Leishmaniosi INDICE (Prima parte a cura di Ezio Ferroglio) Introduzione pag. 3 Il parassita Tassonomia della Leishmania Morfologia della Leishmania pag. pag. 4 5 Ciclo biologico della Leishmania pag. 6 Il vettore Definizione e morfologia Biologia e comportamento pag. 9 pag. 10 Distribuzione dei flebotomi in Italia pag. 11 La lotta ai flebotomi pag. 12 Distribuzione dei focolai di Leishmaniosi in Italia pag. 13 La Leishmaniosi umana in Italia pag. 14 Diagnosi e metodi diagnostici Tecniche dirette Tecniche indirette pag. 15 pag. 17 (Seconda parte a cura di Marco Poggi) Aspetti clinici della Leishmaniosi canina pag. 20 Esami di laboratorio aspecifici pag. 25 Trattamento della Leishmaniosi canina pag. 27 Bibliografia pag. 28 2 introduzione Le Leishmaniosi sono malattie parassitarie a trasmissione vettoriale sostenute da un protozoo appartenente al genere Leishmania spp. Leishmania spp è un parassita dixenico, ossia necessita di due ospiti per completare il ciclo vitale. L’ospite vertebrato svolge il ruolo di serbatoio della malattia, mentre quello invertebrato rappresenta il vettore. Le varie specie di Leishmania sono generalmente presenti nelle zone tropicali e sub-tropicali, anche se, recentemente, la loro presenza è stata segnalata anche in aree a clima continentale. Nell’Europa meridionale è presente Leishmania infantum, l’agente della Leishmaniosi canina (i canidi rappresentano il serbatoio dell’infezione), che è anche una zoonosi, cioè una malattia degli animali che può essere trasmessa all’uomo ad opera del vettore. In Italia si segnalano circa 150-200 casi umani di Leishmaniosi all’anno. Il vettore responsabile della trasmissione è un piccolo insetto, il flebotomo o pappatacio. La diffusione dell’infezione è dunque strettamente legata alla presenza dei flebotomi sul territorio. In Italia, la Leishmaniosi è endemica nelle aree costiere e interne a clima mediterraneo, dal livello del mare fino a 600 metri di altitudine anche se, a seconda delle condizioni ambientali, si possono trovare focolai anche a quote superiori. Nell’ultimo decennio flebotomi vettori sono stati rinvenuti anche in aree a clima continentale e alpino e ormai vi sono focolai stabili di Leishmaniosi in molte aree collinari, prealpine e alpine del Nord Italia. Femmina di flebotomo che sta effettuando il pasto di sangue 3 il parassita. tassonomia della leishmania La Leishmania appartiene al Regno dei Protisti, al Subregno Protozoi, al Phylum Sarcomastigophora, al Subphylum Mastigophora, alla Classe Zoomastigophora, all’Ordine Kinetoplastida, al Sottordine Trypanosomatinae, alla Famiglia Trypanosomatidae e al Genere Leishmania. L’utilizzo di diverse tecniche di laboratorio, come l’analisi elettroforetica degli isoenzimi, l’analisi del DNA, la valutazione degli anticorpi monoclonali specie-specifici, insieme alla valutazione del comportamento del parassita nell’ospite definitivo e nel vettore, la sua distribuzione geografica e il suo risvolto clinico, hanno permesso la descrizione di oltre 18 specie e sottospecie di Leishmania. La principale suddivisione è tra Leishmanie che danno forme viscerali e quelle che portano invece a forme cutanee. Nelle due immagini successive viene riportata la distribuzione geografica delle forme viscerali e muco-cutanee. Distribuzione delle specie di Leishmania agenti di Leishmaniosi viscerale www.who.int/leishmaniasis Distribuzione delle specie di Leishmania agenti di Leishmaniosi cutanea e muco-cutanea www.who.int/leishmaniasis Gli studi per la caratterizzazione dei ceppi di L. infantum isolati nel bacino del Mediterraneo hanno dimostrato la sua presenza nell’uomo, nel cane, nella volpe, nel ratto e nel flebotomo. All’inizio degli anni Ottanta si è evidenziato come la Leishmaniosi cutanea nel Sud dell’Europa fosse in realtà causata da questa specie e non da L. tropica o L. major come si pensava (Rioux, 1982). 4 il parassita. morfologia della leishmania Le Leishmanie, come tutti i parassiti appartenenti all’Ordine Kinetoplastida, Famiglia Trypanosomatidae, presentano una particolare struttura mitocondriale contenente DNA extranucleare, detta Kinetoplasto, strettamente associata ad un corpo basale da cui origina un flagello. A fini didattici i morfotipi descritti in Leishmania, distinti proprio sulla base di questi organelli, possono riassumersi nella forma amastigote e in quella promastigote. Amastigote Questa forma del parassita è osservata regolarmente nell’ospite vertebrato in localizzazione endocellulare. L’osservazione microscopica di preparati, colorati con Giemsa, mostra organismi rotondeggianti o ovoidali all’interno di macrofagi, istiociti, altre cellule o liberi per rottura della cellula ospite durante la preparazione dello striscio. La loro dimensione è di circa 2,5 micron di diametro a seconda della specie. Il nucleo è grosso e occupa una posizione eccentrica, addossato alla membrana cellulare. Il kinetoplasto, foggiato a bastoncello, è disposto adiacente al nucleo, non è presente un flagello libero (da cui deriva il nome del morfotipo) che però è abbozzato in un rizonema. Promastigote Questa è la tipica forma che si trova nell’insetto vettore. Essa è per lo più libera ed è caratterizzata dalla presenza di un lungo flagello libero che fuoriesce direttamente dall’estremità anteriore del parassita. Il corpo è allungato e può raggiungere i 15 µ di lunghezza, escluso il flagello. Quest’ultimo ha generalmente le stesse dimensioni del corpo (può però raggiungere anche i 20 µ). Il nucleo e il kinetoplasto sono localizzati rispettivamente in posizione centrale e all’estremità anteriore del parassita, alla base del flagello. I promastigoti si dividono per scissione binaria assumendo talvolta la caratteristica formazione a rosetta. La forma promastigote è quella usualmente presente nei terreni di coltura. Uno dei metodi di tipizzazione della Leishmania si basa sull’impiego degli zimodemi. Questi sono un gruppo di parassiti che mostrano identica mobilità elettroforetica per diversi isoenzimi (almeno 10); in Italia la tipizzazione isoenzimatica ha permesso di stabilire che il parassita responsabile delle forme di Leishmaniosi umana e canina è rappresentato da Leishmania infantum; in particolare nel cane la malattia è causata principalmente dallo zimodema Montpellier 1 (MON1) che rappresenta il 94% dei casi riscontrati (Gradoni et al.,1984). 5 ciclo biologico della leishmania Le Leishmanie sono parassiti dixeni, ossia necessitano di due ospiti per completare il proprio ciclo vitale. L’ospite vertebrato svolge il ruolo di serbatoio della malattia, mentre quello invertebrato rappresenta il vettore. L’ospite evolutivamente più antico sembra essere quello invertebrato, data la presenza in esso di forme libere del parassita. L’ospite vertebrato sarebbe stato acquisito in un secondo momento, per trasferimento accidentale tramite l’insetto ematofago (Lainson and Shaw, 1988). Le Leishmaniosi sono per la maggior parte delle zoonosi i cui serbatoi sono mammiferi appartenenti a diversi ordini (Carnivora, Rodentia, Edentata, ecc.). L’uomo, in genere, rappresenta un ospite occasionale, mentre il cane svolge il ruolo di reservoir della Leishmaniosi viscerale da L. infantum e da L. chagasi. Le uniche antroponosi note sono il kala-azar da L. donovani e il bottone d’Oriente da L. tropica. Ciclo nell’ospite vertebrato Il ciclo inizia con l’infezione di un ospite vertebrato che avviene probabilmente attraverso la penetrazione con il flusso della saliva di promastigoti infettanti presenti nella proboscide e deposti nella cute (Adler e Theodor, 1930; Killick-Kendrick, 1979). Avvenuta la trasmissione, i promastigoti affusolati vengono fagocitati da cellule macrofagiche. Tutte le conoscenze circa questa parte del ciclo del parassita sono state ottenute mediante studi in vitro, dunque la loro trasposizione in vivo può comportare degli errori. Non tutti i parassiti sono in grado di proseguire il ciclo e non è completamente nota la durata del soggiorno extracellulare del promastigote. Chang et al. (1981) hanno osservato in L. mexicana amazonensis il contatto tra promastigoti e cellula ospite entro 4-8 ore e la comparsa di amastigoti entro 24 ore. 6 Le cellule dell’ospite interessate dall’infezione da parte di Leishmanie sono esclusivamente cellule della linea mononucleare, dal promonocita al macrofago tissutale maturo (Bray e Alexander, 1987). I promastigoti non sono attratti dal macrofago ma più probabilmente, nel momento in cui sono inoculati, rimangono negli spazi tissulari circostanti e qui fissano il complemento attivandone la via alternativa. I monociti che contribuiranno a formare l’essudato infiammatorio vengono attratti chemiotatticamente verso i promastigoti. I meccanismi di adesione sono molteplici, del tipo recettore-ligando e possono essere siero-indipendenti e siero-dipendenti. Le maggiori molecole di superficie di Leishmania coinvolte nei meccanismi di adesione sono un lipofosfoglicano (LPG) e una glicoproteina nota come GP63. L’ipotesi più probabile circa il contatto tra promastigoti e macrofago considera una penetrazione del parassita con la testa, il flagello o il corpo nella stessa proporzione (Chang, 1985). In ogni caso, il processo di penetrazione è causato per la maggior parte dall’attività fagocitaria del macrofago, forse sostenuta dalla compatibilità superficiale tra ospite e parassita. I promastigoti sono avvolti da una struttura di pseudopodi che ne determinano la mobilità e che, staccandosi e riattaccandosi continuamente, ne modificano i siti di adesione. I promastigoti morti non vengono fagocitati con la stessa facilità, per cui bisogna ammettere un certo ruolo attivo da parte del promastigote. Una volta avvenuta la fagocitosi, si osserva la fusione del fagolisosoma. Da questo momento il parassita è sottoposto a diversi sistemi microbicidi del macrofago: H2O2, idrolisi lisosomiali, pH acido e proteine cationiche. Come il promastigote possa sopravvivere è ancora oggetto di studi. Una possibile spiegazione è legata all’LPG, tra le cui attività è annoverata l’inibizione della ß-galattosidasi e della preoteinasi C. Quest’ultima risulta legata all’attivazione di processi ossidativi all’interno del macrofago. Inoltre, l’LPG potrebbe semplicemente creare una barriera superficiale all’idrolisi. I lisosomi potrebbero cioè non contenere le glicosidasi e le lipasi necessarie a degradare l’LPG (Turco,1988). Per quanto riguarda l’H2O2, è nota la sua capacità di uccidere L. donovani e L. mexicana. Tuttavia, rimangono poco chiari i meccanismi di detossicazione dei radicali O2 da parte delle Leishmanie, e anche se è stato trovato l’enzima superossidodismutasi all’interno del parassita si pensa che esso sfrutti i meccanismi di detossicazione della cellula ospite (Chang et al.,1985). Tornando alle generalità del ciclo, il processo di trasformazione da promastigote ad amastigote è scatenato dal cambiamento di temperatura (35°C) e da fattori poco noti. Tra i due diversi morfotipi si osservano differenze antigeniche e biochimiche più quantitative che qualitative. Una notevole differenza è a carico della biosintesi della tubulina. Si conosce poco sulle richieste nutrizionali e fisiche degli amastigoti. Essi si dividono per scissione binaria all’interno del vacuolo parassitoforo, finchè non raggiungono un numero tale da portare a rottura il macrofago. Gli amastigoti così liberati sono fagocitati da altri macrofagi dopo processi di adesione differenti da quelli dei promastigoti. Qui termina la parte generale del ciclo biologico della Leishmania, che si differenzierà in base alla specie del parassita e all’ospite colpito dando forme cutanee, viscerali o muco-cutanee. In ogni caso, gli amastigoti si renderanno disponibili nella cute o nel sangue periferico per essere assunti da un flebotomo nel momento in cui questo si nutra su di un ospite serbatoio infetto. Per esempio, nel cane la forma viscerocutanea della malattia risulta altamente infettante in quanto i macrofagi parassitati si localizzano in tutto il derma dell’animale, permettendo così una più facile assunzione del parassita da parte del vettore. 7 Ciclo nell’ospite invertebrato Questo ciclo inizia quando una femmina ematofaga appartenente alla Famiglia Psychodidae (generi Phlebotomus nel Vecchio Mondo e Lutzomyia nel Nuovo Mondo) si nutre su un ospite vertebrato infetto e con il pasto di sangue ingerisce anche degli amastigoti. Dopo l’ingestione del sangue, le cellule epiteliali dell’intestino medio producono una membrana peritrofica che avvolge il pasto di sangue e partecipa alla sua digestione. Intanto, all’interno della membrana peritrofica, si ha la moltiplicazione di nidi di promastigoti che, terminata la digestio- ne, diventano liberi, colonizzando l’intestino medio. Le forme paramastigoti sono per lo più immobili ma si osservano anche forme in divisione binaria. Successivamente, vengono prodotti promastigoti attivi che migreranno nell’intestino toracico. L’iniziale sviluppo dell’infezione è seguita da una migrazione anteriore; promastigoti aptomonadi appaiono attaccati alle formazioni chitinose della valvola stomodeale mediante emidesmosomi. Durante il movimento dei promastigoti dall’esofago al faringe si osserva una riduzione in grandezza dei parassiti che si trasformano in paramastigoti, adesi mediante emidesmosomi all’intima cuticola del faringe. Anche qui i parassiti sembrano immersi in un gel, sono sessili, non si dividono per scissione binaria e la loro vita è piuttosto breve. Per tali caratteristiche, si ritiene che i promastigoti migrino in continuazione dall’intestino toracico, che costituisce la fonte di parassiti, verso il faringe. I promastigoti presenti nella proboscide sono responsabili della trasmissione dell’infezione mediante puntura dell’insetto. La durata del ciclo di Leishmania spp nel flebotomo è influenzata dalla temperatura esterna, ad esempio il ciclo di L. infantum in P. perniciosus è stato segnalato variare da 6 a più di 14 giorni a seconda delle condizioni ambientali. Generalmente varia da 4 giorni (L. mexicana) fino a 19-20 gg (es. L. infantum in P. ariasi). Esso viene completamente inibito al di sotto dei 10ºC poiché le attività del flebotomo, tra cui la digestione del pasto di sangue, sono rallentate. Appare evidente che in alcune specie di Leishmania esiste un livello di sviluppo associato a determinati vettori che può risultare indipendente dalla temperatura; questo dimostra come in aree con clima simile L. infantum si possa sviluppare in 6 giorni in P. perniciosus e possa tardare fino a 14 giorni in P. ariasi. Rioux e coll. (1985) hanno dimostrato sperimentalmente che il numero di flebotomi infetti e i processi moltiplicativi dei parassiti aumentano proporzionalmente alla temperatura (intervallo considerato 15-25ºC). In particolare, al di sopra dei 15ºC viene influenzato il movimento anteriore del parassita, mentre sopra i 20ºC è favorito l’attacco alla valvola stomodeale. Il fattore umidità non influenza direttamente il ciclo del parassita ma incide sulla longevità del flebotomo. 8 il vettore. definizione e morfologia Definizione e morfologia La prima descrizione di un maschio di flebotomo fu pubblicata da Filippo Bonanni a Roma nel 1691. Attualmente i flebotomi sono descritti come insetti ematofagi appartenenti alla Famglia Psychodidae, Ordine Diptera. La Famiglia Psychodidae si suddivide in due sottofamiglie: Psychodidinae e Phlebotominae. Quest’ultima comprende tutte le specie descritte di flebotomi (oltre 600). Lewis (1982) distingue i flebotomi in cinque generi: Phlebotomus, Sergentomya, Warileya, Lutzomyia e Brumpotmyia. I flebotomi del Vecchio Mondo sono tutti compresi all’interno dei generi Phlebotomus e Sergentomyia, mentre quelli del Nuovo Mondo (America latina e America Centrale) fanno parte degli altri tre generi. Morfologia I flebotomi sono piccoli insetti (2-3 mm), di colore giallo pallido o giallo ruggine, con il corpo e le ali ricoperte da una fitta peluria. I maschi presentano un apparato genitale molto sviluppato che li rende facilmente riconoscibili. In entrambi i sessi, il corpo forma col torace e l’addome un angolo quasi retto; questa caratteristica li rende facilmente riconoscibili. Larve di flebotomo Pupa di flebotomo poco prima dello sfarfallamento Il capo è tondeggiante; gli occhi, di colore scuro, sono situati ai lati della testa e appaiono tondeggianti se visti di profilo, reniformi se osservati dorsalmente. Il capo presenta due antenne composte da sedici articoli, di cui il primo è cilindrico, il secondo è tondeggiante e fornito del sensillo di Johnston mentre gli altri sono muniti di ascoidi, che secondo alcuni autori sono organi di senso. L’apparato boccale, pungente e succhiatore, è formato da: labrum epifaringe, due mandibole, due mascelle, ipofaringe e labium. Le mandibole e le mascelle incidono la cute dell’ospite nell’atto di pungere. Le mandibole sono esclusive delle femmine. 9 il vettore. biologia e comportamento La femmina di flebotomo ha bisogno di nutrirsi del sangue di un animale vertebrato per la maturazione delle uova. Il ciclo biologico si svolge con una metamorfosi completa, dove la fase preimaginale presenta uno stadio embrionale di uovo, quattro stadi larvali e uno pupale. Gli stadi larvali differiscono fra loro per la diversa grandezza e per la presenza di due setole caudali nel primo stadio e di quattro negli stadi successivi. La ninfa, in genere, rimane attaccata ad un substrato mediante l’esuvia del quarto stadio. L’areale geografico dei flebotomi è vasto e comprende diverse regioni del globo, ma qualunque sia la latitudine o la longitudine, lo sviluppo delle loro larve terricole esige una temperatura relativamente costante, un’oscurità quasi completa, un mezzo nutritivo formato da materiale organico composto da spoglie di altri insetti, feci di roditori, foglie secche. Infine, lo sviluppo richiede un grado di umidità relativa pressoché vicino alla saturazione. Sieroprevalenza (al titolo di 1:80 e di 1:160) in cani autoctoni Le larve si possono sviluppare in fissurazioni del terreno a profondità di di alcune aree del Nord-Ovest d’Italia 20-30 cm., o in micro-habitat con le caratteristiche sopra indicate. Già a inizio ‘900, Grassi (1907) aveva individuato habitat idonei in alcune vecIFAT di Torino Aosta Biella chie cantine Roma. Ivrea Casale Asti N=359 e le ricerN=269difficoltà N=130 N=556 N=176 L’identificazioneN=394 dei focolai larvali comporta notevoli che non sono sempre coronate da10successo. ≥ 1:80 4 in Italia e in 2 6 Recentemente 42 44 Francia sono state compiute alcune ricerche che hanno portato all’iden(10,7%) (8,0%) (5,7%) (4,6%) (0,7%) (1,1%) tificazione di focolai larvali di P. perniciosus, P. perfilewi e P. ariasi (Bettini et al., 1986; Killick-Hendrick,1987). La durata del ciclo di sviluppo del flebo1:160 1 1 per esempio, 6 In Italia, 18 legata 29ai fattori7climatici. tomo è≥strettamente lo sviluppo è fortemente rallentato stagione fredda e le larve di IV stadio (0,3%) (0,4%) (4,6%) (3,9%) (4,6%) (5,7%) dalla affrontano l’inverno in diapausa. I flebotomi sono presenti allo stadio adulto da maggio a novembre in Sicilia e da maggio-giugno a settembreinizio ottobre in Nord Italia. In Centro-Sud Italia possono aversi due cicli di sviluppo completo (Maroli e Bettini,1977), mentre in Nord Italia il secondo ciclo viene interrotto dall’abbassamento delle temperature in settembre-ottobre. Durata media (in giorni) del ciclo di sviluppo di tre specie di flebotomi in allevamenti di laboratorio, calcolata dal pasto di sangue al farfallamento della generazione successiva SPECIE (in parentesi, i minimi e i massimi osservati) P. perniciosus P. perfiliewi P. papatasi UOVA UOVA LARVE PUPE 9 6 18 9 Maturazione Schiusa (I-IV) N CICLO Totale 42 (7-12) (4-8) (16-20) (8-11) (42-45) (5-12) (5-8) (18-26) (6-10) (41-48) (7-9) (6-8) (21-36) (7-9) (43-48) 8 8 6 7 22 28 8 8 44 51 Maroli et al. 1983 Nella ricerca dell’ospite, la femmina del flebotomo mostra un comportamento silenzioso ed è per questo conosciuta come pappatacio (= pappare in silenzio). La sua puntura può essere indolore, tuttavia l’attacco di più flebotomi provoca quasi sempre un certo dolore. Nel sito della puntura si manifesta spesso una reazione cutanea locale accompagnata da prurito e comparsa di una papula che può persistere per alcuni giorni. La reazione può essere più grave nei soggetti che vivono abitualmente in zone in cui i flebotomi sono assenti; essi possono presentare una reazione allergica più o meno grave e generalizzata, con febbre e cefalea. I flebotomi sono insetti ematofagi notturni che iniziano la loro attività al calare della notte con picchi di massima intensità intorno alla mezzanotte e nell’ora che precede il sorgere del sole. Gli adulti appaiono durante la stagione calda nelle zone temperate e, in densità variabili, sono presenti tutto l’anno nelle zone a clima tropicale. Il loro volo è silenzioso e generalmente sono piuttosto stanziali, percorrendo brevi distanze dai focolai, per lo più trasportati dal vento. Essi sono disturbati dal vento e da temperature al di sotto della media estiva; infatti, nelle notti in cui si manifestano tali condizioni, la loro attività è notevolmente ridotta. 10 distribuzione dei flebotomi in italia Le specie italiane di flebotomi appartengono a due generi: Phlebotomus e Sergentomyia. Quest’ultimo è rappresentato dalla sola specie S. minuta che si nutre su animali a sangue freddo e non riveste quindi importanza sanitaria. In Italia sono state segnalate 7 specie del genere Phlebotomus: P. perniciosus, P. perfiliewi, P. neglectus, P. sergenti, P. ariasi, P. mascitii, P. papatasi (Maroli,1989). Maroli et al., nel 1998 hanno analizzato i dati relativi a 23 anni di raccolta di flebotomi (1975-1998) nei principali focolai di Leishmaniosi di diverse regioni dell’Italia continentale e delle due isole maggiori. Su 97.491 vettori appartenenti ai generi Phlebotomus e Sergentomyia l’abbondanza relativa delle specie raccolte era: P. perniciosus 44.6%, P. perfiliewi 37.2%, P. neglectus 0.2%, P. mascitii 0.03%, P. papatasi 0.3%, P. sergenti 0.06%, P. ariasi 0.01%, S. minuta 17.6%. Come si può rilevare P. perniciosus, P. perfiliewi e S. minuta sono le specie presenti con maggiore regolarità in quasi tutte le regioni investigate. P. neglectus, che in passato sembrava essere presente limitatamente ad alcune regioni del Sud Italia - Puglia, Calabria e Sicilia -, recentemente è stato rinvenuto anche nel Nord Italia - Veneto e Piemonte - (Maroli et al., 2002). P. ariasi ha invece una distribuzione limitata alla Liguria occidentale, nelle province di Imperia, Savona e in Piemonte nella provincia di Cuneo (Maroli et al., 1997), mentre P. sergenti, presente solo nella Sicilia occidentale, è stato catturato in alcuni focolai di Leishmaniosi ai piedi del monte Etna. P. perniciosus è la specie maggiormente diffusa sul territorio nazionale ed è rinvenibile sia in ambienti domestici (31.2%), che peridomestici (39.8%) e silvestri (29%). Dal momento che questa specie è rappresentata nei più diversi contesti ambienti compatibili con la presenza di flebotomi, si può dedurre che essa è sostanzialmente indifferente sia al degrado urbano che ambientale. In effetti, P. perniciosus è stata frequentemente reperita, in questi ultimi anni, in zone urbane fortemente inquinate di Roma, Firenze e Palermo (Maroli et al., 1994). La facilità con la quale P. perniciosus è in grado di colonizzare differenti aree e ambienti contigui potrebbe spiegare la sua alta capacità vettrice e in particolare il fatto di essere all’origine dell’instaurarsi e diffondersi (a macchia di leopardo) di nuovi focolai di Leishmaniosi (Rioux et al., 1986). P. perfiliewi è invece generalmente associato ad ambienti domestici, infatti le sue catture in ambienti silvestri sono rare. P. neglectus non è mai risultato essere specie comune nei focolai investigati (0.2% dei vettori totali catturati); sembra che sia gli ambienti domestici che quelli silvestri siano favorevoli al suo ciclo di sviluppo. Delle specie italiane di flebotomo, 4 sono quelle sicuramente responsabili della trasmissione di L. infantum: P. perniciosus, P. perfiliewi, P. neglectus e P. ariasi. È stato provato che P. perniciosus è il vettore di L. infantum Zimodema MON1 in Italia come in altre zone del Bacino del Mediterraneo (Bettini et al.,1986). Inoltre, P. perniciosus è vettore di L. infantum Zimodema MON72 nell’area di Napoli (Maroli et al., 1994) dove si è visto come questa specie è sia antropofila che zoofila e che la sua distribuzione coincide con quella della Leishmaniosi umana e canina, nonché che il parassita isolato da questa specie in natura ha lo stesso profilo enzimatico di quello che causa la malattia nell’uomo e nel cane (Bettini et al.,1986). P. perniciosus può essere responsabile della trasmissione di Leishmaniosi cutanea con ceppi dermotropi di L. infantum, come osservato da Rioux et al. (1986) in Spagna e Malta. P. perfiliewi sembra essere il principale trasmettitore degli agenti della Leishmaniosi cutanea sulla costa adriatica, dove è stato trovato infetto con L. infantum MON1 (Maroli et al., 1987) e in Calabria, poiché la sua distribuzione coincide con quella della malattia. Inoltre, non può essere escluso un suo ruolo nella trasmissione della Leishmaniosi viscerale (Killick-Hendrick, 1977). P. neglectus è sospetta di trasmettere la Leishmaniosi viscerale e la Leishmaniosi canina sul promontorio del Gargano, in Puglia. Questa specie è poi stata trovata infetta con L. infantum nell’isola di Corfù (Léger et al.,1988). 11 la lotta ai flebotomi Al momento attuale, non sono disponibili vaccini per la profilassi della Leishmaniosi per cui la prevenzione si basa essenzialmente sull’impiego di presidi ad azione repellente o insetticida. La lotta ai flebotomi prevede due tipi di intervento: il primo consiste in misure di protezione contro le punture dei flebotomi; il secondo ha lo scopo di ridurre la densità dei flebotomi mediante l’uso di insetticidi e operazioni di bonifica ambientale in modo da eliminare le cause favorenti lo sviluppo dei flebotomi, in particolare in aree urbane e periurbane. Per quanto riguarda la prima possibilità, una campagna di lotta contro i flebotomi basata sull’impiego di insetticidi ad azione residua negli ambienti domestici, aveva portato ad una significativa riduzione del numero di casi della malattia e ad una sensibile diminuzione della densità dei flebotomi in alcuni focolai di Leishmaniosi cutanea dell’Abruzzo (1948-1950) (Corradetti,1954). Tuttavia considerazioni di ordine ambientale e la possibilità che insorgano problemi di resistenza agli insetticidi, come è stato riportato per P. papatasi in Turchia e in India nei confronti del DDT, nonché la difficoltà a individuare i focolai larvali sconsigliano interventi con insetticidi a livello ambientale (Favati et al., 2000). In passato le principali misure di profilassi da adottare durante i soggiorni in zone endemiche di Leishmaniosi erano l’uso di repellenti chimici (Fossati e Maroli, 1985), quello di zanzariere a maglie molto fitte, (i flebotomi, essendo molto piccoli, attraversano le comuni reti per zanzare) alle finestre e l’evitare di soggiornare all’aperto durante le ore notturne. Diversi studi hanno mostrato come l’impiego di insetticidi a base di permetrina e deltametrina (Reithinger et al, 2001; Maroli et al. 2001; Giffoni et al., 2002), siano in grado di ridurre il rischio di infezione nei cani esposti. In uno studio è stato anche provato come il trattamento con insetticidi dei cani riduca in modo significativo anche il rischio di infezione umana (Mazloumi Gavgani et al., 2002). L’efficacia di questi principi è dovuta al loro effetto anti-feeding (repellente), a cui si associa l’effetto insetticida sui flebotomi che, durante il pasto di sangue, hanno assorbito il principio attivo con una conseguente loro alta mortalità che, impedisce anche l’eventuale trasmissione di Leishmania. Infatti occorre considerare che sulla capacità vettoriale di una popolazione di flebotomi influisce non solo il numero di soggetti che effettuano un pasto di sangue su di un ospite (capacità repellente di un composto), ma soprattutto il numero di flebotomi che sopravvivono fino al pasto di sangue successivo e sono quindi in grado di infettare un nuovo ospite (potere insetticida). In Italia i flebotomi sono attivi da maggio a ottobre/novembre nelle aree meridionali, mentre nel nord del paese scompaiono verso la prima decade di ottobre. La loro densità ha un picco massimo nella seconda metà di luglio al Nord, mentre al Sud vi sono due picchi di densità, uno all'inzio e l'altro alla fine dell'estate. Ovviamente la stagionalità dei flebotomi presenta variazioni (di alcuni giorni) nei diversi anni a seconda delle condizioni climatiche. 12 distribuzione dei focolai di leishmaniosi in italia Dopo la prima segnalazione di Basile in Sicilia e nel Lazio, casi di Leishmaniosi canina furono successivamente segnalati in Calabria, Sardegna ed Emilia Romagna. La Leishmaniosi canina è diffusa lungo tutta la costa tirrenica, ionica ed adriatica fin sopra al Gargano e focolai importanti si riscontrano in tutte le isole maggiori e minori (Pozio et al.,1985). In pratica oltre due terzi del territorio costiero, dal livello del mare a 500-600 mt. di altitudine, rappresentano un sito potenziale di trasmissione. Tuttavia, grazie alla peculiare biologia dei vettori, la malattia non appare diffusa uniformemente sul territorio ma distribuita a micro-focolai (a macchia di leopardo) ove le infezioni sono ricorrenti nel tempo e con percentuali di cani infetti anche superiori al 30%. Solamente focolai sporadici e di lieve entità sono invece riscontrabili nel medio e alto Adriatico e, più in generale, ad est della dorsale appenninica centro-settentrionale. Esistono focolai sicuramente attivi da più di 90 anni. Per focolai più recenti, non è dato sapere se si tratti di una effettiva introduzione della malattia in aree precedentemente indenni o, molto più probabilmente, di una mancanza di segnalazioni al riguardo. Alcune ricerche siero-epidemiologiche hanno mostrato differenti livelli di prevalenza dell’infezione legati alle caratteristiche ecologiche dei focolai, con un massimo del 37% di cani infetti nell’isola di Ustica. Alte positività sono state riportate per due focolai toscani ecologicamente molto simili tra loro: quello del promontorio del Monte Argentario (24%) e quello dell’isola d’Elba (19%). La provincia di Pisa sembrava essere indenne fino al 1990, quando alcuni casi di malattia furono osservati in cani che non erano mai stati in zone endemiche più o meno limitrofe. Successive indagini hanno mostrato sieroprevalenze nell’area variabili dal 24,0% al 38,9%. All’interno di un macro-focolaio possono esistere micro-focolai caratterizzati da parametri ecologici omogenei con elevatissima frequenza della trasmissione della malattia, come nel caso dell’area circostante Porto Azzurro (Isola d’Elba) che vanta un 40% di cani infetti. Questi focolai “primato” sono caratterizzati dall’alta densità dei vettori di L. infantum, in questo caso di Phlebotomus perniciosus (Mancianti et al., 1986; Gradoni et al., 1988). Esistono focolai sporadici, per esempio in alcune aree dell’entroterra tirrenico e sulle coste del medio adriatico; in questi focolai la prevalenza d’infezione si aggira su 0,5-3% e talvolta è possibile riscontrare solo poche forme asintomatiche. Una caratteristica che accomuna tali focolai è la predominanza di un’altra specie di flebotomo vettore, P. perfiliewi. Come precedentemente riportato fino a pochi anni fa risultavano indenni le regioni del Nord, dove casi clinici di Leishmaniosi canina si osservavano solo in cani che avevano soggiornato precedentemente in zone infette. Questo ormai non è più vero, dal momento che focolai autoctoni sono stati identificati di recente in Veneto (Maroli et al.,1995) e in Piemonte e Valle d’Aosta (Ferroglio et al., 2000; Ferroglio et al., 2005). Indagini condotte negli ultimi anni in alcune aree del Nord Italia hanno permesso di evidenziare un’ampia diffusione del parassita e dei suoi vettori in molte aree collinari, pedemontane e prealpine/alpine del Nord Italia in cui la sieroprevalenza media è stata del 2,5%, ma, in alcune aree ha raggiunto il 20% dei cani analizzati (Capelli et al., 2004). 13 la leishmaniosi umana in italia Nella prima metà del ventesimo secolo, la Leishmaniosi umana provocava centinaia di vittime ogni anno. Durante gli anni ‘40, grazie ad un’efficace bonifica ambientale, mediante uso del DDT, si ebbe una netta riduzione del numero di flebotomi e, di conseguenza, una notevole deflessione del numero di casi della malattia, fino ad arrivare a pochi casi all’anno. Negli ultimi vent’anni si è registrato un lieve ma costante incremento del numero dei casi di malattia. La forma cutanea ha carattere di bassa endemia in Abruzzo, Calabria, Sicilia e Sardegna, con 20-30 casi all’anno denunciati e oltre un centinaio stimati come effettivi. Negli ultimi dieci anni si sono registrati da 90 a 140 casi all’anno di Leishmaniosi viscerale. In passato, la malattia colpiva quasi esclusivamente i bambini e gli anziani, ma negli ultimi anni si è visto che essa può colpire soggetti di tutte le età, in particolar modo i soggetti immunodepressi. La densità dei cani e degli insetti vettori, le cattive condizioni igieniche, socio-economiche e l’urbanizzazione di aree endemiche costituiscono dei fattori favorenti la Leishmaniosi umana (Bettini et al., 1983). Attualmente, la Leishmaniosi viscerale (LV) rappresenta la terza più comune infezione protozoaria nei soggetti HIV positivi, preceduta soltanto dalla Toxoplasmosi e dalla Criptosporidiosi. Il numero annuo di casi umani in Italia, circa 150-200 segnalazioni annue, è assai superiore a quanto risulta dalla notificazione passiva, come risulta dalla ricerca attiva effettuata in Campania, che ha portato il numero di casi annui da 2 a 40 (Favati et al., 2000) e da un’indagine condotta in Piemonte (Ferroglio et al., 2006). Inoltre è stato verificato come lo stesso strain possa venire rinvenuto in cane e uomo conviventi (Ferroglio et al., 2006). 14 diagnosi e metodi diagnostici. tecniche dirette Una diagnosi accurata di Leishmaniosi canina è fondamentale non solo per quanto riguarda la gestione dei casi clinici nel cane, ma anche, considerando che i cani sono il principale reservoir dell’infezione, per la sorveglianza ed il controllo della Leishmaniosi viscerale umana (LV). Un buon metodo diagnostico per essere definito tale deve avere le seguenti caratteristiche: - possedere alta sensibilità e specificità di genere e di specie; - essere di facile realizzazione; - permettere il riconoscimento e la distinzione tra infezioni recenti e di vecchia data; - permettere l’individuazione dei soggetti portatori; - permettere di valutare l’esito della terapia. Nella diagnosi di questa patologia si possono utilizzare tecniche dirette, che si basano sulla evidenziazione diretta del parassita, o tecniche indirette basate sulla ricerca di anticorpi. L’impiego della xenodiagnosi, basata sull’utilizzo del vettore per individuare l’infezione nell’ospite, è limitato a protocolli di ricerca e non ha impiego pratico. Microscopia e coltura La dimostrazione della presenza di amastigoti di Leishmania in strisci di linfonodi o midollo osseo colorati con Giemsa o l’identificazione di promastigoti in colture ottenute da questi materiali, rappresentano il tradizionale “gold standard” per la diagnosi di una infezione stabile disseminata. Queste tecniche richiedono un impegno metodico e paziente dato che generalmente la quantità di parassiti che si può prelevare è piuttosto piccola (1-10 parassiti/1000 campi microscopici) da cui deriva una bassa sensibilità (circa 60%) della prova microscopica (Ciaramella et al., 1997). Anche la sensibilità della prova colturale è generalmente bassa e varia in base a fattori quali il mezzo utilizzato (bifasico o liquido), le condizioni della semina, la quantità di materiale usato, il tipo di prelievo effettuato ed è pertanto raramente impiegata nella routine clinica veterinaria. 15 Metodi di biologia molecolare Le tecniche di biologia molecolare hanno senza dubbio dimostrato le loro alte potenzialità per la diagnosi di varie specie di parassiti. Per quel che riguarda Leishmania, sono state messe a punto inizialmente tecniche di ibridazione con sonde di acidi nucleici marcate radioattivamente (Gramiccia et al., 1992), ma questo approccio si è dimostrato poco sensibile per un’applicazione routinaria come la diagnosi sistematica. La tecnica della PCR ha di fatto colmato questa lacuna di sensibilità, caratteristica che dipende in modo molto significativo dal protocollo di estrazione del DNA e dalla scelta dei primers e del protocollo di amplificazione utililizzati (Reithinger et al., 2000). Nel corso degli anni sono stati sviluppati diversi protocolli di amplificazione per rispondere all’esigenza di avere metodiche diagnostiche con un’alta sensibilità, facilmente ripetibili e veloci da eseguire, che permettano l’identificazione di quantità infinitesime di parassiti, anche in campioni quali semplici prelievi di sangue periferico (Ravel et al.,1995). Uno dei primi protocolli di PCR che mostra grande sensibilità e per- mette l’individuazione di Leishmania infantum in macrofagi di soggetti infetti è la metodica inizialmente descritta da Ravel et al. (1995), che permette di rilevare 1 parassita per millilitro di sangue. Ma il protocollo di PCR che si è rilevato per il momento il più sensibile è stato messo a punto da Lauchad et al. (2002), che usando la coppia di primers RV1-RV2, si è dimostrato in grado di arrivare fino ad individuare la presenza di 10-3 leishmanie per millilitro di sangue. PCR test RV1-RV2 Pozzetto Pozzetto Pozzetto Pozzetto 1-2: 5 Leish / 1 4-5: 1 Leish / 1 3: Marker V 6: Marker 100 pb Tuttavia l’alta sensibilità di questo protocollo, se da un lato ha permesso di evidenziare come il numero di cani e umani infetti sia sensibilmente superiore a quanto prima ipotizzato, si può rivelare controproducente nella diagnostica clinica, questo perché si individuano molti soggetti infetti, che però non hanno, o non vanno incontro, a quadri clinici. Si è visto che per la diagnosi di malattia comparando due protocolli di PCR, uno con sensibilità di 500 leishmanie per ml di sangue e quello con la sensibilità di 10-3 leishmanie per ml di sangue, il valore predittivo positivo (cioè la capacità di dare come positivo un vero malato) del test meno sensibile è del 100%, mentre per il test più sensibile scende al 30%. Questo perché la metodica più sensibile individua molti soggetti infetti che però non presentano un quadro clinico patologico. Per risolvere questo problema nella diagnostica clinica si va estendo l’impiego di metodiche di PCR real time (PCR-RT) che permette di quantizzare il DNA del parassita presente in partenza. 16 diagnosi e metodi diagnostici. tecniche indirette La dimostrazione della presenza di anticorpi anti-Leishmania circolanti (principalmente IgG) con metodi sierologici costituisce uno strumento importante per la diagnosi. Per l’interpretazione di questi test occorre tener conto che la sieropositività non indica necessariamente la presenza di malattia in corso: nelle zone endemiche, ad esempio, molti cani sono sieropositivi ma non manifestano la malattia. Per contro, nelle prime fasi dell’infezione, alcuni cani possono risultare comunque sieronegativi. Occorre inoltre considerare che i titoli anticorpali possono persistere, spesso a valori bassi o soglia, anche in seguito alla risoluzione clinica. Esami sierologici Elisa Si tratta di un test immunoenzimatico, in cui un antigene solubile, lisato totale, purificato o ricombinante, viene assorbito sul fondo di apposite piastre microtiter. Il campione di siero viene messo ad incubare nei pozzetti e, dopo accurati lavaggi per rimuovere il siero, si aggiunge un’antiglobulina di cane coniugata con un enzima (Fosfatasi o Perossidasi). Dopo un’ulteriore incubazione e vari lavaggi eseguiti per eliminare l’antiglobulina libera, si procede alla messa in evidenza, tramite reazione colorimetrica, di un eventuale legame che si verifica mettendo a contatto l’enzima con il substrato. L’intensità della reazione può essere misurata impiegando lo spettrofotometro. Il fatto che la lettura sia strumentale la rende oggettiva e meno dipendente dall’operatore che esegue il test (Mansueto, 1981). Molti test si basano su lisati totali di Leishmania infantum, mentre vi sono test basati su antigeni ricombinanti. L’antigene ricombinante che ha ad oggi maggior applicazione diagnositica è il K39, un antigene ricombinante ottenuto da L. chagasi (specie diffusa nel Nuovo Mondo ma geneticamente identica a L. infantum). L’impiego di un’ELISA-K39 ha mostrato la sovrapponibilità dei risultati ottenuti rispetto quelli forniti dall’IFAT (Scalone et al., 2002). La metodica ELISA è usata anche in test rapidi quali lo SNAP CLATKR che ha mostrato un’ottima concordanza sia con l’IFAT che con il Western-Blotting anche per quanto riguarda sieri con basso titolo anticorpale o impiegando direttamente sangue intero (Ferroglio et al., 2007). 17 Immunofluorescenza indiretta (IFAT) L’IFAT è un test di rapida e semplice esecuzione che consente la titolazione e presenta un’elevata specificità e sensibilità. Il test utilizza come antigene i promastigoti di Leishmania fissati su appositi vetrini, disponibili in commercio. Il siero in esame, diluito per raddoppio in base 20, viene posto a contatto con l’antigene per 30° a 37ºC. Dopo lavaggio si aggiunge un’antiglobulina specifica e coniugata con isotiocianato di fluorescina. Dopo un’ulteriore incubazione a 37º e successivi lavaggi, i vetrini vengono montati con glicerina ed osservati con microscopio a raggi ultravioletti. I promastigoti e i flagelli dei sieri positivi risultano nettamente fluorescenti (Mancianti e Meciani, 1988). IFAT positivo L’IFAT ha una specificità prossima al 100% per i titoli anticorpali superiori a 1:160, che è generalmente accettato come titolo soglia per diagnosticare un’infezione da Leishmania. Tuttavia laboratori diversi fissano il titolo soglia a titoli variabili da 1:80 a 1:160. Comparando i risultati dell’IFAT con quelli ottenuti con il Western-Blotting si è visto che, per il laboratorio analizzato, la concordanza era elevatissima per i campioni negativi (≤ 1:20) e per i campioni positivi (≥ 1:160), mentre solo il 4% e il 22,5% dei sieri positivi a titoli di 1:40 e 1:80 rispettivamente, avessero anticorpi antileishmania rilevabili anche in Western-Blotting (Ferroglio et al., 2002). La sensibilità di questa tecnica è del 98,4-99%; può quindi essere considerata molto soddisfacente. L’IFAT è un test che, avendo una lettura soggettiva del preparato, richiede la presenza di personale esperto ed una standardizzazione delle procedure. Immunoblotting L’immunoblotting, anche detto “Western-Blotting”, è una tecnica usata in biologia molecolare per rivelare e quantificare proteine che reagiscono con un anticorpo specifico. È un test dotato di una buona sensibilità, maggiore di quella dell’IFAT, sebbene, per motivi tecnici, non possa essere utilizzato routinariamente a livello ambulatoriale, il Western-Blotting viene consigliato per la risoluzione dei casi dubbi, essendo appunto dotato di un’elevata sensibilità e specificità. 18 Algoritmo per lo screening in-clinic Cani asintomatici Cani con sintomatologia SNAP® SNAP® Test negativo Test positivo Ripetere il test dopo 6-12 mesi Test positivo Test negativo Se la leishmaniosi rimane tra le patologie sospette Profilo ematologico, UPC, Elettroforesi delle siero proteine, *PCR su midollo, linfonodi, cute e sangue *Risultato Positivo: indica un’infezione in corso che non sempre Anemia, proteinuria, ipergammaglobulinemia è espressione di malattia. Falsi negativi: dovuti alla presenza di inibitori o alla non omogenea distribuzione del parassita nei tessuti esaminati Conferma sospetto diagnostico Considerare il trattamento Positiva Negativa Ripetere il test dopo 6-12 mesi Ripetere il test dopo 1-3 mesi: Profilo Ematologico,UPC, Elettroforesi delle siero proteine Realizzato in collaborazione con il prof. Ezio Ferroglio. Facoltà di Medicina Veterinaria -Torino 19 aspetti clinici della leishmaniosi canina Una descrizione completa della sintomatologia in corso di Leishmaniosi canina (Lc.) non è semplice poiché i quadri clinici con cui si manifesta sono estremamente variabili (tab n°1). La malattia rappresenta, in zone endemiche, una sfida diagnostica nella quale il veterinario si cimenta quotidianamente. Gli studi classici sull’epidemiologia della Lc. hanno classificato la malattia in forme asintomatiche, oligosintomatiche e plurisintomatiche secondo l’entità dei sintomi presenti (Mancianti et al., 1988), questa classificazione si presta bene ad un approccio epidemiologico, ma non ha una grossa utilità in campo clinico, dove la raccolta dei segni si accompagna all’interpretazione degli esami collaterali di laboratorio e di fronte ad un soggetto apparentemente asintomatico, possiamo riscontrare una grave proteinuria secondaria al danno indiretto del parassita a livello renale. La malattia è caratterizzata da una reticolo endotelite sistemica, il coinvolgimento del sistema immunitario dell’ospite ha un ruolo fondamentale nella comparsa dei vari quadri clinici, un corretto approccio alla Lc. non deve prescindere dalle recenti acquisizioni sulla patogenesi. La comprensione degli intimi meccanismi di interazione tra ospite e parassita già nelle prime fasi del contagio, insieme all’utilizzo sul campo delle tecniche molecolari per la diagnosi, hanno permesso di comprendere l’evoluzione dell’infezione nel cane, attribuendo alla risposta immunitaria un ruolo chiave per il passaggio tra infezione e malattia. Grazie alle attuali conoscenze è chiaro come il contagio in animali recettivi non determina sempre la comparsa dei sintomi, lo sviluppo della malattia dipende dal tipo di risposta messa in atto dall’ospite, protettiva o non-protettiva. Si ipotizza così, come per il modello murino di laboratorio, l’esistenza di una popolazione di cani resistenti ed una di cani recettivi alla malattia. Tab. 1 Segni clinici Lesioni cutanee Slappendel RJ 1988 n.80 % Ciaramella et al.1997 n.150 % Koutinas et al.1999 n.158 % Pena Ferrer et al.2006 et al.1988 n.430 n.43 % % 81 89 Dermatite furfuracea 56 64,1 60,5 Dermatite ulcerativa 40 34,3 23,3 Dermatite modulare 6 2,3 11,6 1,6 4,6 Dermatite pustolosa sterile Linfoadenopatia 90 linfoadenomegalia 88,7 65,2 28 prescapari 4 poplitei 7,6 ipoplasia linfonodale 56,7 generaliz. Splenomegalia Milza palpabile 32,5 53,3 9,5 Lesioni renali 45 (uremia) 85 (proteinuria) 16 4 (unico segno) 38,1 (azotemia) 8 16 12 blefariti Lesioni oculari e perioculari 24,1 congiuntiviti 5,1 KCS 8,2 uveiti 24,4 3,7 (solo segni oculari) 20 L’attivazione da parte del sistema immunitario al momento dell’infezione della sottopopolazione T-helper 1 (Th1) attiva i meccanismi effettori dei linfociti T-citotossici e dei macrofagi, promuovendo così una risposta di tipo cellulare protettiva nei confronti dell’infezione da Leishmania; mentre l’attivazione dei linfociti Th2 è responsabile dell’attivazione dell’immunità umorale con produzione di anticorpi specifici nei confronti dell’antigene, ma non protettivi (Pinelli et al., 1999). I nostri pazienti non saranno mai completamente Th1 o Th2 ed è proprio il clinico, che attraverso l’interpretazione della sintomatologia e l’uso degli esami collaterali, dovrà inquadrare correttamente il caso, anche per identificare altre patologie intercorrenti. Il periodo d’incubazione segnalato in letteratura può avere una durata compresa tra un minimo di 3 mesi a un massimo di 7 anni (Slappendel e Ferrer, 1998), naturalmente dopo aver compreso la patogenesi di questa malattia non si deve considerare il periodo d’incubazione secondo la sua definizione classica. La Lc. nella sua forma classica è caratterizzata da un quadro clinico estremamente pleomorfo, l’andamento è frequentemente di tipo sub acuto o cronico, raramente osservate nella pratica, ma segnalate forme acute con comparsa di febbre, remittente o intermittente (Slappendel e Ferrer, 1998; Ciaramella et al., 1997; Blavier et al., 2001). I principali motivi di consulto veterinario (tab n°2) sono: dermatopatie, dimagrimento, diminuito appetito, scarso rendimento particolarmente evidente nei soggetti da lavoro. Motivo della visita % Lesioni cutanee 50,6 Diminuzione appetito 16,5 Perdita di peso Intolleranza all’esercizio Debolezza Lesioni oculari 25,3 10,8 8,2 7 Epistassi 6,3 Sintomi gastro enterici 3,8 Poliuria-polidipsia Ascite Sintomi respiratori Zoppie Altro Tab. 2 3,8 2,5 1,9 1,3 3,2 Koutinas et al. 1999 21 L’atrofia muscolare a carico dei muscoli crotafiti e generalizzata insieme alle lesioni cutanee e l’onicogrifosi, secondaria allo stato flogistico della matrice ungueale dovuta all’azione dei parassiti, conferisce al soggetto un aspetto di cane vecchio, l’appetito può essere normale, notevolmente aumentato o diminuito (Foto n°1). L’epistassi è abbastanza comune, di solito si presenta unilaterale e intermittente per le lesioni ulcerative della mucosa nasale e talvolta aggravata dalla piastrinopenia. Le lesioni cutanee in corso di Leishmaniosi insieme all’interessamento linfonodale rappresentano sicuramente le manifestazioni cliniche più frequenti (tab n°1). 1 Uno studio del 1988 della scuola spagnola ha descritto dal punto di vista macroscopico e istologico le seguenti quattro forme cutanee di Lc. (Ferrer et al., 1988) studio ulteriormente approfondito e confermato con metodi immunoistochimici dalla stessa scuola che ha correlato il quadro clinico con lo stato di immunocompetenza del paziente (Fondevilla et al., 1997). 2 3 4 Dermatite secca esfoliativa: (60% dei soggetti con lesioni cutanee) anche detta “dermatite furfuracea o amiantacea” caratterizzata da un mantello ricoperto di scaglie cornee, generalmente la zona più colpita è la testa e in particolare il dorso del naso (Foto n°2), può essere anche presente alopecia che, quando localizzata nella regione periorbitale, determina il cosiddetto segno degli occhiali. Queste lesioni si possono estendere sul corpo dell’animale, generalmente in modo simmetrico (Foto n°3). Istologicamente nel derma e occasionalmente nel sottocute si osserva un infiltrato di macrofagi, linfociti e plasmacellule. Nei macrofagi e talvolta nei fibroblasti, si possono evidenziare un gran numero di amastigoti, le lesioni sono causate in modo diretto dai parassiti nel derma, questo tipo di lesione si correla con un alto livello di immunocompetenza. Forme ulcerative: (23% dei soggetti con lesioni cutanee) si manifestano soprattutto a livello delle articolazioni (gomito, ginocchio, carpo, tarso) e prominenze ossee (Foto n°4) come a livello delle giunzioni muco cutanee, tartufo e cuscinetti plantari e estremità dei padiglioni auricolari. Istologicamente si possono osservare ulcere circondate da epidermide iperplastica, l’infiltrato infiammatorio è costituito da neutrofili, eosinofili, macrofagi e linfociti, il numero di parassiti è generalmente molto basso, tali lesioni possono essere causate sia dall’azione diretta del parassita che da fenomeni di vasculite immunomediata. Questo tipo di lesione è stata messa in correlazione con un livello di immunocompetenza intermedio. Dermatite nodulare: (12% dei soggetti con lesioni cutanee) si manifesta con la comparsa di noduli cutanei generalizzati o localizzati non dolenti talvolta ulcerati. Nel lavoro originale di Ferrer si ipotizzava nella razza Boxer una predisposizione per questa forma. Istologicamente il nodulo corrisponde ad un accumulo di macrofagi intensamente parassitati, cellule giganti e alcuni linfociti e plasmacellule. Questo tipo di lesione è stata messa in correlazione con un livello di immunocompetenza inefficace. 22 Dermatite pustolosa: (4% dei soggetti con lesioni cutanee) è la forma cutanea più rara, le principali lesioni sono costituite da pustole generalizzate sull’addome e sul tronco, ascelle e inguine, non sono isolabili batteri dalle lesioni “dermatite pustolosa sterile” (Foto n°5). Istologicamente si osservano delle pustole subcorneali senza acantolisi e modesto infiltrato non suppurativo nel derma, macrofagi con scarso numero di parassiti. La patogenesi di queste forme non è ancora chiara e non è stata ancora messa in correlazione con il livello di immunocompetenza. Oltre alle quattro forme cutanee classiche in corso di Leishmaniosi si riscontrano altre lesioni che interessano il distretto cutaneo e sono l’ipercheratosi del tartufo e dei cuscinetti plantari (Scamparella e Noli, 2000) depigmentazione del tartufo in assenza di ulcerazioni e dermatofibrosi nodulare degli arti anteriori in assenza di lesioni renali associate, con risposta alla terapia antimoniale (Denerolle, 1996). Recentemente sono state segnalate forme caratterizzate da lesioni papulari (Foto n°6) frequentemente localizzate a livello del capo (Ordeix et al., 2005; Bottero et al., 2006; Noli e Cornegliani, 2006), questi report sono accomunati dalla giovane età dei soggetti dal pelo raso e in questi quadri da remissione spontanea della lesione, e gli autori hanno ipotizzato una specifica immunocompetenza. Queste lesioni potrebbero inoltre essere interpretate in alcuni casi come un sito di prima infezione il cosiddetto “cancre d’inoculation” descritto dagli autori francesi (Blavier et al., 2001; Vidor et al., 1991) . 23 Lesioni oculari: oltre alla dermatite periorbitale già descritta, una blefarite è un comune riscontro in corso di Lc. in alcuni casi le lesioni nodulari sopra descritte tra le lesioni cutanee si rinvengono proprio sui margini palpebrali. Un’iperemia congiuntivale è frequente con dimostrazione della localizzazione del parassita mediante PCR (Roze, 2004) con quasi costante coinvolgimento corneale, infatti la manifestazione classica della Leishmaniosi oculare è la cheratocongiuntivite (Pizzirani, 1989). Le lesioni che interessano il segmento anteriore dell’occhio sono di frequente riscontro in corso di Lc. l’uveite anteriore in aree endemiche ha come eziologia la Leishmaniosi nel 70% dei casi, in queste forme spesso si evidenziano bassi titoli anticorpali e scarsa risposta alla terapia anti-Leishmania (Roze, 2004). Uno studio recente ha descritto in 105 cani (24,4% di tutti i casi di Lc. diagnosticati durante il periodo dello studio) 5 6 lesioni oculari e perioculari e in 16 casi (15,2% dei casi oculari) si sono osservate solo lesioni oculari; sempre in questo studio l’uveite anteriore è stata la manifestazione più frequente seguita da blefariti e cheratocongiuntiviti (Pena et al., 2000). Meno frequenti sono le lesioni del segmento posteriore: ialiti, corioretiniti, papilliti, emorragie retiniche e distacchi retinici che possono invece accompagnare soggetti con ipertensione sistemica secondaria a danni renali (Roze, 2004). Lesioni renali: sono la principale causa di morte dei soggetti affetti da Leishmaniosi. Le lesioni renali sono classificabili istologicamente come glomerulonefrite membranosa, membrano proliferativa, mesangiale e focale segmentale e inoltre nefrosi interstiziale (Poli et al., 1991; Zatelli et al., 2003). Le lesioni glomerulari sono state riscontrate con frequenza diversa (Poli et al., 1991; Zatelli et al., 2003; Koutinas et al., 1994), sono tipicamente le lesioni primarie riscontrate nel corso di patologie immunomediate come nel caso della Lc. (Lopez et al., 1996). Le lesioni tubulo interstiziali sono considerate secondarie, ma sono di frequente riscontro, uno studio in 41 cani leishmaniotici sui quali è stata eseguita biopsia renale sono state evidenziate in 23 casi 55% (Zatelli et al., 2003) e nel 100% dei soggetti in un altro studio di 40 casi (Plevraki et al., 2006). Frequente nella pratica la diagnosi di Lc. in soggetti, non solo con proteinuria, ma azotemici nei quali l’approccio terapeutico e prognostico è differente. L’esame delle urine e in particolar modo la ricerca della proteinuria, rimane uno strumento insostituibile per la diagnosi precoce di queste lesioni. Importante inoltre ricordare che le lesioni glomerulari nel cane sono frequentemente associate a ipertensione sistemica (Cordellas et al., 2006), e se questa non è controllata opportunamente, può avere un contributo dell’evoluzione del danno renale indipendente dal decorso della Leishmaniosi. In corso di Lc. inoltre è sempre presente l’interessamento del sistema reticolo endoteliale con coinvolgimento dei linfonodi, milza, midollo osseo e fegato. La linfoadenomegalia può essere generalizzata o coinvolgere solo alcuni linfonodi, i prescapolari sono più frequentemente colpiti in quanto tributari della cute della testa dove più frequentemente si contrae l’infezione. La splenomegalia è un reperto frequente, ma non costante, la sua segnalazione è dipendente dalla metodica utilizzata per il suo riscontro. Accanto alle sopraccitate forme più comuni della malattia, sono state descritte manifestazioni inusuali di Lc. con localizzazione del parassita in sede di lesione: lesioni osteoarticolari le poliartriti frequentemente segnalate possono avere come patogenesi fenomeni di ipersensibilità del III tipo conseguente a deposito di immunocomplessi a livello articolare sia per azione diretta del parassita di frequente riscontro nel liquido sinoviale (Slappendel e Ferrer, 2006; Blavier et al., 2001) lesioni osteolitiche e osteoproliferative a carico delle diafisi sono inoltre segnalate (Slappendel, 1988; Buracco et al., 1997). Sono segnalate in corso di Lc. lesioni all’apparato gastro enterico: due casi di enterite emorragica acuta fatale (Denerolle, 1996) e forme di coliti con evidenziazione in sede endoscopica di lesioni granulomatose alcune ulcerate e dimostrazione del parassita in sede bioptica (Ferrer et al., 1991). Lesioni all’apparato cardiovascolare sono di riscontro occasionale; segnalate pericardite (Font et al., 1993), granulomi cardiaci (Aiello e Catarsini, 1976) e una severa miocardite in una femmina di tre anni di Bulldog associata a una vasculite generalizzata. Il parassita è stato evidenziato in tutti i tessuti affetti mediante tecniche di immunoperossidasi e PCR (Torrent et al., 2005) fenomeni di vasculite necrotizzante sistemica sono stati segnalati in due cani con lesioni diffuse in vari organi e apparati (Pumarola et al., 1991). 24 esami di laboratorio aspecifici Un completo approccio clinico al paziente leishmaniotico, deve includere esami di laboratorio allo scopo di valutare lo stato di compromissione sistemica e inoltre, quando necessario evidenziare infezioni intercorrenti frequentemente associate alla Lc.: Ehrlichiosi, Babesiosi. Esame emocromocitometrico: in corso di Lc. possiamo riscontrare anemia normocromica normocitica, iporigenerativa conseguente sia a fenomeni immunomediati sia al possibile ruolo dei radicali liberi che provocano alterazioni della membrana plasmatica degli eritrociti favorendone la demolizione da parte del sistema reticolo istiocitario (De Luna R. et al., 2000). Particolarmente frequente inoltre il riscontro di una Trombocitopenia si ipotizza all’azione di autoanticorpi antipiastrine. Profilo biochimico: oltre le alterazioni proteiche descritte e ben evidenziabili dal protidogramma, il profilo biochimico ci permette di valutare la funzionalità renale di notevole interesse prognostico e per impostare correttamente la terapia, di valutare alterazioni degli enzimi epatici (AST, ALT, ALP) non particolarmente gravi e segnalate con frequenze variabili (tab n°3) anche se il fegato rappresenta un organo bersaglio in quanto provvisto di cellule del sistema reticolo istiocitario. È riportata una epatite cronica in corso di Lc. (Rallis et al., 2005). Dati di laboratorio Anemia Trombocitopenia Iperproteinemia Disproteinemia £AST/ALT £Crea/Urea Proteinuria 25 Slappendel 1988 n.80 Ciaramella 1997 n.150 50 29 comune 91 100 61 45 85 58 Koutinas 1999 n.158 % 73,4 - 63 72,8 16 2 - 76 38 16 Elettroforesi: l’elettroforesi delle proteine sieriche è uno degli esami più importanti in corso di Lc. anche se non si tratta di un esame specifico, permette di ottenere delle informazioni utili per il monitoraggio della patologia. Il quadro elettroforetico classico in corso di Leishmaniosi recente è caratterizzato da un aumento delle proteine totali che riguarda principalmente la frazione globulinica e da ipoalbuminemia sia relativa all’aumento globulinico sia in senso assoluto, con conseguente inversione del rapporto albumine globulina (Foto n°7); nelle forme più avanzate sembra essere più evidente l’aumento in zona beta dando luogo alla formazione di un ponte beta-gamma (Groulade, 1983) (Foto n°8) nell’evoluzione della malattia un aumento della zona alfa 2 può essere conseguente all’aumento delle pro- 71 - 7 8 Tab. 3 9 teine della fase acuta (ceruloplasmina, aptoglobulina) o a un aumento relativo della alfa2-macroglobuline, con relativa diminuzione delle restanti frazioni proteiche per il danno renale in corso di una sindrome nefrosica (Foto n°9). In corso di Leishmaniosi canina sono segnalate inoltre gammopatie monoclonali (Font, 1996; Giraudel et al., 2002) tipiche delle malattie linfoproliferative. Esame delle urine: è sicuramente uno degli esami più importanti in corso di Lc. (Planellas et al., 2004) ed è quello che viene più frequentemente trascurato. Questo esame integra gli esami biochimici di funzionalità renale e permette una valutazione della proteinuria. A tale scopo è bene ricordare che anche una reazione debolmente positiva per le proteine alla striscia reattiva, se accompagnata da un peso specifico basso, richiede un approfondimento con valutazione quantitativa mediante rapporto Pu/cu; qualora tale esame presenti risultati patologici o borderline l’indagine qualitativa SDS-AGE rappresenta una metodica estremamente sensibile in grado di evidenziare anche le proteine urinarie a bassissimo peso molecolare associate in maniera significativa al danno tubulo interstiziale. Uno studio recente ha evidenziato una buona corrispondenza nella localizzazione delle lesioni renali comparando i risultati istologici e la metodica SDS-AGE (Abate et al., 2005). Il tipo di proteinuria studiato con la metodica qualitativa SDS-AGE non è correlato con il quadro istopatologico delle lesioni glomerulari (Zatelli et al., 2003). 26 trattamento della leishmaniosi canina Il trattamento nei confronti di Leishmania determina frequentemente miglioramenti che portano alla guarigione clinica, ma questo non è associato alla eliminazione completa del parassita e alla cessazione di infettività nei confronti dei vettori e alla possibilità di recidive. Ciò nonostante, in questi ultimi anni si sono ottenuti migliori risultati alla terapia della Leishmaniosi, non per nuovi farmaci, ma grazie all’acquisizione di nuovi mezzi diagnostici importanti per la diagnosi precoce e per il monitoraggio del soggetto leishmaniotico. Il principale scopo della terapia è quello di potenziare la risposta immunitaria cellulo mediata specifica del paziente, questo si ottiene riducendo rapidamente la carica parassitaria, a tale scopo i protocolli terapeutici che alcuni anni fa prevedevano cicli di 10-15 giorni con intervalli fino al miglioramento clinico o alla normalizzazione del tracciato elettroforetico, hanno lasciato il posto alla terapia antimoniale prolungata di 6-8 settimane senza interruzione. Numerosi sono i principi attivi che sono stati utilizzati con risultati nella terapia della Leishmaniosi canina (tab n°4) l’associazione antimoniali e allopurinolo ha dimostrato buone evidenze scientifiche di efficacia in base ai risultati di numerosi lavori (Noli e Auxilla, 2005). Principio attivo Meglumine antimoniate Allopurinolo Amminosidina Anfotericina B liposomiale Anfotericina B Derivati Imidazolici Ketoconazolo Pentamidina Dosaggio 100 mg/kg DIE 4-6 settimane 5 mg/kg q 12h 3-4 settimane 1-2,5 mg/kg 2 volte settimana 4-5 settimane Lamothe J., 2001 7 mg/kg DIE OS 7-13 settimane D’ambrosio et al., 1986 4 settimane Lasri, Sahibi, 2003 13 settimane Pennisi et al., 2005 20-40 mg/kg DIE 5-15 mg/kg IV 4 mg/kg 6-16 mesi 3-5 volte 2 volte settim. Metronidazolo* e Spiramicina# *25 mg/kg q 24h #150.000UI/kg Enrofloxacin 27 Bibliografia 20 mg/kg q 24h 4 settimane Tab. 4 Noli e Auxilla, 2005 Poli et al., 1997 Oliva et al., 1995 Bianciardi et al., 2004 Terapia con antimoniali: il trattamento tradizionale prevede l’utilizzo di Sali di antimonio, una recente review ha valutato 17 lavori dove è stato utilizzato meglumine antimoniato con dosaggi variabili da 50 a 150 mg/kg DIE dai dati raccolti i migliori risultati sono stati ottenuti al dosaggio di 100 mg/kg DIE per 4-6 settimane (Noli e Auxilla, 2005). Le due somministrazioni giornaliere e la via di somministrazione sottocutanea sono raccomandate. Allopurinolo: è un analogo dell’ipoxantina ed interferisce nella sintesi proteica del protozoo, per cui ne inibisce la crescita e svolge così un’azione prevalentemente leishmaniostatica. Per questo motivo e per la praticità della somministrazione orale, viene utilizzato generalmente in associazione ai sali di antimonio e alcuni autori ne consigliano l’utilizzo per 12 mesi, o addirittura per tutta la vita, vista anche l’assenza di effetti collaterali significativi; il dosaggio varia da 10 a 30 mg/kg/BID. Otto trials clinici sono stati esaminati per valutare l’utilizzo dell’allopurinolo in monoterapia e non si sono riscontrate evidenze sulla sua reale efficacia, mentre il suo utilizzo al dosaggio 10-30 mg/kg per lunghi periodi in associazione alla terapia antimoniale diminuisce l’insorgenza di recidive (Noli e Auxilla, 2005). Il suo utilizzo a 10 mg/kg q 12h per 6 mesi e ha ridotto la proteinuria e le lesioni tubulo-interstiziali in soggetti leishmaniotici (Plevraki et al., 2006). Le linee guida dell’Istituto Superiore Sanità consigliano l’esclusione delle formulazioni a base di Anfotericina B farmaco di prima scelta per la Leishmaniosi viscerale umana, allo scopo di evitare la formazione di ceppi del parassita con farmacoresistenza a questo principio attivo (Gradoni et al., 2004). bibliografia 1 Abate O., Vittone V., Zanatta R., Tarducci A., Borgarelli M., Bellino C., Cagnasso A. (2005) Valutazione qualitativa della proteinuria mediante SDS-AGE ai fini della localizzazione del danno renale nel cane e nel gatto. Veterinaria n°1: 9-14. 2 Ajello P., Catarsini O. (1976) A case of leishmanioosis in a dog with muscolar and cadiac symptoms. Atti della società italiana di scienze veterinarie 30: 368-374. 3 Alder S., Theodor O. (1930) The exit of Leishmania infantum from the proboscis of Phlebotomus perniciosus. Nature 216: 883-930. 4 Bettini S., Contini C., Atzeni M.C., Tocco G. (1986) “Leishmaniasis in Sardinia. I. 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(2003) Glomerular lesions in dogs infected with Leishmania organisms. Am.J.Vet.Res. 64:558-561. 30 prof. EZIO FERROGLIO DVM, PhD, DipEVPC, DipECVPH Professore Associato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino, membro dell’European Veterinary Parasitology College e dell’European College of Veterinary Public Health. Si occupa dell’epidemiologia e diagnosi delle parassitosi, in particolare delle zoonosi. dott. MARCO POGGI DVM Medico Veterinario libero professionista, specialista in Sanità Animale, è stato prima istruttore poi relatore ai Corsi di Base di Cardiologia SCIVAC dall’anno 1996 ad oggi. Ha partecipato come relatore a seminari nazionali e congressi sulla Leishmaniosi canina, e sull’Ipertensione sistemica suoi principali campi di ricerca. Esercita la libera professione presso il Centro Veterinario Imperiese. 31 IL PARASSITA: MORFOLOGIA 4 5 IDEXX Laboratories Italia S.r.l. Via Canova 27 • 20145 Milano • Italia Tel. 02 3192031 • Fax 02 319 20347 4