Giugno 2013 Sandroun Zigolla da Ruvelta

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centro storico
In collaborazione con
Circoscrizione Sud
Biblioteca San Pellegrino Marco Gerra
Associazione Insieme per Rivalta
torrente Crostolo
Sandroun Zigolla da Ruvelta
16/23 giugno 2013
In collaborazione con
Circoscrizione Sud
Biblioteca San Pellegrino Marco Gerra
Associazione Insieme per Rivalta
Sandroun Zigolla da Ruvelta
16/23 giugno 2013
“Se una muntagna
La fuss na pulenta
e il monte di Ciro
el fosse butiro …..
E che la pala la fuss el cucier,
Oh che magnada ch’l’avré mai a fer!”
Presentazione di Sandrone
tratto da Luigi Campogalliani burattinaio
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Presentazione
Uberto Spadoni
Assessore ai progetti Speciali
La Reggia di Rivalta è un progetto urbano di rigenerazione in
divenire che coinvolge la città e ha il suo cuore nella
comunità di Rivalta. Un progetto che nel Parco del Crostolo,
insieme al Parco del Rodano (con il Mauriziano), compone la
cintura verde che si completerà con il Parco del Modolena.
La Reggia di Rivalta coinvolge la comunità nei suoi attori
civici: cittadini e associazioni.
Quest’anno, rafforzando la caratterizzazione del luogo
vocato alla riscoperta del sedimento della storia, delle
tradizioni popolari, agroalimentari, culinarie, culturali, il
focus è su “Sandroun Zigolla da Ruvelta”.
Scrive Lauro Gaddi in questo opuscolo “Tutto questo
simboleggia la radicata e convinta appartenenza di Sandrone
alla sua comunità per la quale non esita ad esporsi in prima
persona, valicandone i confini territoriali e pure quelli
temporali … se è vero che il suo affetto giunge ancor oggi
fino a noi pure con questo contributo.”
Ecco quindi una storia di civismo, una tradizione che
guardiamo non con lo sguardo rivolto all’indietro, ma come
energia per il nostro presente e per il futuro.
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Introduzione
Romana Saccheggiani
Vice Presidente Associazione Insieme per Rivalta
La figura di Sandroun Zigolla da Ruvelta ha sempre suscitato
in noi curiosità e fascino , il poeta contadino, arguto e di
buon senso che viveva a Rivalta e si rivolgeva alla corte
estense in modo irriverente e ironico.
Grazie a Linda Eroli, pronipote di Francesco Sarzi Madidini,
abbiamo avuto l’onore di conoscere il prof. Remo Melloni,
docente universitario d’arte drammatica, uno dei più
importanti storici del teatro popolare e dei burattini che ci
ha introdotti in un mondo per molti aspetti nuovo,
estremamente interessante.
Ascoltarlo raccontare le storie delle famiglie dei burattinai
emiliani e dei loro personaggi ci ha affascinati a tal punto da
voler condividere questa straordinaria esperienza con i nostri
ormai affezionati compagni di viaggio.
Alla Reggia di Rivalta, nel mese di giugno, due sono le
settimane dedicate al personaggio di Sandrone con la
conferenza del prof. Remo Melloni “Sandrone: tra Reggio e
Bologna, il viaggio di Sandrone lungo la via Emilia”, la
mostra “Sandrone alla Reggia di Rivalta, alla scoperta dei
lunari” allestita in collaborazione con la Biblioteca San
Pellegrino - Marco Gerra e lo spettacolo di burattini
“Sandrone re dei mammalucchi” della Compagnia I burattini
di Romano Danielli.
Poi i laboratori proposti dalla Casa dei Burattini di Otello
Sarzi e gli sproloqui di Sandrone dalle finestre della Reggia,
impersonato da Roberto Fantuzzi, tutto merito di Linda,
divenuta cara amica.
Un omaggio al teatro, alle famiglie dei burattinai e a ciò che
queste rappresentano per la nostra cultura, reso possi
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grazie
alla disponibilità di persone straordinarie che
continuano ad amare e perpetrare l’arte della vita
attraverso le vicende e le maschere dei burattini.
“Nonno raccontami una storia”
Linda Eroli
Presidente Associazione 5T
E cosi il mio bisnonno cominciava a raccontare…
Le storie non parlavano mai di cappuccetti rossi o
cenerentole, ma di pulci cadute nel brodo, di sedie ballerine
e di tutti i personaggi che popolano la baracca dei burattini:
le teste di legno.
La mia preferita era Sandrone ai bagni di Salsomaggiore che
ebbi anche la fortuna di vedere rappresentata in baracca
proprio dal mio bisnonno: Francesco Sarzi Madidini.
Solo in seguito ho appreso si trattasse di un copione, o forse
è meglio dire un canovaccio, attribuito alla famiglia Preti e
databile a metà dell’800.
Una piece perfettamente contestualizzata nell’epoca in cui
la residenza alle terme di Salsomaggiore aveva raggiunto
ampia diffusione; molto lontana da noi per ambientazione e
riferimenti, ma al tempo stesso assolutamente esilarante e
avvincente anche oggi.
Tutto il Teatro di figura tradizionale attinge il suo repertorio
alle radici storiche della commedia dell’arte.
Tuttavia l’adesione da parte di un pubblico contemporaneo
alle vicende di Fagiolino, Sandrone, Gioppino, Balanzone e
compagni, risulta immediata, anche tra i giovani spettatori.
Ha qualcosa di straordinario la spontanea comprensione di
codici narrativi e di dinamiche di partecipazione da parte dei
bambini più piccoli, anche alla prima esperienza, di fronte
alla prorompete comunicativa delle teste di legno.
Si può sicuramente rintracciare un significato di questa
immediatezza nelle potenzialità del Teatro di figura di
rispecchiare in modo evidente il gioco del “come se”, del
“facciamo finta che”.
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I burattini della tradizione riescono però ad avere una
capacità di coinvolgimento che va oltre e deve essere
attribuita ai caratteri distintivi dei suoi personaggi.
I protagonisti delle vicende sono poveri, deboli, spesso
ignoranti e abituati a vivere di espedienti, ma capaci di
lanciarsi in imprese temerarie dove nobili e valorosi hanno
fallito.
Antieroi popolari che sintetizzano un modello alternativo, un
po’ eversivo e fuori dalle regole che rivoluziona dal basso gli
schemi del racconto offrendo una prospettiva che mette in
luce l’intelligenza e la furbizia dei più deboli.
Il burattino prende la mano all’animatore per dare voce a
personaggi liberatori, sineddoche grottesca della possibilità
dei più piccoli di sconfiggere la sorte, le convenzioni, ma
anche il diavolo o la morte.
Sandrone è una figura preziosa nel pantheon bizzarro che
popola il castello dei burattini. Subendo trasformazioni e
metamorfosi ci è giunto come personaggio surreale e
sgrammaticato, a volte ridotto a “spalla” di Fagiolino, ma
capace di irradiare un energia comica deflagrante.
Riconosciamo in lui tanti riferimenti topici che hanno poi
alimentato il cinema e la commedia nel nostro paese.
Forse è per questo che riesce ad avere un potere evocativo
che va al di là del tempo, unisce le generazioni, rimanendo
sempre vivo ed attuale malgrado porti sulle spalle centinaia
d’anni travagliati dalla fame, da terribili avventure e dalle
bastonate!
Lo
vediamo
concretamente
in
occasione
delle
rappresentazioni teatrali dove un pubblico eterogeneo di
adulti, bambini ed anziani è coinvolto in un esperienza
collettiva, partecipata con un sentimento condiviso.
Sono tanti gli spettacoli visti ed organizzati nei molti anni di
lavoro dedicati alla diffusione della cultura teatrale per le
giovani generazioni; sono tanti i cambiamenti sociali e
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culturali a cui assistiamo che ci aprono interrogativi sull’
attualità di alcune forme di spettacolo.
Tuttavia nel riscontro col pubblico abbiamo sempre la
conferma del magico potere che, con semplicità, le teste di
legno riescono a sprigionare.
Quindi non ci resta che dire: lunga vita a Sandrone e a tutta
la famiglia Pavironica!
Due settimane dedicate al teatro
Domenica 16 giugno ore 16.00 - 21.30
Una Villa da Favola
ore 10.00 - 12.00 e 16.00 - 21.30 Mostra nei seminterrati
Sandrone alla Reggia di Rivalta, alla scoperta dei lunari
a cura Ass.Insieme per Rivalta, in collaborazione con Biblioteca San Pellegrino-Marco Gerra
ore 17.00 - 19.00 Laboratorio burattini
a cura della Casa dei Burattini di Otello Sarzi (info e prenotazioni 331/7098958)
ore 17.30 - 18.30 Tra Reggio e Bologna, il viaggio di Sandrone lungo la via Emilia
Conferenza prof. Remo Melloni
ore 19.00 Pic Nic sul prato
ore 21.30 Spettacolo di burattini “Sandrone re dei mammalucchi” della Compagnia I
burattini di Romano Danielli, in collaborazione con Associazione 5T
Durante la settimana:
Visite guidate alla mostra “Sandrone alla Reggia di Rivalta,
alla scoperta dei lunari”
per gruppi e campi giochi prenotazione presso Ass. Insieme per Rivalta tel. 340/9775042
Domenica 23 giugno ore 10.00 - 22.00
La rugiada di S. Giovanni
ore 10.00 - 12.00 e 16.00 - 21.30 Mostra nei seminterrati
Sandrone alla Reggia di Rivalta, alla scoperta dei lunari
a cura di Associazione Insieme per Rivalta, in collaborazione con Biblioteca San PellegrinoMarco Gerra
15.00 - 17.00 Visita guidata alla mostra
a cura di Remo Melloni, Linda Eroli, Lauro Gaddi, Romana Saccheggiani
prenotazioni presso Associazione Insieme per Rivalta tel. 340/9775042
ore 17.00 Atelier di Carlotta
laboratorio per bambini da 0 a 99 anni
a cura dell’Associazione ALEF, info. tel.320 4167346
ore 19.00 Tortellata con la corte in costume
a cura di Associazione Insieme per Rivalta
ore 20.00 Sproloqui di Sandrone dalle finestre della Reggia
I discorsi irriverenti di Sandrone, contadino erudito del volgare reggiano
a cura di Roberto Fantuzzi e Associazione Insieme per Rivalta
ore 22.00 Al corag ed parler
Commedia dialettale della Compagnia Teatro della Casca
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SANDRONE
prof. Remo Melloni
La figura di Sandrone, tanto presente nel nostro immaginario,
è un personaggio che stimola la nostra memoria, i nostri
ricordi: un personaggio identificato da sempre con un
contadino ignorante che ha fatto divertire intere generazioni,
e non solo, di emiliane.
Se però indaghiamo a fondo nella sua storia, ci accorgiamo
che su di lui esiste una vastissima letteratura, molta della
quale ancora manoscritta, oppure pubblicata secoli fa, e mai
più ristampata.
Diventa difficile affrontare scientificamente questa maschera
(spesso definita così),
ma che in realtà è un carattere.
Sandrone, a differenza di Arlecchino, Brighella e di tutti i
personaggi della Commedia dell’Arte, non ha mai portato, sul
viso, una maschera, pur nascendo nello stesso periodo, il XVI
secolo.
Infatti la Commedia dell’Arte risale alla metà del
Cinquecento quando un gruppo di attori decise, nel 1545 a
Padova, di presentarsi davanti ad un notaio per costituire una
società con finalità di recitare commedie.
Intorno a quegli stessi anni Giulio Cesare Croce (San Giovanni
in Persiceto 1550 – Bologna
1609) commediografo,
cantastorie e scrittore di zirudelle, (composizioni
umoristiche in rima), aveva cominciato a pubblicare i suoi
scritti. Questi è maggiormente conosciuto per il suo Bertoldo
e Bertoldino ed è autore di circa trecento composizioni;
Sandrone compare in alcuni suoi libretti ed è addirittura
protagonista di una commedia.
Dal Cinquecento il nome di Sandrone comincia ad essere
presente in Emilia. Vale la pena di riportare una nota del
grande studioso reggiano Ugo Bellocchi che nel suo
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fondamentale studio Il “volgare”reggiano, pubblicato a
Reggio Emilia nel 1966, a pagina 123 scrive:” In ossequio al
desiderio di completezza, rileveremo che nel 1686 si stampò
a Parma un calendario (“Discors d’astrulizie fatt da mi
Sandrun Garbui dall’arquliez pr l’ann 1686. In Parma, per
Iuseff Dall’Olio e Impolit Rosati) che Antonio Restori, [ nella
sua] La battaglia del 29 giugno 1734, Parma, 1893, ritiene
opera di qualche reggiano. L’ipotesi non appare credibile e,
in ogni caso, non è documentabile. Luigi Grazzi, Parma
romantica attraverso i suoi lunari da muro del secolo XIX,
Parma 1964, a pag. 24, ritiene che tale calendario sia di un
parmense “che reggianizzava a Parma ed aveva simpatie da
coltivare negli Stati Estensi”.
Questa nota, comunque, dovrebbe essere approfondita e la
dice lunga sugli studi che si dovranno fare attorno al nome –
personaggio – figura di Sandrone.
Dopo il Croce, senza nessuna continuità finora accertata,
compare, negli anni ’30 del Settecento, il nostro Sandroun
Zigolla da Ruvelta, creato, si suppone, da un parroco, don
Rovatti.
I lunari proseguono fino al 1767, l’ultimo da noi conosciuto.
È tra gli ultimi anni del Settecento ed i primi dell’Ottocento,
durante l’invasione napoleonica, che Luigi Rimini
Campogalliani inserisce tra i suoi burattini Sandrone,
eleggendolo protagonista del teatro dei burattini.
Abbiamo quindi tre “Sandroni”: quello del Croce, il Sandroun
Zigolla e quello di Campogalliani.
Lo studio che intendiamo intraprendere è quello di verificare
se esiste,
ragionevolmente,
un nesso tra questi tre
personaggi che portano lo stesso nome. In questa sede
proveremo a tracciarne una breve sintesi, in vista di uno
studio più approfondito e puntuale.
Giulio Cesare Croce potrebbe essere considerato l’ultimo
menestrello medievale e nello stesso tempo il primo
cantastorie moderno. Di umili origini, figlio di un fabbro, fu
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avviato comunque agli studi. Rimasto orfano si trasferì a
Castelfranco dove fu affidato allo zio. Assieme a quest’ultimo
si trasferì successivamente a Medicina. Lo studio non era
fatto per lui e decise di intraprendere il mestiere del padre
che abbandonò dopo essersi scoperto “poeta campestre”.
Si trasferì allora a Bologna dove divideva la professione di
fabbro con quella di “poeta di piazza”, proseguendo
autonomamente gli studi leggendo i classici, in particolare
Ovidio. Successivamente decise di dedicarsi solo alla poesia e
iniziò a pubblicare i suoi primi testi nel 1586; si trattava, in
un primo tempo, di opuscoli di quattro pagine stampati su
cartoncino chiamati anche ventarole perché venivano usati
per farsi vento. Si trattava di generi derivati dalla cultura
medievale,
canzoni,
dialoghi,
mariazzi,
contrasti,
barzellette, frottole, sonetti e commedie vere e proprie.
Intraprese vari viaggi e portò le sue scritture poetiche anche
a Modena, Ferrara, Mantova, Venezia e forse anche a
Firenze.
Ebbe due mogli e quattordici figli. Visse sempre ai margini
della povertà e pochi furono i testi che gli sopravvissero, in
particolare Le sottilissime astuzie di Bertoldo, dove si scorge
un villano accorto e sagace il quale doppo varii e strani
accidenti a lui intervenuti, alla fine per il suo ingegno raro
et acuto vien fatto homo di corte e Regio Consigliere. Opera
nova et di grandissimo gusto pubblicata a Milano nel 1606 e
quella di pubblicata a Modena-Bologna di due anni dopo che
porta per titolo Le sottilissime astuzie di Bertoldo.
Nuovamente riviste et ristampate con il suo Testamento
nell’ultimo, et altri detti sententiosi, che nel primo non
erano.
Pubblicò innumerevoli composizioni. Il primo elenco, fatto
stampare dallo stesso Croce, riporta 478 titoli dei quali 29
manoscritti. Nella seconda metà del Cinquecento vendeva
fogli volanti, libretti per le strade e per le piazze,
prevalentemente in occasione di fiere e mercati dove si
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esibiva accompagnandosi col violino: per questo fu chiamato
anche Giulio Cesare dalla lira.
Toccò tutti i temi della poesia popolare: dai contrasti tra
amanti a quello tra meloni e fichi, tra estate e inverno;
scriveva testi su fatti di cronaca come l’impiccagione di un
famoso bandito dell’epoca, su matrimoni anche improbabili
tra una rana e un passero con la nascita di una cavalletta.
Bologna era la sua piazza principale, ma come abbiamo
detto, sappiamo che si recò anche in altre città. Questo suo
girovagare presupponeva un contatto stretto con i suoi
clienti-ammiratori che erano soprattutto i frequentatori delle
fiere, dei mercati e probabilmente, oltre che a vendere i suoi
fogli volanti e i suoi libretti, raccoglieva notizie,
informazioni, fatti accaduti che diventavano oggetto dei suoi
componimenti.
A quei tempi l'alfabetizzazione letteraria era estremamente
limitata e viene quindi da chiedersi come mai la gente
comprasse testi scritti e che davano da campare, seppure
malamente, a personaggi come il Croce. Certamente
all’interno della comunità vi era qualcuno che si prestava a
leggere, ma soprattutto non dobbiamo dimenticare che
quella a cui si rivolgeva il Croce, era una cultura soprattutto
orale... che, a differenza di noi, non usava la carta per
prendere appunti e fissare idee...La capacità di memorizzare
era estremamente diffusa e radicata, bastava che un testo
fosse ascoltato pochissime volte per essere memorizzato. È
probabilmente questa memoria che ha permesso di
mantenere e diffondere per generazioni testi formalizzati,
canzoni che, grazie ai versi con le rime e alla musica che
supportava le parole, favoriva il ricordo di fatti e
avvenimenti.
Croce scrisse, tra l’altro, un mariazzo, una sorta di breve
commedia dal titolo LA/FILIPPA/COMATTUTA/Per AMORE, da
duoi Villani/Con la Sentenza di/lei in pigiare quello, che
a/più longo il Naso per Marito. Racconta la storia della bella
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Filippa che deve scegliere tra due pretendenti, Mingon e
Gaspar. Lei sceglie quest’ultimo perché ha più lungo il naso:
Gaspar, ch’a lung al nas, m’va più pr’al fasol.
(Gaspar, che ha il naso lungo mi va più a fagiolo), ricordando
che Filippa, nel mondo popolare, si riferiva anche all’organo
genitale femminile ed il naso a quello maschile.
Ebbene questa breve composizione che ha avuto ben poche
edizioni a stampa (la più recente è attorno al 1830) e si è
tramandata con poche edizioni manoscritte, soprattutto
oralmente, è stata messa in scena nelle campagne bolognesi
e modenesi fino alla metà del secolo scorso. Solo così si
spiega la ricchezza di fonti orali, raccolte ancora oggi e che
risalgono anche a vari secoli fa.
Sandrone compare in vari testi del Croce. Nel dialogo dal
titolo VANTO/DI DUI VILLANI/CIOE’/SANDRONE BURTLIN/
sopra l’astutie tenute da essi nel vender le
castellate/quest’anno/cosa bella da ridere
Sandrone e
Burtlin sono due contadini che si preparano per andare a
vendere l’uva lamentando la tirchieria dei padroni e i
tentativi, da parte dei contadini stessi, di imbrogliare
rubando parte dei raccolti. Sandrone cerca di non farsi
buggerare, lui rivendica la propria onestà, ciò gli permette di
fare sonni tranquilli.
Il Sandrone Astuto è una commedia vera e propria messa in
scena, qualche tempo fa, dalla compagnia dialettale
bolognese diretta da Romano Danielli. Qui Sandrone è il
fattore di un buon podere. Il padrone, che si è avventurato in
un lungo viaggio, tarda a tornare e il nostro eroe cerca di
impossessarsene. Al ritorno, però, del legittimo proprietario,
lo restituisce. Altro testo in cui compare un personaggio dallo
stesso nome, è lo Smergolamento. Qui costretto ad andare
alla guerra, viene pianto dalla madre che dovrà rinunciare
all’aiuto del figlio per tirare avanti. Col Croce non possiamo
parlare di un vero e proprio personaggio. Egli gioca ruoli
diversi, con caratteri diversi. Possiamo, secondo noi, parlare
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di nomi di un nome che ricorre in poche composizioni, non di
un carattere ricorrente. In tutti i casi è riconducibile ad un
ambiente contadino ma non dobbiamo dimenticare che a
quei tempi la stragrande maggioranza delle persone si
dedicava al lavoro in campagna.
Per finire, il Croce, per la sua storia e per le sue
frequentazioni, faceva parte di quel mondo popolare, a cui
stesso si rivolgeva, di cui non vedeva solo i limiti.
Era parte di quella società, ne sapeva interpretare le
aspirazioni e i sogni.
Ben diversa è la figura di Sandrone nei Lunari reggiani. Qui
diventa se non una maschera, un personaggio, con proprie
caratteristiche, con una propria psicologia.
Questi lunari, nati attorno alla metà degli anni ’30 del
Settecento, si suppone siano stati compilati da un certo
Domenico Rovatti, che figura tra gli “Accademici Sconvolti”
come filodrammatico nel 1707 e che poi divenne prete, come
riporta Ugo Bellocchi nel suo Volgare Reggiano.
Certamente l’estensore degli almanacchi era persona colta e
letterata, e conosceva approfonditamente anche il dialetto
reggiano. La lingua italiana a quei tempi era poco diffusa se
non negli ambienti aristocratici dove comunque il dialetto
era ampiamente utilizzato.
I lunari che sono pervenuti fino a noi sono quelli degli anni
1757, 1758, 1760 e 1767. Questi sono impostati sempre con
la stessa struttura, il calendario vero e proprio è preceduto
da una breve commediola dove il protagonista è Sandroun
Zigolla da Ruvelta. Il motivo del perché il nostro Sandrone
sia di Rivalta, gli studiosi ritengono che dipenda dal fatto che
a Rivalta il duca di Modena abbia voluto il suo magnifico e
principesco palazzo estivo, fatto costruire dal 1722 al 1733
ispirandosi alla reggia di Versaillés. Credo però che a questa
motivazione si possa aggiungere che uno degli elementi di
comicità delle figure popolari o popolareggianti, come in
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questo caso, fosse il divario tra campagna e città.
Quest’ultima era il luogo degli scambi culturali e
commerciali, qui circolavano più fitte le informazioni,
mentre nella periferia i contadini erano la maggior parte
della popolazione, con una presenza molto alta di
analfabetismo.
Qui Sandrone è battezzato col nome di Alessandro ed essendo
di corporatura robusta, il nome è cambiato in Sandrone. È un
contadino che in gioventù aveva fatto qualche studio, ma
senza troppi risultati tanto che a volte si esprime in italiano
maccheronico con una fortissima influenza dialettale. Il
cognome Cipolla ne connota definitivamente l’origine.
D’altra parte anche questa è una caratteristica che lo
accompagnerà nel teatro dei burattini. È un contadino pieno
di buonsenso e di arguzia, figlio della prima metà del suo
secolo dove le classi sociali sono ben definite e ciascuno deve
rimanere al suo posto. Per questo un altro elemento di
comicità è la critica alla lingua e alla moda delle donne e non
poteva essere diversamente in questo secolo codino che
lentamente si riscatterà con l’Illuminismo. Questo però non si
diffonderà a livello popolare se non, qualche decennio dopo,
con l’arrivo di Napoleone.
Nel lunario del 1757, compare il Dialgh rustigal tra Sandròun
e la Sgnòura Betta inzivlida. Qui Betta è una contadina che
si finge gran signora, si preoccupa della moda, fiuta il
tabacco e porta una collana di finto corallo.
Nel dialogo tra Sandroun e la Minghina del 1758, Minghina,
illetterata, si reca da Sandrone per farsi leggere una lettera
che gli è arrivata dal marito Tognett lontano da tre mesi.
Non manca l’occasione di ricordare i bei tempi andati quando
le madri frenavano le figlie che volevano recarsi al ballo
mentre oggi le lasciano andare ed esibirsi in una Gajerda
(Gagliarda), una Squassaboschai, o in una Gigla (giga)...tutti
antichi balli testimoniati nel nostro lunario. Inoltre le ragazze
non perdono tempo per farsi avvicinare dai ragazzi e
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addirittura si fan tenere la schaela chms fa dal foja, (si fan
tenere la scala mentre raccolgono le foglie). Il raccogliere le
foglie fresche dagli alberi era una delle attività di
competenza prettamente femminile. Questa serviva anche
per l’alimentazione dei bachi da seta. Va fatto notare che
nel mondo contadino non vi era l’uso della biancheria intima
e questa citazione la dice lunga della malizia del nostro
Sandrone che sostiene, tra l’altro, che le fanciulle devono
sottostare al controllo degli adulti. Comunque nel caso si
sposassero e avessero dei grilli per la testa, ci penserà il
marito a metterle in riga… col bastone!
A quei tempi, l’uso del bastone, come strumento di
punizione, era molto diffuso, anche per i servitori e verrà
ampiamente adottato dal teatro dei burattini.
Il lunario del 1760 si apre con una breve commediola dove
compaiono la signora Isabella, vedova affetteda e auriousa,
Tognina sua serva, Sandroun Bastian, rzdour, Stasia sua
moglie, Minghina sua figlia e Paulein suo fratello. Isabella è
una giovane vedova ventenne legata al testamento del marito
che la vedrebbe perdere tutte le rendite nel caso si
risposasse. Da Reggio è in villeggiatura a Rivalta per godersi
il fresco collinare ed anche per vedere di trovare un altro
marito. Questo atto unico è uno spaccato di vita
estremamente interessante dove si testimoniano anche i
passatempi, si enumerano vari giochi con le carte, viene
messa in evidenza la superficialità cittadina rispetto al
concreto lavoro dei contadini. Isabella si atteggia a gran
signora, ma in realtà appartiene al mondo popolare e cerca,
ostentando le sue irreali ricchezze, di far colpo su Sandrone
che ben presto si accorge dell’inganno.
Nel lunario del 1761, la commediola si svolge alla periferia
di Rivalta. Sandrone e Palgreina, moglie di Matté camminano
assieme verso casa . Questa gli racconta che il marito non
vale nulla e lo paragona al bregh d’un impicchae (le brache
di un impiccato). Va ricordato che gli impiccati, durante la
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macabra esecuzione, se la facevano sotto. Il marito spende
tutto al gioco del lotto e va a divertirsi all’osteria con
l’amico Ambrues. L’osteria a quei tempi non era il bar di
oggi. Chi vi andava era mal visto perché il luogo era
frequentato da carrettieri, fannulloni e spesso anche da
prostitute. Arrivano a Rivalta dove si ritrova tutta la
compagnia compresi i figli di Matè, Tognet e Alcietta e ne
scaturisce una terribile lite dove Sandrone, fidandosi della
sua autorità, fa da paciere, enunciando i doveri degli
uomini, della loro condizione senza dimenticare qualche
frecciata ai cattivi costumi delle donne sempre interessate ai
vestiti e alle mode dei signori....e questi non fanno per loro
perché sono contadine e povere.
Nell’ultimo lunario di Zandroun Zigolla del 1767, l’autore
dichiara di essere diventato vecchio e che da sia lustr e puh
e faz al me lunari,/Cmanzand in foi volant e po in libret,
(sei lustri e più che faccio il mio lunario/ cominciando con
foglio volante e poi in libretto,…), è da qui che sappiano che
i primi lunari probabilmente risalgono alla metà egli anni ’30
e che ne sarebbero stati pubblicati alcuni numeri in fogli
volanti. Sandrone dichiara inoltre di lasciare al figlio di un
amico, certo Terenziano Bombasono, i suoi libri, di
insegnargli matematica e astronomia forse nella speranza che
continui lui la compilazione dei lunari.
I lunari sono una testimonianza preziosa, oltre che dal punto
di vista linguistico anche per lo spaccato che ci offrono della
vita popolare di quegli anni. Certo non risentono dei tempi
nuovi che porterà l’Illuminismo, che vedremo con l’arrivo di
Sandrone burattino.
Sandrone è astronomo, calcola le feste mobili come la
Pasqua, l’Ascensione e l’Avvento, le quattro tempora
(quattro serie di tre giorni di digiuno e di astinenza, istituite
dalla Chiesa al principio delle quattro stagioni dell'anno) e
ricorda i tempi proibiti per i matrimoni, dalla prima
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domenica di Quaresima fino all’ottava di Pasqua e dalla
prima domenica d’Avvento fino all’Epifania.
Entrando più specificatamente nel calendario, dove sono
ricordate solo le feste religiose ed i santi più importanti per i
contadini, vengono indicate alcune delle attività del mondo
rurale: il 12 di gennaio suggerisce di ammazzare il maiale, il
25 febbraio di far la Tourta, ma d’Castagn, il 7aprile
consiglia di seminare fagioli e meloni. Vi sono poi una serie di
affermazioni come è boun bovr a pè dal fuaeg, sabato 24
gennaio i Zovnott evolen baller, visto che siamo in tempo di
carnevale, in tla stalla l’è boun staer. In altri casi vi sono
affermazioni forse ovvie ma che possono aiutarci a star
meglio come Stae alliegr, o al bou teimp pies a tucc, la
campagna è godibla, la Cigolla dà boun bovr, i cattiv dannez
i boun, oppure la notizia, il 14 e 15 novembre du Morous e
s’en bastonae / pr una vedva inamoraeda . Molto meno si
azzarda il nostro Sandrone sulle previsioni del tempo, il 21
gennaio prevede fumana, il 22 febbraio teimp smargleint, il
14 marzo gran sbolfred d’veint, e il 30 luglio al gran cheld
fiaca, ed ancora teimp nojous.
Non mancano, ovviamente, anche le annotazioni morali, la
vartù n’cura ricchez, la vritae è da loders, la superbia s’dev
biasmaer, bvj pur poc ‘an vli crpaer, al Vein tous la man,
chi ha dinaer ha rasoun, la modestia è piasuda. Infine non
mancano le frecciatine alle donne: en crdj al piat dl Don,
gran bisbili pruna Spusa, chi ha mojer ha un’ intrig, e il
giorno dopo, bella cousa esser libr, fino ad esortare o Don, la
lingua a Cà.
Di motti, oltre a questi tratti dal lunario del 1761, ne sono
riportati moltissimi anche in tutti gli altri lunari, così come
non mancano proverbi e modi di dire, espressioni e locuzioni
fondamentali per lo studio del dialetto.
Certamente il secolo d’oro del dialetto, come afferma Ugo
Bellocchi nel suo studio sul dialetto reggiano, è l’Ottocento
20
che vede affermarsi il Sandrone burattino. Questi è
certamente una delle figure più documentate. Nasce tra
Settecento e Ottocento, in pieno periodo napoleonico. Chi ci
fornisce le informazioni sulla nascita di Sandrone nel casotto
delle teste di legno, è burattino è Giulio Preti pubblica in
“Diario Sacro Modenese”, a Modena nel 1883, una sua breve
autobiografia dove parla anche del suocero Luigi Rimini
Campogalliani. Quest’ultimo era nato a Carpi nel 1775 e dopo
aver frequentato le prime classi elementari aveva intrapreso
la professione di carrozzaio, successivamente decise di
diventare burattinaio. Conobbe un orbo, cantante, suonatore
e cantastorie ambulante, si pose a girare il mondo con esso
lui… Fu quest’orbo che gli disse: dovreste mettere tra i
vostri burattini mio padre Alessandrino o Sandrino: allora,
v’assicuro, fareste ridere!… Giulio Preti continua
descrivendo la storia del carattere: … Luigi allora studiò il
padre dell’orbo contadino, che volendo parlare parola finita,
anzi l’italiano, sbardellava spropositi madornali. Questo
carattere comico gli piacque e lo pose sulle scene
burattinesche col nome di Sandrone così facendo nascere la
maschera modenese che mi doveva rendere… devo dirlo?
Famoso…Sandrone quindi nasce parlando un italiano
maccheronico, che sarà anche frammischiato con il dialetto.
È il contadino del Bosco di Sotto, che ignora quel che accade
fuori dal suo ambiente, è quindi ignorante ma non stupido.
Il Campogalliani rinnova il teatro dei burattini, fa diventare
la baracca un vero e proprio teatrino, con sipario, quinte e
scenografie. I burattini, che erano precedentemente scolpiti
in modo grossolano e ricavati spesso dai tappi delle botti, ora
sono intagliati con maestria. Anche il repertorio viene
ampliato e rinnovato.
La vita di Luigi fu abbastanza movimentata. Arrivò ad
abbandonare la moglie e i figli, a Carpi, per unirsi alla bella
Angiola, una giovane fanciulla conosciuta durante il suo
girovagare a Brescello. Addirittura decise di sposarla
21
sostenendo di essere vedovo. Il prete di Brescello, si informò
però dal vescovo di Carpi il quale rispose che non solo aveva
una moglie, ma anche numerosi figli. Furono mandati i birri
ad arrestare issofatto il seduttore Campogalliani. Costui
sorpreso in letto, tuttoché fosse in leggero farsetto
notturno, si lanciò, come avrebbe fatto uno de’ ginnasti
della Fratellanza o del Panaro, giù da un’alta finestra: corse
all’argine del Po che attraversò a nuoto, e, più fortunato di
Leandro, sorvolato all’acqua ed ai suoi pericoli, giunse nelle
Berlete di Viadana ove si nascose.
Con Napoleone si impongono anche nuove regole
burocratiche. Tutti i teatranti, dalle compagnie di prosa a
quelle di burattini, per poter esercitare la loro professione,
devono chiedere il permesso ai Comuni. Per questo
riusciamo, se non a ricostruire tutti i loro movimenti, almeno
a documentare dove questi si esibivano.
Nella zona della Bassa Reggiana abbiamo ritrovato varie
richieste di permesso da lui firmate.
Già dai primi anni dell’Ottocento doveva essere un
burattinaio esperto tanto che nel 1811 lo ritroviamo a
Bologna, città dove già impera nei casotti, Fagiolino. Va
anche ricordato che il campanilismo tra bolognesi e modenesi
era molto vivo e certamente il nostro burattinaio non doveva
avere vita facile.
Questa presenza a Bologna è fondamentale per capire la
storia di Sandrone. Filippo Cuccoli, (1806-1872), è stato
considerato uno dei più grandi burattinai di tradizione
bolognese dell’Ottocento. Iniziò a lavorare coi burattini
attorno alla metà degli anni ’20 dell’Ottocento adottando
quale maschera principale Sandrone e portò i suoi primi
spettacoli alla periferia di Bologna anche per esercitarsi e
diventare esperto nell’arte.
Solo successivamente portò i suoi spettacoli a Bologna dove il
suo talento fu ampiamente riconosciuto e rimase famoso,
22
oltre che per la sua interpretazione di Fagiolino, anche per
quella di Sandrone.
Per gran parte dell’Ottocento fu proprio Sandrone ad essere
la spalla di Fagiolino. Questo Sandrone, a contatto con i
bolognesi, però è cambiato: innanzitutto invecchia, i suoi
capelli da neri o al massimo grigi, diventano bianchi. Il
sorriso smagliante si trasforma in una smorfia che fa
trasparire, mediamente, tre denti. Sul viso compaiono vistose
rughe e in molti casi anche un enorme foruncolo che chiama
furuncullo.
Non ci è pervenuto il burattino Sandrone di Luigi
Campogalliani; conosciamo però quello di Filippo Cuccoli
databile comunque ai primi decenni dell’Ottocento.
Questo non è così caratterizzato come quello che conosciamo
dei burattinai dalla metà del secolo in poi. A Bologna quindi
Sandrone invecchia col tempo e anche il suo carattere
peggiora: all’ignoranza si aggiunge la stupidità mettendo così
in evidenza la furbizia, l’intelligenza e l’arguzia di Fagiolino,
creando così il contrasto-conflitto.
Giulio Preti (Rolo 1804- Modena 1882) e dal quale abbiamo
riportato in corsivo le citazioni, era figlio di un falegname
ebanista che attorno al 1807 si stabilì a Modena. Giulio,
studiò disegno all’Accademia Ducale e andò a bottega da
Sante Lucini dove imparò pittura, meccanica, pirotecnica e
canto. Fin da piccolo era appassionato del teatro dei
burattini e conobbe a Modena i figli di Luigi, in particolare
Paolo, Francesco ed Ermenegilda che, divisi dal padre,
frequentava
assiduamente
dipingendo
scenografie,
fabbricando burattini e animando il personaggio di Sandrone.
I figli di Luigi, in gioventù, assieme alla moglie, si esibivano
spesso sulla piazza di Reggio Emilia rappresentando sia coi
burattini che in persona testi classici.
Dopo varie vicissitudini Giulio partì in tournée con loro e vi
rimase quasi un anno. Nel gennaio 1830 Giulio ed
Ermenegilda si sposarono e da qui nasce la dinastia Preti.
23
Giulio con la moglie e la suocera sono gli artefici di una
nuova compagnia che poco tempo dopo il matrimonio,
debutta a Scandiano.
È Giulio col figlio maggiore Guglielmo (Reggio E. 1831Modena 1916) che inserirà tra i personaggi prima Apollonia o
Polonia o Pulonia, moglie di Sandrone e successivamente il
figlio Sgorghiguelo (così chiamato perché si sgorga il naso con
le dita); Guglielmo più degli altri fratelli stenderà un enorme
repertorio. In baracca poi entreranno anche gli altri figli di
Giulio, Carlo detto Carlone (Modena 1834 – Salsomaggiore
1914), Enrico (Modena 1834 – 1921), Emilio (Modena 18451910): da lui discenderà il nipote Roberto che chiuderà la
dinastia. Ciascuno di loro, col matrimonio, costituiranno una
nuova compagnia e così i nipoti. Porteranno i loro spettacoli
in tutta l’Emilia, in Lombardia, Veneto già nell’Ottocento.
La dinastia Preti è importante anche perché tutti i loro
componenti rimarranno fedeli al carattere originario di
Sandrone. Quando compare la spalla, Sgorghiguelo, giocherà
soprattutto sul contrasto tra conoscenza e ignoranza, tra
arguzia e vivacità in contrapposizione a lentezza e gravità nel
parlare e ragionare.
Anni fa facevamo notare a Dario Preti, nipote di Carlo,
sostenitore della profonda moralità dei loro spettacoli, che la
figura di Sgorghiguelo non era troppo edificante in quanto,
seppur raramente, allungava qualche colpo di bastone al
padre. Lui rispose che comunque le bastonate non erano mai
date troppo forte.
24
Ci troviamo quindi di fronte a due Sandroni diversi, quello di
Campogalliani elaborato da Giulio Preti e quello ridotto a
spalla di Cuccoli.
Sandrone di Carlo Preti
Sandrone di Filippo Cuccoli
Collezione Scuola Paolo Grassi di Milano
Con l’Unità d’Italia i contatti tra bolognesi e modenesi si
sono fatti sempre più stretti e la figura di Fagiolino sempre
più prende il sopravvento. Il Sandrone che via via si è venuto
ad imporre è soprattutto quello bolognese. Con la scomparsa
delle compagnie Preti si è perso il Sandrone originario.
I numerosi burattinai modenesi come i Maletti, Giuseppe
Ferrari, reggiani come Abelardo Bianchini di Fabbrico, Cervi
Dominatore di Castelnovo Sotto, i Menozzi di Guastalla, e
parmigiani come Guerrino Fattori di Lesignano Bagni e
soprattutto i Ferrari nella figura di Italo, riconoscono sempre
in Sandrone una dignità che lo inserisce in quell’ambito dei
contadini che sanno fare il proprio mestiere, sanno essere
generosi.
25
Sandrone di Guerrino Fattori
Collezione Scuola Paolo Grassi di Milano
La sua ignoranza viene messa in evidenza e diventa comicità
quando viene fatto uscire dal suo ambiente, quando deve
misurarsi con un mondo che sta fuori dalle cose, dalla realtà
che frequenta tutti i giorni. Questi burattinai emiliani che si
sono susseguiti dalla metà dell’Ottocento fino ad ora, pur
avendo sentito l’influenza della tradizione bolognese, si sono
però sempre abbastanza distinti. Questo anche perché nella
seconda metà dell’Ottocento, Sandrone a Bologna, pur
rimanendo presente, inizia ad interpretare ruoli secondari e
viene meno rappresentato. Il suo posto viene rimpiazzato,
attorno alla metà degli anni ’80, da Sganapino che, secondo
la tradizione, era un soldato austriaco così stupido da non
essere accettato dai suoi compagni al rientro in Austria dopo
il plebiscito del 1859. La sua riscoperta la dobbiamo a
26
Romano Danielli che lo ha rivalutato mettendo in scena
anche spettacoli dove lui ne è il protagonista come ad
esempio nella commedia, che si ritiene scritta da Luigi
Campogalliani, Sandrone re dei Mammalucchi.
Quando in età napoleonica cominciarono a nascere e a
diffondersi quelle, che oggi noi consideriamo le maschere
regionali (Fagiolino a Bologna, Gioppino a Bergamo, Gerolano
a Genova, Gianduja a Torino), Sandrone burattino si diffonde
anche al di fuori dall’Emilia, viene apprezzato e conosciuto
in Lombardia, in Piemonte e nel Veneto.
Queste maschere regionali, senza maschera, pur avendo
caratteristiche proprie ben marcate, hanno infinite
possibilità di azione. Ciascun burattinaio, proietta se stesso
nel personaggio facendone così una figura con sfumature
diverse. Non dobbiamo credere che le caratteristiche delle
maschere siano dei limiti; al contrario proprio per la loro
duttilità, quando sono messe inscena da artisti, possono
emozionare anche il pubblico di oggi.
Ciascun burattinaio ha quindi messo in scena il suo Sandrone
e per questo si sono avvicendati sulle ribalte tanti e tanti
Sandroni.
Alla biblioteca Panizzi sono presenti numerosi documenti,
anche manoscritti, che testimoniano la popolarità di
Sandrone. A questi vanno aggiunte le centinaia di copioni che
abbiamo individuato nei periodi dell’Ottocento e del
Novecento.
I documenti della biblioteca di Reggio Emilia sono stati
studiati attentamente dal Bellocchi e dal Curti. Soprattutto
quest’ultimo ha rivendicato l'origine reggiana di Sandrone. Va
inoltre rimarcato che
le affinità tra questo nostro
personaggio dei lunari e quello dei burattini sono a volte
distanti. Nel Croce poi, i vari personaggi che portano il nome
di Sandrone si fermano spesso ad una pura omonimia. Certo
ritroviamo spesso delle coincidenze nel linguaggio come ad
27
esempio l’uso dell’italiano maccheronico che però ritroviamo
anche nella maggior parte delle maschere regionali.
Su una cosa però dobbiamo dare assolutamente ragione al
Curti: quando afferma l’origine nella zona reggiana di
Sandrone.
D’altra parte il Campogalliani portava i suoi spettacoli in
quella che oggi è la provincia di Reggio Emilia e varie
richieste di permesso sono state ritrovate a Gualtieri. Inoltre
l’ inconveniente di Brescello testimonia la sua presenza. È
riconosciuto dagli studiosi modenesi, che il burattino ha i suoi
natali al “Bosco di Sotto di Modena”, una località, da loro,
non ben identificata. La novità è che noi l’abbiamo trovata
con tanto di cartina. Si tratta di Cà del Bosco Sotto che nella
grande carta di Domenico Vandelli (1691-1754), stampata
nel 1746 dal titolo “STATI DEL SERENISSIMO SIGNOR DUCA DI
MODENA IN ITALIA…”, e dedicata a “Francesco III Duca di
Modena e Reggio”: Ca del Bosco Sotto viene chiamato “Bosco
di Sotto”.
Inoltre vari burattinai reggiani hanno rivendicato questa
località come effettivamente il luogo dove avrebbe avuto i
natali, ovviamente immaginari, il burattino Sandrone. Per
dare forza a questa credenza ci piace concludere con le
testimonianze di Mario Menozzi, burattinaio di Guastalla e
del figlio Dimmo. La prima volta che entrò in scena Sandrone,
fu in una grande corte ancora oggi esistente, di Cà del Bosco
Sotto, la Barisella. Qui esiste ancora una nicchia che doveva
contenere un busto al quale Campogalliani si sarebbe ispirato
per intagliare il burattino. La nicchia esiste ancora… ma è
murata.
28
Breve sunto bibliografico
Il nostro scopo non è tracciare l’evoluzione del volgare
reggiano ma, attraverso i documenti originali, vedere quale è
l’evoluzione dei testi, dei loro contenuti, in una terra che
prima di molte altre si è qualificata per attenzione
etnoantropologica ed evoluzione sociale.
Per questo la nostra attenzione è rivolta ai documenti
originali del passato, sia quelli formalizzati in versi che quelli
in prosa. Molto importante è la drammaturgia teatrale della
quale abbiamo a disposizione una quantità incredibile di testi
che riguardano sia il teatro di prosa ma soprattutto quello dei
burattini. Questi ultimi, soprattutto non sono ancora stati
studiati puntualmente. Alcuni lunari dell’Ottocento hanno
ripreso la figura di Sandrone e questo nome ricorre varie
volte nelle raccolte della Biblioteca Panizzi sia nella
collezione dei manoscritti che nel fondamentale fondo Curti.
Vi sono inoltre importanti di studi in questo settore.
Fondamentale è l’opera di Ugo Bellocchi Il “volgare”
Reggiano, Reggio Emilia, 1966 dove viene proposto un
approfondito studio con una cospicua trascrizione di testi da
Cinquecento al Novecento.
A questo vanno aggiunti, dello stesso autore, Il volgare
reggiano: origine e sviluppo della letteratura dialettale di
Reggio Emilia e provincia, Reggio Emilia, 1976, e Il volgarfe
reggiano. Alle soglie del terzo millenio, Albinea, tecnograf,
1999.
Estremamente utili il Vocabolario reggiano-italiano di Giovan
Battista Ferrari e il Dizionario italiano-reggiano di Luigi
Ferrari e Luciano Serra.
Per quanto riguarda il mondo dei burattini, segnaliamo di
Giovanni Cavicchioli, Sandrone e il suo papà, Modena, 1962 e
Maletti, Bergonzini, Zagaglia, Burattini e burattinai, Modena,
1980.
29
La figura di Sandrone così come si sviluppa nell’Ottocento e
nel Novecento merita di essere ripresa in considerazione e ci
riferiamo soprattutto al teatro dei burattini perché egli
diventa personaggio profondamente legato al mondo
popolare tanto da diventarne il portavoce. Egli è presente in
tutti i momenti storici, dal Risorgimento all’Unità d’Italia,
dalle lotte contadine alla Resistenza. Si avrebbe così la
possibilità di integrare la storia ufficiale con chi spesso ne è
stato protagonista senza avere mai avuto nessuna parola in
capitolo.
Remo Melloni
è docente presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica ‘Paolo
Grassi’ di Milano dove insegna ‘Storia del teatro’ e ‘Teatro
d’animazione’. Collabora con l’Università Statale di Milano e
con l’Università Bicocca. Collabora con la Regione Emilia
Romagna per ricerche e studio dei materiali storici del teatro
d’animazione. Collabora con il Museo teatrale alla Scala di
Milano e con il Museo ‘Il castello dei burattini’ del comune di
Parma.
Interessi storico-etnografici incentrati sulla teatralità e
spettacolarità del mondo popolare, con particolare
riferimento agli aspetti della storia del teatro, del teatro di
animazione e alla drammaturgia, hanno prodotto una varietà
di esperienze che vanno dall'attività di ricerca vera e propria
(sul campo, bibliografica e d'archivio) a quella di riproposta
dei risultati raggiunti nelle varie forme dell'industria
culturale di oggi (pubblicistica, spettacoli, rasmissioni
radiofoniche, televisive, laboratori, mostre, convegni) alla
didattica.
30
Indagine su “Sandroun Zigolla da Ruvelta”
Lauro Gaddi
Sandrone Cipolla da Rivalta ci viene raccontato come un
simpatico e onesto contadino vissuto a Rivalta durante il
periodo estense. Animato da ferme convinzioni religiose,in
quanto alunno del curato del paese, scrisse (forse con l’aiuto
di don Domenico Rovatti) dal 1720 al 1767 apprezzati lunari
“in dialetto reggiano” con finalità moralizzatrici e utili
ammaestramenti spesso in contrapposizione allo sperpero e
allo scialacquio che probabilmente si teneva nella vicina
Reggia di Rivalta.
Sandrone divenne così il beniamino di tutti: amato dal
popolino che lo vedeva come proprio portavoce, e apprezzato
dalla classe agiata per via di quella
sua ridicola e
strampalata arguzia e poesia nel parlare.
Tutto questo ne decretò l’immortalità, infatti la simpatica
figura passò dai lunari (tuttora conservati alla Biblioteca
Panizzi) al teatro dei Burattini, diventando infine la
maschera prediletta dei Modenesi…..
Lo studioso Enrico Curti nel suo saggio del 1885, in cui
decreta la nascita e quindi la primogenitura a Rivalta, si
interroga sull’improvviso, successivo appellativo di Sandrone
ove da “Zigolla da Ruvelta” si passava a “Sandroun Paviroun
dal Bosch ed Sotta ed Modna”.
Sempre il Curti avvisa che era costume all’epoca indicare il
nostro capoluogo come “Reggio di Modena” ricordando la
capitale del ducato estense.
Per quanto riguarda invece gli appellativi rurali, essi ci
ricordano le origini rustiche e semplici del nostro
protagonista, che si nutre di semplici cipolle in
contrapposizione al gozzovigliare dei nobili e si riveste di
Pavera (l’erba palustre locale) che intrecciata può avere
diversi usi, perfino quello di confezionare rustici mantelli.
31
Il Curti conclude il suo studio con una domanda ed
un’auspicio: …”resterebbe a chiarire come al luogo di nascita
di Sandrone, che per me senza alcun dubbio è Rivalta, sia
succeduto il Bosco di Sotto, … sarebbe forse inverosimile il
supporre che una frazione della parte inferiore di Rivalta si
denominasse appunto, se non ufficialmente, almeno nel
linguaggio comune Bosco di Sotto? Sarò ben lieto se altri, più
fortunato ne’ suoi studi e nelle sue ricerche, riesca a
risolvere l’arduo problema”.
Raccogliendo dunque questo invito è doveroso guardare alla
Rivalta storica, alla sua vegetazione e alla sua giurisdizione:
entrambe più volte mutate nel corso dei secoli.
Contributo essenziale viene fornito dalla brillante tesi del
2002 di Danilo Morini sulla Rivalta Medievale, da cui si evince
come nel corso dell’alto medioevo il nostro villaggio fosse
rivestito da un fittissimo manto vegetale costituito
essenzialmente da tre foreste denominate:
Silva in Palarito, Silva in Farnito e Silva de Cruce per una
superficie complessiva di 47,77 ettari!
Nel corso degli anni vennero poi progressivamente ridotte
fino a scomparire, sovrapponendosi al destino politico di
Rivalta che da affermato Comune autonomo (XII-XIII secolo)
passò traumaticamente ad una giurisdizione gestita dai
canonici della Cattedrale di Reggio.
Nel corso di questo periodo dalle foreste si passò appunto ai
boschi, è infatti nel 1040 che viene citato per la prima volta
a Rivalta un Boscum Canonicorum (Bosco dei Canonici, che il
Morini propone di far coincidere con l’odierno toponimo
“Boschi di Puianello” un tempo sito entro i confini di
Rivalta).
Dal XIV secolo in poi il Boscum Canonicorum scompare dalle
cronache sostituito da un altro bosco denominato Nemus de
Argine. Quest’ultimo sempre di proprietà della Cattedrale di
Reggio è inserito nella documentazione inerente a Rivalta in
quanto gli abitanti del nostro villaggio dovevano offrire come
canone di affitto carri di legna provenienti appunto dal
32
Nemus de Argine ai canonici della Cattedrale. Quest’ultimo
localizzato e individuato nella bassa reggiana, nelle vicinanze
di una località ancor oggi chiamata Cadelbosco!
Eccolo dunque il collegamento cercato!
Per anni i nostri avi (tra cui forse anche Sandrone) non
bastando più la legna ottenuta dal Boscum Canonicorum
erano costretti a percorrere oltre 40 Km per recarsi a
Cadelbosco (di Sotto) presso il bosco Nemus de Argine, dove
col permesso della Cattedrale
disboscavano e quindi
saldavano l’affitto per le proprie tenute in quel di Rivalta
sotto forma di carri di legna.
Quindi la maliziosa e onesta figura di Sandrone venne forse
direttamente in contatto con gli abitanti di Cadelbosco di
sotto? Di sicuro, quest’ultimi, ne apprezzarono le vicende e
contribuirono a tramandarne la conoscenza.
Molti comunque rimangono gli indizi che legano strettamente
Sandrone all’abitato di Rivalta.
Leggendo infatti i divertenti dialoghi presenti nei lunari,
riusciamo addirittura a localizzare, seppur sommariamente,
la casa natale del nostro famoso concittadino, indicataci da
lui direttamente.
Infatti nel lunario del 1760 dal titolo “Usservazioun dal mot
dl’ strell attentameint ussarvèdi da Sandroun Zigolla da
Ruvelta” lo stesso protagonista indica alla signora Isabela
(vedva affeteda e ariousa) giunta a Rivalta in villeggiatura,
la Chiesa di Montericco, il castello di Albinea e il colle di
Mucciatella luoghi posti a decorare le nostre gioiose colline.
Non pago di tutto ciò indica, sempre alla signora Isabella, la
propria abitazione posta verso sera (quindi ad ovest) in
corrispondenza di una vecchia colombaia bianca.
E’ possibile dunque affermare che Sandrone risiedeva tra la
odierna statale 63 e il Modolena, proprio dove fin dal
Medioevo è andato sviluppandosi il primo nucleo del villaggio
di Rivalta.
Un’altra frecciata d’amore per il proprio paese è il nome
Ambrous individuato per il suo più caro amico e confidente.
33
Ambrogio infatti è anche il nome del Santo patrono scelto da
sempre per la parrocchia di Rivalta, quando già da tempo
immemorabile era sotto la giurisdizione spirituale della
metropoli lombarda.
Tutto questo simboleggia la radicata e convinta appartenenza
di Sandrone alla sua comunità per la quale non esita ad
esporsi in prima persona, valicandone i confini territoriali e
pure quelli temporali … se è vero che il suo affetto giunge
ancor oggi fino a noi pure con questo contributo.
Ultimamente forse per rinsaldare il necessario legame con i
nostri padri e i nostri avi o forse per la necessità di avere un
modello allegro di onesta operosità e schiettezza, alla
portata di tutti, si è assistito ad un proliferare benaugurante
di iniziative dedicate alla sua riscoperta.
Quest’anno la tradizionale sfilata di Carnevale, organizzata
dalla parrocchia di Rivalta con l’aiuto degli agricoltori del
paese che hanno messo a disposizione trattori e carri, ha
visto come maschera capofila proprio la figura di Sandrone.
La scuola elementare già da tempo con le sue insegnanti ha
svolto ricerche e approfondimenti sulla figura del nostro
simpatico contadino, e di recente i genitori della scuola, in
occasione del 150° dell’unità d’Italia, hanno rappresentato
una brillante commedia, più volte richiesta e ripetuta, sulla
storia della bandiera italiana raccontata proprio da Sandrone.
Ed infine anche l’editoria locale: tra articoli come quello di
Elena Prandi del 2007, e i contributi stabili su Reggio Storia
da parte del “centro studi sul dialetto reggiano” giustamente
ispirata a Sandrone, rappresentano contributi preziosi e
apprezzabili.
Dove ci porterà tutto questo percorso? Secondo T.S. Eliot “
…il fine di tutto il nostro esplorare sarà di giungere al punto
da cui siamo partiti (Rivalta) e di conoscere finalmente
questo luogo per la prima volta”.
34
Bibliografia:
-Prandi E., La maschera di Sandrone è nata nella Reggia ducale di
Rivalta, Il giornale di Reggio, 29 maggio 2007, pag 12.
-Cavicchioli G., Sandrone e il suo papà, Artioli Editore MilanoModena 1962
33
-Bellocchi U., 1966. Il volgare Reggiano, Deputazione di storia
patria per le antiche province modenesi Poligrafici Spa Reggio
Emilia, Volume primo
-Bagnoli G., 2012, Reggio Storia, dal n° 129 e successivi. Ed La
nuova Tipolito RE.
-Morini D., 2002, Rivalta nel reggiano: evoluzione di un
insediamento e di un territorio nel corso del medioevo. tesi di
laurea in lettere Moderne facoltà di Lettere e Filosofia. Univ. BO.
-Campanini A., 2003 Il Villaggio scomparso, Rivalta di Reggio nei
secoli IX-XIV,Ed BO.
Parrocchia S. Ambrogio Rivalta
Carnevale 2013
35
Indice
Presentazione
Uberto Spadoni
pag. 3
Introduzione
Romana Saccheggiani
pag. 5
Nonno raccontami una storia
Linda Eroli
pag. 7
Sandrone
Prof. Remo Melloni
pag.11
Indagine su “Sandroun Zigolla da Ruvelta”
Lauro Gaddi
pag.31
36
Stampa a cura
del Servizio Comunicazione
del Comune di Reggio Emilia
finito di stampare nel mese di giugno 2013
38
centro storico
In collaborazione con
Circoscrizione Sud e
Per una Comunità Educante di Rivalta
torrente Crostolo
Sandroun Zigolla da Ruvelta
16/23 giugno 2013
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