Memoria e identità

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Memoria e identità di Giovanni Paolo II
(appunti dell’incontro di SOS Scuola del 26 gennaio 2009, a cura di Gaëlle Cariati)
Oggetto di questo intervento è l’opera Memoria e identità, il cui autore è Giovanni Paolo II,
pubblicata nel febbraio 2005.
I temi trattati sono di grande attualità e interesse. Vi sono affrontati i concetti di patria, nazione,
stato, si riflette sull’Europa e sulla Chiesa.
Anzitutto si impone all’attenzione del lettore la prospettiva in cui tali argomenti sono affrontati. In
una chiave, per così dire, etica. Nel senso che interesse dell’autore è valutare in che relazione stiano
i concetti citati con l’agire umano. Che impatto ha sul comportamento di un uomo l’esistenza della
patria, o del concetto di patria? O di nazione, o di stato?
Questa caratteristica, questa particolare prospettiva, non è casuale. Seguirne la traccia conduce a
trovare il filo del tema principale del libro. Esso è il seguente: cogliere, ripercorrendo e analizzando
eventi storici precisi della storia umana, le dinamiche che conducono l’uomo ad agire per il bene
piuttosto che per il male, e viceversa.
In questa cornice, i totalitarismi sono il prodotto della scelta dell’uomo per il male. Per “male” si
intende la negazione di valori assoluti, costitutivi dell’umano. Tale negazione storica ha un parallelo
e una origine. L’origine è nella negazione teorica maturata nel corso della storia del pensiero, che
l’autore ripercorre. Il parallelo è con la storia del peccato originale quale è narrata nel libro della
Genesi.
Per quanto riguarda il primo profilo:
Nel corso degli anni si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono
profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo. (..) Il cogito, ergo sum – penso,
dunque sono – portò con sé un capovolgimento nel modo di fare filosofia. Nel periodo precartesiano
la filosofia, e dunque il cogito, o piuttosto il cognosco, era subordinato all’esse, che era considerato
qualcosa di primordiale. In tal modo non soltanto si operava un cambiamento di direzione nel
filosofare – ma si abbandonava decisamente ciò che la filosofia era stata fino ad allora, ciò che era
stata in particolare la filosofia di San Tommaso d’Aquino: la filosofia dell’esse. (…) Dopo Cartesio,
la filosofia diventa una scienza del puro pensiero: tutto ciò che è esse – sia il mondo creato che il
Creatore – rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. (pp. 18 – 19)
Secondo l’autore, la logica del cogito, ergo sum, porta innanzitutto a rendere Dio un contenuto
elaborato dalla coscienza umana. A relativizzare Dio. In base al bene si definisce il male.
Relativizzato il bene (Dio è il sommo bene), diventa relativo il male. Anche quest’ultimo è un
contenuto dell’umana elaborazione. L’uomo moderno, per Giovanni Paolo II, ha posto le basi per
giustificare qualunque comportamento: infatti può decidere qual è il bene e quale il male.
Questa medesima dinamica è la chiave di lettura della vicenda di Adamo ed Eva. Infatti, l’autore,
sulla scia di Sant’Agostino, interpreta così l’episodio:
«Amor sui usque as contemptum Dei – amore di sé fino al disprezzo di Dio». Fu proprio l’amor sui
a spingere i progenitori verso l’iniziale ribellione e a determinare poi il successivo dilagare del
peccato in tutta la storia dell’uomo. A questo si riferiscono le parole del Libro della Genesi:
«Diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3,5), cioè sareste voi stessi a decidere di
ciò che è bene e ciò che è male. (p. 17)
Questa è la diagnosi riguardante il male. Che fisionomia assume, allora, il bene? Che posto ha, e ha
avuto, nella storia umana?
La riflessione sul bene scaturisce dalla vicenda dei totalitarismi del Novecento, i quali sono arretrati
di fronte a alcuni fattori, quasi come se esistesse un “limite imposto al male”.
Per individuare tali fattori, Giovanni Paolo II si concentra sul particolare caso della nazione polacca,
interessante in quanto storicamente fonte di argini e ostacoli al dilagare del male dei totalitarismi.
Cosa rende il popolo polacco così speciale, rispetto a tanti altri popoli? Cosa caratterizza questa
nazione al punto da darle una coscienza del bene tale da resistere al male?
La risposta viene individuata dall’autore nella ricostruzione di alcuni concetti molto attuali: i
concetti di patria, nazione, stato.
L’estrema sintesi è che queste categorie riconducono l’uomo, in maniera diversa, riguardo aspetti
differenti, alla sua identità. Che è proprio il cardine della tesi dell’autore. Il totalitarismo è una
forma di male che ha a che fare col fatto che l’uomo non sa più chi è. Nell’incontro con l’altro, un
uomo senza identità è aggressivo. Non conoscendo le proprie caratteristiche, non può riconoscere le
somiglianze fra sé e l’altro.
È proprio il contrario di quanto avviene a chi ha consapevolezza di sé. Giovanni Paolo II è polacco,
e ha consapevolezza di sé, proprio in quanto polacco:
Io sono figlio di una nazione che ha vissuto le più grandi esperienze della storia, che i suoi vicini
hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta ed è rimasta se stessa. Essa ha
conservato la sua identità e ha salvaguardato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la
sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente sulla sua
cultura. Questa cultura si è rivelata, all’occorrenza, d’una potenza più grande di tutte le altre forze.
(p. 106)
Infatti, nell’incontro con l’altro, ecco quel che accade a Giovanni Paolo II:
In quel 2 giugno 1980 stavo ormai vivendo il secondo anno di pontificato. Avevo alle spalle alcuni
viaggi apostolici: in America Latina, in Africa e in Asia. Durante quei viaggi mi convinsi del fatto
che, con l’esperienza da me fatta della storia della mia patria, con la consapevolezza che avevo
maturato del valore della nazione, non ero affatto estraneo alle persone che incontravo. Al contrario,
l’esperienza della mia patria mi facilitava grandemente nell’incontro con gli uomini e con le nazioni
di tutti i continenti. (p. 107)
Il papa testimonia con la sua stessa esperienza quello che sta sostenendo: l’uomo è qualificato con
delle caratteristiche intrinseche e universali. La coscienza di quali esse sono e del fatto che
appartengono a ognuno si chiama identità. Così come la famiglia è per la singola persona il luogo in
cui matura l’identità, la nazione e la patria sono tale luogo per una collettività.
Nazione, patria e famiglia svolgono questo ruolo tramite una attività fondamentale. Quella di
ridestare la memoria. Non esiste, infatti, identità senza memoria:
La memoria è la facoltà che modella l’identità degli esseri umani sia a livello personale che
collettivo. È infatti attraverso di essa che si forma e si definisce nella psiche della persona la
percezione della propria identità. (p. 171)
Esiste un limite imposto al male. Nella prospettiva di Giovanni Paolo II tale limite è Cristo. La
novità di Cristo, infatti, come è argomentato nel libro, restituisce all’uomo le sue caratteristiche
fondamentali, introduce nella storia dell’uomo la dinamica memoria – identità, la speranza del bene
contro il male.
Dibattito (appunti di Deborah Bottino)
Enrico: hai parlato molto dei totalitarismi, della Polonia. Non è un punto di vista parziale?
Gaëlle: l’autore riesce ad entrare in relazione con gli altri popoli, grazie allo spirito polacco. I
totalitarismi non si basano su valori veri, reali, bensì sull’ideologia che è qualcosa di creato,
assolutamente non reale.
Iolanda: il papa si sofferma sui valori assoluti; volevo sapere se ne parla in generale o invece ne fa
un riferimento più specifico, indicandoli.
Gaëlle: non fa un riferimento preciso, essi sono quelli cristiani. Ma si fa riferimento anche a quelli
dell’illuminismo che al contrario di quello che si pensa, secondo il papa, non sono in
contrapposizione alla Chiesa, al contrario sono comuni a quelli cristiani.
Cristina: il passaggio molto importante che ho colto nel libro è la parte sui totalitarismi: la Polonia
per il papa è il cuore geografico dell’Europa. Questo testo nasce dal fatto che sulla costituzione
europea non è stato scritto che l’Europa è di prevalenza una comunità cristiana, quindi si è persa
l’identità. L’altro passo importante è il riferimento agli illuministi che, comunque sono nati per
scontrarsi contro il clero. La libertà è anche responsabilità, ecco perché l’uomo moderno fugge dalla
libertà.
Emilia: io vorrei fare solo delle osservazioni. Occorre precisare che l’autore di questo libro è un
papa e la sua visione è prettamente cristiana; la storia è visitata da Dio e da questo scaturiscono
molte cose. Anche lui afferma che la sua storia è stata visitata da Dio. Per esempio, rivive il ricordo
dell’attentato alla sua vita e afferma di essere stato salvato grazie all’intercessione della Madonna.
Parla della cultura, di una cultura precisa che ha radici nell’ebraismo e nei classici. La cultura dei
padri, con un esempio pratico: il contadino che insegna al figlio la semina. A questo punto mi sono
posta un interrogativo: perché scegliere questo libro per il nostro percorso, se il papa parla di
identità, ma lo fa per la Polonia? La risposta potrebbe essere questa: il libro affronta in modo
esemplare ed emblematico il tema dell’identità, perciò ha valore universale.
Rosa: è vero, fa un discorso incentrato sulla cultura polacca, che rappresenta la sua madre patria ed
egli sottolinea che essa è un’‘entità nazionale’. La Polonia nel corso della storia, ha vissuto le
tragedie dei totalitarismi che l’hanno profondamente segnata. Parla anche delle virtù teologali sulle
quali basare le nostre azioni. Mi ha colpito la parte in cui è più evidente il lato cristiano del papa:
l’uomo compie il male quando pensa solo a se stesso; questo in linea generale, ma in pratica essere
“ortodossi” è veramente difficile.
Gaëlle: molto importante è la parte sull’egoismo. Il relazionarsi con gli altri dovrebbe renderci
generosi e non egoisti.
Iolanda: l’essere calabrese sta diventando un peso. Io non mi sento inferiore rispetto ad una ragazza
del nord anzi, mi sento molto più ricca di valori.
Emilia: l’identità di cui parla il papa è da collegarsi anche ad altri autori che analizzano questo
aspetto, per esempio Pirandello che porta alla luce la crisi dell’uomo moderno e dell’identità.
Deborah: facendo riferimento alla differenza fra nord e sud, vorrei precisare qualcosa sulla
mentalità perché è lì la differenza. O meglio vorrei darvi alcune notizie che vengono dal mondo dei
giovani. Faccio un esempio molto semplice: una differenza madornale sta nelle disco e nel modo in
cui ragazzi e ragazze si comportano. In media nelle discoteche che funzionano di pomeriggio, che
sono frequentate da ragazzi sui 15-16 anni, e anche di molto meno, un ragazzo si bacia con una
diecina di ragazze diverse, una ragazza invece arriva anche a baciare 15 ragazzi. Lo staff della
Diabolika, che è un organizzatore di serate in disco su tutto il territorio italiano, ha due tipologie di
serate: la prima è una serata normale, a base di musica e alcool: cose che di norma si fanno anche
nelle discoteche di Cosenza; l’altra si chiama Pervert (già dalla parola inglese, si capisce qualcosa)
dove viene praticato ogni genere di sesso, dall’anale a quello orale, in piena libertà, e con persone
che non si conoscono, e che il giorno dopo, incontrandosi casualmente a piazza Duomo, non si
scambieranno nemmeno un cenno di saluto. Lo stesso speaker incita i presenti con un linguaggio
assolutamente pertinente alla serata, dando dal vivo un esempio pratico. Le ragazze vanno in giro in
minigonna, senza indossare gli indumenti intimi, e accomodandosi tranquillamente sulle gambe di
un ragazzo scelto a caso che procede a fare il resto (non mi voglio dilungare). Vi prego di non
pensare che io abbia vissuto questo genere di serate: non ci penso lontanamente, diciamo che sono
circondata da molti amici di su che si “divertono” a raccontarmi il loro mondo.
Tommaso: scusatemi se faccio un intervento articolato, ma io ho riflettuto e sono venuto con gli
appunti. Giovanni Paolo II è stato un grande papa e un grande uomo. Come uomo ha cercato di
sviluppare e di vivere tutte le dimensioni della persona: il corpo e la voce (sport, teatro), la sfera
estetica ed emotiva (poesia, testi teatrali), la ragione (filosofia, teologia), la sfera mistica e
trascendente (meditazione della Parola, preghiera). Io però voglio ricordarlo perché praticava anche
quella preghiera semplice, che noi consideriamo “per vecchiette”, che è il rosario. Anzi, egli ha
istituito i “misteri della luce”: battesimo di Gesù, Gesù alle nozze di Cana, l’annuncio del regno di
Dio, la trasfigurazione, l’istituzione dell’eucarestia.
In secondo luogo, si parla tanto di identità sessuale e di pari opportunità, di emancipazione della
donna, e si fa bene, perché ancora c’è troppa prevaricazione sulle donne. Tuttavia, porre il problema
in termini di lotta tra i sessi, di potere da riequilibrare e di leggi da promuovere e da far rispettare, o
di libertà sessuale oltre ogni limite, come si desume dall’intervento di Deborah, può condurre fuori
strada. Giovanni Paolo II, da atleta, attore, poeta e teologo qual era, ha arato in lungo e in largo, con
studi poco noti ma importanti, anche il campo vastissimo del rapporto tra il “maschile” e il
“femminile”. Da qui dovremmo ripartire per ricercare la verità sull’essenza del dialogo che avvolge
e travolge l’uomo e la donna.
In terzo luogo, Giovanni Paolo II aveva una fortissima identità, polacca innanzitutto, europea in
secundis, cristiana soprattutto. Il suo forte senso di identità si avverte in tutto il libro, ma io lo colgo
in quella gaffe che egli ha fatto appena eletto capo della Chiesa universale. Nel pronunciare le
poche parole di saluto alla folla egli disse: «Non so nemmeno se saprò esprimermi nella vostra
lingua… nostra lingua italiana» si corresse. «Se mi sbalio, mi corrigerete» aggiunse come captatio
benevolentie. A mio avviso non si tratta di un errore spiegabile con la scarsa familiarità con
l’italiano o con l’emozione. Si tratta, invece, di un lapsus che segnala, come una vera e propria spia,
che la sua lingua era un’altra, la lingua polacca; e la lingua madre, per chi ha identità, carattere, è un
marchio indelebile.
In quarto luogo, riprendendo le considerazioni di Cristina: nella cosiddetta carta costituzionale
dell’Europa non si è voluto fare riferimento alle radici cristiane del continente. Ma bisogna essere
ciechi per non rendersi conto che, come diceva Croce, “non possiamo non dirci cristiani”.
Basterebbe andare in giro per paesi, città e cimiteri: croci, chiese, cattedrali dovunque. Del resto,
ritornando alla lingua, e riprendendo le domande di Emilia, non è un caso se noi calabresi diciamo
“cristiano” per intendere “persona”, come non è un caso se a Castiglione c’è una chiesa detta “della
Cona”, se nella zona industriale di Rende c’è una località detta “Lacona”, se a Rossano c’è il “Patir”
e a Caloveto la località “Patera”. Padre Pino Stancari, commentando il vangelo di Giovanni, cap. 1,
vv. 35-42, nel quale troviamo «Rabbì (che significa maestro)», «Messia (che significa il Cristo)»,
«Cefa (che vuol dire Pietro)», spiega che Gesù ci raggiunge in uno spazio, il cuore, talmente
profondo ed intimo che una “lingua comune” un poco convenzionale non è sufficiente per
esprimere quel che ci accade a quel livello: serve la traduzione, perché quel che ci accade riguarda il
mistero della persona, l’inconscio diremmo, dove forse il dialetto, comunque la lingua appresa dalla
madre, ha più possibilità di riuscire. D’altra parte, in un altro celebre passo del vangelo troviamo:
«Abbà, padre», l’originale e una sorta di traduzione. Ebbene, gli studiosi ci dicono che “abbà” ha
sfumature familiari che “padre” non ha. In dialetto dovremmo tradurre “tata” e in italiano “papi” o
“papino”.
Dobbiamo essere grati a Giovanni Paolo II se, grazie al suo libro, noi oggi abbiamo potuto parlare
di tutte queste cose, che sono universali, sia pure a partire dall’identità polacca.
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