EDITORIALE
Nuova Umanità
XVII (1995) 5, 3-7
UN IMPEGNO RINNOVATO È così comune, oggz; parlare di crisi generale, di tutti i valort;
a tutti i livelli, che continuare a dirne può sembrare inutile o addi­
rittura di cattivo gusto.
Per questo, presentando questa rivista che nasce con il suo pri­
mo numero, non parleremo di crisi.
Useremo un altro linguaggio. Ci sembra più giusto dire che il
mondo contemporaneo, a tutte le latitudini, è sotto lo sforzo di
un'immensa gestazione. Ed ogni gestazione è dolorosa, a tratti s'ac­
costa alla morte. Ma, nella sua realtà, è vita che nasce, è vita nuova.
Certo, ci sono tutti i rischi della situazione, c'è la possibilità
che la gestazione si concluda nel fallimento. Ci sarebbero non poche
ragioni per essere pessimisti...
Ma una sicurezza che portiamo profonda in noi ce lo impedi­
sce. La sicurezza che se ciascuno di noi si impegna nella sua parte,
dando se stesso con intelligenza accorta (ma questo non è pessimi­
smo), il risultato non potrà che essere positivo. Sempre con le om­
bre, che ogni realtà storica si porta dietro, e sempre, allora, con la
promessa che l'avventura non è terminata, che c'è da andare avan­
ti. Siamo certi che le cose più belle, più vere, debbono ancora ve­
nire!
Questa certezza non la fondiamo su niente: né su presunzioni
né sul non voler vedere. La fondiamo in Dio che è Padre e Amore, e
nel suo amore ci trae a Sé per darSi a noi. Una certezza, questa, che
è anche esperienza, non solo convinzione dell' intelligenza. E
un' esperienza, anche se piccola, purché sia autentica, non si lascia
contraddire.
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Un impegno rinnovato
In questo trasmutare di un mondo in cui culture validissime
agonizzano, blocchi di mentalità cozzano fra loro, mettersi a «far
cultura» (come vorrebbe questa rivista) significa dichiararsi sicuri
che la vita va avant~ e che noi dobbiamo saperla accogliere quando
di essa ci sono ancora soltanto le sofferenze dell'insufficienza di ciò
che oggi è. Far cultura, per no~ significa aprire lo spazio al nuovo
che si percepisce nel presente che velocemente diventa antico,- signi­
fica ascoltare senza pregiudizi tutti i richiam~ tutte le sollecitazion~
le attese (anche se si presentano con violenza di azioni o di negazio­
n~ o nella ripetizione meccanica di affermazioni che già sono supe­
rate e dalle quali non sappiamo liberarci per la paura che ogni mu­
tamento porta con sé,- ogni gestazione, lo abbiamo detto, è dolorosa,
e il dolore difficilmente conosce misura e coraggio).
Far cultura, per no~ significa immetterci nel dialogo, aperto in
tutte le direzioni e a tutti i lzvelli in cui il vero s'annuncia,- senza
nulla precludere, senza i conformismi cui a volte la cultura ufficiale,
egemone, ci condanna, e senza cedere alle mode che tagliano fuori o
ignorano amplissimi spazi della realtà umana.
Far cultura, per no~ significa immettere nella ricerca contem­
poranea la nostra propria esperienza di vita, nella quale ciò che è
cristiano s'è rivelato autenticamente umano e l'umano ha trovato in
ciò che è cristiano la possibilità d'essere in pienezza.
Siamo convinti che è dall'esperienza umana che nasce la cultu­
ra. Quando c'è esperienza autentica, c'è possibilità di cultura auten­
tica.
Sappiamo che i risultati verranno, non sono ancora qui, già
confezionati e pronti. Sarebbe, se così fosse, un voler far cultura da
soli senza gli altri,- sarebbe un far cult,,,ra a tavolino, rimasticando
quello che c'è senza tentare vie nuove. Il coraggio di addentrarsi in
esse richiede il coraggio di lasciarsi contraddire. Ma se non sperassi­
mo di avere questo coraggio, questa rivista non la faremmo nascere.
Perché Nuova Umanità?
Per quello che abbiamo detto. Per il nuovo che l'amore all'uo­
mo ci spinge a cercare perché già c'è, sotto tanto dolore e tanto crol­
lare. E perché questo nuovo è l'uomo, che ancora non conosciamo
perché egli è, in parte, una realtà che sta venendo. Perché questa
realtà è, diciamo più esattamente, l'umanità. Non per sostituire un
Un impegno rinnovato
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astratto a un concreto, ma perché esperimentiamo che ogni uomo si
realizza nel rapporto autentico con l'altro uomo. E più s'allarga la
rosa dei rapporti e più s'approfondisce sul vivo di ciascuno, più l'uo­
mo vien fuori se stesso.
I.:uomo in comunione con l'altro, con tutti: questa è l'uma­
nità.
Rileggendo l'editoriale del n. 1 (1979) della nostra rivista,
oggi che essa è giunta al n. 101, ci è sembrato così attuale da ri­
proporlo al lettore nella sua intera brevità (sapendo anche che il
n. 1 di «Nuova Umanità» è introvabile).
Certo, dopo gli awenimenti che tutti conosciamo, la soffe­
renza si è fatta più lacerante di quella di ieri. Ma la speranza ­
quella che non delude - si è fatta anch'essa più intensa. Perché
l'esperienza di vita cui accennavamo nell'editoriale di allora, è
maturata, ha dilatato in noi, che lavoriamo a questa rivista, più in
profondità le sue radici. La vita cristiana conosce, pur tra diffi­
coltà che spesso appaiono insormontabili, una auroralità che an­
nuncia un giorno di luce.
Dal punto di vista culturale, una certezza «più certa» si è
fatta strada in noi.
Il cammino del pensiero nel mondo occidentale è approdato
ad un punto di conclusione radicale che sollecita per questo un
inizio nuovo, anch' esso radicale.
La cultura che oggi chiamiamo occidentale, nel suo nascere
si è sviluppata intorno allo stupore dell' essere, realtà originaria e
condizione incondizionata di quanto esso informa; e illogos è sta­
to, negli inizi della cultura dell' occidente, lo spazio di accogli­
mento dell'essere e l'espressione in ritorno di esso, in una tensio­
ne continua che ha fatto parlare più che di Sapienza (Sofia), di
amore della Sapienza, di filo-sofia. La filosofia, questa filosofia, è
stata la forma che il pensare umano ha assunto negli inizi della
cultura occidentale.
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Un impegno rinnovato
Parmenide ci ha consegnato la sua intuizione profonda, sulla
quale i secoli successivi hanno riflettuto. Quella intuizione dell'es­
sere tutto chiuso su di sé, mistero non penetrabile dall'uomo ma
attingibile solo nelle parole della dea. li logos, con i suoi discorsi,
era proprio il custode di questo mistero: il parlare del logos era
l'affermazione e la riaffermazione dell'ineffabilità dell'essere.
Più che ripiegarsi su di sé, illogos si protendeva nell' attesa
di un rapimento di sé a se stesso, per cui, smarrendosi ebriamente
nell'essere, avrebbe riaffermato l'essere rrella sua purezza inconta­
minata, attuandosi proprio come logos mentre come logos si can­
cellava: parola dell'essere, parola di un altro. li carro fiammeg­
giante che conduce Parmenide al di là della notte umana fino alla
luce del divino (similmente al carro che rapisce Elia), è forse la
metafora più intensa dellogos originario della cultura dell'occi­
dé 1te.
li pensiero cristiano non ha avuto diffkoltà a far sua la filo­
soji'a, l'amore per l'essere, che l'antichità le consegnava e nella
quale esso attuava la sua prima inculturazion'~.
Ma l'essere della filosofia è rimasto chiuso in sé. li discorso
del pensiero cristiano - in quanto pensiero - su Dio ha lasciato nel
suo mistero l'intimità dell'essere, mentre illogos dell'uomo cri­
stiano era rafforzato dalla consapevolezza anche culturale che il
Logos di Dio s'era fatto carne, logos di uomo. Questa posizione
era sospesa, per il suo attingimento della verità, alla Fede. E all'in­
terno della fede il pensiero dell'occidente ha costruito una stu­
penda cattedrale di sapienza anche umana, difilosofia, nella quale
la molteplicità delle guglie che coronano questa cattedrale non
mette in ombra l'unitarietà mirabile dell'insieme.
Ma, lo ripetiamo ancora, la rivelazione cristiana nel suo at­
tingere il pensiero, non è penetrata, in quanto pensiero, nell' abisso
dell'essere. Il rafforzamento dellogos, allora, ha prodotto, nel de­
clino culturale della fede, la sopraffazione dellogos sull' essere; e
poi, lentamente, il distacco dellogos occidentale dall'essere. li ni­
chilismo, teorico e pratico, in tutte le sue mascherature, non pote­
va non essere lo sbocco di questo cammino che pensatori attenti
come Heidegger hanno ben rivelato (anche se è rimasto inesplo­
rato il sentiero reale che ha condotto a questo esito).
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Si tratta, allora, di aprire alla cultura del!' occidente un varco
nell'essere, perché illogos, superando l'estaticità arcaica, approdi
all'interno dell'essere, che è la sua casa originaria, e l'essere possa
rivelare interamente se stesso dimorando all'interno della re­
lazionalità tra i lago;, i molti nei quali l'Unico Logos sussiste.
Questa porta, questo varco, è l'umanità del Logos dell'Esse­
re incarnato. Umanità del Logos vista non solo nella sua funzione
di salvezza ma anche nella sua funzione rivelativa del mistero
dell'essere. Varco concretamente attingibile in quella piaga, in
que:! vuoto d'essere che nell'essere del Logos crocefisso è stato
aperto dall' abbandono: autentica lacerazione, ma non come crisi
o contraddizione bensì come rivelazione dell'intimo dell'essere,
che a Parmenide era rimasto nascosto. Quell'ineffabile non-essere
dell'essere, se è vero che l'essere si è rivelato amore; quell'ineffa­
bile essere del non-essere, se è vero, ancora, che l'essere si è rive­
lato amore.
Quella che per il discorso teologico è la cristologia, se matu­
rata nella riflessione profonda della croce, è chiamata a diventare
la chiave che apra alla cultura dell' occidente la sua origine ancora
celata proprio come cultura.
Superando le porte «sacre» dell'essere, il pensiero dell'occi­
dente deve attingere il mistero dell' essere, quell' essere-amore che
è rivelato proprio dal non-essere se è inteso come quello che
dell'essere dice la realtà profonda: quel non-essere in cui l'essere
si dice, è, dono in atto. Appunto, amore.
E nell'attingimento dell'essere nelle sue viscere, il pensiero
dell'Occidente potrà autenticamente e creativamente aprirsi al
dialogo con le forme del pensiero che hanno originato ed alimen­
tano le altre graadi culture, dall'Africa all' Asia.
In questa avventura, sempre di più «Nuova Umanità» vuole
inoltrarsi.
GIUSEPPE MARIA ZANGHI