Occupazione, collaborazione, resistenza

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PERCORSI
DI STORIA EUROPEA
IPERTESTO
Occupazione,
collaborazione,
resistenza
Razzismo e policrazia
Riferimento
storiografico
1
IPERTESTO B
pag. 10
Riferimento
storiografico
2
pag. 11
Un ufficiale tedesco
parla con un pari grado
danese dopo
l’occupazione della
Danimarca a opera delle
truppe del Reich.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
1
Occupazione, collaborazione, resistenza
Dal 1940 al 1944 il Terzo Reich dominò un territorio vastissimo, che si estendeva dall’Ucrania all’Atlantico e dalla Norvegia al Mediterraneo. Tuttavia, i tedeschi non si comportarono nell’identica maniera in tutti i territori che sottoposero al loro controllo. Ogni
Paese, per così dire, ebbe la sua occupazione, che si svolse secondo modalità diverse e che,
a volte, si modificò nel corso del tempo. Nel determinare il regime di occupazione dei
vari Paesi, infatti, si manifestò nel modo più chiaro e più evidente il carattere policratico del sistema nazista, all’interno del quale molteplici strutture e diversi individui
lottavano in accesa rivalità reciproca, per ottenere il controllo di un settore, di un’attività o di un territorio. Solo nei casi in cui Hitler si pronunciava esplicitamente a favore di un individuo o di un gruppo, oppure prendeva una decisione vincolante per tutti il conflitto momentaneamente si placava su una questione, per riaprirsi poco dopo su
un’altra faccenda.
La variante decisiva, che determinava il tipo e le modalità di occupazione, era tuttavia legata al posto occupato da una data popolazione nella gerarchia razziale nazista, come
emerge da un rapido confronto tra ciò che accadde in Norvegia, Danimarca Olanda e Belgio, da un lato, e in Polonia, URSS o Iugoslavia dall’altro. Mentre lo Stato polacco fu cancellato e le popolazioni slave furono massacrate, danesi, norvegesi e abitanti dei Pae-
UNITÀ VII
IPERTESTO
si Bassi furono considerati degli ariani a pieno titolo: e poiché nel nuovo ordine euro-
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
2
➔Il caso danese
peo sognato e progettato dai nazisti, il loro posto sarebbe stato a fianco dei tedeschi, finché fu possibile l’occupazione fu blanda e poco più che nominale. Inoltre, i Paesi occidentali conservarono tutti l’autorità statale che li governava prima dell’occupazione, sicché il dominio nazista cercò di essere indiretto, filtrato da istituzioni nazionali.
Quando le armate tedesche varcarono il confine danese il 9 aprile 1940, le autorità militari ordinarono esplicitamente ai soldati di tenere un comportamento corretto, che in
nessun modo potesse offendere o irritare la popolazione locale. La motivazione di questo comando era di natura razziale: come disse un generale della Luftwaffe, «il danese non
è un polacco, ma piuttosto un teutone». Il re Cristiano X, il governo e il Parlamento decisero di non emigrare. Pertanto i nazisti, che preferivano di gran lunga trattare con autorità conservatrici capaci di aggregare consensi, piuttosto che affidare il potere ai fascisti locali, fanatici, ma di solito privi di seguito popolare, cercarono di costruire un positivo rapporto di collaborazione. Nel 1941, circa il 75% della produzione agricola danese era esportata in Germania, al punto che la Danimarca forniva tra il 10 e il 15%
delle derrate alimentari che entravano nel Reich. Inoltre, nella Germania settentrionale
lavoravano ogni anno circa 30 000 danesi.
Desiderosi di rompere questo equilibrio, gli inglesi organizzarono una serie di azioni di
sabotaggio e di attentati, che spinsero i nazisti ad assumere un atteggiamento sempre più
rigido e più brutale. Tra le forze di occupazione, il plenipotenziario Cecil von Renthe-Fink,
che dipendeva dal ministero degli Esteri tedesco, cercò fino all’ultimo di impedire le rappresaglie, sostenute come necessarie dalle SS e dalla polizia. Nel novembre 1942,
Renthe-Fink fu sostituito da Werner Best, che era un alto ufficiale delle SS; a Copenhagen tuttavia, anche Best si rese conto della fragilità dell’equilibrio danese e cercò di limitare
la violenza dei suoi colleghi. In Danimarca, insomma, la policrazia e lo scontro fra soggetti nazisti differenti, che sostenevano linee e progetti contrastanti, giunse a trasformarsi
in contrasto interno alle stesse SS.
Infine, il 29 agosto 1943, con le dimissioni del governo, la Danimarca uscì definitivamente
dall’ambigua politica di neutralità filotedesca, tenuta fino ad allora e fece una precisa scelta di campo in direzione degli Alleati.
Resistenza e repressione in Cecoslovacchia
Una situazione molto simile a quella danese si era da tempo creata in Cecoslovacchia,
che dal 1939 era stata divisa in una Slovacchia formalmente indipendente e in un Protettorato del Reich comprendente la Boemia e la Moravia (cioè le regioni più occidentali
del Paese). In questa regione, sottomessa direttamente alla Germania e amministrata da
funzionari tedeschi, i nazisti evitarono di commettere violenze e cercarono di non alienarsi i favori della popolazione, che era sì slava, ma giudicata “razzialmente recuperabile” in virtù della positiva influenza che il secolare dominio austriaco aveva esercitato su
di essa. La situazione non mutò di molto neppure quando, nel settembre del 1941, venne nominato da Hitler governatore della Boemia Reinhard Heydrich, il potente comandante dell’intero sistema poliziesco del Reich.
Nel 1942, premuto dagli inglesi, il governo cecoslovacco in esilio a Londra si decise a compiere un’azione clamorosa, che dimostrasse al mondo una precisa scelta di campo e dissipasse ogni accusa di collaborazionismo dei cechi con la Germania. In concreto, fu deciso di uccidere Heydrich (che, all’epoca, poteva essere considerato il terzo uomo più potente del Reich dopo Hitler e Himmler). A tal fine vennero paracadutati da un aereo inglese due soldati dell’esercito cecoslovacco libero, costituitosi in Inghilterra. La mattina
del 29 maggio 1942, essi attaccarono la Mercedes di Heydrich e riuscirono a ferirlo gravemente con una bomba a mano, poi fuggirono a Praga e trovarono asilo presso i religiosi
della chiesa di San Carlo Borromeo dove, scoperti e circondati, si suicidarono.
Heydrich morì il 4 giugno all’ospedale di Praga. Per vendicarlo, nei giorni immediatamente
successivi i tedeschi uccisero 1331 cechi, fra cui 201 donne. A titolo dimostrativo la vioF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
Il governo Pétain in Francia
Travolta dalla guerra lampo tedesca, la Francia si arrese il 25 giugno 1940. Il Paese era frastornato e confuso dalla clamorosa disfatta, del tutto incapace di comprendere le ragioni per cui il nuovo conflitto con la Germania l’aveva vista crollare d’improvviso, al primo urto del nemico. Fu dunque una Francia disperata quella in cui l’11 luglio il maresciallo Pétain (l’eroe di Verdun, nel 1916) assunse la guida della Repubblica, dopo che
569 deputati e senatori gli ebbero conferito poteri straordinari, che lo autorizzavano a stendere una nuova Costituzione.
I decreti costituzionali 1, 2 e 3 gli concessero l’autorità di prendere tutte le decisioni concernenti la sfera esecutiva e legislativa, eccetto le dichiarazioni di guerra, senza dover riferire all’Assemblea. In tal modo, la componente più conservatrice del mondo politico francese approfittò della presenza di un esercito straniero per affossare lo Stato liberale, la
democrazia e l’eredità stessa della Rivoluzione del 1789.
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Riferimento
storiografico
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IPERTESTO B
Alunni della scuola
di Lidice posano
per una foto ricordo.
La piccola cittadina
della Cecoslovacchia
fu rasa al suolo dai
nazisti nel 1942: solo
i bambini furono
risparmiati dalla strage.
3
Occupazione, collaborazione, resistenza
lenza nazista si scaricò soprattutto sul piccolo villaggio di Lidice, presso la città mineraria di Kladno, non lontano da Praga. La mattina del 9 giugno 1942, la polizia tedesca di
sicurezza al comando del capitano Max Rostock circondò il paese e rinchiuse nei granai,
nelle stalle e nella cantina del sindaco del luogo tutta la popolazione maschile del villaggio. Il giorno seguente, 172 fra uomini e ragazzi oltre i sedici anni furono fucilati sul posto, mentre circa 200 donne furono trasportate nel campo di concentramento di Ravensbrück, in Germania. Quanto ai bambini (circa 90), la maggioranza fu assegnata a famiglie tedesche: fatto ciò, l’intero paese venne distrutto dalle fondamenta e perfino cancellato dalle carte geografiche.
Solo in un senso molto lato si può parlare di rappresaglia, nel caso del massacro di Lidice. Gli abitanti del villaggio, infatti, non avevano nulla a che fare con l’attentato e il paese fu scelto praticamente a caso: qualsiasi altro avrebbe potuto subire la sua sorte. L’obiettivo
dei nazisti era di tipo dimostrativo: far comprendere ai cechi che ogni tentativo di ribellione sarebbe stato schiacciato nel sangue e ricordare loro che, malgrado i secolari rapporti della Boemia con la cultura germanica, essi erano pur sempre degli slavi, incapaci
di competere, sotto il profilo razziale, con i dominatori tedeschi.
VISTO DA VICINO
IPERTESTO
UNITÀ VII
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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I provvedimenti antisemiti nella Francia
di Pétain
Alla legge del 22 luglio fece seguito quella del
27 agosto 1940, che abolì il decreto Marchandeau del 21 aprile 1939, con cui si bandivano le
pubblicazioni antisemite e si punivano gli attacchi
alla religione ebraica sulla stampa. La conseguenza
di questa abrogazione fu la totale legalizzazione
delle più violente manifestazioni di antisemitismo e
di odio razziale. Infine, il decreto del 3 ottobre 1940
escluse definitivamente gli ebrei dagli incarichi nella
stampa, nel cinema e dai ranghi superiori dell’amministrazione pubblica. Gli ebrei furono allontanati
anche dagli impieghi e dagli incarichi pubblici, dalla
polizia, dalle forze armate, dalla scuola e dalle industrie finanziate dallo Stato. Il 6
giugno 1942 furono respinti dai teatri, dai cinema e dai
concerti vocali o strumentali. Il 21 giugno
1941 fu stabilita una
quota del 3% sull’ammissione all’università.
Poi, con una serie di
decreti sempre in evoluzione, fu imposto il
numero chiuso, quasi sempre del 2%, in tutte le
professioni. Le più importanti erano quella di avvocato e di pubblico ufficiale (16 luglio 1941); di
medico e di architetto (24 settembre 1941); di farmacista e levatrice (26 dicembre 1941); di dentista
(5 giugno 1942) e di attore (6 giugno 1942). Di
fatto, tra il giugno 1941 e il giugno 1942, gli ebrei
furono esclusi in maniera più o meno radicale da
quasi tutte le professioni.
Un gruppo di ragazzi
parigini si accalca davanti
al cancello di un parco
giochi dove è vietato
l’ingresso agli ebrei.
➔Offerta
di collaborazione
Tra i grandi principi rivoluzionari, un posto importantissimo occupava quello dell’uguaglianza
di tutti i cittadini davanti alla legge e allo Stato. Ma reazionari e conservatori, non avevano mai accettato l’idea dell’emancipazione civile degli ebrei. La nuova Francia parzialmente
occupata dai nazisti, una volta stabilita a Vichy la propria capitale, si affrettò a cancellarla
di propria iniziativa, senz’alcuna pressione da parte delle autorità del Terzo Reich. Sulla
base di quanto previsto da una legge emanata il 22 luglio 1940, un comitato speciale iniziò una sistematica revisione di tutte le naturalizzazioni concesse a partire dal 1927. Al
termine dell’indagine, 17 000 persone, tra cui 6000 ebrei, vennero private della nazionalità francese. È importante ricordare questo particolare in quanto il regime di Vichy,
al momento delle deportazioni, cercò almeno in parte di evitare la cattura degli ebrei francesi: di tutti gli ebrei deportati dalla Francia, 24 500 (il 32%) furono francesi, 56 500 (68%)
stranieri.
L’11 ottobre 1940, il maresciallo Pétain tenne un discorso radiofonico nel quale si rivolgeva simultaneamente alla popolazione francese e alle supreme autorità tedesche. Alla prima, Pétain chiedeva lealtà verso gli occupanti e rinuncia a ogni forma di resistenza; ai tedeschi, offriva invece totale collaborazione.
Il 22 e il 28 ottobre 1940, Pétain e il primo ministro Laval incontrarono Hitler a Montoire e gli ribadirono la totale disponibilità francese a legarsi al Terzo Reich, a patto
che la Francia fosse trattata da partner dotato di piena dignità, e non più da nemico umiliato e sconfitto.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
DOCUMENTI
L’11 ottobre 1940, in un discorso radiofonico, il maresciallo Pétain annunciò la posizione che avrebbe tenuto il governo francese dopo l’occupazione
nazista.
IPERTESTO
Pétain offre alla Germania
la collaborazione francese
[Il nuovo regime francese, istituito a Vichy,] rimetterà in onore
il vero nazionalismo, quello che, rinunciando a concentrarsi su
se stesso, si supera per raggiungere la collaborazione internazionale. Questa collaborazione, la Francia è pronta a cercarla
in tutti i campi, con tutti i suoi vicini. D’altronde essa sa che,
qualunque sia la carta politica dell’Europa e del mondo, il problema dei rapporti franco-tedeschi, trattato in modo così criminale nel passato, continuerà a determinare il suo avvenire.
Senza dubbio, all’indomani della sua vittoria sulle nostre
armi, la Germania può scegliere tra una pace tradizionale
d’oppressione e una nuova pace di collaborazione... La scelta
spetta in primo luogo al vincitore ma dipende anche dal
vinto... In presenza di un vincitore che avrà saputo dominare
la sua vittoria, noi sapremo dominare la nostra sconfitta.
IPERTESTO B
Y. DURAND, Il nuovo ordine europeo. La collaborazione nell’Europa
tedesca (1938-1945),
il Mulino, Bologna 2002, pp. 39-40, trad. it. A. ROMANELLO
In base anche a quanto si dice nel testo del paragrafo,
precedente spiega la frase «In presenza di un vincitore che avrà
saputo dominare la sua vittoria, noi sapremo dominare la nostra
sconfitta».
Adolf Hitler posa davanti alla torre Eiffel a Parigi nel giugno 1940,
subito dopo l’occupazione tedesca della capitale francese.
Collaborazione e resistenza in Francia
Il 4 luglio 1940, temendo che cadesse in mano tedesca, gli inglesi bombardarono la squadra navale francese a Mers el-Kebir. Questo gesto, insieme alla convinzione che la guerra fosse finita, che la resistenza britannica sarebbe stata spezzata in tempi brevi e che occorresse al più presto adeguarsi al nuovo ordine europeo che il Terzo Reich stava imponendo
all’Europa, spinse la componente più conservatrice della società francese a spingersi avanti, offrendo servizi di vario genere ai tedeschi. A partire dalla fine di febbraio del 1941,
il governo fu assunto dall’ammiraglio François Darlan, che nell’inverno 1939-1940 aveva sostenuto l’idea di un intervento a nord contro l’Unione Sovietica, nella guerra russofinnica. A suo giudizio, oltre al comunismo, il vero nemico e concorrente della Francia non era la Germania, con le sue ambizioni di espansione continentale a est, ma l’Inghilterra, potenza dotata di una grande marina e di un impero coloniale. Secondo Darlan, Francia e Terzo Reich potevano essere complementari, mentre Parigi e Londra erano destinate a un antagonismo insanabile: se avessero vinto gli inglesi, disse alla radio il
2 maggio 1941, la Francia, spogliata della marina e dell’impero, sarebbe diventata «un dominion di seconda categoria, un’Irlanda continentale».
Nella primavera del 1941, si verificarono vari incidenti marittimi tra navi da guerra britanniche e mercantili francesi; gli inglesi sostenevano che quelle imbarcazioni, provenienti
dalle colonie dell’impero francese o da Paesi neutrali, portavano in Europa merci e maF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
➔Contrasti tra
Francia e Inghilterra
Occupazione, collaborazione, resistenza
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IPERTESTO
UNITÀ VII
Militari tedeschi
e poliziotti francesi
collaborazionisti
impegnati in un
rastrellamento di ebrei,
fotografia del 1942.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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➔Accordi
franco-tedeschi
➔Un Paese
demoralizzato
terie prime utilizzabili anche dalla Germania, per il suo sforzo bellico. Quindi, le navi da
trasporto che venivano intercettate erano fermate e bloccate dalla Royal Navy. Darlan accusò l’Inghilterra di pirateria, sostenne che (fino al maggio 1941) erano state attaccate 167
navi francesi, per un totale di 790 000 tonnellate e chiese al Reich di poter impiegare navi
da guerra per scortare i convogli. Mai come in quel momento, durante tutta la guerra mondiale, le relazioni tra Francia e Gran Bretagna divennero così tese, correndo fortemente
il rischio di spingerle al conflitto armato.
In questo contesto, il 28 maggio 1941 furono così firmati i Protocolli di Parigi, un accordo che offriva ai tedeschi tre importanti concessioni militari: la Francia permetteva alla
Germania di usare i propri aeroporti e le scorte militari francesi in Siria; l’uso del porto
tunisino di Biserta come punto di rifornimento delle truppe tedesche impegnate in Africa del Nord; una base sottomarina tedesca a Dakar. In cambio, i tedeschi concessero una
piccola riduzione dei costi d’occupazione, il rilascio dei veterani francesi della prima guerra mondiale (70-80 000) ancora presenti nei campi di prigionia in Germania e infine alcune modifiche alle restrizioni militari imposte al governo francese. Gli inglesi, però, si
affrettarono a occupare gli aeroporti in Siria, mentre Hitler, dal giugno 1941, perse interesse per la situazione francese, in quanto le sue attenzioni, da quel momento, si concentrarono quasi esclusivamente sul fronte orientale.
In Siria e in alcune zone dell’Africa, gli inglesi trovarono sostegno in ufficiali e reparti militari francesi che avevano aderito all’appello radiofonico lanciato dal generale Charles De
Gaulle, rifugiatosi in Inghilterra dopo la disfatta. «Qualunque cosa accada – disse De Gaulle il 18 giugno 1941 a Radio Londra – la fiamma della Resistenza francese non deve essere estinta e non lo sarà». Un organico movimento di lotta contro l’occupazione, tuttavia, impiegò in Francia molto tempo per organizzarsi. A lungo, fino a quando l’esercito tedesco sembrò del tutto invincibile, anche i più irriducibili sostenitori dell’indipendenza francese erano demoralizzati e depressi: la loro opposizione si esprimeva in qualche gesto simbolico oppure (in forma passiva, ma comunque pericolosa) nel darsi alla macchia quando si era convocati per un lavoro volontario da svolgere in Germania. Le cose
cambiarono a partire dall’estate 1941, allorché l’aggressione tedesca all’URSS fece scendere in campo i comunisti, e a maggior ragione nel periodo seguente, man mano che si
prospettava la possibilità di un’invasione anglo-americana.
I tedeschi reagirono con estrema brutalità alle azioni di sabotaggio e di resistenza armata. La rappresaglia più spietata si ebbe il 10 giugno 1944, quando una divisione di SS
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO B
➔Retate a Parigi
Un’azione di sabotaggio
organizzata dagli uomini
della resistenza francese:
il deragliamento
di un treno di cui ormai
restano solo i rottami.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
7
Occupazione, collaborazione, resistenza
uccise un migliaio di civili nel villaggio di Oradour-sur-Glane, nella Francia sud-occidentale.
I partigiani catturati erano in genere torturati, prima di essere inviati nei campi di concentramento del Terzo Reich: su 112 000 deportati per ragioni politiche, ne tornarono
35 000.
Per la deportazione degli ebrei, invece, i nazisti operanti in Francia si accorsero in fretta
che avevano a loro disposizione una forza di polizia troppo scarsa: in tutta la Francia occupata, ad esempio, la polizia d’ordine disponeva di tre battaglioni, cioè di circa 3000 uomini. Il problema fu risolto grazie a un accordo con il governo francese di Vichy (nella
persona di Pierre Laval, primo ministro dall’aprile 1942), cui i nazisti offrirono un compromesso: in cambio della collaborazione della polizia francese, per il momento sarebbero
stati arrestati solo gli ebrei apolidi, cioè privi di cittadinanza. Quanto ai bambini di questi ultimi, Laval rispose esplicitamente che tale questione non lo interessava; la polizia francese, pertanto, avrebbe arrestato e consegnato ai nazisti anche loro.
Le retate avvennero il 16 e 17 luglio 1942: 9000 agenti della polizia francese arrestarono 12 884 ebrei apolidi a Parigi. Circa 6000 persone (gli adulti non sposati, oppure
le coppie senza prole o con figli grandi) furono inviati a Drancy, un sobborgo di Parigi
adibito a prigione e campo di transito. Gli altri furono provvisoriamente internati al Vélodrome d’Hiver (o Vél d’Hiv), una struttura ciclistica nella zona ovest della capitale, e
poi portati anch’essi a Drancy da autobus parigini, scortati dalla polizia francese. A gruppi di mille alla volta, furono in seguito condotti ad Auschwitz.
Nel complesso, tra il 20 agosto 1941 e il 17 agosto 1944, furono internati a Drancy (per
poi essere deportati) circa 67 000 ebrei. In totale, furono trasferiti dalla Francia verso est
quasi 76 000 ebrei, in 67 convogli. Il primo, come abbiamo detto, partì il 27 marzo 1942,
l’ultimo il 22 agosto 1944. A guerra finita, fecero ritorno in Francia 2 654 persone (meno
del 3% dei deportati).
IPERTESTO
Le ragioni della disfatta francese
UNITÀ VII
Nel 1941, lo scrittore antifascista ungherese Arthur Koestler – che nei primi mesi di guerra si trovava in Francia – tentò di spiegare le ragioni dell’improvviso crollo morale francese, che rese il secondo conflitto mondiale molto diverso dalla Grande guerra. Secondo Pétain, le ragioni della disfatta andavano cercate nella democrazia, nell’individualismo, nella crisi dei valori tradizionali (la patria, la religione, la famiglia). Al contrario, secondo Koestler, la ragione ultima andava trovata nella paura della
borghesia e dei conservatori francesi, che preferirono la resa alla Germania a qualsiasi intervento sociale e politico, capace di aprire nuovi spazi alle masse popolari.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
8
Il maresciallo francese
Philippe Pétain.
La Francia avrebbe potuto essere salvata? Accettando le spiegazioni della disfatta date
dai patrioti di Vichy, la risposta era «no». Secondo loro le ragioni stavano nella pigrizia e nella
cupidigia della classe operaia e delle classi basse in generale – in altre parole del popolo francese; nel suo odio per l’autorità e nella sua preferenza per un regime democratico – in altre parole, nell’essenza stessa della sua tradizione storica. Nell’opinione del maresciallo Pétain, la battaglia della Francia era stata perduta nel 1789 con la presa della Bastiglia; e questo
deplorevole avvenimento era una prova del carattere nazionale francese. Altre ragioni erano
l’alcolismo, le denatalità e la disintegrazione della famiglia. Tutto questo naturalmente veniva
ad essere una conferma della tesi tedesca della degenerazione della razza francese. Pigrizia, orgoglio, alcolismo, denatalità sono ritenuti i sintomi clinici della decadenza. [...]
La Francia poteva essere salvata? Sì, naturalmente. Soccombette non alla decadenza
razziale ma a un fenomeno che potrebbe essere appropriato chiamare la «Psicosi della Muraglia Cinese». La linea Maginot, come la Muraglia Cinese, era destinata a proteggere e a
preservare una civiltà molto avanzata e stagnante contro l’intrusione dei barbari più vigorosi.
Stagnante, perché nella seconda metà del secolo scorso [dell’Ottocento; l’autore scrive nel
1941, n.d.r.], nella corsa all’industrializzazione, era rimasta molto indietro rispetto a entrambi
i suoi vicini, Germania e Inghilterra. Ed era rimasta indietro principalmente a causa delle ricchezze del suo suolo, che le consentivano di continuare ad essere un paese del Pane e del
Vino, in un ambiente di Vapore e di Acciaio.
L’individualismo francese era una conseguenza di saturazione; il conservatorismo francese
aveva le radici nella campagna, più particolarmente nell’agricoltore medio, la spina dorsale della
nazione. Per questo era un conservatorismo essenzialmente provinciale, assai lontano da ogni
aggressivo sentimento imperialistico. La Francia aveva delle colonie, ma non un impero. Pensava in termini di «Patrie», un concetto che esprimeva l’amore tenace del contadino per la terra,
e mancava completamente della mercantile coscienza imperialistica inglese. Il suo interesse principale era di preservare lo
status quo; un giornalista tedesco aveva una volta descritto la
Francia come un paese che procedeva felicemente su un carretto tirato da un mulo in mezzo alla febbrile corrente delle locomotive e delle automobili sulla strada maestra del destino europeo. Era questa lentezza idillica che rendeva la vita francese
esternamente così attraente e internamente così stagnante.
L’ultimo sforzo grandioso per preservare l’idillio dell’Ottocento
in mezzo a un ventesimo secolo che non aveva nulla di idillico,
fu la costruzione della Muraglia Cinese.
Con la stessa spesa e lo stesso sforzo la Francia avrebbe
potuto preparare un esercito moderno, meccanizzato e tridimensionale [dotato di un’aviazione poderosa ed efficiente,
n.d.r.]. Perché non furono ascoltati gli avvertimenti di De
Gaulle e di Reynaud, i quali dall’inizio degli anni trenta in poi
avevano denunciato che il sistema di fortificazione di linea era
sorpassato e avevano proposto il sistema di unità altamente
motorizzate, mobili, relativamente sufficienti a se stesse, e indipendenti, con una forza aerea superiore? La risposta superficiale è: perché l’arteriosclerotico Stato Maggiore francese
non voleva essere seccato con nessuna idea nuova. Ma poterono farlo solo perché la Muraglia Cinese era veramente la
proiezione del desiderio, profondamente sentito, della nazione
di essere lasciata tranquilla. La concezione di De Gaulle di un
esercito offensivo avrebbe potuto salvare la pace dando alla
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IPERTESTO
IPERTESTO B
DOCUMENTI
alleanza polacca e cèca un significato reale. Ma a quel punto la Francia non voleva più sal- La fanfara tedesca
vare la pace con nessuno sforzo costruttivo; voleva essere lasciata in pace; e questa sfu- sfila vittoriosa sui
Champs-Elysées
matura psicologica costituiva tutta la differenza, e in effetti sigillò il suo fato. [...]
a
Parigi, alla testa
Quando il Fronte Popolare andò al potere nel 1936, fu Blum che prese l’iniziativa del patto
di non intervento, e firmò così la sentenza di morte dei suoi compagni in Spagna, perché delle truppe che
hanno in poche
gli si fece credere che aiutare il governo spagnolo avrebbe significato spingere la Germa- settimane piegato
nia alla guerra. La sinistra francese era più francese che sinistra – e sacrificò la solidarietà l’esercito francese.
della classe operaia al suo desiderio di restare «dietro la muraglia».
Eppure l’episodio del Fronte Popolare, per quanto abortito, aveva dato una scossa mortale ai governanti di Francia, e provocato un cambiamento fondamentale nelle loro vedute.
C’era una nuova minaccia per la loro sécurité, più pericolosa dei barbari esterni perché contro di essa non si poteva costruire una linea Maginot. Ma nello stesso tempo i barbari [i tedeschi, n.d.r.] avevano cominciato a sviluppare idee veramente civilizzate: l’abolizione dei Che cos’era la
sindacati, lo scioglimento dei partiti di sinistra. L’unico difetto di Hitler era di essere tedesco.
«psicosi della
Altrimenti per gli interessi costituiti sarebbe stato una «garanzia di sicurezza» migliore di un
Muraglia Cinese»?
turbolento popolo francese in armi. [...] Solo pochi arrivarono a proclamare apertamente,
Spiega l’espressione
come fecero [...] le truppe per così dire d’assalto dell’alta finanza: «Meglio Hitler del Fronte
«Nell’opinione del
Popolare». Erano gli enfants terribles della destra, ma godevano della sua più o meno pamaresciallo Pétain,
lese approvazione e protezione. Una minoranza di politici corrotti e una minoranza di uffila battaglia della
ciali accecati dall’odio di classe diventarono la Quinta Colonna di Hitler durante la guerra.
Francia era stata
La maggioranza del melieu bien pensant, delle classi più alte, ne fu l’inconsapevole struperduta nel 1789».
mento. I partiti della destra non avevano ragione di odiare Hitler e quando furono costretti
Spiega l’espressione
alla guerra non combatterono contro il fascismo, ma per il mantenimento dello status quo.
«L’unico difetto
Sapevano quello per cui combattevano, ma non quello contro cui stavano combattendo.
di Hitler era di
A. KOESTLER, Schiuma della terra, il Mulino, Bologna 2005, pp. 222-226, trad. it. N. CONENNA
essere tedesco».
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Occupazione, collaborazione, resistenza
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UNITÀ VII
IPERTESTO
Riferimenti storiografici
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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Occupazione e policrazia
Il concetto di policrazia è ormai accettato da tutti gli storici, anche se alcuni, più di altri, mettono
l’accento anche sul ruolo carismatico di Hitler. In ogni Paese europeo, il Terzo Reich fu rappresentato
da diversi soggetti: ciascuno di essi, spesso, perseguiva obiettivi e progetti propri, non sempre coordinati con quelli di altri esponenti del regime, che operavano nella stessa area, e quindi erano percepiti
come rivali e come concorrenti.
Adolf Hitler fotografato
durante una parata.
Uno dei grandi specialisti dello studio delle occupazioni tedesche, Hans Umbreit, scrive:
«I regimi d’occupazione tedeschi erano lungi dall’essere così monolitici e così ben organizzati come il mondo esterno credeva. Pochi regimi erano identici. Il più delle volte, erano il
risultato di compromessi precari ed erano sottoposti a cambiamenti permanenti che dipendevano, come la politica d’occupazione in generale, dalle sorti della guerra. Non si riuscì mai a coordinare bene le attività dei vari servizi, la qual cosa era già divenuta una delle
caratteristiche della dittatura nazista nella stessa Germania».
La disparità degli statuti e delle situazioni interne al nuovo ordine europeo era infatti molto
grande se non addirittura sorprendente per chi abbia in mente l’immagine di un regime totalitario nazista perfettamente coerente e dominato da un Hitler onnipotente. Come si
spiega questa disparità? A quali obiettivi corrisponde? Umbreit ci invita a cercare la risposta nelle strutture e nelle rivalità interne allo stesso potere nazista. [...]
I francesi fanno molta fatica a liberarsi di una visione dell’organizzazione del potere all’interno del Reich hitleriano ricalcata sulla concezione napoleonica dello stato. Una visione
piramidale, che pone al vertice dell’apparato statale un uomo solo e onnipotente (in questo
caso Adolf Hitler) a capo di una gerarchia ben ordinata di poteri, tutti strettamente dipendenti
dal vertice, e che esercitano in suo nome la
loro autorità in una sfera ben delimitata.
In realtà la maggior parte degli storici
vede oggi il Reich nazista come un organismo policentrico o polinucleato, dove, attorno a un nucleo centrale, si dispiegano
molteplici nuclei di potere ugualmente onnipotenti, in linea di principio, nella loro sfera.
Ne conseguono sovrapposizioni costanti e di
vario tipo tra queste sfere decisionali multiple,
così che, dal vertice alla base, le interferenze
tra poteri ugualmente onnipotenti tendono a
generare ciò che il filosofo Karl Barth, all’indomani del crollo del Reich, definiva «anarchia temperata dalla tirannia e tirannia temperata dall’anarchia». Così si combinano i
diversi ingranaggi di un regime in cui il Führerprinzip [principio del Führer, in base a cui
le decisioni vengono tutte prese da un capo,
procedono sempre e solo dall’alto verso il
basso e non possono mai essere messe in
discussione, n.d.r.] non vale solo per il Führer del Reich, ma per ogni potere, nello stato,
nella società, nelle imprese, nel partito. Dappertutto un capo comanda e comanda da
solo in modo assoluto, ma questo potere
ne incontra immediatamente altri, dovunque
la sua sfera di attività debba obbligatoriamente connettersi a un’altra sfera.
Un esempio illustra perfettamente la
struttura polinucleata del Reich hitleriano.
Quando Hitler affida a Speer pieni poteri
sull’insieme della produzione nel Reich e
nell’Europa occupata, allo stesso tempo af-
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
2
Le diverse modalità della collaborazione
I gruppi dirigenti (politici ed economici) dei Paesi occupati dai tedeschi furono in genere molto riluttanti ad assumere posizioni critiche o di resistenza. Convinti a lungo che la Germania avrebbe vinto
la guerra, tentarono di inserirsi nel nuovo sistema creato dai nazisti. In particolare, gli imprenditori cercarono di ottenere tutti i vantaggi economici che l’occupazione permetteva di realizzare, mettendo la
loro produzione industriale al servizio dei tedeschi.
Vi furono quattro generi principali di collaborazionismo: il compromesso, il collaborazionismo amministrativo, la cooperazione economica e il collaborazionismo ideologico.
Il compromesso era l’atteggiamento psicologico – adottato soprattutto dall’élite dell’Europa occidentale nel primo periodo seguito alla sconfitta dei vari eserciti nazionali – che
portava ad accettare l’egemonia politica e militare tedesca e a cercare spontaneamente un
modus operandi con i vincitori. Questo atteggiamento era fondato sull’idea che la dominazione tedesca fosse inarrestabile e irreversibile. Psicologicamente nasceva dal trauma della
sconfitta, ma i suoi teorici si sforzavano di basarlo su possibili sviluppi a lungo termine. In
un libro pubblicato nel 1942, Dirk Jan de Geer – l’ex primo ministro olandese che aveva cercato di fare da intermediario per la pace tra Gran Bretagna e la Germania dopo la caduta
della Francia – presentava il compromesso come la continuazione naturale dell’appeasement
precedente alla guerra: «lo spirito di Monaco». I precursori del compromesso consideravano
la propria presa di posizione come una convergenza tra l’ordinamento politico tradizionale
dell’Occidente e il nuovo sistema totalitario, e tendevano ad abbandonare le istituzioni democratiche. I sostenitori occidentali del compromesso espressero le loro tendenze fondando
organizzazioni di massa dove confluivano forme di anticomunismo radicale, conservatorismo sociale e nazionalismo tradizionale. [...]
Quello amministrativo fu la forma più diffusa e naturale di collaborazionismo, poiché era
considerato dalla popolazione come l’ultima possibilità di autogoverno. I confini tra questi
due aspetti del collaborazionismo amministrativi erano vaghi e dipendevano dalle strategie
politiche tedesche locali. Nel 1941, Werner Best – principale consulente legale delle SS – deF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO B
11
Occupazione, collaborazione, resistenza
fida a Sauckel lo stesso potere in materia di manodopera. Ora non può darsi produzione
senza manodopera; per poco che vi sia divergenza sui luoghi e i metodi di utilizzazione
di quest’ultima, si ha in nuce uno dei principali conflitti interni alle istanze egemoniche tedesche nei paesi occupati. Per considerare ora il solo caso di Speer, occorre ricordare che,
nonostante egli sia stato investito di autorità sui servizi economici della Wehrmacht, i poteri del generale Thomas, capo di tali servizi, non vengono per questo aboliti, non più di
quanto non venga abolita l’autorità degli imprenditori sulle loro imprese, divenuti anch’essi
dopo il 1933 Führer riconosciuti come tali dallo stato, anche se obbligati a piegarsi alle
costrizioni di un’economia pianificata. [...]
Si potrebbero allo stesso modo ricordare [...] molte altre contrapposizioni e sovrapposizioni di potere. Ciò che ne possiamo desumere per il momento è che la responsabilità del
potere, tanto nella decisione quanto nell’applicazione, non è affatto concentrata in modo assoluto nelle sole mani di Hitler, ma è la risultante di molteplici nuclei di potere, dal momento
che gli stessi poteri subalterni contribuirono con il loro tocco personale al modo in cui fu condotta la politica nazista, compresa quella di sterminio.
Perché la
L’altra conclusione da trarre è che le autorità e i popoli stranieri dipendenti dalla mac«concezione
china da oppressione nazista ebbero in realtà di fronte a loro aspetti di volta in volta dinapoleonica dello
versi di questa macchina. Si vedrà come l’ignoranza di questa struttura polinucleata
stato» impedisce
avrebbe portato alcuni a prestare fiducia ai discorsi tenuti dall’uno o dall’altro dei detendi comprendere a
tori tedeschi del potere ritenendoli l’espressione dell’unico padrone del Reich, come safondo la realtà del
rebbe accaduto per esempio a Laval e Pétain con Abetz [Otto Abetz, rappresentante a
regime nazista, sia
Parigi del ministro degli esteri tedesco J. von Ribbentrop, n.d.r.]. Altri invece crederanno
all’interno che nelle
di poter sfruttare a loro vantaggio le divergenze interne al potere policentrico nazista, per
aree occupate?
esempio Bichelonne [Jean Bichelonne, figura di spicco del mondo economico francese Spiega il concetto
degli anni trenta e quaranta, n.d.r.] nei suoi rapporti con Speer e Sauckel. Gli effetti didi policrazia,
vergenti delle politiche condotte dai diversi organi di potere tedeschi suscitano anche riin relazione alla
valità e conflitti nei paesi dominati tra forze e poteri locali, dal momento che ogni reparto
produzione bellica.
tedesco cerca di patrocinare l’una o l’altra di queste forze, collaboratrice o collaborazioQuali problemi
nista che sia.
portava la policrazia
Y. DURAND, Il nuovo ordine europeo. La collaborazione nell’Europa tedesca (1938-1945),
nei diversi paesi
il Mulino, Bologna 2002, pp. 71-72, 89-91, trad. it. A. ROMANELLO
occupati?
IPERTESTO
UNITÀ VII
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
12
La collaborazione
industriale con
il regime nazista fu una
realtà importante nella
Francia occupata dalle
truppe del Reich.
Negli ultimi anni della
guerra, però, gli angloamericani punivano
con raid aerei chi si
macchiava di tale colpa:
l’immagine mostra
la distruzione di uno
stabilimento di una
nota casa
automobilistica
francese nei pressi
di Parigi.
finì così le relazioni tra la Germania e gli stati europei conquistati: «Lo stato egemone (cioè
la Germania) si limita a istituire un’amministrazione di supervisione per soprintendere all’intera amministrazione dello stato». [...]
Lo sfruttamento economico, essenziale per lo sforzo bellico tedesco e affinché i gerarchi nazisti mantenessero il favore delle masse tedesche, venne sovente spacciato come cooperazione economica. L’espressione cooperazione economica indica solo i rapporti economici basati su trattative conformi alle regole del mercato libero. La cooperazione era
necessaria anche per la sopravvivenza delle popolazioni assoggettate, ma i magnati dell’industria dei paesi occupati non disdegnavano di trarne profitto. Sostenevano che senza
la cooperazione per mantenere sana l’economia della Germania le nazioni occupate avrebbero rischiato la fame, come successe agli olandesi durante lo sciopero generale del settembre 1944, e aggiungevano che la cooperazione economica serviva a impedire che l’industria tedesca rilevasse e smantellasse le imprese locali. Ammesso che ciò fosse vero, la
portata della cooperazione industriale andò ben oltre i limiti del necessario. Gli industriali francesi firmarono un accordo con i tedeschi per la fornitura di materie prime che servirono per
la produzione di aeroplani. L’industria francese finì per diventare, tra le nazioni occupate, l’associata principale nello sforzo bellico tedesco: metà della produzione francese totale finiva
in Germania. Analogamente, nel 1944
circa la metà della produzione industriale
olandese era ormai destinata a clienti
tedeschi. Quasi l’80 per cento del carbone estratto in Belgio veniva inviato in
Germania, così come la maggior parte
dei prodotti agricoli danesi – molto più
delle quote stabilite negli accordi tedeschi con quei paesi. L’industria dell’Europa occidentale non solo ambiva a fornire il mercato militare dei tedeschi, ma
anche a partecipare con loro allo sfruttamento dell’Est. Nel dicembre 1941
vennero fondate alcune imprese olandesi per promuovere «iniziative nell’Europa orientale e sud-orientale». L’entusiasmo degli olandesi fu smorzato dai
tedeschi, i quali non vollero associarsi
con nessuno nel piano di sfruttamento
dell’Europa dell’Est. [...]
La parola collaborazionismo ha anche implicazioni ideologiche e politiche.
L’eclettismo dell’ideologia nazista consentì ad alcune organizzazioni politiche
dei paesi occupati di allacciare rapporti
con il Partito nazista, pur restando ostili
alla dottrina cui esso si ispirava. Tra questi collaborazionisti vi erano nazionalisti
che accettavano l’attività dei tedeschi in
un determinato campo, seppure opponendosi con ogni mezzo al loro dominio. [...] Diventarono docili strumenti della politica nazista, senza alcuna autonomia decisionale. Questa fu la sorte di nazionalisti ucraini come Stepan Bandera e Andry Melnyk, comandanti dell’esercito russo antisovietico del generale
Andrei Vlasov, e di alcuni capi delle minoranze nazionali nei territori occupati dai sovietici.
Mentre questi leader furono vittime di una trappola politica che si erano essi stessi costruita, i movimenti fascisti locali che collaborarono con i tedeschi erano pienamente consapevoli delle implicazioni della loro scelta. Tuttavia, malgrado la disponibilità dei movimenti
fascisti a collaborare, le forze tedesche di occupazione tendevano a ignorarli poiché preferivano avere a che fare con i partiti della destra conservatrice che godevano di un seguito
popolare più vasto.
E. TZUR, Collaborazionismo, in W. LAQUER (a cura di), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino 2004,
pp. 167-171, ed. it. a cura di A. CAVAGLION
Spiega e chiarisci i quattro atteggiamenti descritti dall’autore: «compromesso»,
«collaborazionismo amministrativo», «cooperazione economica» e «collaborazionismo
ideologico».
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
Il maresciallo Pétain assume i pieni poteri
Benché l’armistizio del 25 giugno avesse rappresentato una rivoluzione diplomatica,
niente obbligava la Francia a compierne anche una costituzionale. Una valida alternativa sarebbe stato un regime di armistizio che amministrasse il paese mantenendo in funzione i servizi essenziali durante il periodo interinale, come avvenne in Belgio o in Olanda. Persino il
voto del 9 luglio con cui si decretava la fine della Costituzione del 1875 lasciava aperta la
natura del futuro regime e soprattutto non stabiliva quando avrebbe dovuto essere redatto
il nuovo testo costituzionale e da chi: prima o dopo la fine dell’occupazione e la firma della
pace con la Germania? Da un’assemblea eletta o da un regime che doveva agire di autorità in quel frangente? La legge presentata dal governo il 10 luglio dette a queste due domande una risposta del tutto antitetica alle tradizioni della Terza repubblica. Conferì al maresciallo Pétain pieni poteri, non già quelli
con cui negli anni trenta diversi presidenti del
Consiglio avevano legiferato per decreto, ma
quelli straordinari che lo autorizzavano a
stendere una nuova Costituzione, un documento che sarebbe stato «ratificato dalla nazione e applicato dalle Assemblee da esso
emanate». [...]
Il presidente della Camera, Edouard Herriot, il 9 luglio scongiurò i deputati di rimanere
calmi. «Intorno al maresciallo Pétain, con la
venerazione che in tutti noi il suo nome ispira,
la nazione s’è raccolta nella propria afflizione.
Stiamo dunque attenti a non turbare l’accordo che s’è creato sotto la sua autorità.»
In questo clima, Laval non dovette faticare
molto per ottenere che il parlamento del
Fronte popolare, eletto nel 1936, si schierasse ora a favore del piano del governo. Deputati e senatori approvarono con 569 voti
favorevoli, 80 contrari (che in seguito si vantarono di essere i padri della Resistenza) e 17
astenuti, l’affidamento a Pétain dei poteri costituzionali. [...] Il giorno dopo, l’11 luglio,
non si alzò nessuna voce quando il maresciallo Pétain assunse la nuova carica di
«capo dello Stato francese». I decreti costituzionali 1, 2 e 3 gli conferivano l’autorità di
prendere tutte le decisioni concernenti la
sfera esecutiva e legislativa, eccetto le dichiarazioni di guerra, senza dover riferire all’Assemblea. La gravità di tali misure largamente accettate non è stata abbastanza sottolineata.
La collaborazione non sarebbe consistita più nell’espletare compiti di routine sotto l’occupazione nemica: ora significava approfittare della presenza di un esercito straniero per attuare cambiamenti importanti relativamente al modo in cui i francesi sarebbero stati governati, istruiti e impiegati in attività lavorative.
Era tutto un vecchio mondo che stava scomparendo, mentre alcuni tratti del nuovo già
andavano delineandosi. Mai tanti francesi si erano mostrati pronti ad accettare la disciplina
e l’autorità. [...] Questo desiderio di una mano castigatrice conduceva direttamente alla figura del padre. Se non ci fossero state le circostanze drammatiche del 1940, difficilmente
un popolo scettico come quello francese avrebbe provato tanta devozione nei confronti del
maresciallo Pétain. Nel 1940, qualsiasi comandante vittorioso della Grande Guerra avrebbe
rappresentato un balsamo per l’orgoglio ferito e perciò Pétain capitava al momento giusto.
Era un vero eroe nazionale senza alcun visibile legame con la triste politica degli anni
trenta. [...] Sebbene fosse stato al comando della battaglia più sanguinosa della Grande
guerra (Verdun), la sua opposizione alla strategia dell’attacco lasciò su di lui la fama del solF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO B
Pétain divenne presidente il 10 luglio 1940. Uomo della tradizione, rifiutava la democrazia e desiderava un rilancio dei valori del passato. Con Hitler e il Terzo Reich cercò di dialogare e di collaborare, convinto che ci fosse spazio per una Francia autonoma, nel contesto di un’Europa ad egemonia
tedesca.
13
Philippe Pétain,
a capo del governo
collaborazionista
francese negli anni
dell’occupazione
nazista.
Occupazione, collaborazione, resistenza
3
IPERTESTO
UNITÀ VII
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
14
dato che aveva voluto risparmiare il sangue francese. La liquidazione degli ammutinati del
1917 sembrò dura ma giusta. Anche Léon Blum definiva Pétain «il soldato più nobile e
umano di Francia», pur deplorando che fosse designato come ambasciatore nella Spagna
franchista. Il 18 maggio 1940, Reynault lo chiamò nel suo governo perché rappresentava
una sorta di bandiera. Solo l’irriverente destra dei giovani si era presa gioco di lui senza vergogna durante gli anni trenta. Nell’estate del 1940, comunque, Pétain corrispondeva perfettamente a quello che il clima nazionale si aspettava: all’interno era un sostituto dei politici e una barriera contro la rivoluzione; all’esterno, invece, un generale vittorioso che non
avrebbe più fatto la guerra. Era l’onore e la sicurezza.
Dietro l’icona, però, viveva un Philippe Pétain in carne e ossa. Che tipo di decisioni ci si
poteva aspettare dall’uomo cui milioni di francesi avevano affidato il loro destino? [...]
Quando nel maggio del 1917 rimpiazzò lo screditato generale Robert Nivelle alla testa delle
armate francesi, metà delle divisioni di prima linea erano ammutinate. Pétain capì meglio di
molti altri ufficiali che all’origine degli ammutinamenti c’erano le folli sortite lanciate per guadagnare pochi metri di terreno e costate migliaia di vite umane. Al pari di molti altri ufficiali,
però, attribuiva un potere quasi magico agli «agitatori dall’esterno» e all’influenza dei bolscevichi. I motivi d’allarme del 1917 lasciarono il segno sul maresciallo che per tutta la vita
si preoccupò soprattutto per la morale patriottica. Quando negli anni trenta dichiarò che il
suo principale interesse era l’istruzione, Pétain intendeva la morale, non la conoscenza. Nel
1940 era convinto, come disse all’ambasciatore americano Bullit, che i colpevoli della disfatta francese fossero gli insegnanti non patriottici.
Tutto questo significa che nel 1940 Pétain scorgeva nella sua missione non tanto il compito di individuare una giusta politica, quanto piuttosto quello di instillare atteggiamenti corretti. Profuse molti sforzi e grande cura nel suo ruolo di tutore morale del popolo francese.
[...] Essendo abituato da venticinque anni a essere ascoltato su ogni questione come il salvatore della patria, pensava di essere indispensabile. Nel messaggio radiofonico del 25 giugno 1940 disse di aver fatto alla Francia «dono della [sua] persona». Si tenne saldo al potere per scrupolo di coscienza, cosa ancor più pericolosa, forse, dell’ambizione, poiché un
vero ambizioso avrebbe cambiato rotta e non avrebbe trascinato con sé tutti quelli che avevano creduto nella sua icona.
Ma dov’erano, ci si può chiedere, i resistenti della prima ora, quelli che nel 1944 si presentarono così numerosi […]? Oggi finalmente si dispone di buone fonti di documentazione
contemporanee (rapporti della polizia francese e molto materiale tedesco) da cui si ricava che,
almeno fino al 1941, non si verificarono seri problemi di dissenso. A impedire che si avviasse
un efficace movimento di Resistenza nei primi tempi dell’occupazione fu un certo numero di
ostacoli. Verso la fine del 1940 era difficile credere che la guerra non fosse praticamente finita. Solo la tenacia britannica e le sterminate estensioni della Russia avrebbero dimostrato
che la campagna di Hitler in Francia non era stata così decisiva come era sembrato all’epoca.
La Resistenza ha bisogno di una certa quantità di speranza, e questa, nel 1940, non c’era.
[…] Nell’estate del 1940, l’edizione clandestina dell’Humanité, il giornale comunista, invocava
una pace che suggellasse la riconciliazione tra lavoratori francesi e tedeschi. Naturalmente
attaccava Pétain come lacchè [servo, n.d.r.] dei capitalisti francesi, e ciò consentì al Partito
Comunista di rivendicare, dopo la guerra, di aver lanciato la Resistenza. Con la stessa facilità, però, attaccava gli Alleati in quanto fomentatori di una guerra imperialista, asserendo che
la Francia sarebbe potuta rimanere libera solo se fosse riuscita a non diventare un dominion
britannico. «Né con Pétain, né con de Gaulle», recitava un manifesto comunista affisso a Parigi nel gennaio 1941. «La Francia non vuole né la peste né il colera».
R.O. PAXTON, Vichy, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 52-60, trad. it. G. BERNARDI, E. MANNUCCI
Con quale maggioranza Pétain ottenne poteri costituenti?
Che ruolo psicologico svolse Pétain, agli occhi dei francesi umiliati e sconfitti?
Quale posizione assunsero i comunisti, fino all’estate del 1941?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
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