Contributo a supporto della giornata di studi rigenerare lo spazio urbano residenziale Milena De Matteis, Francesca Riccardo, Maria Livia Olivetti Strategie di rigenerazione urbana e progetti sullo spazio aperto per i quartieri pubblici Uno sguardo su alcuni temi affrontati dalla ricerca Living Urban Scape Da ormai più di vent’anni un tema strategico nelle politiche urbane, europee e nazionali, è quello attinente la riqualificazione dei quartieri residenziali periferici costruiti, spesso per iniziativa pubblica, nelle espansioni urbane del dopoguerra. La situazione di molti “quartieri popolari” è problematica per diversi e ben noti motivi. Tra questi l’obsolescenza edilizia, l’isolamento (anche psicologico) rispetto alla città, l’abbandono ed il degrado degli spazi esterni alle abitazioni, la monofunzionalità del “quartiere dormitorio”, la depressione socioeconomica, la stigmatizzazione negativa. Quali dunque le opportunità di riqualificazione della città “periferica”? Quali le problematiche da affrontare negli insediamenti residenziali, quali le strategie condivise riconosciute finora? Gli indirizzi a livello europeo puntualizzano oggi la necessità di riqualificare ampie aree urbane degradate piuttosto che continuare a espandere la città, sottolineando temi e approcci da seguire. Importante riferimento a riguardo è la “Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili” del 2007, dove tra le principali raccomandazioni dell’Unione Europea si annoverano tematiche quali: - il rivolgere un’attenzione speciale ai quartieri degradati per aumentare la coesione sociale; - la strutturazione degli insediamenti in modo compatto, riunendo diverse attività in un solo quartiere; - la creazione di spazi pubblici di qualità attraenti e orientati ai fruitori; - il coinvolgimento dei cittadini nel processo di recupero; - il potenziamento dell’economia locale e le politiche di integrazione e sostegno sociale; - la sostenibilità ambientale degli edifici esistenti, evitando il consumo di altri spazi verdi. Quello che appare fondamentale per la “urban regeneration” è un approccio integrato alla riqualificazione, che consideri cioè aspetti non solo architettonici e urbanistici, ma anche sociali, economici, ambientali, culturali, paesaggistici. Altrettanto importante è la presenza di una forte leadership alla guida di tali processi, a livello nazionale o locale, risultato tra i principali fattori di successo delle politiche ed azioni di recupero. I finanziamenti arrivano da risorse diversificate, dalla comunità europea, da enti appositamente istituiti o da partnership tra diversi attori, pubblici e privati, affiancati dalla partecipazione dei cittadini nei processi decisionali. In molti casi vengono sviluppati dei progetti pilota che sperimentano e individuano “best practices” adatte a una successiva azione capillare nelle numerose zone problematiche. Sebbene sia impossibile applicare le migliori soluzioni procedurali e progettuali indifferentemente nel territorio europeo, ma queste vadano definite sulla base delle specifiche condizioni locali, l’attuale “know how” sulla questione individua temi ricorrenti che caratterizzano la buona riuscita di tali interventi di rigenerazione. In Europa tra i programmi nazionali di maggiore ampiezza e respiro vi è sicuramente quello portato avanti dalla Francia. Attraverso il “Programme National de Rénovation Urbaine” Pnru, dal 2003 ha attivato uno sforzo nazionale senza precedenti per trasformare e rigenerare le cosiddette Zus, le Zone Urbane Sensibili, attraverso interventi concentrati sulle abitazioni, le strutture e i servizi pubblici, gli aspetti socioeconomici locali. La sua attuazione è stata affidata a un’apposita realtà, l’Agenzia Nazionale per la Riqualificazione Urbana (Anru), finanziata con fondi pubblici e privati. L'Agenzia fornisce un sostegno finanziario agli enti locali, alle istituzioni pubbliche e alle organizzazioni private e pubbliche che svolgono operazioni di rinnovamento urbano delle Zus. Entro il 2013 è in programma la rigenerazione di almeno 530 quartieri sparsi in tutta la Francia, periferici e centrali, migliorando le condizioni di vita di quasi 4 milioni di abitanti, con un fondo economico, in partnership pubblica e privata, di oltre 40 miliardi di euro. Un altro interessante esempio francese di strategie per la riqualificazione urbana valorizza invece le tendenze di associazionismo spontaneo degli abitanti, volto alla cura degli spazi aperti di quartiere: ci si riferisce al fenomeno dei “Jardins Partagés”, oggi organizzati nella rete municipale del programma “Charte Main Verte” del 2002. Questa rappresenta una carta ufficiale che regola la trasformazione di aree comunali generalmente abbandonate in giardini collettivi gestiti dalla popolazione che si propone di farsene carico; il Comune mette a disposizione un piccolo investimento iniziale che ne consente materialmente la realizzazione e la successiva manutenzione. Si tratta di una efficace politica che favorisce la partecipazione incoraggiando, regolamentando e sostenendo i fenomeni spontanei di auto-organizzazione e gestione comunitaria. L’eliminazione dello stato di degrado e la qualità stessa del giardino rappresentano però il mezzo e non il fine della regolamentazione della carta, che ha come finalità ultima lo sviluppo della socialità locale, nel tentativo di rafforzare le relazioni, la solidarietà e il senso di affezione degli abitanti ai luoghi. Anche in Italia da circa vent’anni si lavora sulle periferie residenziali, senza però la presenza di un coordinamento o una programmazione nazionale forte, come avviene nel caso francese e in altri, dando vita a esiti talvolta positivi ma piuttosto frammentari Le periferie pubbliche divengono una sorta di laboratorio sperimentale, finalizzato a individuare quale sia l’ambiente urbano che oggi soddisfa le nuove esigenze dei diversi abitanti insediati, attraverso progetti innovativi e “sostenibili”. Tra gli ambiti più degradati, che hanno maggiore urgenza d’intervento, vi sono in genere aree composte da tessuti edilizi piuttosto grandi e diffusi, con ampi spazi vuoti, esito della progettualità modernista e sperimentale e della successiva applicazione di standard funzionali di tipo quantitativo. Gli spazi aperti sottoutilizzati, abbandonati, degradati, quelle aree residuali definite da Clement “terzo paesaggio”, nonché il coinvolgimento dei cittadini nel processo di rigenerazione locale, sono il punto chiave della seguente riflessione, che sottolinea alcuni degli aspetti della ricerca triennale Living Urban Scape, applicata alle periferie residenziali italiane nate per iniziativa pubblica negli anni ‘60-‘80. Le odierne espressioni di disagio sociale presente in tali ambiti urbani vengono lette osservandone in particolare la condizione problematica degli spazi aperti, pubblici e privati. Il degrado e l’abbandono caratterizzanti questi spazi sono evidenti sintomi di un malessere che non si ferma solo agli elementi fisici del quartiere, ma coinvolge anche quelli socioeconomici: fenomeni di microcriminalità, occupazione abusiva del suolo, attività illecite, insicurezza e mancanza di controllo. Quali potenzialità risiedono in tali contesti? Come si può ricreare il senso di “spazio pubblico” dove oggi ci sono solo strade, vuoti urbani, aree sottoutilizzate? Ciò che finora è stato ritenuto uno dei più gravi problemi delle periferie – gli spazi aperti indeterminati e degradati, appunto - con un cambiamento di prospettiva può diventare la principale risorsa strategica per la sua riqualificazione: la disponibilità di ampie superfici e la capacità di assorbire trasformazioni anche sostanziose è un punto di forza determinante delle aree periferiche. L’azione di recupero sugli spazi aperti pubblici, molto trascurati dalla progettualità del movimento moderno ma un tempo luoghi per eccellenza dell’interazione sociale, può rappresentare, soprattutto per il contesto della città pubblica, il primo passo di una strategia integrante una riqualificazione di tipo fisico-ambientale a una socioeconomica: superamento della "diluizione" del continuum spaziale in cui navigano singoli edifici-volume, ridisegno e completamento dei tessuti esistenti, inserimento di nuove funzioni e residenze per utenti speciali, valorizzazione delle qualità ambientali e culturali, rafforzamento delle identità locali. I temi progettuali specifici sviluppati nelle due unità coinvolte nella ricerca Living Urban Scape (Università Iuav di Venezia e Roma Tre), riguardano in particolare tre focus tematici interrelati tra loro: - la riconfigurazione e la valorizzazione degli spazi aperti pubblici/privati; - la densificazione e la diversificazione (densità di volumi, cose, persone e usi; mix funzionali, sociali, tipologici); - la sostenibilità sociale e ambientale, con un’attenzione particolare al verde e ai sistemi naturali. Nell’osservare alcune recenti proposte attinenti questi argomenti, si manifesta il tema della densità e dell’infilling come possibile strategia di recupero nei quartieri pubblici con operazioni di ricucitura dei tessuti, innesti e completamenti. L'ipotesi di "densificazione orizzontale", l'infilling, riempie gli spazi vuoti inutilizzati in zone urbanizzate, rivitalizza spazi aperti troppo ampi e indifferenziati con opportune costruzioni e conformando lo spazio pubblico, consente l’uso di spazi interstiziali e di piani pilotis inutilizzati, offrendo luoghi per la collettività, servizi, o nuove residenze. Questo rappresenta al momento un’opportunità per l’Italia per rendere più vitali gli ambienti urbani esistenti con opportuni inserti edilizi (con “iniezioni” di alloggi sociali, ad esempio), per ridurre il consumo di suolo e l’espansione urbana, per diversificare l’ambiente urbano e offrire nuove abitazioni dignitose e servizi necessari, per convogliare interessi economici. Il fattore "densità" è infatti una variabile in grado di definire la forma e la qualità della città, divenendone strumento di misurazione e di progetto, in un'ipotesi di rinnovamento anche morfologico e favorendo la qualità dello spazio pubblico e la socialità, aumentando la bassa densità abitativa del modello razionalista, dove lo spazio aperto è troppo ampio, dispersivo, e trascurato. Ma l’infill di nuove costruzioni non è l’unica strada possibile, né necessariamente la migliore. Altro intento della ricerca è quello di utilizzare la dimensione del verde e dei sistemi naturali come metodo e materia stessa della riqualificazione. In particolare l’elemento naturale non è interpretato unicamente come una tecnologia, un arredo o un rivestimento, né inteso solo come un possibile giardino, parco o campagna urbana. E’ necessario infatti riconoscere tutte quelle specie di spazi aperti che, se riletti come spazi pubblici dell’abitare, possono incidere in maniera sostanziale sulla qualità del vivere in determinati insediamenti ricreando “paesaggi sostenibili”, ove l’elemento costruito è in sintonia con quello naturale ed a creazione di un ambiente realmente adatto al benessere ed alla vita dell’uomo. A livello metodologico la ricerca Living Urban Scape è organizzata secondo un processo conoscitivo ciclico, basato su feedback tra studi teorici ed applicazioni su casi concreti, in un processo di accumulazione dei saperi basato su: - raccolta, analisi di teorie progettuali e best practices sviluppate in esperienze esemplari, europee e nazionali; - implementazioni progettuali (partecipative) su specifici casi studio italiani di edilizia residenziale pubblica; - estrapolazione di linee guida locali valide per il contesto italiano, principi di fattibilità e insegnamenti riutilizzabili. I focus di progetto e le relative argomentazioni approfondite vengono quindi sperimentati attraverso uno studio applicato ad alcuni casi pilota di edilizia sociale italiana anni ’60-’80, selezionati tra i quartieri di Roma, come grande città, e dell’area veneta e friulana, per un’indagine sulle città medio-piccole. Tra i caratteri per la selezione delle aree adatte allo studio in corso, comuni in moltissime delle periferie italiane, vi è: - una generalizzata situazione degrado, incuria, insicurezza, depressione; - la presenza di spazi aperti vuoti, incompleti, abbandonati, utilizzati in modi inappropriati; - un insediamento con edifici diffusi e spazio fluido indistinto, con scarso senso di complessità urbana; - la prevalenza di residenze, la mancanza di servizi, la necessità di nuove funzioni; - una potenziale o reale qualità ambientale delle aree naturali nell’intorno (eventualmente archeologico-storiche); - un sistema infrastrutturale locale ridondante e non efficace, modificabile; - soggetti pubblici e collettivi attivi (o attivabili), possibilità di avviare percorsi partecipativi. E’ in via di definizione per questi casi studio un metodo d’indagine interpretativa attraverso attività di analisi, diagnosi e coinvolgimento degli abitanti e dei vari stakeholders. Innanzitutto è necessario un approccio di lettura dei caratteri spaziali - formali - relazionali dell’insediamento, che consenta di individuare elementi e connessioni efficaci, come anche punti di debolezza e opportunità di modifiche nel disegno generale, identificando un abaco di situazioni che consentono il tipo di approccio ipotizzato. La “diagnosi” del quartiere, elaborata in modo partecipato sulla base delle interpretazioni degli abitanti, consente invece di verificare condizioni di degrado, usi (anche informali) e significati effettivi dei luoghi, dando maggiore importanza a quei luoghi – o a quelle pratiche ed idee - che già hanno un livello di riconoscibilità e quindi un intrinseco valore. Per garantire la definizione di strategie e processi che possano indirizzare alla reale fattibilità delle proposte, nella ricerca Lus gli aspetti progettuali sono considerati in stretta relazione agli aspetti sociali, gestionali e di microeconomia specifici per ogni contesto di riferimento. L’applicazione ai casi di studio italiani consente una sperimentazione partecipata e sul campo per comprendere come “smuovere” la situazione inerziale che è l’attuale condizione della maggior parte delle periferie pubbliche. Quali strategie, processi ed economie possono guidare progetti di rinnovo fattibili ed efficaci? Come mantenere nel tempo la qualità apportata dagli interventi effettuati? Quali sono i principali soggetti interessati a intervenire nei processi di rigenerazione urbana, e con quali possibili motivazioni? Deve essere possibile individuare nuove economie che consentano la realizzazione di progetti e processi di rigenerazione dal basso, senza necessariamente aspettare l’iniziativa della sfera pubblica, oppure ipotizzando partnership pubblico-privato preposte al miglioramento generale del quartiere, individuando interessi e convenienze socio-economiche complementari. Il ricorso al project financing per la realizzazione di strutture pubbliche e private è una delle strategie economiche utilizzate in Europa che ha varie esperienze positive anche in Italia. Le scelte di densificazione soprattutto possono attrarre economie esterne capaci di trovare vantaggi nella realizzazione di nuovi servizi, funzioni, giardini collettivi e spazi pubblici, associati a nuova edilizia, sociale e privata. La partecipazione degli abitanti e delle associazioni locali è un aspetto chiave per la rigenerazione delle periferie, e quindi per la ricerca Lus. Non si può intervenire su quartieri esistenti e abitati senza coinvolgerne i diretti interessati, non solo a livello consultativo e divulgativo, ma possibilmente anche a livello decisionale e progettuale: in tali contesti la partecipazione è requisito essenziale di qualsiasi opportunità d’intervento. Gli stessi programmi complessi prevedono da tempo pratiche di coinvolgimento, e in questo l’Italia si trova senz’altro in linea con gli indirizzi europei più aggiornati, sebbene in concreto i risultati siano di valore solo per poche realtà locali. Quindi, quale ruolo ha e può avere oggi la partecipazione per la risoluzione di conflitti, nella creazione di identità e appartenenza locale, nella gestione e nella cura dei quartieri? Quali strumenti e nozioni – anche progettuali –sono oggi a disposizione di chi si impegna in tal senso? Tra i risultati della ricerca Living Urban Scape - Abitare lo Spazio Urbano si prefigurano diversi strumenti (linee guida, progetti locali, metodi e processi), rivolti ai vari soggetti coinvolti nella questione: esperti, progettisti, amministratori, promotori, abitanti. L’utilità di un simile approccio alla riqualificazione delle periferie, che parte dalla considerazione della qualità degli spazi aperti per intervenire su molte altre questioni – forma e quantità dell’edificato, funzioni e usi, proprietà e gestione, reti ecologiche e sostenibilità, aspetti socioeconomici - può quindi essere individuata in tre livelli distinti: tecnico-progettuale, procedurale-economico, sociale-comunicativo. La formalizzazione in una forma comunicativa efficace, di linee guida, buone pratiche, procedimenti progettuali e nozioni specifiche reiterabili, derivanti dall’applicazione diretta ai casi pilota italiani, sarà in grado di apportare un reale contributo tematico alla questione della riqualificazione delle periferie residenziali attraverso l’azione sullo spazio collettivo come possibile e innovativo strumento di rigenerazione.