  7
 400
Se si interpone un liquido (obiettivo ad immersione) con indice di rifrazione, ad esempio di 1.5, si
ottengono 600 ingrandimenti utili. Se si utilizza una lunghezza d'onda minore (nell'ultravioletto:
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microscopi ultravioletti) ad esempio =3000 Å allora si ha (per n=1,5) M=1000. Ma in questo caso
si devono usare rivelatori sensibili a questa lunghezza d'onda (l'occhio non va più bene).
Nb. Quanto detto riguarda il massimo ingrandimento utile, cioè se si vuole si può ingrandire di più
ma a causa della limitazione introdotta dalla diffrazione non si potranno in ogni caso distinguere
(vedere come distinti): degli 'oggetto a distanza minore di R. C’è comunque il vantaggio di una
visione più agevole.
Profondità di campo
È definita come la distanza massima (lungo l'asse ottico) tra due punti ancora a fuoco.
La teoria permette di ricavare la seguente espressione
P1 P2 
0.15
M 2
mm
da distanza è espressa in millimetri. M è l'ingrandimento totale,  è l'angolo definito in precedenza.
Come si vede immediatamente una grande profondità di campo è incompatibile con alti
ingrandimenti che si ottengono tra l'altro con 90o. Nell'esempio numerico da noi considerato si
ottiene: P1P2=0.08m (800 Å)
La profondità di campo dei microscopi ad alta ingrandimento e piccolissima!.
I microscopi elettronici e risolvono questo problema; essi hanno e piccolissima (la lunghezza
d'onda di De Broglie associata agli elettroni) e dipendente dall'energia.
e 
h
pe
 1.226 E

1
2
h è la costante di Plank, pe è l’impulso associato all’elettrone. L’ espressione fornisce la lunghezza
d’onda in nm associata ad un elettrone di energia E eV.
La profondità di campo e da 1000 volte in su quella dei microscopi ottici dato che l’apertura
numerica NA per i microscopi elettronici è dell’ordine di 1.66sen.
Telescopio ottico (cannocchiale astronomico), ingrandimento angolare, potere risolutivo
angolare
Un telescopio è sempre costituito da un sistema di almeno due lenti (telescopi a rifrazione). La
prima lente è l'obiettivo la seconda è l'oculare. Talvolta l'obiettivo è sostituito da uno specchio
parabolico (telescopi a riflessione). Lo schema di funzionamento e il seguente:
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I telescopi servono per guardare oggetti a grandissima distanza. L'immagine data dall'obiettivo
pertanto si forma essenzialmente sul suo fuoco o sul suo piano focale. L'oculare, come nel
microscopio, ha la funzione di ingrandire questa immagine, esso produce pertanto un'immagine
virtuale capovolta ingrandita dell'oggetto posto sul piano focale dell'obiettivo. L'immagine virtuale
prodotta dall'oculare si forma alla distanza di visione nitida. Nel caso dei telescopi non ha
significato parlare di ingrandimento lineare in quanto le immagini che producono sono in genere di
gran lunga più piccole degli oggetti sotto osservazione. Si suole per tanto parlare di ingrandimento
angolare, in quanto i telescopi hanno la funzione di far vedere due punti che visti ad occhio nudo
appaiono sotto un certo angolo sotto un angolo molto più grande.
Osservando la figura si recava facilmente l'ingrandimento angolare prodotto da un telescopio.
Definiamo come ingrandimento angolare il rapporto (vedi figura)

Ma 

Data la grande distanza degli oggetti possiamo scrivere
  tg 
a ' b'
  tg 
a ' b'
f ob
e
f oc
da cui si ricava:
Ma 
f ob
f oc
Si osserva che l'ingrandimento è tanto maggiore quanto maggiore è la focale dell'obiettivo (questo
il motivo per il quale i tubi dei telescopi sono così lunghi) e quanto minore è la focale dell'oculare.
La messa a fuoco la si fa muovendo solo l'oculare (l'obiettivo non conta poiché la sorgente e in
genere a distanza "infinita", i raggi sono paralleli e comunque passano per il fuoco dell'obiettivo).
Si dimostra che anche per i telescopi esiste un limite all'ingrandimento angolare.

R a  1.22
D
Dove  è la lunghezza d'onda della luce e D il diametro dell'obiettivo (lente o specchio che sia).
Questa espressione rappresenta il primo termine dell'espansione di una serie di Bessel che esprime
la posizione dei minimi di diffrazione da una apertura circolare. Il significato è il seguente.
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Una apertura circolare fornisce per diffrazione un'immagine costituita da una macchia luminosa
circolare contornata ad anelli luminosi intercalati da anelli oscuri; questo se l'oggetto è costituito da
una sorgente luminosa estremamente lontana che produce sulla apertura un'onda piana (raggi
paralleli). Se si considerano due sorgenti punti formi estremamente lontane, l’angolo Ra minimo
sotto cui possono essere viste dal telescopio come distinte deve 'essere tale che l’immagine di una
delle due sorgenti cada nella prima zona buia dell'immagine della seconda sorgente (criterio di
risoluzione).
Dalla espressione si intuisce il motivo per cui i telescopi astronomici vengono costruiti con aperture
sempre maggiori (diametro degli obiettivi).
Poiché il potere risolutivo angolare dell'occhio vale:
R aocchio 
10 2 cm
25cm
 4  10  4 rad
Si ricava che il potere risolutivo utile angolare limite per un telescopio è dato da:
Ma 
R a occhio
Ra

4  10 4 D
1 .22

 3 .3  10  4
D

I seguenti sono alcuni esempi numerici.
Se poniamo  nel visibile =5x10-7 m si ottiene
M a  660 D
Con D che deve essere espresso in metri.
Per un telescopio giocattolo con D=5 cm si ottiene:
Ma=33
Per un telescopio professionale da 1m di diametro si ottiene
Ma=660
Per il famoso telescopio di Monte Palomar D=5 m
Ma=3300
I telescopi attuali più grandi hanno un diametro per l’obiettivo di 10 m
Ma=6600
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Le risoluzioni angolari sono date da
Ra 
R aocchio
Ma
Che espresse in gradi valgono rispettivamente:
5 cm 
2.5”
1 m 
0.12”
5 m 
”
10 m 
”
Per comprendere almeno in parte l’importanza dei grandi telescopi si può ricordare che per
osservare la parallasse stellare minima si è dovuto attendere la meta del diciannovesimo secolo.
Ricordo che per parallasse stellare si intende la metà dell’angolo sotto cui viene vista una stella a
sei mesi di distanza (da due posizioni diametralmente opposte dell’orbita terrestre).
Poiché la stella più vicina si trova a circa quattro anni luce, la sua parallasse vala:
P
rtaggio orbita
distanza stella

150000000 km
4  365gio.  86400sec/g io.  300000km/s ec
 4 .97  10  6 rad
Che trasformati in gradi valgono:2.27x10-4o, e in secondi 0.8”. Ciò vuol dire che ci vuole un
telescopio di almeno 0.6 m di diametro per potere misurare con incertezza del 100% questa
parallasse. Con un telescopio di 1 m l’incertezza si riduce a circa il 15% (naturalmente per
strumenti perfetti). Questo è il motivo per il quale le prime parallassi stellari furono misurate verso
la metà del diciannovesimo secolo. Il primo ad avere successo fu Fiedrich Bessel (nel 1838) che
aveva a disposizione un telescopio con sufficente risoluzione.
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