Patologia Generale II 13/12/2012 Gli Oncogeni – Parte 2 Gli oncogeni subiscono mutazioni con gain of function che in genere sono dominanti, cioè agiscono essenzialmente in eterozigosi; quelle degli oncosoppressori sono recessive, cioè entrambi gli alleli devono essere mutati. I meccanismi di attivazione degli oncogeni in genere sono di quattro tipi: mutazione puntiforme attivante amplificazione genica traslocazione con formazione di proteine ibride traslocazione che pone un gene intero sotto il controllo di un promotore di un altro gene. Oncogeni: recettori accoppiati a proteine G I carcinomi tiroidei si dividono in: Carcinomi di origine follicolare, cioè che derivano dalle cellule che circoscrivono il follicolo. Questi tumori possono avere istologia papillare o follicolare. Carcinomi di origine neuroectodermica, cioè che derivano dalle cellule calcitonina-positive (dette cellule C). Questi tumori sono detti midollari. Nell’ambito delle cellule follicolari le vie mitogeniche principali sono essenzialmente due: quella dei recettori tirosin-chinasici (in particolare EGF) e quella del cAMP, associata al recettore del TSH (il principale ormone che regola crescita e differenziazione della cellula tiroidea). L’attivazione della via del cAMP, comporta l’attivazione della PKA e la trascrizione genica attraverso il fattore di trascrizione CREB. Due mutazioni attivanti in due geni di questa cascata sono stati ritrovati nel recettore del TSH e nella subunità α della proteina Gs che si associa al recettore del TSH. Il risultato di queste mutazioni è una proliferazione clonale della cellula follicolare tiroidea che porta alla generazione di un adenoma iperfunzionante. La proteina Gs è a valle di molti recettori tra cui quelli di TSH, ACTH, LH, FSH, ecc, e utilizza come secondo messaggero il cAMP. Importante dal punto di vista oncologico è anche la subunità Gi2, inibitoria sul cAMP, mutata in alcuni tumori. Degli oltre 1000 recettori accoppiati a proteine G e subunità di proteine G, quelli più frequentemente mutati sono: Gαs: in adenomi tiroidei e ipofisari Gαi: in tumori ovarici e della corteccia surrenalica TSHR: in adenomi e carcinomi tiroidei FSHR: in tumori ovarici LHR: in iperplasie delle cellule di Leydig Vie di trasduzione a valle di Ras Ras è una proteina G monomerica e uno degli oncogeni più mutati nei tumori. Finora i trattamenti che hanno come bersaglio molecolare l’oncogene Ras non hanno avuto successo. Ras ha almeno tre vie di trasduzione a valle (da sinistra a destra): Fosfoinositidi MAPK Piccole proteine G Era atteso che così come può essere mutata Ras, si possono trovare mutazioni nelle molecole che sono a valle di Ras. Oncogene RAF Nel 2002 si è scoperto che un oncogene mutato a valle di Ras è RAF (la prima chinasi nella cascata delle MAPK). La famiglia dell’oncogene RAF comprende tre membri: A-Raf, B-Raf e C-Raf. Di questi, l’unico che è stato trovato mutato in molti tumori aggressivi è B-Raf; oggi esistono dei farmaci che lo inibiscono. L’attivazione di Raf è mediata dall’interazione con Ras-GTP, e a sua volta Raf fosforila la seconda proteina della via delle MAPK. L’oncogenicità delle proteine Raf era da attendersi in quanto alcune di queste forme erano state trovate nei retrovirus, in particolare un virus del sarcoma murino. Le proteine RAF sono simili tra loro, a partire dall’N-terminale, hanno i domini: CR1: con funzione di regolazione. Comprende una regione che interagisce con Ras (RBD o Ras Binding Domain) e una ricca di cisteina (CRD). CR2: dominio di regolazione che mantiene la molecola in conformazione chiusa. CR3: il dominio catalitico (serina-treonina chinasi). Tutti i geni che codificano per proteine RAF comprendono queste regioni. Le mutazioni di B-Raf sono mutazioni puntiformi; la maggior parte delle mutazioni, cioè oltre il 90%, colpisce un unico amminoacido, la valina in posizione 599 o 600 che diventa acido glutammico (carico negativamente). In realtà il numero corretto è 600 (e la mutazione è V600E) perché successivamente all’aggiornamento dei dati sulle sequenze del genoma umano si è visto che la proteina B-Raf possedeva un amminoacido in più. L’amminoacido V600 si trova nel dominio catalitico. Le altre mutazioni colpiscono con più frequenza 4 regioni all’interno del dominio catalitico (CR3). A partire dal C-terminale, le proteine Ras nel dominio CR3 hanno un segmento di attivazione che blocca il sito attivo (loop catalitico) quando la proteina è inattiva. Le mutazioni in questa regione, tra cui V600E e gli amminoacidi adiacenti, determinano una maggiore facilità di attivazione; ciò è dovuto alla presenza di residui che vengono fosforilati (serina e treonina). La fosforilazione aggiunge cariche negative e contribuisce all’attivazione del dominio catalitico; se un amminoacido neutro (valina) viene sostituito con uno carico negativamente (acido glutammico), sostanzialmente si mima l’effetto della fosforilazione. Altre mutazioni colpiscono il loop catalitico, un loop ricco di glicina (con funzione strutturale) e regione N-terminale (con funzione poco nota). Il gene che codifica B-Raf è mutato nella maggior parte dei melanomi, e questo influisce sulla terapia, perché si ricercano le 4-5 mutazioni più frequenti di B-Raf e se risulta alterata, il paziente può essere trattato con una molecola, il sorafenib, che è un inibitore specifico della chinasi Raf. I primi studi clinici su pazienti con melanoma sono molto promettenti perché c’è una buona regressione dei tumori. Mutazioni di B-Raf sono presenti raramente anche nei carcinomi del colon, nei gliomi, nei carcinomi del polmone, nei tumori della mammella, e con maggiore frequenza nei carcinomi tiroidei (anche qui la principale mutazione è V600E). Il tipo istologico è quello classico del carcinoma papillare (PTC); un’altra alterazione associata all’istotipo papillare è il riarrangiamento di Ret/PTC. Il 40% dei carcinomi papillari presenta il riarrangiamento di Ret/PTC, il 50% presenta mutazioni di B-Raf e il 10% presenta il riarrangiamento di TRK (recettore di NGF). Queste alterazioni sono mutualmente esclusive, cioè non possono essere presenti contemporaneamente. I pazienti con mutazioni di B-Raf hanno tumori che sono più aggressivi (metastatizzano al polmone più frequentemente, progrediscono a carcinomi dedifferenziati o anaplastici) rispetto a quelli che hanno mutazioni di Ret/PTC, ma ancora non è chiaro il perché. Sia Ret/PTC che B-Raf hanno farmaci molecolari che permettono un trattamento selettivo. Oncogeni: via dei fosfoinositidi L’altra via importante nella trasduzione del segnale a valle di Ras è quella dei fosfoinositidi. L’enzima fosfoinositide 3-chinasi (PI3K) genera i fosfoinositidi; l’oncosoppressore PTEN è la fosfatasi lipidica che defosforila i fosfoinositidi. I fosfoinositidi attivano la chinasi Akt la quale ha un ruolo importante nell’inibizione dell’apoptosi, nella stimolazione della sintesi proteica e della proliferazione cellulare. I fosfoinositidi sono formati da due acidi grassi, glicerolo e inositolo che può essere fosforilato in diverse posizioni: quella importante è la posizione 3. La generazione dell’inositolo fosfato è dovuta a PI3K; PTEN rimuove il fosfato in posizione 3. Le proteine Akt con il dominio N-terminale interagiscono con i fosfoinositidi, vengono reclutate sotto la membrana e attivate. Quindi PI3K attiva Akt e PTEN la inattiva; tutto questo in un contesto fisiologico dipende dall’attivazione dei recettori. Le alterazioni di questa via di segnalazione sono molto numerose, soprattutto quelle di PTEN, e riguardano molti istotipi diversi: il glioblastoma, il carcinoma ovarico, il carcinoma della mammella, il carcinoma dell’endometrio, ecc. L’effetto dell’attivazione di Akt è antiapoptotico, proliferativo e di crescita, dovuto alla fosforilazione di diversi substrati. Gli oncogeni in questa via sono la subunità catalitica di PI3K e la proteina Akt: La PI3K è un oncogene che è stato isolato in un retrovirus difettivo del sarcoma del pollo (ASV16). Questo retrovirus è difettivo in quanto possiede una porzione tronca dei geni env e gag, e manca la polimerasi; nel genoma di questo virus è presente una sequenza trasformante per il pollo che è stata denominata v-p3k. La maggior parte di queste sequenze trasformanti, come Src e Ras, trovate nei retrovirus derivano dal genoma cellulare della specie che il virus infetta. Per la sequenza v-p3k si è scoperta una controparte nel genoma dei polli, ma anche dei mammiferi, il cui gene codifica per la subunità catalitica della proteina PI3K. L’enzima è fatto di una subunità regolativa (p85) e una catalitica (p110). La proteina p110 presenta un dominio catalitico al C-terminale, diversi domini di regolazione e due domini di legame per p85 e Ras. In una condizione fisiologica il recettore viene attivato, si autofosforila e recluta la proteina p85 legata a p110; questo dimero è avvicinato alla membrana, trova i fosfolipidi che sono i suoi substrati e fosforila in posizione 3. Il gene di riferimento mappa sul cromosoma 3, ma esistono diverse famiglie di proteine con attività di fosfoinositide 3-chinasi. Essenzialmente ci sono quattro subunità catalitiche (p110α, β, γ e δ) e quattro regolative (p85α, β, γ e p101), che si combinano in dimeri. Quelle di interesse oncologico (le altre sono di interesse immunologico in quanto coinvolte nell’attivazione dei linfociti B e T) sono la p85α e la p110α, che costituiscono il dimero importante nella trasduzione del segnale dei recettori tirosinchinasici. PS. Non è necessario conoscere le altre subunità. L’attivazione di p110α avviene per: Mutazioni puntiformi attivanti di p110 Amplificazione del gene p110 Mutazioni inattivanti di p85 Le mutazioni di p85 si localizzano quasi tutte nel dominio SH2 (quello di interazione con il recettore), viceversa le mutazioni che colpiscono p110 cadono o nel dominio catalitico o nel dominio di regolazione (helical domain). Questo gene è mutato in molti tumori, tra cui tumori del colon, tumori della mammella, tumori dell’endometrio, glioblastoma, ecc. Per questo tipo di proteina mutata ci sono diversi trials clinici in fase 2 e 3 con inibitori molto potenti, che sembrerebbero avere un effetto positivo; oggi sono in sviluppo farmaci che targettano in modo specifico le diverse subunità, che sono espresse in tessuti diversi e sono correlate con patologie differenti (questa via di segnalazione è importante anche nel diabete). Qualche anno fa è stata trovata una mutazione anche nella proteina a valle di PI3K, cioè AKT1. La proteina Akt mappa sul cromosoma 14 ed è fatta da un dominio PH (N-terminale) che permette il reclutamento di membrana perché interagisce con i fosfoinositidi, un dominio chinasico e un dominio regolatorio (C-terminale). La mutazione che colpisce Akt è E17K (dove l’acido glutammico carico negativamente è sostituito dalla lisina che è carica positivamente), all’interno del dominio PH. La presenza della lisina in posizione 17 cambia la conformazione e il risultato è che il dominio PH acquisisce una maggiore affinità per i fosfoinositidi rispetto alla forma non mutata, di conseguenza la proteina si localizza più di frequente in prossimità della membrana e viene attivata più frequentemente. Akt fosforila a valle diversi substrati, e ha attività antiapoptotica, proliferativa e metabolica. Se Akt è mutata nel dominio PH, l’effetto trasformante è simile per certi versi a quello dell’alterazione della subunità catalitica della PI3K. Oncogene Abl La proteina Abl è una tirosin-chinasi che viene attivata dalla prima traslocazione che è stata identificata, cioè quella tra i cromosomi 9 e 22, che si ritrova nella leucemia mieloide cronica. Circa il 95% dei casi di leucemia mieloide cronica portano questo tipo di traslocazione identificabile citogeneticamente (tramite la tecnica della FISH), l’altro 5% viene identificato molecolarmente; virtualmente il 100% dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica è portatore della traslocazione t(9;22). Il cromosoma 22 risultante viene chiamato Philadelphia, dal luogo dove è stato scoperto negli anni ’60. Uno dei geni implicati nella traslocazione è stato chiamato Abl perché era simile a un gene identificato in un retrovirus murino responsabile di leucemia (Abelson murine leukemia virus). Il cromosoma Philadelphia è un cromosoma 22 più corto, legato a un pezzo del cromosoma 9. Nel riarrangiamento la chinasi Abl si fonde con il gene Bcr (breakpoint cluster region), che prende questo nome perché può rompersi in diversi siti. Infatti i prodotti della traslocazione sono diversi a seconda del sito in cui avviene la rottura di Bcr, e sono essenzialmente tre: p190 (più frequente e caratteristica della leucemia mieloide classica), p210 e p230 (si osservano in leucemia con fenotipi diversi). Il gene chimerico BCR-Abl (o BCR-Abelson): inibisce l’apoptosi riduce la necessità di fattori trofici riduce l’adesione cellulare: interferisce con i rapporti tra cellule mieloidi e stroma induce instabilità genomica: è un meccanismo con cui le cellule tumorali acquisiscono la variabilità attiva vie molecolari come Ras, PI3K, ecc. Anche per questa chinasi c’è un farmaco, il primo a bersaglio molecolare ad essere sintetizzato, chiamato Gleevec. È un farmaco che ha avuto grande importanza per tre motivi: ha dimostrato sul campo che la terapia molecolare potesse essere utile, ha aumentato la sopravvivenza dei pazienti e poiché molti pazienti sviluppano recidive ha permesso di capire il meccanismo attraverso cui le cellule tumorali sviluppano resistenza al farmaco. Oncogene Myc Un’altra classe di oncogeni è quella dei fattori di trascrizione. Il fattore di trascrizione Myc è implicato nel riarrangiamento t(8;14); Myc mappa sul cromosoma 8 e viene ad essere giustapposto al locus delle immunoglobuline. Questo riarrangiamento è importante in una grave patologia che colpisce i bambini africani, il linfoma di Burkitt. È un linfoma essenzialmente mascellare, molto aggressivo e conduce a morte in tempi abbastanza veloci. Rispetto alla traslocazione t(9;22), l’oncogene Myc viene posto integro sotto il locus delle immunoglobuline, quindi viene espresso ad alti livelli nei linfociti B. Myc è un fattore molto importante per il ciclo cellulare e ne controlla diverse funzioni. Quando è espresso ad alti livelli, lega promotori ed enhancer dei geni target, producendo alti livelli delle relative proteine e questo riduce il controllo sulla proliferazione cellulare. Le cellule B sono particolarmente sensibili ad alti livelli di attività di Myc, e gli effetti dell’inappropriata trascrizione in fase G1 sono iperproliferazione e dedifferenziamento. Myc attiva geni che promuovono la crescita, reprime geni che bloccano la crescita e a sua volta è un bersaglio della trasduzione del segnale mediato da Ras. Myc è a valle della via delle MAPK e a sua volta trascrive i geni di: ciclina D: è un importante sensore di fattori di crescita e insieme alle Cdk promuove il ciclo cellulare. Quando Myc è overespresso perché traslocato sotto il locus delle immunoglobuline, c’è un aumento dei livelli di ciclina D, del legame ciclina D-Cdk e della fosforilazione di Rb; ciò porte le cellule nella fase S. E2F: è un fattore di trascrizione che lega Rb e media la trascrizione dei geni implicati nella transizione G1/S. Complesso SCF: è un’ubiquitina-ligasi che aumenta la degradazione degli inibitori del ciclo cellulare come p27 (inibitore del complesso ciclina-Cdk). Tutto questo ha un effetto generale sull’entrata in fase S, quindi Myc è un gene iperproliferativo. L’attività di Myc è abbastanza complessa perché è un fattore di trascrizione che agisce come dimero o con la proteina Max o con la proteina Miz-1. Myc e Max sono in equilibrio stechiometrico; quando Myc è overespresso, la quantità di Myc supera quella di Max e questo determina un cambiamento nella sua attività trascrizionale pertanto viene attivata la trascrizione di E2F, ciclina D, geni che degradano gli inibitori delle chinasi. Myc è importante non solo nel linfoma di Burkitt, ma anche in un’altra serie di neoplasie, fra le quali il neuroblastoma infantile. Anche Myc fa parte di una famiglia di geni, e quello implicato nel neuroblastoma infantile è N-Myc (N sta per neuroblastoma) che mappa sul cromosoma 2. Il gene che è implicato nel linfoma di Burkitt è c-Myc e mappa sul cromosoma 8. N-Myc può essere amplificato in due modi diversi: Generazione di double minutes: piccole molecole di DNA all’interno del nucleo. Ripetizione di più copie all’interno del cromosoma: si forma una regione che ha una colorazione uniforme detta HSR (homogeneously stained region) perché la densità di basi G-C è simile; non c’è più il bandeggio che si alterna sul cromosoma. Il dosaggio genico di N-Myc è importante perché la prognosi dei bambini che hanno meno di 10 copie geniche di N-Myc è buona, mentre quella dei pazienti che ne hanno più di 10 è pessima. La curva di Kaplan-Meier in figura illustra la mortalità media, e nei pazienti con più di 10 copie di N-Myc la sopravvivenza a 6 mesi dalla diagnosi è minore del 50%. Viceversa a distanza di 8 anni i pazienti con meno di 10 copie continuano a sopravvivere. Come nel caso di c-Myc, il ruolo di N-Myc è di fattore di trascrizione con effetto sostanzialmente sulle stesse molecole. N-Myc non è l’unico gene ad essere amplificato, ma molti geni sono soggetti ad amplificazione in una grande quantità di tumori. Questi geni possono essere recettori tirosinchinasici (es. erbB1 che è il recettore di EGF, erbB2), fattori di trascrizione (cMyc, N-Myc), ecc. L’amplificazione genica così come la traslocazione e la fusione di più cromosomi è un evento frequente. Oncogeni: geni antiapoptotici Un’altra classe di oncogeni è quella relativa alla funzione antiapoptotica. L’apoptosi è regolata in maniera estrinseca da parte dei recettori e intrinseca dal mitocondrio. Il processo comune a cui arrivano entrambe le vie è l’attivazione delle caspasi regolatrici (es. 8 e 9), che a loro volta attivano le caspasi effettrici, le quali degradano le diverse proteine all’interno della cellula. Nella via dell’apoptosi è presente p53 che è un fattore di trascrizione. p53 induce apoptosi sulla base del danno al DNA, producendo Bax che forma il poro di transizione mitocondriale e permette la fuoriuscita del citocromo C. Inoltre p53 regola la proteina IGFBP-3 che sequestra IGF-1 all’esterno della cellula, e blocca la via di IGF-1R (tramite PIP3 e Akt) che è la principale nel controllo del survival di molte cellule (es. neuroni). Quindi la sensibilità delle cellule all’apoptosi può essere modificata se sono presenti alterazioni di PI3K, PTEN, Akt, p53. Una delle proteine principali a integrare il processo apoptotico è Bcl-2, che interagisce con le proteine del poro (es. Bax o Bad), e questa interazione determina se la cellula andrà o meno in apoptosi. Bcl-2 (l’acronimo sta per B-cell lymphoma) è un oncogene implicato nella formazione di linfoma follicolare (un tumore degli anziani poco aggressivo) che si determina attraverso la traslocazione tra il cromosoma 14 dove mappano le immunoglobuline e il cromosoma 18 dove mappa Bcl-2. Come succede per Myc, Bcl-2 è messa sotto il controllo del locus delle catene pesanti delle immunoglobuline ed è iperespressa. La sintesi di Bcl-2 porta all’inibizione dell’apoptosi perché è alterata l’interazione tra Bcl-2 e Bad, e ciò impedisce la formazione del poro di transizione mitocondriale. Il linfoma follicolare è poco aggressivo perché è caratterizzato da cellule che si accumulano, non proliferano molto ma non muoiono. In alcuni pazienti ci può essere un’accelerazione della malattia e si è scoperto che in questi pazienti ci sono anche alterazioni nei geni che regolano la proliferazione cellulare (soprattutto Ras o Myc). Dall’interazione tra inibizione dell’apoptosi e stimolazione della proliferazione cellulare deriva la formazione di un tumore particolarmente aggressivo. Questo si può vedere anche nei topi transgenici per Myc e Bcl-2: i topi che portano il transgene Bcl-2 sviluppano una malattia simile a quella umana, con scarsa attività proliferativa dove si accumulano cellule in G0 che non muoiono; se a questi topi si aggiunge il transgene Myc, si sviluppano tumori molto aggressivi che proliferano e non muoiono, e inoltre sono resistenti alla terapia. Questa è una dimostrazione in sistemi sperimentali della possibilità di cooperazione tra oncogeni. Non basta un singolo oncogene a indurre la formazione di un tumore, ma è necessario l’accumulo di più alterazioni e in genere questo accumulo determina la capacità delle cellule tumorali di proliferare, inibire l’apoptosi, immortalizzarsi, indurre angiogenesi e metastasi.