ACCADEMIA PER LA RIPROGRAMMAZIONE DIRETTORE: PROFESSOR MARIO PAPADIA Corso di counseling per la riprogrammazione 2011 - 2014 VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE RELATORE: PROFESSOR MARIO PAPADIA CANDIDATA: MAGDA TROTTA [email protected]) (per il testo integrale contattare: 1 Magda Trotta 2014 SOMMARIO INTRODUZIONE La scelta del tema – o, meglio, dei temi - di questo lavoro è stata il frutto di un lungo e faticoso travaglio che mi ha portato a cambiare argomento alla fine del corso, dopo aver - già nel settembre del 2013 - scelto e “dichiarato” di voler affrontare altre tematiche. Con il passar del tempo, però, ho cominciato a sentire la scelta iniziale sempre più lontana dal mio ”sentire”. Mi sono, dunque, messa in ascolto per poter cogliere il suggerimento che attendevo. In occasione dell’ultima lezione ho, dunque, raccolto una sollecitazione del Professor Papadia (mi farebbe un regalo chi volesse affrontare il tema della volontà!) grazie alla quale ho potuto individuare il primo tema, quello della volontà. A questo primo tema mi è parso opportuno affiancare quello della resilienza per i punti di contatto che – ritengo - leghino i due concetti. Rispetto a questo secondo tema voglio precisare che, già prima di cominciare il percorso di formazione per counselor, ne ero rimasta affascinata, tanto da volerne approfondire la conoscenza. Questo lavoro me ne ha offerto l’occasione! Lo stage di fine anno, infine, mi ha fornito le sollecitazioni e le suggestioni che attendevo per completare la mia scelta e, dunque, per considerare la trattazione della crisi come opportunità di cambiamento. Indagando con maggiore attenzione la mia motivazione rispetto alla scelta dei temi della volontà e della resilienza, ho trovato questa risposta: ne colgo la forza, la potenza, la possibilità di far leva sull’una e sull’altra per accompagnare il cliente nel percorso di cambiamento che la sua situazione richiede, ma che, soprattutto, il cliente sente di voler affrontare. E’ all’una quanto all’altra che facciamo appello quando arrivano il dolore e la sofferenza, esperienze alle quali la nostra fragilità, la fragilità della condizione umana, ci espongono. Per ciascuno di noi può essere diversa la causa, ma l’esperienza del dolore accomuna tutti. E con il dolore, al quale tentiamo di resistere, arriva di frequente la crisi che – accade spesso – trascende la situazione contingente, per “allargarsi” fino a diventare “esistenziale”. A me è accaduto, come a tanti altri. Nella mia esperienza la causa della crisi è stata quella del mancato coronamento del sogno cui quasi tutte le donne aspirano: la maternità. Con mio marito, che si è lasciato guidare da me, lasciandomi il potere, ma anche la responsabilità di prendere ogni iniziativa, ci siamo inoltrati in un percorso difficile e faticoso verso la genitorialità, anche adottiva, durato più di sei anni e VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 2 Magda Trotta 2014 conclusosi con un nulla di fatto. Ne siamo usciti distrutti, tanto da essere incapaci di parlare del nostro profondo dolore, tanto tra di noi, quanto con gli altri. Questa esperienza di maternità negata ha fortemente contribuito a minare le mie certezze. Ho vissuto in uno stato di totale smarrimento - che è durato a lungo- e ho provato il sapore del fallimento, io che non avevo mai mancato un obiettivo. Quando sono riuscita a recuperare un po’ di energia, ho provato a reagire e mi sono ritrovata a chiedermi “Come ricominciare, da dove, da cosa quando la vita ci travolge? e ancora “a quali risorse è possibile attingere per non essere sopraffatti dagli eventi negativi?” Mi sentivo profondamente sola, immersa nel mio dolore, ma, pian piano, ho cominciato a considerare che per me, come è capitato a quasi tutti, era arrivato il momento che richiedeva un cambio di rotta, una profonda trasformazione, una riprogrammazione. La vita, prima o poi, chiama ciascuno di noi a misurarsi con l’imprevisto, la fragilità della nostra condizione, il dolore e il fallimento. Tutti, prima o poi, siamo chiamati a vivere, ad affrontare la nostra crisi, non possiamo evitarlo. Quello che possiamo fare e non farci trovare impreparati. Ma le crisi possono davvero diventare opportunità? Credo di sì. E’ la mia esperienza, ma è anche l’esperienza di molti altri. Quello che ho cercato di fare per reagire alla situazione di disagio e sofferenza mi ha condotto – con naturalezza e senza che lo avessi considerato a priori– lì dove non avevo programmato, consentendomi di arrivare ben oltre l’obiettivo di superare la mia condizione di profonda frustrazione. Grazie al fortunato incontro con l’Accademia per la riprogrammazione ho avviato la mia personale riprogrammazione e, almeno inizialmente, ho creduto che mi sarei accontentata di aver intrapreso il cammino per la costruzione di un nuovo equilibrio e di una maggiore serenità, che mi sarebbe bastato avere una maggiore consapevolezza delle mie risorse, quelle alle quali avrei potuto attingere per affrontare i miei problemi. Ho realizzato, invece, man mano che mi addentravo nella scoperta delle potenzialità del counseling, che il mio obiettivo iniziale si era, in parte, trasformato e la riflessione di volere e potere fare del counseling la mia nuova professione, quella della maturità, non solo anagrafica, mi ha condotto alla decisione di “puntare” alla professione. La mia dolorosa esperienza personale, il faticoso lavoro fatto per accettare e superare il dolore, ma soprattutto la decisione di intraprendere un percorso formativo indirizzato alla relazione d’aiuto, ha dato nuovo senso e slancio alla mia vita e ha fortemente contribuito a generare quei cambiamenti dei quali sentivo di aver bisogno. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 3 Magda Trotta 2014 Oggi, accingendomi a chiudere la prima, fondamentale tappa del percorso che mi permetterà di diventare un counselor e, dunque, di aiutare le persone in difficoltà a trovare la strada per cambiare in meglio la propria vita, sono convinta che le dolorose esperienze del mio vissuto, oggi in buona misura elaborate, mi possano essere utili - nella relazione d’aiuto - ad entrare in risonanza con le sofferenze altrui. Naturalmente, oltre all’empatia, un buon counselor deve poter contare su tutta una serie di strumenti per aiutare il proprio cliente a riconoscere, utilizzare e rinforzare la possibilità di trasformare le avversità in opportunità, avviando, così, quel cambiamento evolutivo che, sostenendo la volontà e promuovendo la resilienza, possa accompagnarlo nella sua personale riprogrammazione. Ho scelto di introdurre i temi che saranno oggetto di questo mio lavoro riportando alcune frasi e/o aforismi su volontà e resilienza Per la volontà ho scelto le seguenti frasi: E' la volontà Friedrich von Schiller che fa l'uomo grande o piccolo. Dove c'è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà. Niccolò Machiavelli Si dice che il desiderio è il prodotto della volontà, ma in realtà è vero il contrario: la volontà è il prodotto del desiderio. Denis Diderot Sappi volere. La volontà è il mezzo più potente per chi sa valersene. Quest’ultima frase potrebbe essere di Amedeo Rotondi, noto con lo pseudonimo di Amadeus Voldben, scrittore e filosofo, studioso di esoterismo e tematiche spirituali, ma non sono riuscita ad appurarlo con certezza. La frase ha in sé potenza e fascino e non ho voluto rinunciarci, pur non potendo avere certezza della sua paternità! Per la resilienza ho scelto solo due definizioni che ritengo essere significativamente “descrittive”: Qualcuno, proponendo un collegamento suggestivo tra il significato originario di "resalio", che connotava anche il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare, definisce la resilienza “l’arte (o la capacità) di risalire sulla barca rovesciata” Per Boris Cyrulnik, psichiatra e psicanalista, la resilienza è ” l’arte di navigare sui torrenti”. Mi piaceva l’idea di introdurre questo mio lavoro riportando, anche se in modo estremamente sintetico, il pensiero di grandi “maestri” e così ho deciso di prendermi questa libertà, prima di addentrarmi nella mia personale “esplorazione”. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 4 Magda Trotta 2014 Venendo, dunque, al mio lavoro ecco alcuni brevi cenni sulla sua organizzazione. I primi due capitoli, dedicati rispettivamente alla volontà e alla resilienza, sono frutto di una ricerca bibliografica , condotta prevalentemente attraverso la rete, partendo dalla quale ho potuto approfondire le tematiche trattate utilizzando i testi indicati in bibliografia. La finalità di tale ricerca è stata quella di offrire al lettore definizioni, analisi ed indicazioni elaborate da autori accreditati da cui partire per proporre le mie personali riflessioni e conclusioni. Nel capitolo sulla volontà – in chiusura, quasi a voler creare un ponte ideale tra il più antico pensiero filosofico e il pensiero più vicino alla nostra realtà contemporanea - ho voluto inserire alcuni riferimenti alle conclusioni alle quali, su tale tema, è giunto Roberto Assagioli che, tra gli autori che hanno focalizzato maggiormente l’attenzione sullo studio e sull’attivazione della volontà, è considerato una figura di spicco. Il terzo capitolo contiene un approfondimento sul modello di counseling dell’Accademia - quello della riprogrammazione - ed è dedicato al tema della crisi che diviene occasione di riprogrammazione e, dunque, opportunità – opportunità per mettersi in gioco pienamente, opportunità per scoprire o riscoprire i propri talenti e le proprie risorse, opportunità per cambiare. In questo capitolo vengono ripresi i temi della volontà e della resilienza, “riproposti” quali programmi che determinano l’agire della persona e sui quali si ritiene possibile operare interventi di riprogrammazione. Ma tale capitolo è anche frutto delle mie esperienze, del mio vissuto e - soprattutto - del percorso personale e di formazione fatto in Accademia, sotto la sapiente e attenta guida del nostro formatore, il Professor Papadia, al quale va la mia più sincera e profonda riconoscenza per avermi offerto l’occasione - e gli strumenti - per essere quello che oggi sono diventata. Il lavoro si chiude, infine, con brevi conclusioni nelle quali ho provato ad esplicitare le ragioni per la quali la professione di counselor avrà (o dovrebbe avere) una diffusione sempre maggiore per aiutare a risalire sulla barca rovesciata tutti coloro caduti in mare a causa delle tempeste della vita. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 5 Magda Trotta 2014 CAPITOLO 1 - LA VOLONTÀ 1.1 CONSIDERAZIONI INIZIALI 6 Chi scrive, che nel proprio percorso formativo non ha mai avuto occasione di studiare in maniera “strutturata” una materia tanto affascinante quanto complessa quale la filosofia, ha deciso, ciononostante, di accettare una sfida di non poco conto. Non è stata un’impresa facile, tuttavia è stato davvero avvincente per me addentrarmi in una realtà a me quasi sconosciuta. La scoperta e il tentativo di approfondimento di alcuni concetti, a me assolutamente ignoti (mi riferisco, in particolare, alla volontà di potenza) hanno rappresentato per me un’occasione di profonda riflessione, occasione questa che ha avuto quale conseguenza un cambiamento che non avrei mai immaginato potesse derivare dall’elaborazione di un testo di studio. Esco da questa esperienza con una carica di energia tanto inattesa quanto utile per affrontare il percorso in salita di fronte al quale, proprio nel tempo di elaborazione del presente lavoro, la vita mi pone di fronte. Ho cercato di approcciare tutti gli argomenti trattati – alcuni dei quali indubbiamente complessi – con rigore, pur nella consapevolezza dei miei limiti. Spero che il risultato sia apprezzabile. Al lettore più esperto sui temi filosofici chiedo fin d’ora comprensione per eventuali inesattezze. 1.2 DEFINIZIONE Prima di addentrarmi nella trattazione filosofica - che occuperà buona parte del capitolo sulla volontà - partirei dalla definizione “moderna” di tale termine, richiamandone più d’una. La volontà viene definita: VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE Magda Trotta 2014 La facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati (enciclopedia on line Treccani ); la capacità di decidere e agire in modo da raggiungere il proprio scopo (Sabbatini Colletti); la capacità di volere, la facoltà di decidere consapevolmente il proprio comportamento in vista di un dato scopo (Garzanti). Le definizioni sopra riportate fanno chiaramente riferimento alla determinazione intenzionale e fattiva del soggetto che, per il raggiungimento di un preciso scopo, pone in essere azioni finalizzate al raggiungimento di tale scopo. Se le definizioni dell’era contemporanea non sembrano presentare troppi problemi visto che – pur con sfumature differenti - sembrano convergere verso intenzioni e conseguenti azioni finalizzate al raggiungimento di fini o scopi, se consideriamo il concetto di volontà sul piano filosofico il discorso cambia e di parecchio. 1.3 SVILUPPO DEL CONCETTO DI VOLONTÀ IN FILOSOFIA: BREVI CENNI Nel linguaggio filosofico con il termine volontà si intende far riferimento al principio di libera causalità che sfugge alla sequenza causale della necessità naturale. Il volere è la facoltà che inaugura l’azione, un principio spirituale che, in quanto atto di libertà, è sottratto alla catena delle cause e degli effetti. Nella tradizione filosofica, dunque, il concetto di volontà è legato al concetto di libertà. Quando si parla di volontà, dunque, si fa riferimento al libero volere, alla libertà del soggetto, ma cominciano già qui le prime difficoltà perché è indubbio che il termine libertà è uno dei più oscuri ed ambigui, e non soltanto nel linguaggio filosofico. Il tema del rapporto tra volontà e libertà ha radici profonde nella teologia e nella filosofia dell’Occidente ed ha attraversato secoli di storia per giungere fino a noi. Qui di seguito si propone una breve ricostruzione del pensiero filosofico sul tema della volontà e sul suo rapporto con il concetto di libertà. Il concetto di volontà è stato a lungo dibattuto in ambito filosofico soprattutto nel suo rapporto con la ragione e ad esso si è legata l’interpretazione di altri due concetti fondamentali: quelli di libertà - come già detto - e di virtù. Secondo il pensiero greco la volontà è subordinata alla ragione ed è strettamente dipendente dalla conoscenza: per Socrate (470/469 - 399 A.C.) l’azione malvagia si spiega con l’ignoranza poiché la volontà tende - di per sé - al bene e dipende dalla conoscenza di questo. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 7 Magda Trotta 2014 E’ la visione intellettualistica della volontà che è condizionata dal sapere: l’uomo, per sua natura, è orientato a scegliere ciò che è bene per lui e se non sceglie il bene è solo perché non lo conosce. Il male, in questa visione, non dipende da una libera volontà, ma è la conseguenza dell’ignoranza umana che scambia il male per bene. Questo aspetto dell’etica socratica viene approfondito da Platone (427 - 347 A.C.) che arriva a sostenere che la volontà ha quale unico suo oggetto il bene; il male, invece, è un non essere e, dunque, non si può scegliere ciò che non è. Aristotele (384 - 322 A.C.) affronta il problema della natura del volere in una prospettiva naturalistica e psicologica, ponendo nell’uomo il principio tanto del bene, quanto del male. Per Aristotele l’azione dell’individuo può essere considerata volontaria e libera se non nasce da condizionamenti esterni e se è predisposta a seguito di un’adeguata conoscenza di tutte le circostanze particolari che riguardano tale scelta; quanto più accurata sarà l’indagine svolta, tanto più libera potrà essere considerata la scelta corrispondente. Un rapporto di subordinazione della volontà alle facoltà conoscitive dell’uomo si ritrova anche in altre dottrine etiche antiche, orientate verso l’ideale dell’affrancamento dagli sconvolgimenti della volontà. Il tema della volontà del saggio che aderisce perfettamente al suo dovere (kathèkon) obbedendo ad una forza che agisce dal suo interno è centrale nello stoicismo. Tutto avviene secondo necessità e la volontà consiste nell’accettare il destino, qualunque esso sia, anche perché si è comunque destinati a farsi trascinare da esso. Questo è anche il senso della famosa metafora stoica che paragona la relazione uomo-Universo a quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi, con la differenza che chi si adeguerà all'andatura del carro avrà un tragitto armonioso; chi, invece, opporrà resistenza, avrà un tragitto e un’andatura tortuosi e sarà trascinato dal carro contro la sua volontà. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca (4 A.C. - 65 D.C) quando sostiene: «Ducunt volentem fata, nolentem trahunt» (Il destino guida chi lo accetta e trascina chi è riluttante). Plotino (204/203 D.C. - 269/270 D.C.), massimo esponente del neoplatonismo, analogamente a quanto afferma Platone, sostiene che il male non ha consistenza essendo solo una privazione del bene che è l’Uno assoluto. La volontà, quindi, consiste nella capacità dell’uomo di ritornare all’origine indifferenziata del tutto attraverso l’estasi che, però, non può essere mai il risultato di un’azione pianificata. Plotino rivaluta il procedere inconscio partendo dalla considerazione che il pensiero puramente logico e cosciente non è sufficiente per risalire verso l’intelligibile. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 8 Magda Trotta 2014 Alcuni autori considerano questo filosofo il precursore della psicanalisi e lo scopritore dell'inconscio. Con la sua teoria della doppia anima (quella superiore rivolta all'intelletto - e quella inferiore - rivolta al mondo terreno) Plotino formulò, infatti, le prime ipotesi sui processi non coscienti dello spirito, giungendo a definire due forme di pensiero distinto: il pensiero "intellettivo" e “intuitivo”, collegato alla contemplazione di archetipi, e il pensiero "discorsivo" che spesso coincide con ciò che noi chiamiamo "conscio". Nella tradizione teologica cristiana la volontà è libera perché l’uomo è considerato responsabile delle proprie azioni secondo la dottrina del libero arbitrio che si giustifica nell’economia del peccato e della pena. Solo se la volontà è libera è possibile attribuire l’azione negativa, il peccato a colui che li compie. La teologia cristiana accentuò l’aspetto volontaristico del neoplatonismo – a scapito di quello intellettualistico – riprendendo da Plotino il concetto dell’origine imperscrutabile della Volontà divina quale “Persona” che agisce intenzionalmente in vista di un fine. Il pensiero cristiano è il primo a riservare alla volontà, in quanto libera, un ruolo cruciale. Alla volontà dell’uomo viene lasciata la decisione del suo conformarsi o meno alla volontà divina. L’ambito della ragione, invece, viene riconosciuto come limitato e insufficiente, mentre viene ampliato il raggio d’azione della volontà in grado di condurre all’adesione alle Verità di fede indipendentemente dalle conoscenze dell’intelletto. San Tommaso d’Aquino (1225 - 1274), sulla scorta di Aristotele, definisce la volontà dell’essere umano un appetito intellettivo, che potremmo definire un desiderio, un tendere verso il fine ultimo, il Bene universale, conosciuto e valutato come bene dal soggetto. La volontà tende naturalmente al bene, ma nella sua esperienza l'uomo si deve confrontare con una molteplicità di beni particolari; la determinazione del rapporto tra questi beni e il Bene universale è libera ed è in questa determinazione che la volontà si esercita come libero arbitrio. La scelta, però, non è solo espressione della volontà; trattandosi, infatti, di appetito intellettivo, in essa compartecipa l'aspetto intellettivo che la caratterizza come attività esclusivamente umana. Si viene così a delineare un rapporto particolare tra volontà e intelletto, poiché l'intelletto vanta un primato rispetto alla volontà dal momento che essa tende ad un bene (universale) che le viene indicato proprio dall'attività valutativa dell'intelletto stesso; d'altro canto la volontà vanta il privilegio di non essere determinata dall'oggetto particolare a cui viene indirizzata e per questo è libera di seguire o meno le indicazioni dell'intelletto. Per San Tommaso l’intelletto - in sé e per sé - è assolutamente superiore e più nobile della volontà perché l’oggetto dell’intelletto è la stessa essenza del bene VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 9 Magda Trotta 2014 desiderabile, mentre il bene desiderabile, l’essenza del quale è nell’intelletto, è oggetto della volontà. La volontà è superiore all'intelletto quando l'oggetto della volontà è posto in una cosa più pregevole dell'oggetto dell'intelletto. La volontà si esprime positivamente solo desiderando e raggiungendo il bene che l'intelletto le presenta come vero. Il concetto della volontà in quanto volontà libera subisce uno sviluppo fortissimo nel pensiero moderno. E’ con Cartesio (1596 - 1650) che si ripropone il problema del rapporto ragione / volontà. Cartesio, da un lato, distingue intelletto e volontà, dall’altro considera la volontà come sinonimo del libero arbitrio in quanto facoltà di estendersi oltre il limite dell’intelletto generando, in tale maniera, l’errore e il male. Per Cartesio “la volontà consiste solamente in ciò: che noi possiamo fare una cosa o non farla senza sentirci costretti da nessuna forza esteriore. La volontà è origine dell’errore perché è libera per sua essenza. La sua forma è la libertà: la volontà dice sì o no oltre i limiti che la necessità dell’intelletto le porge”1. Cartesio, dunque, concepisce la volontà come facoltà distinta e più estesa rispetto all’intelletto il cui assenso può essere concesso pur in assenza di una conoscenza chiara e distinta delle cose. La volontà è, dunque, la causa dell’errore sia teoretico che pratico. Cartesio identifica la volontà con la libertà e considera la volontà una scelta impegnativa finalizzata a cercare la verità tramite il dubbio. L’errore è causato da una cattiva volontà che può costituire un ostacolo alla ricerca della verità. Spinoza (1632 - 1677) chiama volontà quel principio - che si riferisce alla sola mente - intrinseco all’essenza di ogni cosa (sforzo o conatus), mentre denomina appetito ciò che è riferito all’insieme del corpo e della mente. Spinoza riprende il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell’uomo, dunque, altro non è che la capacità di accettare la Legge universale ineluttabile che domina l’Universo. Leibniz (1646 - 1716) sostiene l’idea della volontà come semplice autonomia dell’uomo intesa quale accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, pur cercando di conciliarla con la concezione cristiana del libero arbitrio e della conseguente responsabilità. Leibniz fa riferimento al concetto di monade quale centro di forza dotato di una propria volontà; più monadi coesistono inserite in un quadro di armonia prestabilita dominata da una razionalità superiore, voluta da Dio - per un’esigenza di moralità da comprendere in un’ottica finalistica nella quale anche il male trova la sua giustificazione quale elemento che, nonostante tutto, concorre al bene e che, all’infinito, si risolve in quest’ultimo. Il grande passo compiuto da Cartesio nella direzione della distinzione tra intelletto e volontà trova una sua sistemazione definitiva in Kant (1724 - 1804). 1 Renato Cartesio, Opere filosofiche, Volume 2, Editori Laterza VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 10 Magda Trotta 2014 Con Kant la distinzione tra intelletto e volontà si traduce nella distinzione tra il mondo dei fenomeni (la natura) e il mondo della ragion pratica. La volontà è spontaneità, è libera causalità, capacità di sottrarsi al vincolo del principio di ragione grazie alla propria energia originaria; è capacità di ricominciare da sé. La definizione della volontà coincide con la definizione stessa della libertà. Il mondo morale è il mondo degli esseri liberi. Per Kant la volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli imperativi ipotetici (in vista di un obiettivo), sia a quelli categorici (dettati unicamente dalla legge morale). La questione è come e in quali condizioni la volontà possa costituire il principio dell’agire morale, cioè se e come tale facoltà si lasci determinare dalla pura legge della ragione - resistendo, dunque, agli stimoli della sensibilità che tendono a condizionarla - oppure se essa possieda l’attributo della libertà. Kant ritiene che la ragione faccia sentire la sua voce nella sfera dell’azione, manifestandosi sotto forma di imperativo, quello che con un linguaggio comune potremmo definire “voce della coscienza”; le manifestazioni della ragione sotto forma di imperativi potrebbero essere espressi con il termine doveri. Kant pensa che la ragione abbia una caratteristica fondamentale - l’universalità - nel senso che essa è una facoltà presente in maniera identica in tutti gli uomini. La morale kantiana è fondata sulla ragione ed è la ragione che, indicando la retta via, può entrare in conflitto con desideri, sentimenti, gusti, passioni che il filosofo definisce inclinazioni, inclinazioni capaci di indurre l’uomo ad allontanarsi dal retto cammino. La morale kantiana è, dunque, fondata sulla ragione che, come già sottolineato, è universale, ed è essa stessa universale. Per Kant l’uomo deve ispirare la propria azione non alla propria soggettività, ma alla propria interiorità, per meglio dire, a quella parte della propria interiorità rappresentata dalla ragione. Poiché la volontà - per sua costituzione oggettiva - non è necessariamente determinata dalla legge oggettiva della ragione, può accadere che si aprano conflitti tra volontà e ragione e tra volontà e imperativi/doveri. La ragione, nella concezione kantiana, indica inesorabilmente il dovere, inteso come qualcosa di universale ed oggettivo, ma la volontà potrebbe voler seguire le inclinazioni, invece del dovere indicato dalla ragione, ecco perché la complessità dell’essere umano - all’interno del quale agiscono facoltà diverse - deve essere “governata” dalla ragione. Ma se la morale è dovere, allora come potrà l'obbligatorietà conciliarsi con l'assoluta libertà formale della scelta? La risposta è nel concetto di autonomia. La morale dell'essere razionale è tale che egli deve obbedire ad un comando (obbligatorietà) che egli stesso si è liberamente dato (libertà), in modo conforme alla sua stessa natura razionale. L'uomo che compie una determinata azione secondo il dovere morale sa che, per quanto la sua decisione possa essere spiegata naturalisticamente (anche con motivazioni psicologiche), la vera sostanza della sua VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 11 Magda Trotta 2014 morale non risiede in questa concatenazione causale, ma in una libera volontà che corrisponde all'essenza razionale del suo essere. L'uomo, dunque, appartiene a due mondi: a quello naturale - in quanto dotato di capacità sensoriali - e sotto tale aspetto egli è sottoposto alle leggi fenomeniche; in quanto creatura razionale, però, egli appartiene anche al mondo "intelligibile" (o noumeno, l’essenza pensabile, ma inconoscibile, della realtà in sé, in contrapposizione a fenomeno), cioè al mondo com'è in sé e in esso egli è assolutamente libero (autonomo), di una libertà che manifesta nell'obbedienza alla legge morale, all'imperativo categorico. Per Kant, dunque, libertà è equivalente di autonomia. Essa, però, più che significare indeterminismo, sta ad indicare una specie particolare di determinazione, nel senso che la legge cui l’uomo obbedisce nelle sue azioni non è imposta dall’esterno, ma è egli stesso, nella sua qualità di soggetto morale, che la impone a se stesso. Per Kant la libertà etica è un postulato, una proposizione teorica che, pur essendo in sé indimostrabile, deve essere ammessa perché abbia senso la libertà del volere, necessaria per la stessa possibilità dell’azione morale. La libertà di cui parla Kant non è un dono di cui la natura umana sia dotata, quanto piuttosto un compito, il compito più arduo che l’uomo possa assegnare a se stesso, un’istanza irrinunciabile, un imperativo etico. Nel sistema filosofico di Fichte la volontà esplica un ruolo centrale. Fichte (1762 - 1814), partendo dal primato della ragion pratica sulla ragion pura di Kant, pone la volontà libera, l’Io pratico kantiano, alla base della stessa attività teoretica dello spirito. Anche Schelling (1775 - 1854), successore di Fichte, esalta la volontà come assoluta attività dell’Io - o dello Spirito - in contrapposizione alla passività del non Io - o della Natura - nell’ottica di un rapporto dialettico che si risolve nella supremazia dell’etica per il primo, e dell’arte per il secondo. Per Hegel (1770 - 1831) la volontà è la facoltà di autodeterminazione; essa non è e non può essere in contrasto con la ragione, poiché con essa si identifica nel momento della sua più completa realizzazione. Dopo Hegel il pensiero filosofico ha interpretato la volontà ora alla luce del concetto di prassi (come accade nel marxismo e nel pragmatismo), ora alla luce di un volontarismo metafisico (la volontà di vivere di Schopenhauer), mentre Nietzsche ha proposto, con la nozione di volontà di potenza, l’esaltazione massima dell’energia vitale, volta a realizzare fini e valori che superano la vita stessa e la morale corrente. Il tema della volontà è centrale nel pensiero di Schopenhauer (1788 - 1861), nel quale confluiscono le posizioni filosofiche di Platone e Kant, ma anche le VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 12 Magda Trotta 2014 correnti dell’illuminismo, romanticismo, idealismo, nonché le influenze della spiritualità indiana. Egli riprende la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé, ma, se per Kant il fenomeno è la realtà, per Schopenhauer il fenomeno è parvenza, illusione, sogno, mentre l’essenza della realtà, il noumeno - è la volontà - ed è una realtà nascosta dietro l’ingannevole trama del fenomeno. Il fenomeno è una rappresentazione che consta di due aspetti essenziali, costituiti dal soggetto rappresentante e dall’oggetto rappresentato, inseparabili, che coesistono solo all’interno della rappresentazione. Per Schopenhauer - che a seguito dei suoi viaggi in Oriente entra in contatto con i saggi della tradizione induista e buddista che influenzeranno poi la sua filosofia il mondo può essere rappresentato sotto due forme: la forma intellettuale/scientifica e la forma della volontà. Il mondo che viene espresso tramite la rappresentazione scientifica deriva soltanto da una conoscenza sensibile, alla quale è possibile accedere tramite le forme a priori dello spazio, del tempo e della casualità. Schopenhauer paragona le forme a priori (spazio, tempo e casualità) a vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, traendone la conclusione che la vita è sogno, un insieme di apparenze, una sorta di incantesimo. Questa conoscenza di tipo fenomenico - derivante, cioè, dall'esperienza sensibile - non è una conoscenza oggettiva, poiché il vero si trova dietro un velo, denominato velo di Maya; la vita, dunque, è un sogno, un’illusione poiché il reale è nascosto ai nostri occhi. Il mondo come volontà, invece, rappresenta il noumeno che non è altro che la volontà espressa nella corporeità degli essere viventi. Tanto Kant, quanto Schopenhauer fanno riferimento al concetto di noumeno pur intendendolo in maniera differente. Kant distingue l'oggetto in sé dall’oggetto percepito, dunque la percezione delle cose dalla reale essenza delle cose, il noumeno - l'oggetto in sé - dal fenomeno percepito. Il noumeno è l'oggetto della realtà nella sua completezza - inconoscibile alla soggettività umana - la quale interpreta l'oggetto attraverso la specificità dei suoi sensi. Kant riconosce che i sensi umani hanno dei limiti, l'uomo non può dirsi sicuro di ciò che percepisce con i sensi, non può ritenere che tutto ciò che vede in un oggetto sia realmente il vero aspetto dell'oggetto stesso, l'essere umano è limitato a priori dalla propria struttura di percezioni e, dunque, l'oggetto della realtà nella sua completezza rimane inconoscibile alla soggettività umana. Anche Schopenhauer divide il mondo in due parti: da una parte il mondo fenomenico - ciò che apprendiamo e ci appare dall'esperienza diretta delle cose - e dall'altra la cosa in sé, che per Schopenhauer coincide con la volontà. Questa non è semplicemente un impulso, una caratteristica parziale del carattere umano, bensì una vera e propria entità a sé, con una sua propria valenza ontologica: la volontà è l'ente che da sempre sostiene il mondo e che sempre lo sosterrà. L'uomo conosce la volontà attraverso la percezione immediata della sua esistenza e VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 13 Magda Trotta 2014 percepisce la volontà senza alcuno sforzo, la sente in sé, nel proprio essere, percepisce l'impulso della volontà di vivere. La realtà, dal canto suo, è come velata, nascosta dietro un velo di interpretazioni illusorie. La vera realtà è quella della volontà, mentre il mondo fenomenico - nella sua empiricità - è una rappresentazione prodotta dalla volontà. Per Schopenhauer il mondo percepito non è la cosa in sé - il noumeno - come per Kant, ma solo un'interpretazione, anzi la rappresentazione che ne dà il corpo. Pur muovendo, dunque, dalla filosofia kantiana - assumendo come punto di partenza del proprio pensiero la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno (o cosa in sé) - Schopenhauer finisce per discostarsene non poco poiché per Kant il fenomeno è la realtà, l’unica realtà conoscibile e accessibile dalla mente umana, seppur non completamente, mentre per Schopenhauer il fenomeno, ciò che percepiamo con i nostri sensi, è illusione, sogno e parvenza, il “velo di Maya” della filosofia indiana, ossia l’illusione che vela la realtà delle cose nella loro essenza autentica “è Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente”. Per Schopenhauer, dunque, la realtà visibile è apparenza, illusione; nulla ci garantisce che quanto esiste o accade non sia solo un sogno. Tuttavia l’essenza della realtà - che si nasconde dietro il fenomeno - mentre per Kant resta il concetto-limite della conoscenza e perciò inconoscibile, per Schopenhauer può essere raggiunta poiché è possibile squarciare il velo di Maya. Ma come? Se l’uomo fosse soltanto coscienza e rappresentazione non potrebbe mai uscire dal mondo fenomenico, ma all’uomo è dato anche il corpo e grazie ad esso egli può accedere al noumeno. E’ attraverso il corpo che l’uomo scopre la realtà delle cose e sperimenta di essere una parte del mondo: egli vuole, desidera fortemente alcune cose e ne rifugge altre, ricerca il piacere e rifugge il dolore. Il corpo è, dunque, volontà resa visibile ed è grazie ad esso che è possibile squarciare il velo della rappresentazione, del fenomeno, e scoprire che la radice noumenica del nostro Io è l’impulso irrazionale della volontà di vivere che, malgrado tutto, costringe chiunque ad agire e, dunque, a vivere. Grazie al corpo, dunque, l’uomo sperimenta la vita, gioiendo, soffrendo, tollerando le situazioni difficili; penetrando profondamente in se stesso, egli arriva a comprendere che l’essenza, la cosa in sé del suo essere, è la volontà di vivere. VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 14 Magda Trotta 2014 La supremazia della volontà propugnata da Schopenhauer è messa mirabilmente in luce dalle sue affermazioni sulla volontà di vivere, essenza di tutte le cose: ”essa è l’intimo essere, il nocciolo di ogni singolo, ed egualmente del Tutto”2 Per Schopenhauer questa volontà si sottrae alle forme dello spazio, del tempo e della causalità, poiché essa è unica ed eterna. Essa è anche inconscia, poiché la consapevolezza e l’intelletto costituiscono soltanto sue possibili manifestazioni secondarie. La volontà di vivere di cui parla Schopenhauer, sia pure in maniera diversa e con gradi di consapevolezza diversi, pervade ogni essere vivente. La natura e il mondo non hanno un’origine razionale, nascono da un istinto irrazionale di vita, da una pulsione incontrollata e indeterminata che è proprio la volontà. L’essere è volontà, ma proprio questa considerazione conduce Schopenhauer all’affermazione che vivere è dolore perché “la volontà non è”3, nel senso che essa è cieca, dominatrice, tiranna, irrazionale come irrazionale è la voglia di vivere e priva di senso la stessa esistenza che porta dolore, penoso decadimento e, infine, morte. La volontà non è, quindi, né autonoma, né libera ed è all’origine di tutte le sofferenze che affliggono l’uomo. Se, infatti, volere significa desiderare, tendere verso la ricerca di appagamento, non c’è via di scampo al dolore poiché la condizione di mancanza non può essere superata, non c’è appagamento che la possa colmare. Non c’è, dunque, spazio per l’ottimismo della ragione e questa intemperante voglia di vivere non può che essere causa di sofferenza. Da tale sofferenza è possibile uscire solo cercando di vincere l’attaccamento alla vita e ai suoi piaceri attraverso la negazione progressiva di sé, la c. d. noluntas, la non volontà, alla quale si può giungere attraverso la santità, l’ascesi e l’arte, catartica e liberatrice, quindi capace di liberare momentaneamente l’uomo dal dolore grazie alla sua capacità di estraniarlo dal mondo. La sua visione pessimistica deriva essenzialmente dalla consapevolezza dell'impotenza dell'uomo nei confronti della "sconcertante" potenza della natura, ma anche dalla consapevolezza che l'uomo è impossibilitato ad intervenire nei confronti del fluire del tempo. A chiusura di questi cenni sullo sviluppo del concetto di volontà in filosofia, si richiama il pensiero di Nietzsche (1844 - 1900) che, in contrapposizione a Schopenhauer dalle cui riflessioni pure era partito, con il suo concetto di volontà di potenza, al quale è dedicato un intero paragrafo, esalta la volontà di vivere ponendo in primo piano l’aspetto vitale e dionisiaco dell’essere umano. … CONTINUA … 2 3 Schopenauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Editori Laterza Schopenauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Editori Laterza VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE 15 Magda Trotta 2014 16 VOLONTÀ RESILIENZA RIPROGRAMMAZIONE QUANDO RISALIRE SULLA BARCA ROVESCIATA DIVENTA OCCASIONE PER UNA RIPROGRAMMAZIONE ESISTENZIALE