Numeri Complessi e Geometria Euclidea Parte I I numeri complessi 1 1.1 Definizione di campo Sia X un insieme; siano +, · due operazioni su X, ovvero due funzioni da X × X in X, per le quali le immagini della coppia (x, y) ∈ X × X si indicano con x + y e x · y rispettivamente. Supponiamo che +, · siano operazioni associative e commutative, ovvero che, per ogni tre elementi x, y, z ∈ X, valga : (x + y) + z = x + (y + z) (x · y) · z = x · (y · z) x+y =y+x x·y =y·z Supponiamo inoltre che in X esistano due elementi u, v che siano elementi neutri per +, · rispettivamente, ovvero tali che x+u=u+x=x x·v =v·x=x per ogni x ∈ X; tali elementi neutri si indicano solitamente con 0, 1 rispettivamente e si richiede che siano distinti, ovvero che 0 6= 1. Supponiamo che per ogni fissato x ∈ X esista un elemento −x ∈ X, detto opposto di x, tale che x + (−x) = 0 e che per ogni fissato x ∈ X ∗ = X \ {0} esista un elemento x−1 ∈ X, detto inverso di x, tale che x · (x−1 ) = 1 Infine, supponiamo che + (detta somma) sia distributiva su · (detta moltiplicazione), ovvero richiediamo che per ogni tre elementi x, y, z ∈ X si abbia (x + y) · z = (x · z) + (y · z) Un tale insieme X, munito di operazioni +, · che rispettano tutte queste richieste, si chiama campo. Esempi 1. L’insieme dei numeri reali R è un campo, con le ovvie operazioni di somma e di prodotto; 0, 1 sono gli elementi neutri. 2. L’insieme dei numeri razionali Q è un campo con le ovvie operazioni di somma e di prodotto; 0, 1 sono gli elementi neutri. Osserviamo che Q ⊂ R e che la somma e il prodotto di Q sono semplicemente quelle di R ristrette ai soli numeri razionali (grazie al fatto che la somma e il prodotto di due razionali sono razionali e che gli elementi neutri sono razionali). Q si dice perciò sottocampo di R. 3. L’insieme dei numeri irrazionali R \ Q non è un campo, rispetto alle solite operazioni di somma e prodotto : non contiene gli elementi neutri e non è detto che la somma e il prodotto di due irrazionali siano ancora irrazionali. 4. L’insieme dei numeri interi Z non è un campo : non esiste alcun intero che moltiplicato per 2 faccia 1 (in generale, mancano gli inversi di tutti i numeri interi di modulo maggiore di 1). 2 Esercizi √ √ 1. Dimostrare che l’insieme Q( 2) = {a + 2b | a, b ∈ Q} è un campo con le usuali operazioni tra numeri reali e Q è un suo sottocampo. 2. Dimostrare che, dato α irrazionale, il più piccolo sottocampo di R che contenga Q e α deve contenere l’insieme Kα = {a + αb | a, b ∈ Q}. √ 3 3 3. Dimostrare che l’insieme K √ 2b | a, b ∈ Q} non è un campo 2 = {a + con +, · di R. √ 4. (⋆) Qual è il più piccolo campo Q( 3 2) che contiene Q e il numero reale √ 3 2? 5. Descrivere gli insiemi X per cui valgono tutte le richieste che abbiamo fatto per un campo, tranne per il fatto che in essi si ha 0 = 1. 6. Può esistere un campo con 2 elementi? E con 3? E con 6? 7. (⋆) Sia p(x) un polinomio di secondo grado a coefficienti razionali, con entrambe le radici irrazionali, α, β ∈ R \ Q. Dimostrare che l’insieme Kα = {a + αb | a, b ∈ Q} è un sottocampo di R e contiene β. 1.2 Il campo dei numeri complessi Il polinomio x2 + 1 è irriducibile sui numeri reali, ovvero non è scomponibile in fattori a coefficienti reali, ovvero (essendo di secondo grado) non ha radici in R. Questo è ovvio in quanto in R abbiamo un ordinamento ≥ per il quale x2 ≥ 0 per ogni x ∈ R e dunque non è possibile trovare un reale per cui x2 + 1 = 0. Supponiamo di voler aggiungere a R una radice di x2 + 1; introduciamo dunque il simbolo ı, con la proprietà che ı2 = −1; per quanto detto prima, ı non è un numero reale e viene detto unità immaginaria. Consideriamo il più piccolo campo che contenga R e ı; in analogia con il secondo esercizio della sezione precedente, esso dovrà contenere tutti gli elementi della forma a + ıb. Vediamo che tali elementi formano effettivamente un campo, indicato di solito con C e detto campo dei numeri complessi. E’ facile definirne la somma, ponendo che (a+ıb)+(c+ıd) = (a+c)+ı(b+d); solo poco più difficile è il prodotto (a + ıb) · (c + ıd) = (ac − bd) + ı(ad + bc)1 che si può anche vedere come prodotto tra polinomi in ı come variabile, nel quale però si sfrutta la relazione ı2 + 1 = 0 : (a + ıb) · (c + ıd) = ac + aıd + ıbc + ı2 bd = (ac − bd) + ı(ad + bc) E’ facile verificare che 0 = 0 + ı0 e 1 = 1 + ı0 sono elementi neutri per le operazioni appena definite e che se identifichiamo i numeri reali con gli elementi della forma a+ı0 otteniamo che tali operazioni si restringono a R come la somma e la moltiplicazione usuali. Infine, vediamo che per ogni numero esistono un 1 D’ora in poi l’uso del simbolo · per indicare esplicitamente la moltiplicazione andrà scomparendo e verrà ripreso solo quando sembri necessario sottolineare in modo particolare l’operazione 3 opposto e un inverso : dato dunque a + ıb, scriviamo le condizioni su x, y ∈ R affinché x + ıy sia opposto (e poi inverso) di a + ıb. a+x = 0 a = −x (a + ıb) + (x + ıy) = 0 + ı0 ⇔ ⇔ b+y = 0 b = −y (a + ıb) · (x + ıy) = 1 + ı0 ⇔ ax − by ay + bx = 1 = 0 ⇔ x = y = − a2 a + b2 a2 b + b2 Come si nota, affinché esista l’inverso di a + ıb, si deve avere a2 + b2 6= 0, ovvero almeno uno √ tra a, b deve essere diverso da zero, ovvero a + ıb 6= 0 + ı0. La quantità a2 + b2 si chiama modulo o norma del numero complesso z = a + ıb e si indica con |z|. Ora, osserviamo che il numero ı è rappresentato in C dall’elemento 0 + ı1 e vediamo che (a + ı0) · (0 + ı1) = (0 + ıa). Conveniamo quindi di denotare con a i numeri della forma a + ı0 (sottintendendo il contenimento tra campi R ⊂ C) e con ıa i numeri della forma 0 + ıa. I numeri di quest’ultima forma sono detti immaginari puri, ovvero sono i multipli reali dell’unità immaginaria. Dato un generico numero complesso a + ıb, questo si può scrivere come un numero reale più un numero immaginario, o meglio come un multiplo reale dell’unità più un multiplo reale dell’unità immaginaria : z = a+ıb = (a+ı0)+(0+ıb) = a·1+b·ı; a si chiama parte reale di z = a + ıb e si indica con ℜz, b si chiama parte immaginaria di z = a + ıb e si indica con ℑz. Esaminiamo il comportamento delle parti reale ed immaginaria rispetto alle operazioni; siano z, w ∈ C, allora si ha ℜ(z + w) = ℜz + ℜw ℑ(z + w) = ℑz + ℑw ℜ(z · w) = ℜzℜw − ℑwℑz ℑ(z · w) = ℑzℜw + ℜzℑw Inoltre ℜ(−z) = −ℜz ℑ(−z) = −ℑ(z) ℜ(z −1 ) = ℑ(z −1 ) = − Infine, notiamo che ℜz |z|2 ℑz |z|2 |z|2 = (ℜz)2 + (ℑz)2 da questo segue che |z|2 = ℜzℜz + ℑzℑz = ℜ(z · z̄) con z = ℜz − ıℑz. L’operazione z 7→ z si dice coniugio ed ha le seguenti ottime proprietà : z+w =z+w z·w =z·w z=z⇔z∈R z = −z ⇔ z ∈ ıR z=z |z| = |z| Si hanno poi le interessanti relazioni : ℜz = z+z 2 ℑz = 4 z−z 2ı Esempi 1. Le radici di x2 + 1 = 0 in C sono ı e −ı; questo mostra che la scelta di una radice di x2 + 1 = 0 da chiamare ı fatta all’inizio non è influente sul risultato finale, in quanto i due campi che si ottengono sono legati l’uno all’altro dal semplice coniugio. 2. Dati i due numeri complessi z = 2 + ı3, w = 3 + ı4, si ha z + w = 5 + ı7 |z| = √ 13 zw = −6 + ı17 z − w = −1 − ı |w| = 5 ℜz = 2 ℑz = 3 z = 2 − ı3 z/w = ℜw = 3 1 18 +ı 5 5 ℑw = 4 w = 3 − ı4 3. Il quadrato del numero complesso a + ıb è (a2 − b2 ) + ı2ab. 4. Le radici quadrate di un numero complesso a + ıb si ottengono risolvendo il sistema : 2 x − y2 = a 2xy = b Da cui x = b/2y (supponendo che y 6= 0, altrimenti si divide per x2 )e quindi b2 /4y 2 − y 2 = a, da cui 4y 4 + 4ay 2 − b2 = 0 e dunque p y 2 = −a ± a2 + b2 ovviamente, l’unica soluzione accettabile è in ogni caso quella con il +. Da ciò q p b x=± p y = ± −a + a2 + b2 √ 2 −a + a2 + b2 √ dove va scelto lo stesso segno. Nel caso in cui −a√+ a2 + b2 = 0, ovvero nel caso in cui b = 0, a ≥ 0, si ha y = 0 e x = ± a. Quindi ogni numero complesso ha due radici quadrate complesse. √ √ 5. In particolare, se x ∈ R e x ≥ 0, le radici quadrate di √ x sono x e − x, √ mentre se x < 0, le sue radici quadrate sono ı x e −ı x. 6. Ogni equazione di secondo grado ha quindi entrambe le radici nel campo complesso : le identità algebriche che si usano per ricavare la formula risolutiva per le equazioni di secondo grado dipendono solo dalle proprietà di somma e prodotto e quindi rimangono valide anche in C, dunque possiamo scrivere che le radici di az 2 + bz + c con a, b, c ∈ C sono √ −b ± b2 − 4ac z1,2 = 2a Ora, poiché abbiamo visto che ogni numero complesso ha due radici quadrate, queste formule sono sempre applicabili e forniscono le radici dell’equazione. 2 Se almeno uno tra a, b non è nullo, almeno uno tra x, y non sarà nullo 5 7. |z| ≥ 0 per ogni z ∈ C. 8. |zw| = |z||w|, in quanto |zw|2 = zw · zw = (z · z)(w · w) = |z|2 |w|2 . 9. |zw| = |z||w|, in quanto zwzw = zzww. Esercizi 1. Sia p(x) un polinomio a coefficienti reali di secondo grado, senza radici reali; sia un simbolo tale che p( ) = 0. Dimostrare che K = {a + b | a, b ∈ R} = C. √ 2. Ripetere i calcoli dell’esempio 2 con i numeri complessi 3 + ı, 1 + ı. 3. Dimostrare che se k ∈ R, z ∈ C con z = a + ıb, si ha kz = ka + ıkb. 4. Trovare parte reale e immaginaria di z n con z = a+ıb e n numero naturale. 5. Dimostrare la disuguaglianza triangolare |z + w| ≤ |z| + |w|, sfruttando i seguenti fatti : |z|2 = zz, |zw| = |z||w|. 6. (⋆) Dimostrare che non è possibile definire su C un ordinamento ≥ che sia compatibile con le operazioni. (Hint : dimostrare che in ogni campo ordinato (compatibilmente con le operazioni) si ha x2 ≥ 0 per ogni x nel campo.) 7. Trovare le radici terze di 1. (Sfruttare, per risolvere il sistema, la conoscenza di almeno una di queste radici.) 8. (⋆) Trovare tutte le f : C → C tali che f (x + y) = f (x) + f (y) e f (xy) = f (x)f (y) per ogni x, y ∈ C. (Hint : determinare prima il comportamento di una tale funzione sui reali, tenendo conto del fatto che i reali hanno un ordinamento, poi tentare di estendere a tutti i complessi.) Tali f sono dette automorfismi di campo. 1.3 Rappresentazioni dei numeri complessi La descrizione data del campo dei numeri complessi è quella tradizionalmente usata in quanto riporta le origini storiche per cui i numeri complessi sono stati introdotti (risolvere le equazioni algebriche); il lettore attento avrà però già potuto accorgersi che il simbolo ı serve solo a distinguere la parte reale da quella immaginaria e non ha altra funzione, essendo esso stesso una abbreviazione di 0 + ı1. Possiamo dunque riformulare la definizione del campo dei numeri complessi in questo modo : definiamo C = R2 = {(a, b) | a, b ∈ R} come l’insieme delle coppie di numeri reali e definiamo la somma e il prodotto come (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d), (a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc). In tal modo, ripercorrendo quanto fatto in precedenza, possiamo dimostrare che esistono gli elementi neutri (0, 0) e (1, 0), che esistono opposto e inverso, che in C si trovano i numeri reali nella forma (a, 0), che esiste un numero che al quadrato fa −1 ed è (0, 1). 6 In questo modo possiamo identificare i numeri complessi con i punti del piano e intendere la parte reale e la parte immaginaria come coordinate; la norma del numero complesso sarà allora la distanza tra il punto da esso individuato e l’origine. Tale identificazione porta a parlare di piano complesso o piano di Argand-Gauss 3 ; si indicano allora con asse reale e asse immaginario gli insiemi R = {(a, 0) | a ∈ R} e ıR = {(0, b) | b ∈ R}. Per questo motivo, la scrittura dei numeri complessi nella forma a + ıb è detta forma cartesiana. Consideriamo ora un fissato numero complesso z0 = A + ıB e studiamo l’applicazione z 7→ z + z0 ; con l’identificazione appena spiegata, essa si scrive, in coordinate, come x 7→ x + A y 7→ y + B ovvero come una traslazione. Sia Tz0 la traslazione associata al numero complesso z0 ; si nota immediatamente che Tz+w = Tz ◦ Tw (dove ◦ indica la composizione delle due trasformazioni), che T0 = I, ovvero la traslazione associata a 0 è l’identità del piano, e che quindi T−z = Tz−1 , ovvero la traslazione associata all’opposto di z è l’inversa della traslazione associata a z. Consideriamo ora un altro modo di scrivere i numeri complessi, suggerito dal seguente fatto : se fissiamo la norma (o modulo) di un numero complesso, otteniamo un insieme di punti sul piano di Gauss corrispondente ad una circonferenza che ha come raggio la norma fissata (a2 + b2 = r2 ); quindi scegliendo un angolo abbiamo individuato un unico numero complesso. Sia z ∈ C e sia z = a + ıb; allora a b z =√ + ı√ |z| a2 + b2 a2 + b2 La parte reale e la parte immaginaria di z/|z| sono numeri reali di modulo minore di 1 e la somma dei loro quadrati fa 1, quindi esiste sempre un solo θ ∈ [0, 2π[ tale che a cos θ = √ 2 a + b2 sin θ = √ b + b2 a2 √ Ora, posto ρ = a2 + b2 , possiamo scrivere z = ρ(cos θ + ı sin θ). Questa scrittura di un numero complesso si chiama forma polare o trigonometrica e corrisponde a vedere i numeri complessi come punti di un piano su cui siano state fissate delle coordinate polari. Le formule di cambio di coordinate tra cartesiane e polari offrono delle espressioni per trasformare i numeri dalla forma cartesiana a quella polare e viceversa: p x2 + y 2 ρ = y θ = arcsin x2 + y 2 x = arccos x2 + y 2 3 Di solito, più semplicemente, piano di Gauss 7 x = ρ cos θ y = ρ sin θ Ovviamente anche quest’altra forma può essere pensata come una diversa scrittura dei numeri complessi come coppie di numeri reali. Scriviamo quindi (ρ, θ) per indicare il numero complesso z = ρ(cos θ + ı sin θ); ρ viene chiamato modulo o norma e θ viene detto argomento o anomalia e si indica con arg(z). Osserviamo che in questa forma la moltiplicazione diventa molto semplice : siano z = (ρ, θ), w = (r, φ) in forma polare, allora ℜ(zw) = rρ cos θ cos φ − rρ sin θ sin φ = rρ cos(θ + φ) ℑ(zw) = rρ sin θ cos φ + rρ cos θ sin φ = rρ sin(θ + φ) e dunque (ρ, θ) · (r, φ) = (rρ, θ + φ). Dunque, possiamo dire che, in forma polare, un numero complesso può scriversi come (ρ, 0)·(1, θ)4 . In quest’ottica, fissato un numero z0 = (R, α) = (R, 0)· (1, α), l’applicazione z 7→ zz0 può essere vista come z 7→ (R, 0)z 7→ (1, α)(R, 0)z. In coordinate polari questo diventa ρ 7→ Rρ 7→ Rρ θ 7→ θ 7→ θ + α Dunque, questa applicazione è la composizione di una omotetia di fattore R e di una rotazione di angolo α. Se indichiamo con Sz0 la trasformazione associata a z0 , abbiamo, in analogia con quanto visto prima, che Szw = Sz ◦ Sw , che S1 = I e che Sz−1 = Sz−1 Questa rappresentazione dei numeri complessi ha lo svantaggio di non essere biunivoca : le coppie (ρ, θ) e (ρ, θ + 2π) rappresentano lo stesso numero complesso, in quanto seno e coseno sono funzioni di periodo 2π; è più comodo, in questo senso, pensare la forma polare come la scomposizione di un numero complesso nel prodotto di un reale positivo e di un numero complesso di norma 1. L’insieme dei numeri complessi di norma 1 viene indicato di solito con S1 e corrisponde, sul piano di Gauss, alla circonferenza unitaria centrata nell’origine (a volte detta circonferenza trigonometrica). Un ulteriore svantaggio di questa rappresentazione è che essa si comporta male nello zero : tutte le coppie (0, θ) rappresentano lo stesso numero complesso 0 e la similitudine S0 in realtà non è una trasformazione biunivoca del piano, ma è la funzione z 7→ 0 che collassa tutto il piano nell’origine; questo è legato al fatto che questa rappresentazione è fondamentalmente legata al prodotto tra numeri complessi e lo zero è l’unico elemento senza inverso. Esempi 1. Una retta nel piano di Gauss passante per i punti z, w può essere scritta come {tz + sw | s, t ∈ Rs + t = 1} oppure come {z + t(w − z) | t ∈ R}. 2. Una circonferenza di centro z0 e raggio r è individuata dalla condizione |z − z0 | = r. 4 Questo fatto è parallelo alla decomposizione z = ℜz + ıℑz. 8 3. La moltiplicazione per ı corrisponde ad una rotazione di π/2 in senso antiorario. √ 4. Il numero 1+ı in forma polare si scrive 2(cos(π/4)+ı sin(π/4)) e dunque √ corrisponde alla coppia ( 2, π/4). 5. Il coniugio corrisponde, in notazione polare, a cambiare segno all’argomento del numero complesso. 6. Una rotazione di angolo α attorno al punto z0 può essere ricondotta ad una rotazione attorno all’origine nel seguente modo : applichiamo al piano una traslazione di −z0 che porti il centro nell’orgine, ora realizziamo la rotazione attorno all’origine, quindi ritrasliamo il piano di z0 di modo che il punto fisso dell’intera trasformazione sia z0 ; in questo modo otteniamo che una rotazione di centro z0 e di angolo α può essere scritta come R = Tz0 ◦ Sω ◦ T−z0 con ω = cos α + ı sin α e dunque R(z) = Tz0 ◦Sω ◦T−z0 (z) = Tz0 ◦Sω (z−z0 ) = Tz0 (ω(z−z0 )) = ωz+z0 (1−ω) 7. Il quadrato del numero complesso z di modulo ρ e argomento θ in forma polare diviene (ρ2 , 2θ); in generale, la potenza n-esima di z sarà data dalla coppia (ρn , nθ). Esercizi 1. Mostrare che una retta per w1 , w2 è composta da tutti e soli i punti z che soddisfano la seguente equazione z − w1 z − w1 = w2 − w1 w2 − w1 2. Scrivere l’equazione della retta tangente a S1 in ω ∈ S1 . √ √ 3. Trasformare in forma polare i numeri complessi −ı3, 3 + ı, (5 − 5) + p √ ı(5 2 − 5). 4. (⋆) Dare una condizione necessaria e sufficiente su z, w ∈ C affinché z n = wn per un fissato n naturale. (Hint : scrivere i due numeri in forma polare.) 5. Ricavare le equazioni di una rotazione del piano cartesiano dall’espressione della moltiplicazione tra numeri complessi in forma cartesiana. 6. (⋆) Trovare un insieme C di matrici 2 × 2 che sia un campo rispetto alle operazioni di somma casella per casella e prodotto riga per colonna : A B E F A+E B+F + = C D G H C +G D+H A B E F AE + BG AF + BH · = C D G H CE + DG CF + DH e tale che esista M : C → C con le seguenti proprietà: M(x + y) = M(x) + M(y) 9 M(xy) = M(x)M(y) M(0) = 0 M(1) = I Dove 0 e I sono la matrice nulla e la matrice identità. (Hint : sfruttare la corrispondenza tra moltiplicazione e rotazione+omotetia, scrivendo questa ultima operazione come risultato del prodotto righe per colonne tra una matrice e il vettore che rappresenta il punto.) 1.4 Funzione esponenziale Abbiamo visto che con la forma polare il prodotto tra due numeri complessi si riduce al prodotto sulla prima componente e alla somma sulla seconda. E’ breve da qui il passo alla notazione esponenziale, in cui il prodotto diviene somma su entrambe le coordinate5 : alla coppia (r, θ) si fa corrispondere il numero complesso er (cos θ + ı sin θ) dove e è il numero di Nepero, base dei logaritmi naturali. Questa volta entrambe le coordinate variano su tutto R, in quanto er è sempre positivo per ogni r ∈ R; questa notazione ha lo stesso problema di non iniettività della notazione polare, ma elimina la questione dell zero, in quanto non esiste alcuna coppia (r, θ) che rappresenti 0 in forma esponenziale. L’applicazione exp : C → C∗ data da exp(a + ıb) = ea (cos b + ı sin b) che interpreta le coordinate cartesiane di un numero come coordinate esponenziali si dice per l’appunto applicazione esponenziale ed ha la già ricordata proprietà che exp(z + w) = exp(z) exp(w) Tale funzione, ristretta ai numeri reali, da luogo alla ben nota funzione esponenziale x 7→ ex . La funzione esponenziale sui complessi è periodica di periodo 2πı, infatti exp(z+2πı) = exp(z) exp(2πı) e exp(2πı) = e0 (cos(2π)+ı sin(2π)) = 1. Dunque tale funzione (al contrario della corrispondente reale) non è iniettiva. Sempre in opposizione alla funzione esponenziale sui reali, l’esponenziale complessa è surgettiva : sia z un numero complesso di norma ρ e argomento θ, allora z = exp(log ρ + iθ) dove log è il logaritmo naturale reale6 . L’insieme dei numeri complessi tali che exp(w) = z è una famiglia di punti con parte reale fissata e distanti tra loro 2πı; per essere precisi, si ha log(z) = {ρ + ı(θ + 2kπ) | k ∈ Z} dove ρ e θ sono modulo e argomento di z. La scelta di quella che si chiama determinazione locale del logaritmo, ovvero la scelta dell’intervallo [2kπ, 2(k + 1)π] in cui considerare gli argomenti, non è assolutamente indolore : equivale a intendere tutte le operazioni che si eseguono sui logaritmi come riportate in tale intervallo mod 2πı; ad esempio, supponiamo che z n = wn , allora passando ai logaritmi n log z = n log w, ma questo è 5 Proprio in questo modo può essere definita la funzione esponenziale : essa è un’applicazione continua e surgettiva e : C → C∗ (o e : R → R+ ) tale che e(x + y) = e(x)e(y) e per cui e(0) = 1. 6 Ricordiamo che |z| ≥ 0 per ogni numero complesso e quindi il logaritmo reale di ρ è definito 10 vero solo se si intendono le parti immaginarie ridotte modulo 2π, infatti √ !3 3 1 3 1=1 = − +ı 2 2 ma 3 log(1) = 0 √ ! 3 1 = ı2π 3 log − + ı 2 2 Del resto, se usata con attenzione, la periodicità del logaritmo può portare a risultati interessanti. Consideriamo ad esempio il problema di estrarre le radici n-esime di un numero complesso non nullo assegnato z ∈ C∗ ; le radici n-esime di z possono ottenersi con il seguente procedimento : si considera l’insieme log z e per ogni elemento w ∈ log z si considera il numero complesso exp(w/n), l’insieme Rn (z) = {exp(w/n) | exp(w) = z} è formato da tutte e sole le radici n−esime di z. Scriviamo ora esplicitamente gli insiemi coinvolti : log z = {log |z|+ı(arg(z)+ 2kπ) | k ∈ Z} e dunque arg(z) + 2kπ log |z| |k∈Z +ı Rn (z) = exp n n 1 arg(z) + 2kπ arg(z) + 2kπ = |z| n cos + ı sin |k∈Z n n Chiamiamo zk l’elemento associato all’intero k ∈ Z; è ovvio per la periodicità del coseno e del seno che z0 = zn ed è altrettanto ovvio che zi = zj se e solo se i ≡ j( mod n). Dunque esistono n radici n−esime di z ∈ C∗ ; se denotiamo con ρ, θ il modulo e l’argomento di z, tali radici sono θ + 2kπ θ + 2kπ √ zk = n ρ cos + ı sin k = 0, . . . , n − 1 n n Queste vengono dette tradizionalmente formule di De Moivre. Allo stesso modo del logaritmo7 , per l’estrazione della radice n-esima si deve scegliere una determinazione locale, ovvero un intervallo di lunghezza 2π/n in cui scegliere le parti immaginarie delle radici; come per il logaritmo, questa scelta comporta la necessità di ricordare sempre che si deve lavorare con le parti immaginarie ridotte modulo 2π/n. Tutto questo discorso non si applica a 0 che ha una e una sola radice n−esima per ogni n: se stesso. Ovviamente, vi è un modo più intuitivo per arrivare a scrivere le radici di un numero complesso : sia z ∈ C di modulo ρ e argomento θ, allora sicuramente √ se wn = z, si dovrà avere |w|n = |z| e quindi |w| = n ρ, del resto si vorrà che l’argomento ϕ di w sia tale che nϕ differisca da θ per multipli di 2π e quindi ϕk = θ + 2kπ n k∈Z √ Ma come già detto, per k = 0, . . . , n−1, i numeri wk di modulo n ρ e argomento ϕk sono tutti distinti e, come sarà ricordato nella sezione sesta, l’equazione polinomiale W n − z = 0 ha al più n soluzioni in W , che dunque devono essere quelle trovate. 7e questa somiglianza è più stretta di quanto si possa pensare ... 11 Esempi 1. exp(z) = eℜz (cos ℑz − ı sin ℑz) = eℜz (cos(−ℑz) + ı sin(−ℑz)) = exp(z) 2. Dalla definizione dell’esponenziale si ricavano formule per il seno e il coseno spesso utili per trovare formule chiuse per sommatorie di funzioni trigonometriche: dato x ∈ R ℜ exp(ıx) = cos(x) ℑ exp(ıx) = sin(x) oppure cos(x) = exp(ıx) + exp(−ıx) 2 sin(x) = exp(ıx) − exp(−ıx) 2ı 3. L’osservazione del punto precedente ci permette di definire (in maniera “sensata”) il seno e il coseno di un numero complesso : cos z = exp(ız) + exp(−ız) 2 sin z = exp(ız) − exp(−ız) 2ı 4. Sul piano di Gauss, le radici n−esime di un numero complesso z formano p i vertici di un poligono regolare inscritto nella circonferenza di raggio n |z| centrata nell’origine ed uno di questi vertici giace sulla retta per l’origine inclinata di arg(z)/n rispetto all’asse reale. 5. Le radici terze di z = 2ı sono √ √ 3 3 2 √ 2 √ ( 3 + ı) z1 = (− 3 + ı) z0 = 2 2 √ 3 z2 = − 2ı Esercizi 1. Determinare l’immagine sotto la funzione esponenziale della retta ℜz = a nel piano di Gauss, al variare di a ∈ R. 2. Determinare l’immagine sotto la funzione esponenziale della retta ℜz = ℑz nel piano di Gauss. 3. Determinare l’insieme dei logaritmi dei punti z tali che |z − 1| = 1/2; determinare l’insieme dei logaritmi dei punti w tali che |w| = 1/2. Che differenza c’è tra i due insiemi? 4. (⋆) Trovare le funzioni continue e : C → C∗ tali che e(x + y) = e(x)e(y) e e(0) = 1 5. Calcolare le radici quinte di 1 + ı. 6. Determinare le radici n−esime di z, note le radici n−esime di z. 7. Dare condizioni necessarie e sufficienti su z, w di modo che si possa definire in maniera univoca il numero complesso z w . 8. (⋆) Scrivere le formule di quintuplicazione per seno e coseno. 9. (⋆) Calcolare sin(x) + sin(2x) + . . . + sin(N x), con N naturale e x ∈ R. 12 10. Se z0 è una radice n−esima di z e w0 è una radice n−esima di w, z0 w0 è una radice n−esima di zw. Determinare quando due radici zi , wi e altre due radici zj , wj di z e w producono la stessa radice di zw, ovvero sono tali che zj wj = zi wi . 11. Il coseno e il seno iperbolici sono definiti come cosh z = exp(z) + exp(−z) 2 sinh z = exp(z) − exp(−z) 2 Dimostrare che valgono le seguenti: cosh(ıx) = cos(x) sinh(ıx) = ı sin(x) cosh2 (z) − sinh2 (z) = 1 1.5 ∀x ∈ R cosh2 (z) + sinh2 (z) = cosh(2z) Le radici dell’unità Come abbiamo visto, le radici n−esime di un numero complesso non nullo sono esattamente n e sono disposte come i vertici di un poligono regolare; se il numero complesso in questione è 1, esso stesso sarà una propria radice n−esima per ogni n. Quindi le radici n−esime dell’unità sono i vertici di un poligono regolare di n lati, inscritto nella circonferenza unitaria con un vertice in 1. Indichiamo l’insieme delle radici n−esime dell’unità con Un . Poichè |1| = 1, le radici n−esime dell’unità saranno della forma 2kπ 2kπ + ı sin k = 0, . . . , n − 1 cos n n Dunque il modulo delle radici è sempre 1, mentre gli argomenti sono θk = 2kπ/n con k = 0, . . . , n − 1; quindi, il prodotto di due radici dell’unità è ancora una radice dell’unità, in quanto il modulo rimane sempre 1 e l’argomento sarà della forma θk + θh = θh+k dove si considera h + k modulo n. Questo porta a notare che tutte le radici n−esime sono potenze della radice particolare con argomento θ1 , in quanto kθ1 = θk . Inoltre, −θk = θn − k e quindi se ζ è una radice n−esima dell’unità, anche ζ lo è, ed anzi ζζ = 18 . Osserviamo che, ovviamente, le radici n−esime sono anche radici m−esime ogni volta che n | m, quindi ha senso la definizione di radice n−esima primitiva dell’unità come un numero complesso ζn tale che ζnn = 1 e ζnk 6= 1 per ogni k = 1, . . . , n − 1; ovviamente, se n è un numero primo, tutte le radici n−esime, tranne 1, sono radici primitive. Se dunque ζn è radice primitiva n−esima, si ha che ζnh = ζnk se e solo se ζnh−k = 1 e quindi se e solo se h − k ≡ 0( mod n), che è proprio la condizione di essere radice primitiva; quindi le potenze ζn , ζn2 , . . . , ζnn−1 , 1 sono tutte radici n−esime di 1, sono n e sono tutte distinte, quindi sono tutte le radici. Indichiamo con Pn le radici primitive n−esime dell’unità. Da quanto appena detto e quanto notato prima, ζn = cos θ1 +ı sin θ1 è radice n−esima primitiva, per ogni n; inoltre, se n = p è un primo, ogni radice non banale (diversa da 1) è radice primitiva e quindi presa una qualsiasi radice non banale, le sue potenze danno tutte le radici. 8 Questo vale ogni volta che ζ ha norma 1, non solo per le radici dell’unità. 13 Le radici dell’unità sono le soluzioni dell’equazione z n − 1 = 0; il fatto che le radici n−esime siano anche m−esime per n | m si riflette nel fatto che z n − 1 | z m − 1, quindi la fattorizzazione del polinomio z n − 1 ci può dare informazioni sulle radici primitive. Osserviamo che tutti questi polinomi hanno il fattore “ovvio” z − 1 che corrisponde alla radice 1; inoltre, nel caso in cui n = p numero primo, il polinomio z p −1 si scompone come (z −1)(z p−1 +z p−2 +. . .+1) e si può dimostrare che il polinomio z p−1 +z p−2 +. . .+1 non è ulteriormente fattorizzabile sui razionali, mentre, ad esempio, z 6 − 1 = (z − 1)(z + 1)(z 2 + z + 1)(z 2 − z + 1) e questo si spiega con il fatto che tra le radici seste dell’unità vi è una radice primitiva prima dell’unità (soluzione di z − 1 = 0), una radice primitiva seconda dell’unità (soluzione di z + 1 = 0), due radici primitive terze (da z 2 + z + 1 = 0) e due radici primitive seste (da z 2 − z + 1 = 0). In generale, il polinomio fn (z) = (z − z1 ) · . . . · (z − zk(n) ), dove z1 , . . . , zk(n) sono le radici primitive n−esime di 1, è a coefficienti interi e non si scompone in fattori a coefficienti razionali di grado minore; fn si dice n−esimo polinomio ciclotomico. Esempi √ √ √ 1. Le radici √ seste dell’unità sono 1, −1, (− 3 + ı)/2, (− 3 − ı)/2, ( 3 + ı)/2, ( 3 − ı)/2; come detto sopra, sono una radice prima, una radice primitiva seconda, due radici primitive terze e infine due radici primitive seste. 2. La somma di tutte le radici n−esime dell’unità è nulla, infatti basta ricordare che possono essere scritte come potenze successive di una radice primitiva ζ : 1 + ζ + ζ 2 + . . . + ζ n−1 = 1 − ζn 1−1 = =0 1−ζ 1−ζ 3. Se ζ1 , . . . , ζp sono le radici p−esime dell’unità, con p > 2 e primo, allora le radici 2p−esime sono ζ1 , . . . , ζp , −ζ 1 , . . . , −1ζ p ; infatti le radici p−esime sono anche 2p−esime, inoltre (−ζ i )2p = (−ζip )2 = (−1)2 = 1 p ed infine −ζ i = ζj ⇒ (−ζ j )p = 1 ⇒ (−ζ j ) = 1 ⇒ −1 = 1, quindi le 2p radici presentate sono distinte9 e quindi sono tutte. 4. Il numero k(n) di radici primitive n−esime è pari al numero ϕ(n) di interi tra 1 e n coprimi con n, infatti consideriamo la radice ζn = cos(2π/n) + ı sin(2π/n), che è sicuramente primitiva, e domandiamoci quando una sua potenza può essere radice primitiva n−esima; sicuramente possiamo escludere le potenze della forma ζnd con (d, n) > 1, in quanto (ζnd )m = 1 con m = n/(d, n) < n. Quindi k(n) ≤ ϕ(n); del resto, se (n, d) = 1 e (ζnd )m = 1, allora ζndm = 1 e dunque n | dm (in quanto ζn è sicuramente radice primitiva) e dunque n | m, per cui anche ζnd è radice primitiva, quindi k(n) ≥ ϕ(n). Concludendo k(n) = ϕ(n). 9 Due radici del tipo −ζ non possono coincidere, a meno che non coincidano anche le i rispettive radici p−esime da cui sono ottenute. 14 5. Un = [ d|n Pd ; infatti se ζ ∈ Un , allora ζ n = 1 e dunque il minimo k tale che ζ k = 1 divide n, viceversa, se ζ ∈ Pd con d | n, ζ n = (ζ d )n/d = 1n/d = 1 e dunque ζ ∈ Un . Esercizi 1. Scomporre il polinomio x9 − 1 in fattori a coefficienti razionali e trovare la corrispondenza tra polinomi ciclotomici e radici primitive. 2. (⋆) Sia µ(n) la somma delle radici primitive n−esime; dimostrare che se esiste p primo tale che pk | n con k > 1 0 1 se n = 1 µ(n) = (−1)r se p = p1 · . . . · pr con pi primi distinti µ si dice funzione di Moebius. 3. Dati p, q primi, siano ζ1 , . . . , ζp le radici p−esime dell’unità e ω1 , . . . , ωq quelle q−esime. Scrivere in funzione di queste le radici pq−esime. 4. (⋆) Mostrare che fn (z) = Y (z n/d − 1)µ(d) d|n dove con fn (z) si indica l’n-esimo polinomio ciclotomico, che ha per radici tutte e sole le radici primitive n−esime dell’unità. 1.6 I polinomi 10 Sia K un campo e indichiamo con K[X] l’insieme dei polinomi a coefficienti in K in una indeterminata X, ovvero le espressioni del tipo f (X) = kn X n + kn−1 X n−1 + . . . + k0 con n ∈ N e kn , . . . , k0 ∈ K con kn 6= 0; se n > 0 o se k0 6= 0, n si dice grado del polinomio f (X) e si indica con deg f . Sui polinomi sono definite le operazioni di somma e di prodotto nella maniera nota : se f (X) = kn X n + . . . + k0 , g(X) = hm X m + . . . + h0 sono due polinomi a coefficienti in K di gradi n ≤ m, la loro somma è un polinomio s(X) = sm X m + . . . + s0 e il loro prodotto è un polinomio p(X) = pm+n X m+n + . . . + p0 , dove si = ki + hi se 0 ≤ i ≤ n e si = hi se n < i ≤ m, mentre X pi = ku hv u+v=i 0≤u≤n 0≤v≤m L’insieme K[X] dotato di queste operazioni non è un campo, in quanto i polinomi di grado maggiore di zero mancano di inverso; tale struttura si dice 10 Le righe che seguono sono da intendersi come un breve richiamo alle nozioni che il lettore dovrebbe già possedere e non vogliono pretendere di dare spiegazione esaustiva ed esauriente di queste a chi ne sia sprovvisto. 15 anello. Tra polinomi è comunque possibile una divisione con resto, come quella che si effettua tra gli interi; questo permette di fattorizzare un polinomio in potenze di polinomi irriducibili, ovvero tali che non esiste un polinomio di grado positivo che li divida senza resto. Dato un elemento a ∈ K si definisce valutazione di p(X) ∈ K[X] l’elemento di K ottenuto sostituendo a ad X nell’espressione di p(X) e interpretando le scritture ki X i come prodotti in K e le somme indicate come somme in K. Si chiamano radici di p(X) gli elementi di K tali che p(a) = 0. Ora, si ha che, fissato a ∈ K, p(a) = 0 se e solo se il polinomio X − a divide p(X); infatti, se X − a divide p(X), allora esiste q(X) tale che p(X) = (X − a)q(X) e quindi p(a) = (a − a)q(a) = 0. Del resto, se X − a non divide p(X) e p(a) = 0, allora si può scrivere p(X) = (X − a)q(X) + r(X) con deg r < deg(X − a) = 1, quindi r(X) = r0 è costante, ma dunque 0 = p(a) = 0 + r(a) = 0 + r0 , da cui r0 = 0, quindi p(X) = (X − a)q(X). Da questo risultato, noto come Teorema di Ruffini, viene giustificata la definizione alternativa di radice di un polinomio : a ∈ K si dice radice di p(X) ∈ K[X] se (X − a) divide p(X), inoltre, si dice radice di molteplicità m ∈ N se (X − a)m divide p(X) ma (X − a)m+1 non lo divide; segue inoltre immediatamente per induzione che un polinomio di grado n in K[X] ha al più n radici in K; la disuguaglianza è giustificata dal ben noto fatto che non tutti i polinomi a coefficienti reali hanno radici reali. Nel campo complesso, tuttavia, questa è un’uguaglianza, in quanto il Teorema Fondamentale dell’Algebra afferma che ogni polinomio a coefficienti in C ha almeno una radice in C; grazie al teorema di Ruffini e ad una semplice induzione sul grado, questo implica che ogni polinomio di grado n a coefficienti complessi ha esattamente n radici complesse, se contate con la loro molteplicità (cioè contando come m radici una radice di molteplicità m). Esempi 1. E’ possibile anche definire i polinomi a coefficienti in un anello, ovvero un insieme che abbia quasi le stesse proprietà di un campo, se non che in esso non tutti gli elementi hanno un inverso per la moltiplicazione. Ad esempio, si possono definire i polinomi a coefficienti in Z e quindi parlare dell’insieme Z[X], per cui valgono tutti i risultati visti precedentemente per i polinomi a coefficienti in un campo. 2. Dati due polinomi p(X) = aX 3 + bX 2 + cX + d e q(X) = eX 2 + f X + g, il loro prodotto è dato da (ae)X 5 +(af +be)X 4 +(ag+bf +ce)X 3 +(bg+cf +de)X 2 +(cg+df )X +gd In particolare il termine noto del prodotto è sempre il prodotto dei termini noti e il coefficiente del grado più alto dell’indeterminata X (detto coefficiente direttore) è il prodotto dei coefficienti dei gradi più alti nei due polinomi. 16 3. Mostriamo che K[X] non è un campo : prendiamo ad esempio il polinomio X + 1 e cerchiamo un inverso, che dovrà essere della forma a0 + a1 X + a2 X 2 + . . . + an X n per un qualche n; il prodotto tra X + 1 e il nostro candidato inverso è a0 + (a1 + a0 )X + (a2 + a1 )X 2 + . . . + (an + an−1 )X n + an X n+1 e tale espressione deve essere 1, quindi abbiamo le condizioni a0 = 1 a0 + a1 = 0 ... an + an−1 = 0 an = 0 che risolte danno a0 = 1, a1 = −1, . . ., an = (−1)n , an = 0 e quindi portano ad un assurdo, in quanto non si può avere (−1)n = 0 in nessun campo (o anello, se è per questo). 4. Dal teorema dei valori intermedi per le funzioni continue, sappiamo che ogni polinomio di grado dispari ha almeno una radice reale : infatti se p(X) ∈ R[X] ha grado dispari, chiamiamo p(x) la funzione che ad ogni x ∈ R associa la sua valutazione in p(X) (notoriamente continua), allora si ha (come è noto ad ogni studente di Analisi) lim p(x) = ±α∞ x→±∞ dove α è +1 o −1 a seconda del segno del coefficiente direttore di p(X); quindi, esiste M > 0 tale che αp(M ) > 1 e αp(−M ) < −1, quindi per il suddetto teorema esiste x0 ∈ (−M, M ) tale che p(x0 ) = 0 e dunque x0 è una radice di p(X). 5. Disponendo delle formule di calcolo delle radici per i polinomi di terzo e quarto grado, si può verificare a mano, come abbiamo già fatto per il secondo grado, che tali polinomi hanno sempre 3 e 4 radici rispettivamente in C. Esercizi 1. Visto che K[X] è un anello, possiamo definire K[X][Y ], ovvero i polinomi a coefficienti in K[X] in una indeterminata Y . Mostrare che cosı̀ si ottengono esattamente tutti i polinomi a coefficienti in K in 2 indeterminate e ricavare una formula per il prodotto tra di essi. 2. Dimostrare che i polinomi a coefficienti reali della forma q(X) = (p(X))2 + k 2 sono irriducibili e che, se deg p = 1, questa formula permette di ottenere tutti i polinomi irriducibili di grado 2, a meno del segno (ovvero che, se q(X) è irriducibile e di secondo grado ma non è di quella forma, allora lo è −q(X)). 3. Dimostrare che se ogni polinomio a coefficienti reali ha almeno una radice in C, allora vale il teorema fondamentale dell’algebra. 17 Parte II Geometria con i numeri complessi 18 2.1 Punti e trasformazioni Come già accennato nella sezione sulle rappresentazioni dei numeri complessi, possiamo associare ad ogni punto del piano un numero complesso e viceversa; inoltre, abbiamo anche notato come vi sia un legame tra numeri complessi e trasformazioni del piano. Riprendiamo questi concetti. Ad un numero complesso z possiamo associare la coppia di numeri reali (ℜz, ℑz) e dunque il punto che ha queste due come coordinate; inoltre, alla somma possiamo associare una traslazione (come è evidente scrivendo l’operazione in forma cartesiana) e alla moltiplicazione una rotazione+omotetia (come invece segue dalla scrittura in forma polare). Cerchiamo di dare una sistemazione organica a questi concetti. Innanzitutto, notiamo che l’informazione contenuta in un numero complesso è maggiore di quella associata a un punto del piano; semmai, possiamo associarlo all’idea di vettore, grazie alla possibilità di sommare numeri complessi (operazione non definita sui punti del piano, ma definita sui vettori). Questo segue dal fatto che la corrispondenza tra C e i punti del piano è ottenuta fissando delle coordinate, ovvero l’origine, l’unità reale e l’unità immaginaria, dunque possiamo più correttamente associare ad ogni numero complesso a + ıb il vettore uscente dall’origine delle coordinate e con estremità libera in (a, b). In questo modo, possiamo notare che la somma tra numeri complessi corrisponde alla somma tra vettori e dunque, fissando uno dei due addendi, definisce una traslazione. Ma anche questa visione non è soddisfacente : i numeri complessi sono più che vettori, infatti due numeri complessi si possono moltiplicare, dando un numero complesso, mentre sui vettori del piano non è definito alcun prodotto11 ; abbiamo visto che la struttura di moltiplicazione è associata tramite le coordinate polari alle rotazioni e alle omotetie. Ora percorriamo questa strada alla rovescia e cerchiamo di determinare la funzione che associa ad ogni numero complesso il “suo”12 ruotato di un certo angolo attorno ad un dato centro. Prima di tutto, determiniamo la forma di una rotazione attorno all’origine : dato un punto P , esso corrisponderà ad un numero complesso z = a + ıb = ρ(cos θ + ı sin θ); il suo ruotato di un angolo di φ13 sarà z ′ = ρ(cos(θ + φ) + ı sin(θ + φ) e per quanto detto nella parte precedente, sappiamo che z ′ = z · (cos φ + ı sin φ) = zeıφ . Dunque, la rotazione di un angolo φ attorno all’origine corrisponde alla moltiplicazione per il numero complesso di argomento φ e modulo unitario, ossia eıφ . Cerchiamo di ottenere la rotazione attorno ad un centro z0 ; riducendoci al caso noto, possiamo traslare z0 nell’origine, tramite la trasformazione z 7→ z−z0 , quindi ruotare di un angolo φ, ottenendo eıφ (z − z0 ), infine riportare il tutto al suo posto, sommando z0 . In questo modo abbiamo z ′ = eıφ (z − z0 ) + z0 11 Il prodotto scalare restituisce un numero reale, non un vettore, mentre il prodotto vettore non è definito all’interno dei soli vettori del piano, ma necessita dei vettori in 3 dimensioni. 12 Ovvero quello del punto del piano che gli corrisponde 13 Gli angoli si misurano positivamente in senso antiorario dall’asse reale 19 Una trasformazione assai facile da ottenere è l’omotetia : la moltiplicazione per un numero reale k realizza esattamente un’omotetia di fattore k rispetto all’origine e per ottenerla rispetto ad un centro z0 basta applicare il procedimento di prima, quindi in definitiva si ha z ′ = k(z − z0 ) + z0 Altra trasformazione naturalmente fornita dalla struttura di C è la simmetria rispetto all’asse reale, data dal coniugio z 7→ z; per ottenerla rispetto ad un asse generico per l’origine, inclinato di φ rispetto all’asse reale, sulla falsariga di quanto precedentemente fatto, applichiamo una trasformazione che porti questo asse sull’asse reale, ovvero una rotazione di −φ, moltiplicando per e−ıφ , quindi riflettiamo nell’asse reale e poi riportiamo questo sull’asse iniziale, moltiplicando per eıφ . Dunque z ′ = eıφ e−ıφ z = e2ıφ z Questo risultato si può interpretare come una proprietà delle trasformazioni del piano : la composizione di due simmetrie assiali i cui assi siano inclinati di φ l’uno rispetto all’altro è una rotazione di 2φ (in senso orario o antiorario a seconda dell’ordine di composizione) attorno all’intersezione degli assi. Consideriamo ora il caso generico di una simmetria rispetto ad un asse inclinato di φ rispetto all’asse reale e distante ρ dall’origine; una rotazione di −φ attorno all’origine renderà l’asse parallelo all’asse reale e una traslazione di −ıρ li porterà a coincidere, dunque la simmetria sarà data da z ′ = eıφ (ıρ + e−ıφ z − ıρ) = eıφ (eıφ z + 2ıρ) = e2ıφ z + 2ρeı(φ+ 2 ) π Infine, notiamo che la cosiddetta spiral similarity, ovvero la composizione di una omotetia e una rotazione con lo stesso centro, non è altro che la moltiplicazione per un generico numero complesso : z ′ = w(z − z0 ) + z0 dove il centro è z0 il fattore dell’omotetia è |w| e l’angolo della rotazione è arg w. Ovviamente, la composizione di trasformazione si ottiene facendo seguire l’una all’altra le operazioni associate. Rimarrebbe cosı̀ il problema di ottenere una generica affinità ... in realtà finora abbiamo solo ottenuto similitudini e l’unica che non preservasse l’orientazione ha richiesto l’utilizzo del coniugio; sfruttando alcune proprietà dell’insieme delle trasformazioni del piano o semplicemente provando un poco, si vede che la forma generica di un’affinità con un punto fisso è z ′ = w(z − z0 ) + v(z − z0 ) + z0 A questo punto, alcune considerazioni di carattere generale sono d’obbligo; innanzitutto, le funzioni che rappresentano le varie trasformazioni sono tutte polinomi di primo grado in z o z, inoltre molti problemi riguardanti la classificazione delle trasformazioni (punti fissi, rette invarianti) divengono problemi di risoluzione di equazioni algebriche nel campo dei numeri complessi, generalmente di primo grado. 20 Esempi 1. Una rotazione di 2π/n attorno all’origine si scrive come moltiplicazione per la prima radice n−esima dell’unità : z ′ = ζn z 2. I punti fissi di una trasformazione sono le soluzioni di f (z) = z; ad esempio, data un’affinità f (z) = w(z − z0 ) + v(z − z0 ) + z0 , i suoi punti fissi sono le soluzioni di w(z − z0 ) + v(z − z0 ) + z0 = z ovvero, posto u = z − z0 , u(w − 1) + vu = 0 da cui 1−w u=u v da cui, se |1 − w| = |v|, esiste una retta di punti fissi passante per z0 e inclinata di (arg(v) − arg(1 − w))/2 rispetto all’asse reale; se invece la condizione sui moduli non sussiste, l’unico punto fisso è z0 . 3. La generica affinità sarà della forma z ′ = w(z − z0 ) + v(z − z0 ) + z0 + w0 composizione di una affinità con punto fisso e di una traslazione. 4. La composizione di una simmetria rispetto all’asse reale, una rotazione di π/3 rispetto all’origine, una rotazione di π/3 rispetto a 1 e una simmetria rispetto all’asse reale è data da z 7→ z 7→ ωz 7→ ω(ωz − 1) + 1 7→ ω(ωz − 1) + 1 ovvero da z ′ = ω(ωz − 1) + 1 = ω 2 z − ω + 1, dove ω è la prima radice sesta dell’unità. Ora, ωω = 1 e quindi ω = ω −1 , inoltre −ω −1 + 1 = ω, da cui ω 2 z − ω + 1 = ω 4 z + ω. Dunque la trasformazione risultante è una rotazione di 2π/3 √attorno all’origine seguita da una traslazione dell’origine 3 1 nel punto + ı . 2 2 Esercizi (Nei seguenti esercizi non è richiesta alcuna conoscenza particolare di geometria, in particolare dovrebbero potersi fare senza ricorrere a formule vettoriali o di geometria analitica, ma solo con le trasformazioni del piano e le definizioni degli enti geometrici coivolti) 1. Sapendo che due vertici consecutivi di un quadrato si trovano nei punti associati ai numeri complessi z1 , z2 , scrivere il centro del quadrato. 2. Sapendo che i vertici di un triangolo si trovano nei punti z1 , z2 , z3 , scrivere il suo baricentro14 . 14 Esso è il punto che divide la mediana di un triangolo in rapporto 2:1, con la parte più lunga contentente il vertice e la più breve contenente il punto medio del lato opposto 21 3. Considerare il generico polinomio di primo grado p(z) = az + bz + c a coefficienti complessi e determinare, a seconda di a, b, c, quale trasformazione esso rappresenta. 4. Mostrare che la composizione di due simmetrie rispetto a due assi incidenti è una rotazione e determinarne il centro e l’angolo; mostrare che se gli assi sono paralleli il risultato è una traslazione. 5. (⋆) Date due trasformazioni f (z) = az+bz+c e g(z) = uz+vz, determinare le condizioni sui coefficienti di modo che f (g(z)) = g(f (z)) per ogni z e tradurle in condizioni sulla natura delle trasformazioni associate. 6. Si consideri il triangolo formato dai punti 0, 1, z con ℑz 6= 0; siano w1 , w2 , w3 i centri dei quadrati costruiti sui suoi lati, rispettivamente opposti a 0, 1, z. Mostrare che i segmenti che congiungono w1 a w2 e w3 a z sono uguali e ortogonali, ovvero mostrare che w1 − w2 = ±ı(w3 − z). 2.2 Rette e circonferenze Per trattare la geometria non bastano punti e trasformazioni. Occorre introdurre anche una descrizione per rette e circonferenze; per motivi legati alla differenza tra il piano e la retta, la descrizione di rette e circonferenze tramite i numeri complessi deve coinvolgere equazioni contenenti una variabile complessa e il suo coniugato. Tra gli esercizi proposti nella sezione sulle rappresentazioni di un numero complesso, si chiedeva di dimostrare che i punti di una retta per due punti obbedivano ad una certa equazione; tale espressione si ricava facilmente come segue : come notato nella suddetta sezione, la retta passante per i punti w1 , w2 è l’insieme dei numeri complessi z = w1 + t(w2 − w1 ) con t ∈ R, ovvero sono i numeri complessi z tali che t = (z − w1 )/(w2 − w1 ) ∈ R, ossia t = t, da cui ricaviamo la condizione (necessaria e sufficiente) z − w1 z − w1 = w2 − w1 w2 − w1 Questo è l’equivalente del dare una retta descrivendone un punto e la direzione : se intendiamo la direzione come un punto sulla circonferenza unitaria ω e se chiamiamo z0 il punto assegnato per cui deve passare la retta, ne otteniamo l’equazione dalla precedente ponendo w1 = z0 , w2 = z0 + ω, quindi sostituendo w2 − w1 = ω : z − z0 z − z0 = ω ω Se infine scriviamo ω = eıθ , otteniamo (z − z0 )e−ıθ = (z − z0 )eıθ Altro modo in cui si trova descritta una retta è il dato di un punto e una direzione perpendicolare : cerchiamo l’equazione della retta passante per il punto u e perpendicolare alla retta per w1 , w2 . Ora, z è un punto della retta voluta se e solo se il segmento tra z e u è perpendicolare al segmento tra w1 e w2 , quindi se 22 e solo se esiste un numero reale t tale che (z − u) = ıt(w2 − w1 ), ovvero (tramite la stessa osservazione di prima) se e solo se z−u z−u = ı(w2 − w1 ) ı(w1 − w2 ) Sostituendo come prima u = z0 per il punto assegnato e ω = eıθ per la direzione perpendicolare, otteniamo (z − z0 )e−ıθ = (z0 − z)eıθ Per quanto riguarda l’intersezione tra rette, questa diventa una banale operazione algebrica, come nel caso della geometria analitica : supponiamo di avere due rette le cui equazioni si scrivono come az + bz + c = 0 dz + ez + f = 0 allora si può esplicitare in entrambe z ottenendo z= −c − bz a da cui z ovvero z= e b − d a z= = −f − ez d c f − a d cd − af ea − bd La rappresentazione delle circonferenze si basa sulla forma polare dei numeri complessi : la circonferenza di raggio r centrata nell’orgine è esattamente l’insieme dei numeri complessi di modulo r (l’argomento individua invece il punto sulla circonferenza tramite l’angolo rispetto all’asse reale); quindi una tale circonferenza è descritta da |z| = r, ovvero da zz = r2 . Tramite lo stesso ragionamento, la circonferenza di raggio r e centro z0 è descritta dall’equazione (z − z0 )(z − z0 ) = r2 . Solitamente, in un problema di geometria in cui compaia una sola circonferenza, ad esempio la circonferenza circoscritta ad un triangolo, è comodo considerarla (a meno di omotetie e traslazioni, ammesso che sia possibile) come la circonferenza unitaria, descritta da zz = 1. Come per le rette, anche per le circonferenze l’intersezione si riduce alla risoluzione di un sistema algebrico, complicato dal fatto che ora le equazioni contengono anche termini del tipo zz. Una quantità legata alle circonferenze e di facile espressione è la potenza di un punto rispetto alla circonferenza : data una circonferenza Γ di centro z0 e raggio r, la potenza di un punto z è powΓ (z) = d(z, z0 )2 − r2 , dove d(A, B) è la distanza tra A e B; quindi si ha powΓ (z) = (z − z0 )(z − z0 ) − r2 Ottenute rette e circonferenze, combiniamole. Ad esempio, la generica secante della circonferenza unitaria è una retta che passa per i punti w1 , w2 tali che w1 w1 = 1 = w2 w2 e dunque soddisfa l’equazione z − w1 z − w1 = w2 − w1 w2 − w1 23 ovvero da cui zw1 w2 − w1 w1 w2 z − w1 = w2 − w1 w2 w1 w2 − w1 w1 w2 z + w1 w2 z = w1 + w2 Similmente, la normale ad una corda tra w1 e w2 che passa per il punto u si scrive come z − w1 w2 z = u − w1 w2 u Portando w1 e w2 a coincidere nel punto w, otteniamo l’equazione della tangente in w z + w2 z = 2w e l’equazione della normale alla tangente in w passante per il punto u z − w2 z = u − w2 u In particolare l’equazione della normale per il punto w alla circonferenza è z − w2 z = 0 Esempi 1. Osserviamo che, se z è un numero complesso non nullo, allora z/z = e2ıθ con θ = arg z; quindi la relazione (z − z0 )eıθ = (z − z0 )e−ıθ dice semplicemente che tutti i punti che la soddisfano, congiunti con z0 , danno segmenti che hanno tutti la stessa inclinazione rispetto all’asse reale, ovvero la descrizione di una retta in coordinate polari : l’insieme dei punti (ρ, θ) con θ = cost. 2. Dati due punti w1 , w2 , il luogo dei punti equidistanti da essi è descritto da |z − w1 | = |z − w2 |, ovvero da (z − w1 )(z − w1 ) = (z − w2 )(z − w2 ), che si riduce a z(w2 − w1 ) + w1 w1 = z(w1 − w2 ) + w2 w2 Notiamo inoltre che 2w1 w1 −2w2 w2 = (w1 +w2 )(w1 −w2 )+(w1 +w2 )(w1 − w2 ) e dunque l’equazione si riscrive come w1 + w2 w1 + w2 z− 2 2 = w1 − w2 w2 − w1 z− Ovvero come la retta perpendicolare al segmento tra w1 e w2 e passante per il suo punto medio. 3. Considerando tre punti z1 , z2 , z3 l’angolo in z1 (orientato dal lato con z3 al lato con z2 ) del triangolo individuato da essi è z3 − z1 arg z2 − z1 Infatti la divisione per z2 −z1 corrisponde ad una rotazione di − arg(z2 −z1 ) ed un’omotetia di fattore |z2 − z1 | e quindi porta la retta per z2 e z1 in 24 una parallela all’asse reale; l’espressione è allora l’inclinazione della retta per i trasformati di z3 e z1 rispetto all’asse reale. Poichè le similitudini conservano gli angoli, questo è anche l’angolo tra le due rette originarie. In generale, arg((z − w1 )/(w2 − w1 )) è l’angolo tra la retta per z e w1 e la retta per w1 e w2 ; l’equazione della retta equivale a chiedere che questo angolo sia uguale al suo opposto, quindi nullo. 4. L’asse radicale di due circonferenze è il luogo dei punti che hanno la stessa potenza rispetto alle due; nel caso in cui le circonferenze siano secanti, esso congiunge i punti di secanza, mentre se sono tangenti è la tangente comune. Dalla formula per la potenza data sopra, si ricava che l’asse radicale di due circonferenze di centri z1 , z2 e raggi r1 , r2 è (z − z1 )(z − z1 ) − r12 = (z − z2 )(z − z2 ) − r22 da cui z(z2 − z1 ) + z1 z1 − r12 = z(z1 − z2 ) + z2 z2 − r22 ovvero z− z1 + z2 r2 − r22 r2 − r22 z1 + z2 − 1 − 1 z− 2 2(z2 − z1 ) 2 2(z2 − z1 ) = z1 − z2 z1 − z2 Quindi questa è una retta perpendicolare alla congiungente i centri che passa per un punto su tale congiungente che si discosta dal centro di (r12 − r22 )/|z2 − z1 |, considerando positivi spostamenti verso z2 e negativi quelli verso z1 . Esercizi 1. Mostrare che il punto tw1 + (1 − t)w2 divide il segmento di estremi w1 , w2 in due parti che stanno tra loro in rapporto15 t/(1 − t). 2. Trovare l’equazione che descrive le bisettrici interna ed esterna di un angolo, descritto tramite il vertice w e due punti sui lati z1 , z2 e scrivere una forma semplificata di tale equazione nel caso in cui |w − z1 | = |w − z2 | = 1; giustificare e interpretare il fatto che le bisettrici siano luogo di zeri di un polinomio di secondo grado. 3. Fissati tre punti w1 , w2 , w3 , scrivere la bisettrice interna dell’angolo in w2 utilizzando il teorema della bisettrice16 . 4. Fissati due punti z1 , z2 e un numero reale positivo k 6= 1, determinare l’equazione del luogo dei punti tali che d(z, z1 ) = k · d(z, z2 ), dove d(u, w) è la distanza tra u, w. Mostrare che tale luogo è una circonferenza e individuarne centro e raggio. 15 Dato un segmento AB e un punto P sulla retta per A e B, il segmento AP si intende negativo se non contiene B e il segmento BP si intende negativo se non contiene A; in questo modo ha senso dire che un punto divide un segmento in parti che stanno in rapporto negativo. 16 La bisettrice divide il lato opposto in segmenti che stanno tra loro come i due lati che definiscono l’angolo bisecato 25 5. (⋆) Fissati una circonferenza e un punto a al suo interno, per ogni corda per a si consideri il punto z in cui si intersecano le tangenti alla circonferenza negli estremi della corda. Descrivere il luogo dei punti z. (Hint : si utilizzi la circonferenza unitaria e si supponga a sull’asse reale.) 6. (⋆) Dati un triangolo e un punto sulla sua circonferenza circoscritta, si considerino le proiezioni di questo punto sui lati e si dimostri che sono allineate. (Hint : come prima, si utilizzi la circonferenza unitaria e per dimostrare l’allineamento, si mostri che il terzo soddisfa l’equazione della retta passante per gli altri due.) 2.3 Geometria del triangolo La descrizione di un triangolo tramite i numeri complessi può sembrare all’inizio una semplice convenzione, in quanto, dati tre numeri complessi non allineati, possiamo immaginare di tracciare tra di essi tre segmenti che formano il triangolo con quei vertici. In realtà, grazie all’analogia dei numeri complessi con i vettori citata prima, il dato di tre numeri complessi non individua solo i vertici, ma permette, tramite semplici operazioni di ricavare la lunghezza dei lati e il valore degli angoli; conveniamo di indicare con le lettere maiuscole i punti geometrici e con le lettere minuscole i numeri complessi che li rappresentano, indicando quindi il triangolo ABC tramite i numeri complessi a, b, c che corrispondono ai ~ uscente da A, è vertici, allora avremo che il lato AB ed anzi, il vettore AB parallelo e congruente (ed equiverso) al vettore uscente dall’origine associato al numero complesso a − b. Quindi le lunghezze dei lati del triangolo ABC sono AB = |a − b|, BC = |b − c|, AC = |a − c|, in completa analogia con il caso dei vettori; inoltre, i numeri complessi permettono di determinare gli angoli, o quanto meno di dare comode espressioni algebriche in funzione dei vertici per confrontare gli angoli, infatti, ricordando quanto detto nella sezione precedente, l’angolo nel vertice A sarà dato dall’argomento di (b − a)/(c − a) e dunque a−b b−c c−a ∡ABC = arg ∡BCA = arg ∡CAB = arg b−a c−b a−c E’ importante notare che gli angoli cosı̀ ottenuti sono orientati, secondo la convenzione di prendere un angolo positivo in senso antiorario e percorrendo il triangolo nella direzione A → B → C; questa apparente complicazione si rivela a volte molto utile in quanto l’utilizzo di angoli orientati permette di includere nella soluzione più configurazioni, evitando di dover trattare casi separati a seconda che un punto sia dentro o fuori una circonferenza o un triangolo. Dunque, chiamando con notazione tradizionale α, β, γ gli angoli in A, B, C, abbiamo che ωa = c−a CA ıα = e b−a BA ωb = a−b CB ıβ = e c−b AB ωc = b−c BC ıγ = e a−c AC Inoltre, vale ωa ωb ωc = −1, ovvero la somma degli angoli interi di un triangolo vale π. Le espressioni scritte sono omogenee di grado 0 nei lati, ovvero se costruiamo un triangolo P QR simile a ABC 17 e definiamo per esso i numeri ωp , 17 D’ora in poi, dicendo che due triangoli XY Z e U V W sono simili, intenderemo che lo sono se presi con l’orientazione scritta, ovvero che vale XY : U V = Y Z : V W = ZX : W U . 26 ωq , ωr , allora si ha (ricordando che i lati sono tutti proporzionali e gli angoli sono ordinatamente uguali) ωp = k · CA ıα CA ıα RP ıα e = e = e = ωa QP k · BA BA e similmente ωq = ωb , ωr = ωc . Quindi i numeri appena definiti sono un invariante per similitudine diretta (ovvero che conserva l’orientazione) e permettono di verificare se due triangoli sono simili; scrivendo dunque queste condizioni, otteniamo c−a r−p = b−a q−p a−b r−q = c−b p−q b−c q−r = a−c p−r Ora, notiamo che moltiplicando per i denominatori una qualunque di queste espressioni, arriviamo a a(q − r) + b(r − p) + c(p − q) = 0 Emergono tre osservazioni interessanti: innanzitutto le tre condizioni sono equivalenti, infatti tutte e tre si riducono alla stessa, quindi già una sola implica la similitudine; inoltre, questo fatto ha una motivazione geometria, in quanto l’uguaglianza tra ωa e ωp , se scritta separatamente per moduli e argomenti, implica che ∡CAB = ∡RP Q e CA · QP = BA · RP , ovvero la similitudine tra triangoli, avendo due lati proporzionali e l’angolo compreso uguale; infine, si può notare come l’espressione sopra scritta sia lo sviluppo del determinante di una matrice 3 × 3 che ha come colonne (a, b, c), (p, q, r) e (1, 1, 1) e dunque diviene a p 1 det b q 1 = 0 c r 1 Ora, con alcune conoscenze di algebra lineare si può interpretare questa condizione dicendo che esistono tre numeri complessi non tutti nulli λ, µ, ν tali che 1 p a λ· b +µ· q +ν· 1 =0 1 r c Ora, se λ = 0, ricaviamo che i numeri p, q, r sono uguali, il che è assurdo in quanto rappresentano i vertici di un triangolo non degenere, quindi possiamo scrivere −µp − ν −µq − ν −µr − ν a= b= c= λ λ λ Ovvero possiamo scrivere a, b, c come immagini di p, q, r sotto una generica similitudine diretta, che risulta nella composizione di una rotazione ed un’omotetia concentriche con una traslazione, il che è un altro modo per dire che i due triangoli ABC e P QR sono simili. Se i triangoli ABC, P QR non sono direttamente simili, ma inversamente, allora avremo che i punti rappresentati dai numeri complessi p, q, r individuano un triangolo direttamente simile a ABC (in quanto il coniugio è una trasformazione che inverte l’orientazione). Quindi ABC e P QR sono inversamente simili se e solo se a(q − r) + b(r − p) + c(p − q) = 0 27 oppure, equivalentemente, se e solo se i triangoli ABC e RQP sono simili, quindi se e solo se a(q − p) + b(p − r) + c(r − q) = 0 Questo in quanto i triangoli individuati dalle terne (r, q, p) e (p, q, r) sono simili e dunque r(q − r) + q(r − p) + p(p − q) = 0 In generale, i triangoli ABC e A′ B ′ C ′ , rappresentati dai numeri complessi a, b, c e a, b, c non sono direttamente simili, in quanto ottenuti l’uno dall’altro tramite simmetria assiale; lo sono solo se sono entrambi degeneri e quindi la condizione a a 1 det b b 1 = 0 c c 1 equivale a chiedere che i punti A, B, C siano allineati ed infatti, esplicitando il determinante, si ottiene un’equazione che, considerando ad esempio c come variabile, descrive la retta per a, b; vediamo quindi che l’equazione della retta per w1 , w2 si può scrivere come w1 w1 1 det w2 w2 1 = 0 z z 1 Esempi 1. Dalla relazione (a − b) + (b − c) = (a − c) segue, passando ai moduli, che |a−b|+|b−c| ≥ |a−c| ovvero AB +BC ≥ AC, la ben nota disuguaglianza triangolare. 2. Dalla nota formula trigonometrica per l’area del triangolo 2S = AB · AC · sin α, si ricava che AB 2 ℑωa = ±2S 18 e quindi c−a c−a = ±4ıS − (b − a)(b − a) b−a b−a da cui a 1 S = ± det b 4ı c a 1 1 b 1 = ± (a(b − c) + b(c − a) + c(a − b)) = 0 4ı c 1 3. Come si è detto nella sezione sulle radici dell’unità, le radici terze di 1 sono disposte ai vertici di un triangolo equilatero, quindi possiamo caratterizzare i triangoli equilateri come i triangoli ABC che sono simili al triangolo W1√ W2 W3 che ha per vertici i numeri complessi wi = ζ3i−1 , dove ζ3 = (−1 + ı 3)/2 è la prima radice terza dell’unità. Dunque, il triangolo ABC soddisfa 0 = a(w2 − w3 ) + b(w3 − w1 ) + c(w1 − w2 ) = a(ζ3 − ζ32 ) + b(ζ32 − 1) + c(1 − ζ3 ) = a(ζ3 − ζ3 ) + bζ3 (ζ3 − ζ3 ) + cζ3 (ζ3 − ζ3 ) = 18 Il (ζ3 − ζ3 )(a + ζ3 b + ζ32 c) segno è dato dall’orientazione dei vertici 28 Dunque ABC è equilatero se e solo se a + ζ3 b + ζ32 c = 0. 4. Siano ABC, DEF tre triangoli simili e supponiamo di costruire, dato un punto O nel piano, i tre segmenti OP , OQ, OR paralleli e congruenti a AD, BE, CF rispettivamente; allora P QR è simile ai due triangoli di partenza. Infatti, fissato O = 0, i tre segmenti richiesti si scrivono come (d − a), (e − b), (f − c) e quindi dobbiamo mostrare che d−a a 1 det e − b b 1 = 0 f −c c 1 E’ una nota proprietà dei determinanti x1 x1 + y1 z1 w1 det x2 + y2 z2 w2 = det x2 x3 x3 + y3 z3 w3 (ovviamente questo la prima). Quindi d−a a det e − b b f −c c che z1 z2 z3 y1 w1 w2 +det y2 y3 w3 z1 z2 z3 w1 w2 w3 vale per qualsiasi colonna, o anche riga, non solo per d 1 1 = det e f 1 a a 1 a 1 b 1 − det b b 1 = 0 c c 1 c 1 in quanto ABC e DEF sono simili per ipotesi e ogni triangolo è simile a se stesso. Esercizi 1. Dato un triangolo ABC, mostrare che per ogni punto M del piano si ha AB · M A · M B + BC · M C · M B + AC · M A · M C ≥ AB · BC · CA 2. Dato un triangolo ABC, si costruiscano i punti P, Q, R di modo che i triangoli P BC, QAC, RAB siano equilateri e che P giaccia nel semipiano opposto a A rispetto a BC e similmente Q, R rispetto a B, C. Mostrare che i baricentri dei tre triangoli equilateri formano un triangolo equilatero. (Hint: Scrivere la relazione del triangolo equilatero per i tre triangoli, scriverne i tre baricentri19 e scrivere per questi la relazione del triangolo equilatero.) 3. Se ζ4 è una radice primitiva quarta dell’unità e se i quattro numeri complessi a, b, c, d rispettano aζ4 + bζ42 + bζ43 + d = 0 essi formano necessariamente un quadrato? 19 Utilizzare la formula trovata in un esercizio precedente 29 4. Mostrare che l’area del triangolo formato dai punti medi dei lati è un quarto dell’area del triangolo di partenza. (Hint: Utilizzare la proprietà dei determinanti ricordata prima.) 5. Mostrare che le mediane di un triangolo rispettano la disuguaglianza triangolare e quindi possono costituire i lati di un triangolo. 6. (⋆)Trovare il rapporto tra l’area di un triangolo e l’area del triangolo formato dalle sue mediane. 2.4 Punti notevoli Uno dei vantaggi dei numeri complessi nella geometria del triangolo è la relativa semplicità di cui godono le formule per alcuni punti notevoli del triangolo. Innanzitutto, i punti medi dei lati hanno una facile espressione: il punto medio del lato AB è (a + b)/2; possiamo convincercene traslando A nell’origine, allora il punto B sarà rappresentato da b − a e il punto medio tra lui e l’origine sarà ovviamente (b − a)/2, ritraslando di a, otteniamo che il punto medio di AB è (b − a)/2 + a = (b + a)/2. Ora, come detto in una nota ad un esercizio, il baricentro divide le mediane in rapporto 2 : 1 e quindi può essere ottenuto come il trasformato del punto medio di un lato sotto un’omotetia di fattore 2/3 rispetto al vertice opposto. Supponiamo di considerare il lato AB e il vertice C, allora tale omotetia sarà z 7→ 2 1 2 (z − c) + c = z + c 3 3 3 Ora, il punto medio di AB è, come detto, (a + b)/2, quindi il baricentro è il punto G associato al numero complesso g = 13 (a + b + c). In alternativa, possiamo definire il baricentro come intersezione delle mediane : la mediana uscente dal vertice A è la retta passante per a e (b + c)/2, quindi è descritta parametricamente da ta + (1 − t) b+c 2 t∈R Ora, sia F un’affinità, se M è il punto medio di AB, F (M ) è il punto medio di F (A)F (B) e dunque se mA è la mediana uscente da A, allora F (mA ) è la mediana uscente da F (A). Quindi F (G) è il baricentro del triangolo F (A)F (B)F (C); in particolare, l’espressione del baricentro sarà lineare in a, b, c in quanto è data per un qualche valore di t dalla formula sopra riportata e sarà invariante per permutazione delle variabili (basta sfruttare l’invarianza rispetto ad una affinità che permuta i vertici del triangolo) e quindi sarà della forma k(a + b + c). Dovendo stare sulla mediana da A, si dovrà per forza avere 2k = (1 − k) e quindi 3k = 1. Un altro punto notevole è il circocentro, ovvero l’intersezione degli assi dei lati; esso è anche il centro della circonferenza circoscritta al triangolo ABC. Di esso non vi è una comoda espressione tramite i numeri complessi corrispondenti ai vertici, ma di solito non è necessario trovarla, in quanto la scelta più comoda per fissare l’origine è proprio il circocentro: in questo modo i numeri complessi che individuano i vertici hanno tutti lo stesso modulo e gli argomenti dei loro 30 rapporti sono legati agli angoli del triangolo (ne sono il doppio oppure il doppio del supplementare, a seconda che l’angolo sia acuto o ottuso). Tradizionalmente esso viene indicato con O, in quanto origine e centro del cerchio circoscritto. Solo per completezza, ecco l’espressione generica del circocentro, che si può ottenere mettendo a sistema due degli assi del triangolo, ottenuti grazie all’equazione ricavata negli esempi della sezione a proposito delle rette o= cb(b − c) + ca(c − a) + ab(a − b) a(c − b) + b(a − c) + c(b − a) Da questa espressione si può ricavare la lunghezza del raggio del cerchio circoscritto come R = |o − a|, quindi cb(b − c) + ca(c − a) + ab(a − b) + aa(b − c) + ab(c − a) + ac(a − b) R = a(c − b) + b(a − c) + c(b − a) = = |cb(b − c) + ca(c − a) + ab(a − b) + aa(b − c) + ab(c − a) + ac(a − b)| 4S AB · BC · CA |(a − b)(c − b)(c − a)| = 4S 4S Formula che dovrebbe essere nota dalla geometria elementare o dalla trigonometria. Veniamo ora al punto di intersezione delle altezze, detto ortocentro e indicato solitamente con H; utilizzando la formula per la retta perpendicolare ad un segmento e passante per un punto, si possono scrivere le altezze ed ottenere la generica espressione per l’ortocentro. Per quanto istruttivo possa essere un simile calcolo, non è il caso di affrontarlo; troveremo l’espressione per l’ortocentro nel caso particolare, ma significativo, in cui il circocentro coincide con l’origine. Utilizzeremo un risultato della geometria elementare detto teorema della retta di Eulero; esso afferma che in ogni triangolo i tre punti O, G, H sono allineati in quest’ordine e HG = 2GO. La dimostrazione fa uso delle trasformazioni del piano che abbiamo studiato e quindi la riportiamo, seppur brevemente. Consideriamo l’omotetia H di centro G e fattore −1/2; poichè il baricentro divide ogni mediana in proporzione 2 : 1, si avrà che H (A), H (B), H (C) sono i punti medi dei lati. Inoltre, un’omotetia trasforma rette in rette e preserva gli angoli tra di esse; se quindi AP , BQ, CR sono le altezze di ABC, le loro immagini H (A)H (P ), H (B)H (Q), H (C)H (R) sono le altezze del triangolo dei punti medi. Del resto questi tre segmenti rimangono comunque perpendicolari rispettivamente a BC, CA, AB e passano per i punti medi degli stessi, quindi sono gli assi; questo significa che l’ortocentro del triangolo dei punti medi (che è immagine dell’ortocentro di ABC tramite H ) è il circocentro di ABC. Quindi O = H (H ), ma allora O, G, H sono allineati in quest’ordine e GH = 2OG. Se dunque o = 0, si ha che (h − g) = 2(g − o) = 2g ovvero h = 3g e quindi h = a + b + c. Questa semplice espressione è uno dei maggiori vantaggi della scelta del circocentro come origine. Combinato con la generica espressione del circocentro trovata prima, possiamo ottenere l’espressione per l’ortocentro; non la riportiamo, lasciano al lettore volenteroso il portare a termine i conti. Veniamo ora al punto di intersezione delle bisettrici, detto incentro e di solito indicato con I, ma nel seguito lo indicheremo con J per poter utilizzare la corrispondente minuscola j senza far confusione con l’unità immaginaria. Poichè 31 la bisettrice è il luogo dei punti equidistanti dai lati dell’angolo, l’incentro ha la stessa distanza dai tre lati del triangolo e quindi è il centro della circonferenza inscritta in esso (da qui il nome); per trovarne l’espressione, ricordiamo il teorema della bisettrice: nel triangolo ABC, sia AL la bisettrice interna dell’angolo in A, con L su BC, allora BL : LC = BA : AC. Questo ci permette (come suggerito in un precedente esercizio) di scrivere in forma parametrica la bisettrice interna dell’angolo A: il punto L che divide il segmento BC nella proporzione suddetta sarà l= AB AC b+ c AB + AC AB + AC In generale, il punto z = αx+βy con α +β = 1 è tale che α : β = |z −y| : |z −x|; quindi la bisettrice sarà data parametricamente da ta + (1 − t)l t∈R Ora, sia BK la bisettrice interna dell’angolo B, allora essa sarà bisettrice anche per il triangolo ABL, in cui vale ancora il teorema della bisettrice, per cui l’intersezione tra BK ed AL (ovvero J, l’incentro), dividerà AL di modo che AB AJ : JL = AB : BL; del resto, sappiamo che BL = AB+AC BC e dunque AB · BC AB · BC + AB j = a + ABl AB + BC AB + BC AB · BC AC · AB AB · AB = a+ b+ c AB + BC AB + AC AB + AC AB (BC · a + AC · b + AB · c) = AB + BC quindi, semplificando a · BC + b · AC + c · AB AB + BC + CA q In questa formula si potrebbe poi sostituire AB = (a − b)(a − b) e cicliche, per ottenere tutto in funzione di a, b, c, ma la formula risultante non è molto maneggevole. j= Nel triangolo vi sono altre centinaia di punti che, per un motivo o per l’altro, per proprietà e costruzioni particolari, sono diventati notevoli ; alcuni saranno argomento di esempi, altri di esercizi. E’ nostra opinione (e solo in quanto tale qui viene riportata) che non sia indispensabile, per una buona conoscenza e pratica della geometria, imparare fedelmente i nomi e le costruzioni di tutti questi punti; è molto più utile, gradevole e producente comprendere a fondo i meccanismi della geometria del triangolo, prendendo confidenza con le trasformazioni del piano e le proprietà basilari delle varie rette che si possono tracciare (bisettrici, altezze, assi, mediane e quant’altro). Proprio i numeri complessi permettono di evitare di tenere un noioso inventario mentale di fatti e osservazioni sui vari punti notevoli, riportando molti problemi geometrici a questioni di calcolo algebrico; un simile approccio è certamente più rapido per chi vi sia familiare che non una qualunque via sintetica che non sia sostenuta da una profonda conoscenza e un’enciclopedica memoria. 32 Esempi 1. In ogni triangolo vale 3(AG2 + BG2 + CG2 ) = AB 2 + BC 2 + CA2 . Infatti AG2 1 (2a − b − c)(2a − b − c) 9 = (a − g)(a − g) = = 1 (4aa − 2ab − 2ac − 2ab + bb + bc − 2ca + cb + cc) 9 e le altre espressioni si ottengono sostituendo ciclicamente le variabili (ovvero a → b → c → a); sommando, otteniamo AG2 + BG2 + CG2 = 1 (6(aa + bb + cc) − 3(ab + bc + ca) − 3(ac + ba + cb) 9 Ora, notiamo che −ab − ba + aa + bb = (a − b)(a − b) e quindi AG2 + BG2 + CG2 = 1 (3(b − a)(b − a) + 3(a − c)(a − c) + 3(c − b)(c − b)) 9 che è quel che volevamo dimostrare. 2. La distanza tra baricentro e circocentro di un triangolo ha una facile espressione in termini della lunghezza dei lati; supponiamo che il circocentro di ABC sia l’origine e scriviamo il baricentro g = (a + b + c)/3. Ora, ovviamente |a| = |b| = |c| = R, in quanto il circocentro è l’origine; quindi 9GO2 = (a + b + c)(a + b + c) = (|a|2 + |b|2 + |c|2 + ab + ba + ac + ca + bc + cb) = (3R3 + (ab + ba − aa − bb) + (aa + bb) +(ac + ca − aa − cc) + (aa + cc) +(cb + bc − cc − bb) + (cc + bb) = 9R2 − (b − a)(b − a) − (a − c)(a − c) − (c − b)(c − b) = 9R2 − AB 2 − AC 2 − BC 2 Da cui GO2 = R2 − AB 2 + BC 2 + CA2 9 3. In ogni triangolo i piedi delle altezze, i punti medi dei lati e i punti medi dei segmenti che congiungono l’ortocentro con i vertici sono conciclici. Poichè compare l’ortocentro, scegliamo come origine il circocentro; i punti medi dei lati di ABC siano Ma punto medio di BC, Mb punto medio di AC, Mc punto medio di AB. Siano inoltre HA , HB , HC i punti medi di HA, HB, HC; avremo che ma = b+c 2 hA = 2a + b + c 2 mc = a+b 2 33 mb = hC = c+a 2 a + b + 2c 2 hB = a + 2b + c 2 Invece di tentare di scrivere i piedi delle altezze, ragioniamo come segue: siano KA , KB , KC i piedi delle altezze da A, B, C, allora la circonferenza che passa per Ma , KA , HA ha come centro il punto medio di HA Ma e similmente le circonferenze per Mb , KB , HB e per Mc , KC , HC hanno per centri i punti medi di HB Mb e HC Mc . Basta quindi verificare che questi tre punti medi coincidono e che i tre segmenti sono congruenti, ottenendo cosı̀ che i 9 punti stanno a tre a tre su circonferenze concentriche e con lo stesso raggio. Entrambe le verifiche sono abbastanza banali : b + c − 2a − b − c = |a| = R HA Ma = |ma − hA | = 2 e similmente per HB Mb e HC Mc ; inoltre, il punto medio di HA Ma è n= h A + ma 2a + b + c + b + c a+b+c = = 2 4 2 mentre i punti medi di HB Mb e HC Mc sono n′ = a + 2b + c + a + c a+b+c h B + mb = = 2 4 2 h C + mc a + b + 2c + a + c a+b+c = = 2 4 2 ′ ′′ Quindi N = N = N . I conti svolti mostrano anche che il raggio della circonferenza per questi 9 punti è metà del raggio della circonferenza circoscritta ad ABC; tale circonferenza è detta solitamente circonferenza dei 9 punti o circonferenza di Feuerbach ed il suo centro, il punto N , è detto centro di Feuerbach. Osserviamo che tale punto N è il circocentro del triangolo Ma Mb Mc e dunque è immagine del circocentro O di ABC tramite l’omotetia H descritta più sopra; questo significa che N appartiene alla retta di Eulero e si trova a metà strada tra circocentro e ortocentro. n′′ = Infine, si può notare come hA = ma +a, hB = mb +b, hC = mc +c e dunque, adattando il risultato di un precedente esempio, possiamo dedurre che HA HB HC è simile ad ABC; questo non dovrebbe stupire, in quanto i tre punti HA , HB , HC possono essere ottenuti da A, B, C tramite un’omotetia di centro H e fattore 1/2. 4. Sia ABCD un quadrilatero ciclico. Allora gli ortocentri di ABC, ABD, ACD, BCD formano un quadrilatero congruente a ABCD. La condizione di ciclicità implica che i quattro triangoli condividono un unico circocentro O, che possiamo scegliere come origine; in questo modo i quattro ortocentri sono e=a+b+c f =a+b+d g =a+c+d h=b+c+d Ora, e − f = c − d, da cui segue che EF è parallelo e congruente a CD; similmente da f − g = b − c, g − h = a − b, h − e = d − a, f − h = a − c, e − g = b − d, segue che F G, GH, HE, F H, EG sono paralleli e congruenti a BC, AB, DA, AC, BD.Quindi i quadrilateri ABCD e EF GH sono congruenti, seppure con orientazione opposta. 34 Ovviamente, considerando i baricentri o i centri di Feuerbach dei quattro triangoli si sarebbero ottenuti quadrilateri simili a quello di partenza, immagini di EF GH tramite un’omotetia di centro O e fattore opportuno. 5. In ogni triangolo le riflessioni della circonferenza circoscritta nei tre lati passano per un unico punto. Scegliamo come origine il circocentro; il centro della circonferenza ottenuta tramite la riflessione nel lato AB sarà il punto OAB ottenuto riflettendo O in AB e quindi oAB = a + b Similmente oAC = a + c oBC = b + c Quindi, stiamo cercando un punto Z tale che |z − oAB | = |z − oAC | = |z − oBC | = R Ovvero |z − a − b| = |z − a − c| = |z − b − c| = R Ora, si può procedere algebricamente risolvendo il sistema che risulta da quest’ultima uguaglianza oppure notare che |a| = |b| = |c| = R e dunque |h − a − b| = |h − a − c| = |h − c − b| = R dove con H indichiamo l’ortocentro di ABC, che è dunque punto di intersezione di tutte e tre le circonfereze descritte. Esercizi 1. Sia s la retta tangente al cerchio circoscritto ad ABC in B; sia K la proiezione dell’ortocentro di ABC su s e sia L il punto medio di AC. Mostrare che BKL è isoscele. 2. Siano sA , sB , sC , le tangenti al cerchio circoscritto di ABC in A, B, C rispettivamente e siano Ma , Mb , Mc i punti medi dei lati; mostrare che le perpendicolari da Ma , Mb , Mc a sA , sB , sC , concorrono e individuare il punto di concorrenza. 3. Sia P un punto sulla retta di Eulero che divida il segmento OG in proporzione k : (1 − k) con k ∈ R (utilizzando la convenzione precedentemente spiegata per le proporzioni negative); calcolare AP 2 + BP 2 + CP 2 . 4. Sia P un punto del piano del triangolo ABC e sia G il baricentro di quest’ultimo; mostrare che la somma P A2 + P B 2 + P C 2 dipende solo dai lati di ABC e dalla distanza GP . 5. Siano sA ,sB , sC le tangenti alla circonferenza circoscritta ad ABC in A, B, C rispettivamente; sia rA la perpendicolare a sA passante per Ma (il punto medio di AC). Si definiscano similmente rB e rC ; mostrare che queste tre rette ora definite concorrono ed individuare il punto di concorrenza. 35 6. Sia A′ B ′ C ′ un triangolo i punti medi dei cui lati sono i vertici di ABC; mostrare che l’ortocentro di A′ B ′ C ′ giace sulla retta di Eulero di ABC. Il triangolo A′ B ′ C ′ si chiama anticomplementare di ABC e il suo ortocentro si chiama punto de Longchamps di ABC. 7. Mostrare che per ogni punto X del piano, i baricentri dei triangoli ABX, ACX, CBX formano un triangolo simile ad ABC. (⋆)Trovare il luogo dei punti X tali che gli ortocentri di BCX, ACX, ABX formano un triangolo congruente ad ABC, ma con orientazione opposta; trovare il luogo dei punti X tali che gli ortocentri dei tre triangoli suddetti formano un triangolo congruente ad ABC e con la stessa orientazione. 8. Sia ABCD un quadrilatero ciclico; mostrare che i tre quadrilateri formati dai baricentri, dai centri di Feuerbach, dagli ortocentri dei quattro triangoli ABC, ABD, ACD, BCD sono tra loro omotetici e tutti omotetici con ABCD. Individuare i centri di queste omotetie, mostrare che sono allineati e calcolare i rapporti tra le loro distanze. 2.5 Inversione circolare Dalla trattazione delle trasformazioni del piano abbiamo escluso la cosiddetta inversione circolare; geometricamente, essa può essere descritta come segue: data una circonferenza di centro O e raggio r, l’inverso circolare rispetto a tale circonferenza di un punto P diverso dal centro O è il punto P ′ sulla semiretta uscente da O e passante per P tale che OP · OP ′ = r2 . Q b P b P′ b O R Una possibile costruzione “riga-e-compasso” è la seguente: se P è esterno alla circonferenza fissata, congiungiamolo con il centro O e tracciamo la circonferenza di diametro OP , che intersecherà la circonferenza data in due punti Q, R; l’intersezione tra il segmento P O e il segmento QR è il punto P ′ cercato. Se invece P è interno alla circonferenza, tracciamo in P la perpendicolare a OP che intersecherà la circonferenza data in due punti Q, R; le tangenti alla circonferenza in Q, R si intersecheranno lungo la retta per P e O nel punto P ′ cercato. 36 Come è noto20 l’inversione circolare si differenzia da tutte le trasformazioni precedentemente studiate in quanto non conserva le rette21 ; infatti, essa trasforma le rette non passanti per il centro di inversione in circonferenze che invece vi passano, mentre lascia fisse le rette che passano per O, inoltre, essendo l’inversa di se stessa (come si ricava facilmente dalla definizione), essa trasformerà circonferenze passanti per O in rette non passanti per O. Infine, le circonferenze non passanti per O verranno trasformate in circonferenze non passanti per O. Un altro tratto che distingue l’inversione dalle affinità è il fatto che essa non è definita su tutto il piano, ma su tutti i punti diversi dal centro della circonferenza di inversione; si potrebbe pensare di definire O come l’inverso di se stesso. Questo rende la funzione bigettiva, ma “strappa” il piano: consideriamo una retta passante per O e dei punti Pn distanti da O 1/n, allora i loro inversi Pn′ saranno ad una distanza r2 n da O; quindi, mano a mano che i punti Pn si “avvicinano” a O, i loro inversi se ne allontanano e quindi si allontanano anche dal candidato a immagine di O, che sarebbe O stesso; un simile fenomeno potrà sembrare innocuo, ma . . . ma non lo è. I motivi sono molti, alcuni dei quali sono oltre la portata di queste note, ma principalmente a noi interessa il fatto che una simile proprietà non è posseduta da alcuna funzione di variabile complessa che si possa scrivere come rapporto tra polinomi in z e z. Ora, supponiamo innanzitutto di voler effettuare l’inversione rispetto alla circonferenza |z| = R; dato dunque un numero complesso z non nullo, vogliamo trovare un numero z ′ di modo che i punti rappresentati da z e z ′ siano allineati con l’origine. Questo significa che arg z = arg z ′ ; inoltre, vogliamo che |z| · |z ′ | = R2 e dunque |z ′ | = R2 /|z|. Da ciò z′ = R2 ı arg z e |z| Inoltre, osserviamo che z ′ z = R2 e dunque, in definitiva, per z 6= 0 si ha z′ = R2 z In questo modo, l’inversione circolare rimane non definita nell’orgine, poichè avvicinandosi ad essa, il modulo dell’immagine tende ad infinito; ritorneremo su questo problema in seguito. In generale, per scrivere l’inversione rispetto ad una circonferenza di centro z0 e raggio R, basterà portare z0 nell’origine, effettuare l’inversione e poi ritraslare l’origine in z0 : R2 R2 7→ + z0 z 7→ z − z0 7→ z − z0 z − z0 e dunque R2 z′ = + z0 z − z0 Per verificare le proprietà prima accennate sulla trasformazione di rette e circonferenze, ricordiamo un fatto generale sulla trasformazione dei luoghi geometrici; 20 Si suppone qui una certa familiarità con le proprietà dell’inversione circolare; per quanto possibile verranno ricordate, ma lo scopo principale è quello di inquadrare questa trasformazione nell’ambito della geometria tramite i numeri complessi. 21 E’ possibile dimostrare che le uniche funzioni bigettive dal piano in sè che mandano rette in rette e conservano il rapporto semplice tra 3 punti allineati sono le affinità. 37 data una funzione bigettiva T del piano in sè, l’immagine del luogo geometrico L tramite T è T (L) = {T (P ) | P ∈ L} se L = {(x, y) | f (x, y) = 0} è una descrizione del luogo come luogo di zeri di una funzione f a valori reali, allora T (L) = {(x, y) | f (T −1 (x, y)) = 0} Nel particolare caso dell’inversione circolare, essendo questa un’involuzione, ovvero una funzione che composta con se stessa dà l’identità, la trasformazione dei luoghi geometrici non richiede di calcolare complicate inverse, ma si scrive abbastanza facilmente. Cominciamo con il caso di una generica retta r = {z | wz + wz + c = 0 w ∈ C, c ∈ R} Per quanto detto, basta sostituire z con il suo inverso. Per semplificare il calcolo, supponiamo di effettuare l’inversione rispetto alla circonferenza unitaria |z| = 1; indicando con le lettere primate le immagini sotto inversione, otterremo 1 1 r′ = z ′ | w ′ + w ′ + c = 0 = {z ′ | wz ′ + wz ′ + cz ′ z ′ = 0} z z Dunque, se c = 0, ovvero se la retta r passa per l’origine, il suo inverso sarà ancora una retta; se invece c 6= 0, l’inverso sarà una circonferenza passante per l’origine, con centro w/c. Questo dimostra anche che l’immagine di una circonferenza per l’origine è una retta non per l’origine. Considerando invece la circonferenza c = {z | zz − zz0 − zz 0 + z0 z 0 − R2 = 0} abbiamo che la sua immagine sotto inversione è c′ = z ′ | 1 − z0 z ′ − z 0 z ′ + (z0 z 0 − R2 )z ′ z ′ = 0 Se z0 z 0 − R2 6= 0, c′ è una circonferenza con centro w0 = z0 z0 z 0 − R 2 e raggio dato da R′2 = w0 w0 − 1 z0 z 0 − R 2 Se invece z0 z 0 − R2 = 0, la circonferenza c passa per l’origine e quindi, come già sappiamo, l’immagine è una retta. Dunque, sebbene non conservi le rette, l’inversione manda in se stesso l’insieme M = {m(z0 , a, b, z) = 0} dove m(z0 , a, b, z) = azz −z0 z −z 0 z +b e z0 ∈ C, a, b ∈ R, con |z0 |2 +a2 +b2 6= 0. Questo insieme comprende tutte le rette e le circonferenze, l’origine e l’insieme vuoto e l’inversione manda rette e circonferenze in rette e circonferenze. 38 Inoltre, l’inversione, pur non conservando lunghezze, rapporti tra lunghezze, rapporti tra aree, conserva (oltre alla concorrenza di rette-circonferenze e all’allineamento-ciclicità di punti) gli angoli, ma ne inverte l’orientazione, definendo l’angolo tra due circonferenze intersecantisi come angolo tra le tangenti alle due circonferenze in uno dei punti di secanza; questa è una proprietà ben più generale di alcune funzioni di una variabile complessa, tra cui tutti i polinomi: sotto di essi si conservano gli angoli tra curve, definiti appunto come angoli tra le tangenti nei punti di intersezione. Se nel polinomio compare anche z, allora gli angoli verranno preservati in ampiezza ma non in orientazione, come accade appunto per l’inversione. Esempi 1. Consideriamo l’inversione di centro l’origine e raggio R; siano A, B due punti del piano. I loro trasformati saranno A′ , B ′ dati da a′ = R2 a b′ = R2 b e quindi 2 R b − R2 a = R2 |a − b| |a − b | = |a||b ab ′ ′ Ovvero, otteniamo che le distanze tra punti sotto inversione variano secondo la regola AB A′ B ′ = R2 OA · OB 2. Una mappa ottenuta componendo inversioni e similitudini (e quindi anche isometrie) in cui compaia un numero pari di inversioni e riflessioni, si dice trasformazione di Moebius ed è scritta nella forma z 7→ az + b cz + d oppure, nel caso si ammetta anche un numero dispari di riflessioni e inversioni, si avrà anche la forma z 7→ az + b cz + d Dove, in entrambe, si deve avere bc − da 6= 0, affinchè la mappa sia bigettiva. Possiamo scrivere esplicitamente le due come composizione di similitudini e inversioni : bc − da 1 az + b a+ = cz + d c z + d/c se ora supponiamo bc − da = 122 , possiamo scrivere az + b 1 = cz + d c d d 1 a+ + − c c z + d/c ! 22 E’ sempre possibile moltiplicando tutti e quattro i numeri, visto che la mappa è omogenea in a, b, c, d di grado 0 39 Dunque componiamo, nell’ordine, la riflessione z 7→ z, l’inversione rispetto alla circonferenza di centro −d/c e raggio 1, la traslazione di un vettore a + d/c, la rotazione attorno all’origine di un angolo − arg(c) e l’omotetia rispetto all’origine di fattore 1/|c|. Nel caso in cui c = 0 non si può utilizzare questa scomposizione, ma si ricade già nel caso della similitudine. Infine, se F è una trasformazione di Moebius, si pone per convenzione F (∞) = a/c e F (−d/c) = ∞, definendo cosı̀ tale trasformazione su C ∪ {∞}; tale insieme si può identificare con la sfera, in quanto tramite la proiezione stereografica la sfera meno un polo si identifica con C e il “punto improprio” ∞ si identifica con tale polo. Si può allora mostrare che l’inversione rispetto alla circonferenza che corrisponde all’equatore è una semplice riflessione della sfera rispetto al piano che contiene l’equatore. 3. Dati 4 punti A, B, C, D si definisce birapporto della quaterna ordinata A, B, C, D il numero complesso [a, b, c, d] = (c − a)(d − b) (c − b)(d − a) Osserviamo subito che, se [a, b, c, d] ∈ R, allora si ha d−b c−a + arg = kπ arg c−b d−a con k = 0, 1, 2. Questo vuol dire che ∡ACB + ∡BDA = kπ e dunque che i quattro punti sono conciclici o allineati. Nel caso in cui il birapporto sia reale, esso è ovviamente invariante sotto trasformazioni di Moebius; infatti, anche quando non è reale, il birapporto è invariante per similitudine diretta, in quanto i rapporti (c − a)/(c − b) e (d − b)/(d − a) dipendono solo dalle classi di similitudine dei triangoli ABC e ADB e del resto, quando il birapporto è reale, esso è anche invariante per riflessione e inversione, come si verifica facilmente. 4. Data una circonferenza Γ di centro z0 e raggio R, ad ogni punto P del piano si associa la retta r = polΓ (P ) data dall’equazione (z − z0 )(p − z0 ) + (z − z0 )(p − z0 ) = 2R2 essa è detta polare di P rispetto a Γ, a Γ. Se P ′ è l’inverso di P rispetto a P P ′ è z − p′ = z0 − p ovvero, ricordando che p′ = mentre P è detto polo di r rispetto Γ, la retta per P ′ perpendicolare a z − p′ p − z0 R2 + z0 p − z0 questa è proprio la polare di P rispetto a Γ. Quando P è esterno a Γ, la sua polare è l’asse radicale di Γ e della circonferenza con centro P e ortogonale a Γ; quando P è su Γ, la sua polare è la tangente a Γ in P . 40 Esercizi 1. Mostrare che ogni composizione di similitudini e inversioni è una trasformazione di Moebius 2. (⋆) Dimostrare che la composizione di due inversioni non può essere scritta come una singola inversione; similmente, mostrare che non tutte le composizioni di 3 inversioni si possono ridurre a due o a una e che non tutte le composizioni di 4 si possono ridurre a 3 o meno. Cosa si può dire per le composizioni di più di 4 inversioni? 3. Dati tre numeri complessi distinti a, b, c, trovare la (o le) trasformazione di Moebius F tale che F (a) = 0, F (b) = 1, F (c) = ∞; scrivere F come birapporto. 4. Consideriamo 4 rette si , i = 1 . . . 4 concorrenti in O; sia r una retta che le interseca tutte e 4, nei punti Ai = si ∩ r. Allora, al variare di r, il numero [A1 , A2 , A3 , A4 ] rimane costante e viene indicato con [s1 , s2 , s3 , s4 ] e detto birapporto della quaterna di rette. 5. (⋆) Il birapporto dipende dall’ordine in cui si considerano i 4 punti; se [a, b, c, d] = λ, determinare quanto vale il birapporto di tutte le permutazioni di a, b, c, d e caratterizzare le permutazioni σ tali che [a, b, c, d] = [σ(a), σ(b), σ(c), σ(d)]. 6. Date due circonferenze esterne l’una all’altra, mostrare che esiste sempre un’inversione che le trasforma in due circonferenze concentriche. 7. Date due circonferenze non congruenti, trovare le inversioni che le portano una nell’altra. 8. Mostrare che, data una circonferenza Γ e due punti A, B, se polΓ (A) ∩ polΓ (B) = C, allora A, B ∈ polΓ (C). 9. Data una retta r definita dall’equazione az + az + c = 0 con a ∈ C, c ∈ R, scrivere in termini di a, c, z0 , R il punto P tale che polΓ (P ) = r dove Γ è la circonferenza di centro z0 e raggio R. Tale punto è dunque il polo di r e si indicherà con polΓ (r). 10. Che legame c’è tra il birapporto di 4 rette concorrenti e il birapporto dei loro 4 poli (che per quanto detto, saranno allineati)? 41 Indice I I numeri complessi 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 II 1 Definizione di campo . . . . . . . . . . Il campo dei numeri complessi . . . . . Rappresentazioni dei numeri complessi Funzione esponenziale . . . . . . . . . Le radici dell’unità . . . . . . . . . . . I polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Geometria con i numeri complessi 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Punti e trasformazioni . Rette e circonferenze . . Geometria del triangolo Punti notevoli . . . . . . Inversione circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 3 6 10 13 15 18 19 22 26 30 36