XV edizione I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum Giuseppe Ungaretti. “Quel nulla d’inesauribile segreto” Firenze, Palazzo dei Congressi 25 - 27 febbraio 2016 TERZO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA TRIENNIO TRA FISICA E POESIA: IL MISTERO DEL NULLA. Ungaretti e lo scienziato alla scoperta del vuoto Studenti: Anita Baldieri, Emma Gargiulo, Marta Mazzacchera, Chiara Mazzucchelli, Elena Maria Zandri Classe V B Scuola Liceo Scientifico "Luigi di Savoia" Ancona Docente Referente Prof.ssa Maria Cristina Santini Motivazione: Il mistero del nulla "Il vuoto non è assenza, ma contiene una verità invisibile e inesauribile": una scoperta che il lavoro riesce ad approfondire in un suggestivo dialogo tra scienza e letteratura, due modi diversi eppure intimamente connessi di guardare il mistero della nostra vita nel cosmo e alla "Forza dell'Amore". 1. PREMESSA Quando, ad ottobre, ci è stato proposto di partecipare ai Colloqui Fiorentini, siamo rimaste subito affascinate e ammaliate dal progetto. L’obiettivo di scrivere una tesi su Ungaretti ci è apparso semplice, raggiungibile senza troppi sforzi: abbiamo dato per scontato che le sue poesie, brevi e così facili da memorizzare, fossero anche immediate da analizzare e da comprendere. Leggere gli scritti di Ungaretti, invece, non è stato facile, e tanto meno capire il significato nascosto dietro alle parole e agli spazi vuoti. Avvicinarci, quindi, alla poesia e alla poetica di Ungaretti ha permesso a tutte noi di approfondire e scoprire aspetti del suo percorso umano, della sua anima, che, inizialmente, non erano così palesi, anzi, sembravano insospettabili. La lettura delle sue opere ci ha appassionate e trasportate in una dimensione di condivisione, rendendoci partecipi della vita stessa del poeta e dei suoi contemporanei; essa ci ha permesso di comprendere a pieno come quello poetico sia davvero un linguaggio universale, che, pur partendo dall’esperienza del singolo, giunge a coinvolgere l’umanità intera, che soffre e cerca il senso dell’esistenza. Attraverso l’approfondimento della lirica di Ungaretti, sono sorte numerose domande e riflessioni, legate alle conoscenze inerenti le discipline scientifiche a noi tanto care. Immergersi nelle esperienze dell’Autore, comprendere ciò che lo ha spinto a scrivere del suo vissuto e scoprire il fine di tale sforzo ha fatto sì che noi arrivassimo ad intuire, spontaneamente, un parallelismo con la fisica moderna. Intuizione forse apparentemente azzardata, ma che, in realtà, cela dietro di sé collegamenti più profondi di quello che si potrebbe immaginare. Ciò che sin da subito ci è apparso chiaro, infatti, è che Ungaretti e un qualsiasi scienziato sono accomunati da una ricerca mossa da un impeto inarrestabile, da un desiderio quasi istintuale di individuare i principi che governano la realtà. È altrettanto evidente che, sebbene l’oggetto della loro ricerca sia analogo, il metodo di analisi della realtà è estremamente differente, addirittura opposto: da una parte si considerano le esperienze umane di vita, tanto dolorose e tragiche quanto significative per la crescita dell’Io, dall’altra si studia la massa di una particella o si cerca la prova della sua esistenza. Alla luce di questa nostra intuizione, ossia l’affinità tra Ungaretti e un uomo di Scienza, abbiamo facilmente identificato “quel nulla di inesauribile segreto” con il vuoto di cui parla la fisica moderna. Un collegamento che è giustificabile, se si considera che, in entrambi i casi, si tratta di qualcosa che non è veramente vuoto: il nulla, infatti, non è totale assenza di materia, ma nasconde qualcosa, che siano campi che interagiscono col bosone di Higgs o, addirittura, il mistero profondo della vita. È per tale motivo che abbiamo accettato il rischio, decidendo di affermare questa tesi così audace, che ci porta a considerare Ungaretti sullo stesso piano di uno scienziato e fa coincidere il suo nulla con il nostro vuoto. Quest’ultimo nasconde qualcosa di estremamente significativo e questo concetto lo riscontriamo sia in fisica, in quanto il vuoto contiene materia, sia in Ungaretti. Per il nostro poeta, il vuoto è tanto importante quanto inesprimibile ed ineffabile e contiene in sé l’essenza della vita. Il nulla nelle opere dell’Autore emerge attraverso non solo le parole, ma anche un vuoto vero e proprio: lo spazio bianco tra i versi delle sue poesie, infatti, per quanto riguarda in particolare l’Allegria, diventa emblema del nulla di cui parla e arriva a pesare tanto quanto la parte scritta. È, quindi, abbastanza palese ed esplicita l’impostazione che abbiamo dato alla nostra tesi, presentando il continuo paragone tra Ungaretti e l’uomo di Scienza, attuato mettendo in risalto tutti gli aspetti del Poeta che si possono definire, in un certo senso, scientifici, ovvero affini agli approcci e alle idee che permeano il mondo della fisica. 2. DALLO STUPORE ALL’OSSERVAZIONE Non solo l’arte, ma anche la scienza deriva dall’osservazione e dallo stupore. A dirlo è addirittura Albert Einstein, il quale afferma che il sentimento religioso dello scienziato «consiste nell’ammirazione estasiata delle leggi della natura; gli si rivela una mente così superiore che tutta l’intelligenza messa dagli uomini nei loro pensieri non è al cospetto di essa che un riflesso assolutamente nullo […]. La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza».1 È la realtà misteriosa, e non totalmente conoscibile, che fa nascere, dunque, sia nello scienziato sia nell’artista, il desiderio di scoprirla. Il reale è, al tempo stesso, accessibile e inarrivabile: accessibile in quanto tangibile e misurabile, osservabile e quantificabile, inarrivabile in quanto conoscibile solo in parte. La ricerca dello scienziato e del poeta si configura, così, come un’incessante lotta contro il mistero, un’indagine mossa dallo stupore, con lo scopo di conoscere la maggior parte possibile di ciò che lo circonda, pur nella consapevolezza di non riuscire mai ad abbracciarne la pienezza. Nonostante il fine dell’uomo di Scienza e di quello di Lettere sia lo stesso, il metodo di inchiesta da loro utilizzato è differente: lo scienziato ha un approccio più oggettivo e studia la realtà come “fenomeno”, basandosi su esperimenti e dati concreti, mentre il poeta, nel nostro caso Ungaretti, tende a far propria la realtà che osserva e crede nella poesia come testimonianza e descrizione fedele ed efficace del vissuto. 1 “Solo lo stupore conosce. L’avventura della ricerca scientifica” di Marco Bersanelli e Mario Gargantini. Abbiamo scelto una poesia ungarettiana significativa in questo senso, “Vanità”, perché esprime lo stupore e la piccolezza dell’uomo di fronte all’immensità del cielo: D’improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell’immensità. L’uomo, posto dinnanzi all’insondabilità di un così grande mistero, da una parte si spaventa, ma dall’altra trova lo stimolo per scrutarlo e conoscerlo. Lo stupore diviene necessità di vedere oltre, di osservare nei minimi dettagli; a sua volta, l’osservazione contribuisce a rendere ancora più viva l’attenzione verso ciò che circonda l’uomo. Per Ungaretti, lo studio e la continua ricerca del senso della realtà rispondono alla necessità di fare poesia. Come dice Cristiana Freni, infatti, per il nostro Autore “la parola poetica è cura permanente, perché strappa la palma della vittoria all'assurdo, mentre questo duella con l'essere. Ne è testimonianza la poesia ultima della raccolta, dedicata ad Ettore Serra, che fu il primo editore del Porto sepolto. Si intitola “Commiato”. «Gentile Ettore Serra Poesia è il mondo l'umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso». L'approdo al significato è garantito dall'avere dato un nome e un senso a ciò che prima giaceva nel silenzio, nel non tematizzato, nel non compreso. L'uomo può così sperimentare il sentimento di un approdo, nella notte dolorante dell'esistenza. La questione del senso [...] è spesso correlata alla domanda sul male, sulla sofferenza, sulla morte. L'uomo si ripropone con drammatica attesa dinnanzi a se stesso, specialmente quando si sente in pericolo per la percezione del vortice del nulla dell'essere.”2 2 “Il senso della vita. Approcci letterari” dal sito http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1838:la-questione-del-senso-della-vitaapprocciletterari&catid=173:questioni-letterarie- La poesia è per Ungaretti espressione di sentimento, forma di conoscenza e, al tempo stesso, di pudore verso gli altri: è urgenza di esprimere l’attaccamento alla vita. Essa deve penetrare nel mistero e non c’è niente di più arcano del nulla, di quel vuoto lasciato da uno spazio bianco. La poesia, infatti, è fatta di parole, ma anche di spazi bianchi, in particolare nell’Allegria. I termini sono trace abbandonate nel vuoto, che ne esalta il significato e il valore, in uno slancio vitale che indica il desiderio di ricercare l’essenza profonda delle cose. Ungaretti va alla ricerca del suo “porto sepolto”, ovvero cerca di scovare l’essenza segreta, celata nella profondità delle cose prima e del suo cuore poi. Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto3 La poesia si configura, quindi, come un viaggio in un mondo misterioso, oscuro, tanto mitico quanto reale: quello dell’anima. La meta sarà, però, il “nulla”, una verità inconoscibile in toto, quasi evanescente, che lascia intravedere, tuttavia, l’inesauribile segreto della vita dell’universo e dell’uomo, di tutti e di ciascuno. 3. IL VUOTO E IL NULLA: CONFRONTO FRA FISICA E POESIA Il nulla solitamente viene concepito come un’assenza, una mancanza che a noi, studentesse in un liceo scientifico, ha fatto pensare al vuoto. Anche quest’ultimo è inizialmente osservato come una mancanza di materia. Quando, infatti, si pensa al nulla e al vuoto, tali elementi vengono frequentemente associati al buio, che può essere interpretato, rispettivamente, o come le tenebre dell’ignoranza, metaforicamente parlando, o come quello del cosmo. Grazie alla ricerca, sia l’uomo di Scienza sia quello di Lettere, in particolare Ungaretti, scoprono entrambi che, in realtà, il vuoto non è assenza, ma contiene una verità invisibile e inesauribile. Per Ungaretti coincide con la profondità dell’interiorità e con l’espressione della relazione pudica tra gli uomini, che si sostanzia di affetto, d’amore e di attaccamento alla vita; per lo scienziato, invece, prende la forma dell’interazione tra campi di forze. Per la fisica, la materia è composta dal vuoto, che, paradossalmente, pesa, ed è errato pensare che esso sia formato dal “nulla”. La teoria quantistica dei campi afferma, infatti, che all’interno di quel vuoto ci sia una specie di “oceano in burrasca” di campi di forze, descritti da particelle subatomiche quali elettroni, fotoni, quark e così via. Questo vuol dire che l’energia del vuoto non è pari a zero e che da esso nasce qualche cosa: “l’essere viene prodotto dal non essere”.4 Questo vuoto percepibile, la cui composizione è ancora parzialmente sconosciuta, viene definito “materia oscura”, ossia quella materia che non emette luce visibile, onde radio, raggi X, raggi gamma o altre radiazioni elettromagnetiche. 3 4 “Il Porto Sepolto” tratta dalla raccolta L’Allegria, G.Ungaretti. “L’energia del vuoto” di Bruno Arpaia Anche se sembra strano, oggi si stima che la materia oscura costituisca una grandissima parte, quasi il 90%, della massa presente nell'Universo, cioè si ritiene che sia molto più abbondante della materia visibile.5 Il vuoto si configura, quindi, come uno spazio pervaso da continue fluttuazioni energetiche. Lo spazio vuoto non è affatto vuoto: appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle e di alter entità si verificano nell’ambito di intervalli temporali brevissimi, tali da non lasciare allo sperimentatore il tempo per la loro rilevazione. Ciò che ci appare sconosciuto e “oscuro”, perciò, è di gran lunga maggiore di ciò che è sperimentato. Tuttavia, anche nel buio si può percepire la verità: è sufficiente osservare l’oggetto di studio da un’altra prospettiva. Quest’ultima considerazione scientifica la ritroviamo anche nella poetica di Ungaretti, il quale considera lo spazio bianco nella pagina un’esperienza di silenzio, che s’inserisce nello scritto e diviene testo esso stesso. Il poeta, infatti, semantizza il vuoto dello spazio bianco, gli dà significato, non considerandolo più sterile assenza, ma un mezzo per comunicare concetti così complessi e profondi, che le parole non riescono nemmeno ad esprimere. Queste ellissi ed omissioni, quindi, “permettono di ottenere effetti visivi, strutturali e di ritmo che influenzano la comprensione e veicolano determinati significati”.6 Per l’Ungaretti de L’Allegria, ad esempio, il vuoto rappresenta il buio e l’aridità che la Guerra ha lasciato in lui, mentre, stilisticamente, anticipa la frase lapidaria, solitamente posta alla fine del componimento, in cui è racchiuso il significato dell’intero percorso. A tale proposito, basti pensare alla celebre poesia Sono una creatura, la cui chiusa, “la morte si sconta bvivendo”, risuona come scolpita nella pietra. Possiamo ritrovare l’importanza del vuoto anche in altre discipline provenienti dal mondo artistico, quali, ad esempio, la Musica ed il Teatro. Per quanto riguarda la prima, la presenza delle pause, o di momenti di respiro, fa sì che chi ascolta sia, anche solo per un attimo, immerso in un silenzio che riesce a donare una maggiore profondità ai momenti di pieno sonoro che lo hanno preceduto o che lo seguiranno. È come se quell’istante di apparente vuoto ci permettesse di godere ancora meglio delle sensazioni e delle emozioni che la musica ci ha appena donato. Chi esegue il brano, inoltre, può solo cercare di comprendere o di immaginare ciò che il compositore avrebbe voluto trasmettere: infatti, è qui che entra in gioco l’interpretazione di chi suona. Al concertista è concessa la libertà di esecuzione e, delle volte, aggiungendo qualche suo piccolo respiro dove più avverte l’ispirazione, egli riesce a conferire al pezzo una nuova luce, che dà ancora maggiore importanza ai vuoti e ai pieni che il compositore aveva voluto tradurre in armonia. Anche nel mondo del teatro avviene qualcosa di simile: basti pensare alla funzione di una pausa ben calibrata, che sottolinea l’importanza di un passaggio o, addirittura, in particolare nelle rappresentazioni comiche, prepara al fulmen in clausula, ovvero la battuta finale ad effetto. Il vuoto, però, non è soltanto oggetto di riflessioni squisitamente letterarie o filosofiche, astratte e difficili da comprendere. Esso, infatti, è essenziale anche nei vari ambiti del reale, in ogni aspetto pratico con cui ci confrontiamo ogni giorno. A questo proposito, Philippe Petit riflette sull’importanza del vuoto nella meccanica, scrivendo: “Un sistema fatto di parti progettate per funzionare in armonia reciproca, funziona solo se è imperfetto, se esiste, cioè, uno spazio (vuoto) minuscolo tra le sue componenti, detto “tolleranza meccanica”. Senza questa tolleranza le porte non si aprirebbero, le chiavi non girerebbero nelle serrature, il mondo, così come lo conosciamo, non funzionerebbe.”7 5 dal sito: http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/materia-oscura.php. dal sito: http://www.scrivo.me/2014/04/17/lo-spazio-bianco/ di Rossella Monaco 7 dal libro “Creatività: il crimine perfetto” di Philippe Petit 6 Questa analisi serve a evidenziare il fatto che non dobbiamo considerare il vuoto come qualcosa di estremamente lontano dalla nostra realtà, qualcosa di utopico: esso permea ogni ambito della nostra vita ed è imprescindibile da essa. 4. IL SEGRETO E IL MISTERO Il vuoto e il nulla rimangono un inesauribile segreto sia per lo scienziato sia per Ungaretti e proprio per questo motivo la loro ricerca non approda mai ad una conclusione assoluta. Emblema di questo mistero è il mito del porto sepolto, al quale Ungaretti stesso si riferisce molte volte. Nella lirica omonima, l’Autore si propone di cogliere l’essenza della poesia, ciò che essa nasconde e la fonte del miracolo: Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto Già dal titolo del componimento si può cogliere l’importanza della leggenda, attraverso il forte ossimoro che accomuna il porto, luogo di scambio, di comunicazione e, quindi, di vita, con il termine “sepolto”, che indica la morte. Tale racconto è significativo per Ungaretti, in quanto è legato alla sua infanzia, trascorsa ad Alessandria d’Egitto: nella sua città natale circolava il mito di un antico porto che nascondeva enormi ricchezze, ormai sepolto dal mare. Tralasciando i temi della rimembranza e dell’Egitto, pur particolarmente rilevanti per il poeta e che conferiscono all’opera un significato più intimo e profondo, Ungaretti dà anche un’altra importanza del tutto diversa al mito, poiché per lui la ricchezza sepolta nel porto ha un valore differente da quella materiale: il poeta la intende, infatti, come il senso della vita, che coincide con il fare poesia. Nel primo verso, il poeta ci fa capire che solo i poeti come lui possono riuscire a cogliere un frammento della realtà e offre agli uomini la possibilità di conoscerlo per mezzo dei suoi canti. Nella poesia, il nulla può essere considerato l’equivalente dello “spazio infinito dell’assenza”: qui “infinito”, “nulla”, “assenza” e “segreto” diventano sinonimi. Questi termini, semanticamente evocativi e ricchi, ci fanno pensare ad altri letterati che si sono occupati del medesimo tema. Primo fra tutti, Leopardi ne L’infinito, in cui il poeta recanatese descrive un “vuoto” assolutamente pieno, senza confini né spaziali né temporali, frutto della sua capacità immaginifica e continuamente a confronto con la limitatezza del contingente. Di fronte al mistero dell’infinito, l’io lirico confessa: “per poco il cor non si spaura”. Qui l’insondabile spaventa, ma, una volta abbandonatisi all’ignoto, la “dolcezza” del naufragio ripaga ogni timore. Il vacuum, dunque, ha una duplice valenza: da un lato incute terrore, dall’altro attrae irresistibilmente. Se in Leopardi il “vuoto” si scopre ricco nell’infinito, pieno di immagini poetiche e di pensieri vitali, in Pascoli, invece, evoca, il più delle volte, la morte. Basti pensare alla poesia Novembre, tratta da “Myricae”. Qui l’illusione di una giornata primaverile, nata da sensazioni visive (gèmmea l’aria) ed olfattive (del prunalbo l’odorino amaro), si spegne già con la congiunzione avversativa del quinto verso (Ma): la natura, che sembrava rinascere, presenta, improvvisamente, segni di morte (“secco il pruno”, “stecchite le piante”, v. 5; “nere trame”, v. 6; “vuoto il cielo”, v. 7; “cavo [...] il terreno”, vv. 7-8), fino a svelare definitivamente l’inganno, chiarito nell’ultimo verso: “È l’estate, fredda, dei morti.”. Il poeta, attraverso l’osservazione del paesaggio, cerca di penetrare il senso segreto delle cose, che si rivela, nel suo caso, carico di drammaticità e di assenza di vita. Questa lirica ci consente non solo di individuare il “vuoto” come sinonimo di “morte”, ma anche di osservare l’antitesi fra apparenza (la primavera) e realtà (il paesaggio sterile di una giornata di Novembre), contrasto che, sempre a proposito del tema del “nulla”, ritroviamo anche in una famosissima lirica di Montale: Forse un mattino, andando in un’aria di vetro (da “Ossi di seppia”). Qui assistiamo all’epifania del mistero, al “miracolo” che si compie (vedrò compirsi il miracolo, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me), alla rivelazione che, per la sua forza prorompente, provoca vertigini simili a quelle di un ubriaco annebbiato dai fumi dell’alcool (con un terrore di ubriaco): la realtà appare al poeta, ma il suo palesarsi è effimero, subitaneo, quasi impalpabile. Con la stessa rapidità con cui è apparsa, così scompare e al suo posto torna “l’inganno consueto”. Montale, una volta intravisto il mistero, lo porta con sé, si allontana in silenzio, perché sa di averne colto solo un frammento, forse unico e irripetibile, che ciascuno dei suoi simili percepirà in modo diverso: “sarà troppo tardi”, tanto vale rimanere muti, in piena coerenza con la “poetica del negativo” che è chiave di lettura di tanta poesia montaliana (basti pensare a Non chiederci la parola, ad esempio). Il “vuoto”, dunque, è porzione di mistero, non condivisibile con gli altri, sia perché il poeta non è più un “vate” sia perché gli uomini preferiscono “non voltarsi” e vivere nella finzione. Diversa da quella di Montale è, come sappiamo, la prospettiva di Ungaretti, che desidera, invece, condividere la sua scoperta. L’ “inesauribile segreto” di cui egli parla coincide con il mistero profondo della vita, che non può avere né un inizio né una fine. La ricerca di questo è condizione essenziale della sua poesia: la parola sfiora il segreto, senza, tuttavia, coglierne perfettamente, una volta per tutte, la vera essenza. Tale indagine, che nasce dal fascino del mistero, accomuna il poeta allo scienziato, la cui ambizione è quella di svelare i profondi segreti della natura. A differenza di quanto accadeva prima di Galileo, infatti, con la nascita della Scienzamoderna, la fisica, la matematica, la medicina e tutti gli ambiti affini si dichiarano campi di conoscenza non certi, ovvero che non posseggono la verità assoluta. Mentre precedentemente si pensava di conoscere praticamente tutto e di essere vicinissimi alla realizzazione di una teoria unificante dell’universo, gli scienziati di oggi, tutti figli del metodo sperimentale galileiano, credono esattamente il contrario: essi sono coscienti di possedere un frammento minuscolo della realtà e di brancolare nel buio della verità. È come se prima si fosse creduto di aver costruito un immenso puzzle a cui mancavano solamente due o tre tessere, mentre ora si è consapevoli che, in realtà, i pezzi di cui la Scienza è in possesso sono pochi, che la maggior parte di essi non è stata ancora trovata, che non si riesce ancora a comprendere il “disegno” raffigurato. Proprio qui risiede l’affinità tra Ungaretti e l’uomo di Scienza: entrambi sanno di conoscere poco e cercano parole per comunicare al resto dell’umanità quello che hanno scoperto, tentanodi palesare qualche segreto strappato all’inesauribile mistero della vita e dell’universo. Ma i punti di contatto non finiscono qui. Possiamo trovare analogie non solo nella convinzione di aver in pugno una parte minuscola del mistero della vita, ma anche in ciò che sperano di trovare con la loro ricerca. Sia Ungaretti sia gli scienziati orientano i loro sforzi alla scoperta di una teoria che spieghi la realtà intera. Il poeta trova come risposta l’amore in senso lato, inteso come attaccamento alla vita, amore fraterno per tutti gli esseri umani e amore per la poesia, unico sostentamento, ciò che gli permette di sopravvivere. Gli scienziati, invece, vivono la difficoltà di non sapere cosa cercare. Essi, infatti, ipotizzano teorie utilizzando la fantasia in modo quasi analogo a quello di un letterato e poi cercano una confutazione in maniera sperimentale: se non vengono trovate contraddizioni, la tesi è, allora, ipoteticamente vera. Dal momento che non si è ancora riusciti a trovare una teoria unificante dell’universo, che includa e spieghi ogni aspetto della realtà, nonostante le ipotesi molteplici e spesso contraddittorie (basti considerare la relatività e la meccanica quantistica), non è un caso che il celebre fisico Albert Einstein sia giunto alla stessa conclusione di Ungaretti: la forza più potente del mondo non è la gravità, ma l’amore. Un amore non strettamente inteso come legame di coppia, ma come passione per il genere umano, per la scienza e la conoscenza. Un amore che potrebbe spiegare il senso della vita e le sue leggi, che potrebbe svelare una parte più ampia di quell’inesauribile segreto e che potrebbe portare alla luce il “porto sepolto”. Un amore che si manifesta nella divulgazione di ciò che viene scoperto: sia Ungaretti sia lo scienziato, in nome della fratellanza, desiderano comunicare al mondo il messaggio di vita che, attraverso le loro ricerche, hanno colto. 5. CONOSCENZA E CONDIVISIONE 5.1 Condivisione come necessità che lega tutti gli uomini Gli studi dell’uomo di Lettere e quelli dell’uomo di Scienza non sono fini a se stessi, non hanno come scopo il solo gusto di sapere, la pura curiosità. San Bernardo disse: “Alcuni desiderano conoscere per edificare”. Questo è il fine ultimo a cui tendono sia il poeta sia lo scienziato. I progressi e le pubblicazioni dei risultati della ricerca scientifica possono contribuire al miglioramento della vita degli uomini; Ungaretti "disperde I canti”, affinché tutti possano conoscere “quel nulla di inesauribile segreto”, quell’essenza profonda che il poeta, anche se in minima parte, è riuscito a scovare. La poesia, secondo lui, è lo strumento che, per eccellenza, consente di catturare e dare forma oggettiva alla manifestazione epifanica dell’assoluto. Significativa, in tal senso, è la metafora del “fiore” presente nella lirica “Eterno”, posta in apertura dell’Allegria, che fornisce un’ulteriore definizione della poesia: Tra un fiore colto e l’altro donato l’inesprimibile nulla Qui l’inesprimibile nulla corrisponde proprio al segreto reso manifesto nell’istante che intercorre fra la realizzazione della poesia (un fiore colto) e il dono della stessa (e l’altro donato): il mistero dell’universo viene carpito dall’autore attraverso la forma poetica e poi condiviso con il resto dell’umanità. I modi del poeta sono diversi, dunque, da quelli dello scienziato, ma il fine è lo stesso: comprendere il senso dell’essere e delle cose, ovvero la loro origine e il loro destino. Ed è quello su cui anche tutti gli uomini si interrogano, ma non hanno gli “strumenti adatti” per poter trovare delle risposte. E’ qui che intervengono in aiuto poesia e scienza, le quali non possono fornire risposte assolute, ma contribuiscono a rendere più facile la strada verso la soluzione. 5.2 Conoscenza percepita come elemento unificante Ungaretti usava dare un definizione di poesia alquanto singolare; diceva, infatti: “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto”8. Questo segreto è ciò che c’è di più profondo nel suo e nel nostro essere ed è il poeta 8 dal desiderio da un’intervista del 1961. l’unico ad avere una certa familiarità con esso, tale da essere il solo a poterlo comunicare a tutti gli uomini. La conoscenza di questa verità nascosta, ma, prima ancora, la conoscenza stessa in generale, diventa, così, fine ultimo ed element accomunante l’umanità intera, permettendo ad ogni singolo di scavare fino in fondo, di arrivare al significato più intimo dell’esistenza. Molto bello ed appassionante è ritrovare, proprio in ciò che scrive, questa sua vocazione alla condivisione e all’apertura verso una dimensione sempre più collettiva della consapevolezza dell’esistenza. La “dispersione” di un’intuizione (vd. il Porto sepolto), di qualcosa di nuovo al quale il poeta per primo è riuscito ad arrivare, sembra davvero assomigliare, anzi, quasi coincidere con la diffusione di una nuova scoperta scientifica. Anche lo scienziato, infatti, mosso di conoscenza e dalla curiosità, scopre, teorizza e sperimenta, per arrivare a delle conclusion non raggiungibili da uomini comuni. Solo successivamente egli potrà permettersi di condividere col resto dell’umanità ciò che di nuovo o rivoluzionario ha raggiunto. Entrambi I nostri uomini, il poeta e lo scienziato, sono compagni di una ricerca che li porta ad immergersi nell’abisso della conoscenza, fino a scovarne un barlume, anche il più piccolo, per poi condividerlo. È questo desiderio di conoscenza che fa sì che tra tutti gli uomini si crei un legame di fratellanza e di unione quasi sublime. Ed è proprio ora che cominciamo a scorgere ciò che definiamo amore. Un amore che, almeno in poesia, attraversa tutto e tutti, oltre qualsiasi divisione. Esso è uno spiraglio, quel barlume di cui prima si parlava, ciò che tutto dovrebbe muovere ed ogni uomo collegare agli altri, una forza in sé contraddittoria. Ungaretti così lo definisce: “Il vero amore è una quiete accesa.”9 Ancora una volta, ritroviamo una consonanza di ciò che sostiene Ungaretti con le voci di alcuni uomini di scienza o di studiosi provenienti da ambiti vicini alla stessa. Pensiamo, ad esempio, a Jeròme Lejeune, lo scienziato che scoprì la trisomia 21, il quale, infatti, finalizzò la ricerca genetica a difesa della vita, ponendosi “come testimone dell’amore alla Verità e dell’amore alla Vita, dell’amore all’Uomo”10. Ovunque si cerchi, non si riuscirà mai a trovare una spiegazione ultima a ciò che ci circonda; siamo ancora molto lontani dal definire quella forza che sembra essere alla base di tutte le leggi fisiche, anzi, forse non siamo nemmeno certi dell’esistenza di un punto di congiunzione fra tutte le teorie. In tutto l’universo solo l’Amore sembra poter sussistere come elemento al di sopra dei nostri parametri. Quando un fisico riesce ad accettare tale ipotesi, allora si avvicina alla fede di un poeta, quale Ungaretti, che trova nell’amore la più grande speranza di condivisione di quella comprensione del tutto cui tanto anela. Una speranza che fa sì che tutti i “filosofi”, ossia gli amanti della conoscenza, siano accomunati da un’unica e appassionata ricerca, tanto speciale da far in modo che un ragionevole scienziato e un travolgente letterato possano, con passo differente ma uguale energia, compiere lo stesso percorso di scoperta. “Forse l’amore è un artefatto di un’altra dimensione che non possiamo percepire consciamente... è l’unica cosa che possiamo percepire che trascende le dimensioni di tempo e spazio. Forse di questo dovremmo fidarci anche se non riusciamo a capirlo ancora” .(Interstellar, regia di C. Nolan, 2014) 6. CONCLUSIONI Torniamo al punto da cui siamo partiti: il Poeta, qui il nostro Ungaretti, e lo Scienziato sono entrambi mossi dal desiderio di conoscenza. Il primo vuole scoprire fino in fondo la realtà che coinvolge e unisce tutti gli 9 “Silenzio in Liguria” dalla raccolta Sentimento del tempo, G. Ungaretti. prof. Lucia Gelli, relazione su “La bellezza della testimonianza nella scienza: Jerome Lejeune, Servo di Dio” 10 uomini; il secondo, invece, ha come obiettivo quello di trovare le leggi che governano il nostro universo, per capirne meglio il funzionamento. Per ottenere il loro scopo, devono giungere al “porto sepolto”, una sorta di cornucopia del sapere, che può portarli ad individuare la realtà effettiva. Hanno, in tal modo, la possibilità di rapportarsi con l’assoluto, sia esso l’ingegno insito in ogni uomo oppure un’energia fisicamente misurabile, che dà origine a tempo e spazio e permette l’esistenza del mondo come lo conosciamo oggi. Di questa verità, essi colgono “quel nulla d’inesauribile segreto”: sono in grado di percepire solamente una piccola parte di tale realtà, che, nonostante sia sfuocata e confusa, è illuminante, infinita e di estrema importanza per il presente e per un futuro progresso. La genialità dello scienziato e del poeta, quindi, sta nel riuscire a colmare uno spazio, che sembra essere vuoto, facendo luce su alcune verità che esso stesso contiene e dimostrando che non è semplicemente il “nulla”. In particolare, Ungaretti, in quanto poeta, esplorando la propria interiorità, è riuscito ad intuire, probabilmente, l’essenza ultima dell’uomo, “docile fibra dell’universo”. Gli scienziati, invece, studiando il vuoto fisico e la materia oscura, sono arrivati a comprendere che l’energia del vuoto non è pari a zero e che da esso si originano forze e campi, che fino ad oggi non si è stati in grado di studiare, sebbene fosse nota la loro esistenza: “l’essere viene prodotto dal non essere”. Altre caratteristiche che accomunano scienziati e poeti sono la condivisione e la diffusione della verità che hanno appreso. Ungaretti, ad esempio, dopo essere sceso nel “porto sepolto”, “torna alla luce con i suoi canti e li disperde” e gli scienziati comunicano le loro scoperte attraverso saggi e testi divulgativi. Ma da cosa scaturisce questo desiderio di condivisione? Dall’amore. Quella della condivisione, infatti, è una necessità comune a tutti gli uomini e la conoscenza divulgata è ciò che di concreto li lega. Tali elementi sono espressione dell’amore, il sentimento di fratellanza che muove l’animo di ogni individuo, consapevole del fatto che gli altri esseri umani partecipano al suo stesso destino. Ungaretti definisce il vero amore come “una finestra illuminata in una notte buia”. Come lui, la pensano molti altri scienziati, che sono ancora lontani dal definire una forza universal posta alla base delle leggi fisiche: credono che solo l’Amore possa tutt’ora sussistere come possibile elemento al di sopra dei nostri parametri. Lo pensava anche Einstein: ne è la prova la commovente lettera che il fisico scrisse alla figlia Lieserl, di cui abbiamo riportato un estratto qui di seguito: “Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora, perché tu lo trasmetta all’umanità, si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo. [...]Vi è una forza estremamente potente per la quale la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale. È una forza che comprende e gestisce tutte le altre, ed è anche dietro qualsiasi fenomeno che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi. Questa forza universale è l’Amore. Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile e potente delle forze. [...] Questa forza spiega il tutto e dà un senso maiuscolo alla vita. Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo, forse perché l’amore ci fa paura, visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento. Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice sostituzione nella mia più celebre equazione. Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo può essere ottenuta attraverso l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti. [...] Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita. Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere ciò che contiene il mio cuore, che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te. Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo, ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta. Tuo padre Albert Einstein” A conclusione del nostro percorso, è dunque possibile affermare che Ungaretti e uno scienziato siano due pionieri dell’esplorazione del vuoto, nonostante i diversi ambiti di ricerca in cui si muovono? La risposta, secondo noi, è sì. BIBLIOGRAFIA – Bruno Arpaia, “L'energia del vuoto”, Guanda, 2011. – A cura di Francesca Bernardini Napoletano,“Ungaretti. Da una lastra di deserto. Lettere dal fronte a Gherardo Marone”, I Meridiani paperback, Mondadori, 2015. – Marco Bersanelli e Mario Gargantini,“Solo lo stupore conosce. L'avventura della ricerca scientifica”, BUR, 2003. – “Il senso della vita. Approcci Letterari”dal sito www.notedipastoralegiovanile.it. – Giuseppe Ungaretti,“Vita di un uomo” Mondadori 2000. – www.scienzaeconoscenza.it. – "Misurare l'energia del vuoto” da www.scienzapertutti.lnf.infn.it. – www.scrivo.me/2014/04/17/lo-spazio-bianco/. – Philippe Petit,“Creatività: il crimine perfetto”, Ponte alle Grazie, 2014. – “La bellezza della testimonianza della scienza: Jerome Lejeune, Servo di Dio”. relazione della prof.ssa Lucia Gelli al Congresso Distretto 71 Serra Italia (sito CEI), 8 novembre 2013. – Film “Interstellar”, regia di C. Nolan, 2014. – G. Baldi, M. Razetti, G. Zaccaria, S. Giusso,“Il piacere dei testi” (voll. 5 e 6), Paravia, 2012.