Spedizione in abbonamento postale. Pubblicità inferiore al 50% - To - Anno VII, numero 1 (12), dicembre 1995 XXI SECOLO anno VII, numero 1 (12) dicembre 1995 Studi e ricerche della Fondazione Giovanni Agnelli Le comunità cristiane in Medio Oriente 1 1 Essere cristiani nelle “terre dell’islam”: una storia e una cultura millenarie. 2 I cristiani arabi nel Medio Oriente di oggi: identità e dinamiche politiche. 3 La crisi contemporanea del cristianesimo arabo: la tentazione dell’esodo. 4 Comunità cristiane e stati: i casi nazionali. 5 Un impegno per il pluralismo: la conferenza di Barcellona e il futuro delle comunità cristiane in Medio Oriente. Preesistenti alla islamizzazione del Medio Oriente, le comunità cristiane hanno storicamente rappresentato e tuttora rappresentano un importante elemento di pluralismo all’interno di un mondo musulmano in bilico fra modernità e tradizione. Dal VII secolo fino a oggi i cristiani, sebbene minoranza, hanno conservato la propria identità socioculturale, svolgendo per lungo tempo il ruolo di interlocutori privilegiati dell’Europa. Il Medio Oriente arabo e l’area turco-iranica a esso limitrofa sono oggi prevalentemente considerati nelle analisi politiche e culturali aree di cultura islamica omogenea. Sembra invece sfuggire all’attenzione, salvo in caso di gravi conflitti come la guerra civile del Libano, che nel Medio Oriente esiste una presenza cristiana autoctona, le cui radici precedono la nascita e la diffusione dell’islam, e che ha contribuito fino all’epoca moderna e contemporanea allo sviluppo culturale, sociale ed economico di quelle 1 regioni. Si tratta dunque di una presenza cristiana che è a pieno titolo radicata e appartenente al mondo mediorientale, perché i suoi membri non provengono da nazioni occidentali, ma sono per lo più arabi o, in misura minore, appartenenti a comunità orientali di antichissimo insediamento, e condividono con il resto della popolazione la lingua e la storia. L’unico elemento di differenziazione, pur gravido di conseguenze importanti sul piano socioculturale, è l’appartenenza religiosa al cristianesimo in un mondo a maggioranza musulmana. L’appartenenza al cristianesimo non deve però intendersi in modo monolitico: la caratteristica propria del cristianesimo mediorientale è infatti proprio il suo essere costituito da una molteplicità di comunità e di chiese, ognuna con la sua tradizione e il suo rito liturgico, che affondano le loro radici nella storia antica e più recente delle società mediorientali. L’islam stesso del resto non si presenta come omogeneo: anzi, proprio nell’area che va dall’Egitto all’Iran accanto all’islam sunnita maggioritario vi sono consistenti presenze sciite, che dominano in modo assoluto in Iran, ma che hanno forti percentuali di popolazioni anche in Iraq e in Libano. Gli aleviti hanno forti presenze in Turchia e in Siria, i drusi in Libano, Israele e Siria. Ismaeliti e Yezidi rappresentano invece comunità minoritarie (cfr. grafico a p. 18). Se a questo mosaico di appartenenze musulmane si aggiungono la presenza di consistenti comunità ebraiche e cristiane, non stupisce che fino ai primi decenni del secolo gli osservatori occidentali traessero l’impressione che il Medio Oriente fosse un vero e proprio mosaico di comunità identificate dalla specifica appartenenza religiosa. Questa consapevolezza appare invece oggi diminuita e si trascura di valorizzare le presenze autoctone non islamiche, che, seppur fortemente minoritarie, sono nondimeno un importante elemento di pluralismo interno alla società mediorientale. Se infatti si consi2 dera che in questo secolo la presenza ebraica, prima diffusa con comunità in tutto il Medio Oriente, si è concentrata nel nuovo stato di Israele, dando origine a una storia sua propria e peculiare, si può concludere che le comunità cristiane sono rimaste le uniche presenze arabe non musulmane all’interno della società mediorientale a maggioranza islamica. Dal momento che l’islam in questo volgere di secolo si sta riaffermando come elemento culturale forte, in grado di fornire proprie visioni del mondo, di organizzazione della società, di rapporti internazionali, con tendenze spesso discriminatorie nei confronti di tutti coloro che, all’interno e all’esterno, non vi si riconoscono, la presenza delle comunità cristiane come elemento di pluralismo autoctono diventa quanto mai importante. Se infatti la sfida che l’islam deve sostenere nei confronti della modernità è quella di avere un’evoluzione in senso meno integrale e totalizzante, prendendo le distanze da una concezione che comprende nell’appartenenza religiosa la sfera giuridico-politica, accettando dunque il pluralismo culturale interno agli stati di cultura musulmana e il dialogo con le altre culture, le comunità arabe cristiane dovrebbero diventare sempre più un elemento di stimolo per tale evoluzione: esse forniscono infatti un’occasione per misurare l’effettivo atteggiamento che l’islam ha verso il diverso da sé, ma che pur è parte integrante della stessa società e della stessa compagine politica. Nella misura in cui la cultura musulmana saprà garantire al suo interno spazi di pluralismo e di dialogo culturale e religioso tra diverse appartenenze su un piano di parità tramite precise scelte istituzionali e giuridiche, essa saprà anche attuare relazioni internazionali improntate al dialogo e al confronto costruttivo. Nell’area mediorientale si può dunque a giusto titolo parlare di una società in cui convivono arabi musulmani e arabi cristiani, cui si affiancano anche comu- nità cristiane etnicamente diverse, ma che da secoli vivono in Medio Oriente, come gli armeni. E’ chiaro che quando dall’Arabia nel secolo VII i primi conquistatori musulmani si impadronirono delle varie zone del Medio Oriente e si espansero fino all’Africa del Nord, essi trovarono popolazioni in larga maggioranza cristiane, di cui le attuali comunità arabe cristiane sono le ultime propaggini. Quello che avvenne a partire dal secolo VII fino all’epoca moderna fu la progressiva islamizzazione di tutta l’area, che raggiunse il culmine nel Maghreb, in cui a partire dai secoli XII-XIII la presenza cristiana scompare del tutto. Nel Mashreq invece il processo fu più graduale. Tuttavia anche in quest’area a partire dal secolo X la popolazione musulmana diviene maggioritaria, e la sua percentuale aumenta nei secoli seguenti, tanto che nel secolo XVI i cristiani sono ridotti a circa l’8% della popolazione totale. Il loro numero tuttavia comincia a crescere di nuovo nei secoli successivi, raggiungendo il culmine nel secolo XIX, in cui si verificò una vera e propria fioritura delle comunità arabe cristiane, per poi nuovamente regredire nella seconda metà di questo secolo. Oggi la percentuale dei cristiani in Medio Oriente ha raggiunto e forse superato il minimo storico già verificatosi nel secolo XVI. I motivi storici di un’evoluzione che ha portato alla sostituzione di una cultura e di una religione con un’altra sono molteplici, ma certamente lo stesso ordine sociale e giuridico portato dall’islam può offrire la spiegazione più soddisfacente delle principali cause dell’islamizzazione. I conquistatori arabi, basandosi su quanto decretato nel Corano e nella Sunna, risolsero il problema dei rapporti con la popolazione cristiana di gran lunga prevalente nei nuovi territori di espansione permettendo che essa seguisse la propria religione e il proprio culto ed esercitando così nei suoi confronti una tolleranza concreta. Questa tolleranza aveva però dei limiti ben precisi e istituzional- I cristiani in Medio Oriente dall’epoca preislamica ai giorni nostri 30% • 26,4% 25% 24,5% • 20% • 15% • 10% • 19,1% 8,1% 6,3% 5% • 0% • 1580 1882 1914 1945 1995 Il grafico mostra l’impressionante declino della popolazione cristiana in Medio Oriente dall’inizio del XX secolo, momento di massima espansione delle comunità arabe cristiane, ai nostri giorni. Le molteplici cause di questo declino sono analizzate nel terzo capitolo. Lo stesso grafico peraltro suggerisce come la presenza cristiana in Medio Oriente sia stata già in passato soggetta a notevoli oscillazioni, in relazione alle mutevoli condizioni sociopolitiche dell’area e che, di conseguenza, il suo declino attuale non debba essere necessariamente visto come irreversibile. mente sanciti in alcune disposizioni che rendevano l’islam la religione dominante e che, in definitiva, resero possibile nel lungo periodo l’islamizzazione delle aree soggette all’autorità musulmana. Il primo tipo di limitazioni poste al cristianesimo fu di natura religiosa: i cristiani potevano infatti seguire la propria religione, ma ogni attività missionaria venne loro vietata, pena la morte, mentre la missione islamica era incentivata. Veniva inoltre vietato ai cristiani il matrimonio con donne musulmane, mentre i musulmani potevano sposare donne cristiane, la cui prole apparteneva automaticamente all’islam. Quest’ultima disposizione ebbe una rilevanza notevole a livello demografico soprattutto nei primi secoli in cui i matrimoni misti furono frequenti ed ebbero un ruolo notevole nella sostituzio- ne della popolazione musulmana a quella cristiana. L’inferiorità giuridica dei non musulmani era poi espressa nell’impossibilità di esercitare qualsiasi potere politico e nell’essere assoggettati a una maggiore pressione fiscale. Il regime con cui l’islam ha trattato i rapporti con le popolazioni cristiane dei suoi territori ha provocato la forte diminuzione dei cristiani ovunque: attorno al 1580, epoca in cui si tenne il primo censimento dell’impero ottomano i cristiani erano appunto ridotti all’8% della popolazione. Proprio sotto l’impero ottomano la situazione dei cristiani ebbe però un notevole miglioramento. L’impero ottomano da un punto di vista amministrativo adottò il sistema dei millet (nazioni) in cui erano raggruppate le popolazioni dell’impero. Il millet era definito dalla confessione religiosa, ed esi- stevano così il millet musulmano sunnita, il millet ebraico, e vari millet cristiani a seconda dei riti: in questo modo gli appartenenti alle varie confessioni erano istituzionalmente ascritti ai millet, che diventavano un organismo intermedio tra il singolo e lo stato. Con il sistema del millet veniva riconosciuta e definita con maggior precisione giuridica la composizione multiconfessionale della popolazione dell’impero, il quale riconosceva come interlocutori dello stato i vari millet. All’interno di ogni millet l’autorità rappresentativa era costituita dai membri della gerarchia religiosa: per i cristiani erano i patriarchi e i loro rappresentanti locali, per gli ebrei i membri della gerarchia rabbinica, mentre i musulmani avevano i propri ulema e mufti. Le autorità religiose di ogni millet avevano giurisdizione sulla propria comunità per tutti gli affari religiosi e di culto e per tutti gli affari riguardanti lo statuto personale, cioè il diritto di famiglia e il diritto successorio, e avevano propri tribunali per dirimere i contenziosi. Il sistema del millet concedeva inoltre alle comunità ampia autonomia sul piano finanziario, su quello dell’organizzazione della vita comunitaria e della gestione dei beni della comunità. Questo sistema, pur lasciando permanere a livello politico la supremazia dell’islam, riconoscendo la costituzione comunitaria dell’impero dava anche alle comunità cristiane ed ebraiche una certa libertà organizzativa: in questo senso se nei primi otto secoli di dominazione musulmana si può parlare di identità cristiana puramente sottomessa al dominio islamico, con l’avvento del sistema ottomano dei millet si può parlare di identità organizzata. Il sistema del millet detiene inoltre una sua importanza particolare per l’immagine che conferiva all’esterno dell’impero ottomano: le nazioni europee, che a partire dai secoli XVII e XVIII incrementarono i rapporti commerciali e politici con l’impero ottomano, lo percepirono come un impero di 3 comunità organizzate su base confessionale con a capo l’autorità politica imperiale che era anche la massima autorità religiosa per i musulmani, cioè il sultano di Costantinopoli che deteneneva l’autorità califfale. Fu in questa fase che le potenze europee, oltre a ottenere privilegi e diritti per i propri cittadini in terra ottomana, assunsero anche un ruolo di protezione nei confronti delle comunità cristiane dell’Oriente, ponendosi tra l’altro in concorrenza tra loro rispetto alle diverse confessioni. Così se la Francia esercitava un ruolo di protezione nei confronti dei latini e dei cattolici, la Russia esercitava un ruolo analogo nei confronti delle comunità ortodosse, di cui lo zar venne riconosciuto sommo protettore da parte dell’autorità turca. La Gran Bretagna da parte sua non aveva comunità protestanti da proteggere, ma conduceva una politica mediorientale avversa alla Francia rafforzando ad esempio i drusi contro i cristiani maroniti in Libano, e dunque inserendosi anch’essa nelle dinamiche comunitarie. Le comunità cristiane, proprio per l’affinità religiosa con gli stati europei, vennero dunque identificate da questi ultimi come interlocutori privilegiati in Oriente. L’appoggio dato alle comunità cristiane dagli stati europei spesso diventava anche strumentalizzazione per i propri fini economici e geopolitici. Tuttavia, è innegabile che grazie ai maggiori contatti con l’Europa i cristiani si aprirono alla cultura illuminista, impararono le lingue europee, e incrementarono la loro posizione economica specie nell’ambito commerciale e delle libere professioni. In breve, arrivarono anche i missionari latini e protestanti, che dettero vita a una rete di scuole e di istituzioni caritative, specie latine. Sebbene questo processo di espansione latina fosse visto con sospetto perché sembrava attentare alle tradizioni delle antiche chiese d’ Oriente, il diffondersi delle istituzioni cattoliche influì efficacemente sullo sviluppo culturale e sul miglioramento delle condizioni di vita dei cristiani arabi. Il 4 Lo statuto storico dei cristiani nell’islam: la condizione di dhimmi Fin dall’inizio l’islam ha preso in considerazione il problema dei rapporti con gli appartenenti ad altre religioni, sia perché nelle città arabe in cui l’islam veniva organizzando la propria struttura politica e sociale erano presenti gruppi di ebrei e di cristiani, sia perché l’espandersi della conquista islamica provocò l’inclusione nello stato musulmano di popolazioni consistenti a maggioranza cristiana nei territori dell’area bizantina, a prevalenza zoroastriana e cristiana nell’area sasanide. Per organizzare un modello di convivenza tra persone appartenenti a religioni diverse, l’islam adottò un sistema già in vigore negli imperi bizantino e sasanide, dove vi erano gruppi di persone ammesse a fare parte della società sulla base di uno statuto particolare. Questo sistema venne chiamato in arabo dhimma, cioè protezione, e stabilisce che i musulmani hanno il dovere di proteggere i gruppi cui questo statuto viene conferito, ed essi, i dhimmi (protetti), hanno il dovere di sottomettersi pienamente al sistema musulmano, riconoscendone l’autorità eminente. In concreto l’islam conferì lo statuto di dhimmi ai membri delle religioni del libro, cioè quelle religioni che hanno un libro sacro come base dottrinale: in primo luogo l’ebraismo e il cristianesimo, alla cui tradizione l’islam si connette, e poi il sabeismo e il mazdeismo.Concretamente la dhimma mirava a consentire la convivenza tra musulmani e non musulmani all’interno dello stato musulmano, garantendo però l’assoluta supremazia dell’islam e riducendo i non musulmani a uno statuto di inferiorità giuridica e sociale. Così i dhimmi erano liberi di praticare la propria religione, ma veniva loro impedito qualsiasi ruolo politico e militare, qualsiasi responsabilità di governo, ambiti riservati ai soli musulmani. Inoltre i dhimmi furono soggetti a uno speciale regime fiscale, più gravoso rispetto a quello stabilito per i musulmani, e che prevedeva il pagamento di un’imposta capitale apposita, la gyzia, nonché tributi particolari sulle proprietà fondiarie e sulle attività commerciali. Per garantire la supremazia dell’islam a livello sociale venne poi impedita ai non musulmani qualsiasi attività missionaria, e fu giuridicamente proibito ai musulmani di convertirsi ad altra religione. Per il diritto musulmano sia il missionario sia l’eventuale convertito sono punibili con la morte: si tratta della sanzione della conversione (hadd alriddah), che serve a garantire l’integrità e la crescita della comunità musulmana e a impedire l’espandersi delle altre comunità religiose. Analoga funzione ha il diritto familiare musulmano nei riguardi dei matrimoni misti: in essi la parte musulmana viene chiaramente privilegiata, sia perché si prescrive la conversione all’islam per il non musulmano che voglia sposare una musulmana, sia perché i figli sono periodo storico che vede la penetrazione europea nell’impero ottomano e il sorgere della cosiddetta Questione d’Oriente termina con la prima guerra mondiale: l’impero ottomano si dissolve e nascono i vari stati nazionali. Un sommario bilancio del periodo della Questione d’Oriente rivela diversi dati positivi per i cristiani orientali: con le tanzimat (riforme), emanate dall’autorità ottomana su pressione degli stati europei, viene proclamata l’eguaglianza di tutti i cittadini dell’impero, nonostante l’opposizione della maggio- ranza dei musulmani a questa innovazione. I cristiani si abituano all’idea di libertà e di eguaglianza che continueranno a rivendicare all’interno dei vari stati nazionali. Inoltre i cristiani conoscono la modernità sia dal punto di vista educativo sia tecnico, e questo li porta a primeggiare nella funzione di intermediari culturali, sul piano amministrativo, nel commercio e nelle professioni liberali. Questo sviluppo reale della comunità cristiana si espresse anche in termini demografici: nel 1914 i cristiani erano il 20% della popolazione obbligatoriamente musulmani, anche se la madre è cristiana. In questo caso alla donna è proibito per legge di insegnare ai figli la propria religione, perché essi devono seguire il credo del padre musulmano. Le prescrizioni riguardanti i dhimmi furono rese ancor più severe dalle condizioni precisate in un documento attribuito al califfo Omar (morto nel 644), ma probabilmente più tardo di alcuni decenni, e recepite nel diritto musulmano classico. Tali prescrizioni non solo limitavano ulteriormente i diritti dei cristiani e degli ebrei, ma miravano a umiliarli socialmente, facendoli percepire come estranei e inferiori rispetto ai musulmani. Venne così impedito a cristiani ed ebrei di professare in modo troppo pubblico la loro fede, proibendo alle persone di portare croci o altri segni religiosi evidenti, e vietando la pratica esterna degli atti di culto, come le processioni o il suono delle campane. Le stesse chiese e sinagoghe dovevano avere un aspetto dimesso ed essere più basse delle costruzioni musulmane circostanti, per corrispondere alla inferiore realtà giuridica e sociale delle comunità religiose cui appartenevano, e per esprimere la loro sottomissione all’islam dominante e la coscienza della propria inferiorità. Questo spiega anche perché le antiche cattedrali siano state quasi sempre trasformate in moschee, come si può vedere ancora oggi ad Aleppo e a Damasco. Vennero poi posti limiti molto forti alla costruzione di nuove chiese e sinagoghe e persino al restauro delle antiche. L’insieme di queste prescrizioni giuridiche attraverso cui l’islam ha organizzato la convivenza tra musulmani e non musulmani all’interno dello stato musulmano, esprimono la tolleranza dell’islam verso le altre comunità religiose. E’ chiaro che se il sistema della dhimma ha forse permesso nella storia passata una convivenza fra confessioni diverse migliore che in altre aree, tuttavia esso non può non urtare oggi una sensibilità moderna: la dhimma sancisce infatti un modello di convivenza all’interno dello stato musulmano sulla base di una riconosciuta disuguaglianza giuridica tra musulmani e non musulmani; solo i primi godono della pienezza dei diritti, mentre gli altri devono accettare uno statuto di inferiorità giuridica costituita, che vieta loro l’accesso a qualsiasi ruolo politico e alla pienezza dello stato di diritto. Fino al secolo XIX questo sistema è rimasto in vigore in tutto il Medio Oriente, pur se praticato in forme diverse: solo con le tanzimat ottomane, per la prima volta nella storia musulmana, il sommo potere politico e religioso musulmano, il sultano califfo, ha decretato l’eguaglianza di tutti i sudditi dell’impero. Tuttavia tale sistema continua ad avere ampi riflessi non solo nella prassi giuridica musulmana odierna, ma soprattutto nella mentalità e nella pratica sociale, influenzate da tutta una storia e una cultura che ha considerato cristiani ed ebrei come soggetti alla supremazia politica dell’islam, e che tende a vedere l’islam come un sistema globalizzante in cui stato e prassi sociale sono basate sulla religione. dell’impero ottomano e raggiungevano quasi il 30% nell’area della Grande Siria, comprendente gli attuali Libano, Siria, Giordania e Palestina. A fronte di un reale miglioramento e consolidamento della presenza cristiana nel Medio Oriente bisogna però anche considerare gli effetti negativi di quel periodo sui cristiani: nella Questione di Oriente le comunità cristiane furono spesso strumentalizzate dagli stati europei per i propri interessi geopolitici; questo condusse anche ad alcuni massacri di popolazioni cristiane considerate alleate delle potenze occidentali, come i massacri della montagna libanese nel 1840 e 1860, e i massacri degli armeni, di cui si ebbero episodi alla fine del secolo XIX, e proseguiti nel 1915 a opera del governo turco. Inoltre questo miglioramento della situazione dei cristiani, dovuto alla loro apertura verso l’Occidente, creò anche una dipendenza psicologica delle comunità cristiane verso gli stati europei e insieme una maggiore diffidenza interna tra comunità, in particolare tra greco-ortodossi e cattolici. 2 I cristiani arabi nel Medio Oriente di oggi: identità e dinamiche politiche. L’odierna situazione delle comunità cristiane in Medio Oriente è nel segno della complessità. Alle molteplici differenze interne, di chiesa, di liturgia, di tradizione comunitaria, si aggiungono quelle legate al clima sociale e politico di ciascun paese. Con la sola eccezione degli armeni, in comune vi è l’identità araba e cristiana. Come arabi portati a identificarsi con lo stato nazionale, come cristiani avversi alle ideologie politiche espresse dall’islam. Con la costituzione dei nuovi stati nazionali arabi i cristiani esercitarono un ruolo notevole da un punto di vista culturale e politico: essi furono tra i principali esponenti della nahda, quel movimento di rinascimento culturale e politico sorto nel mondo arabo alla fine del secolo XIX che faceva dell’arabità l’identità di fondo e che intendeva formare in modo moderno i nuovi stati arabi. Lo sviluppo culturale che i cristiani avevano conosciuto nei decenni precedenti e la loro apertura alle idee democratiche e liberali dell’Occidente, permise loro di esercitare un influsso indiscusso all’interno dei vari movimenti di indipendenza nazionale. Si trattò di un rinascimento che coinvolgeva tutti i campi: quello economico, politico, filosofico, culturale e artistico. Le idee moderne passano nelle società mediorientali soprattutto grazie ai cristiani arabi, che fondano giornali e riviste, e creano un nuovo dibattito intellettuale. Nel campo più specificamente politico la maggior parte dei partiti di opposizione nascono per iniziativa o con la collaborazione di arabi cristiani. Questa molteplicità di presenza e ruoli culturali 5