CAPITOLO 5 - SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO

CAPITOLO 5 - SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO
DI LAVORO
Sommario
5.1. L'orario di lavoro - 5.2. Le pause - 5.3. Festività, ferie, permessi e riposi - 5.4. La retribuzione - 5.5. Invenzioni del lavoratore - 5.6. Mutamenti del luogo di lavoro - 5.7.
L’appalto di servizi - 5.8. La somministrazione di lavoro - 5.9 Il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. “caporalato”)
5.1. L'orario di lavoro
5.1.1. Fonti e definizioni
La facoltà di stabilire l'orario di lavoro dei propri dipendenti è l’espressione
più evidente del potere direttivo riservato al datore di lavoro, cui spetta il compito di organizzare l’attività lavorativa del personale in relazione alle esigenze
produttive dell’azienda.
Tale potere discrezionale, tuttavia, non è assoluto, incontrando limiti costituzionali, legali e contrattuali posti dall’Ordinamento a tutela non solo
dell’integrità psico-fisica del prestatore di lavoro, ma anche della sua vita sociale e di relazione al di fuori dell'ambito lavorativo.
La principale fonte normativa in materia di orario di lavoro è il D.Lgs. n.
66/2003, che disciplina in maniera organica i vari aspetti della materia, fissando alcuni precetti generali di carattere cogente, ma lasciando anche ampia autonomia alla contrattazione collettiva e al residuo jus variandi del datore di lavoro di regolare nello specifico i tempi di lavoro.
In particolare, è interessante la definizione di "orario di lavoro", concepito
come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia:
- al lavoro: cioè intento a realizzare la sua prestazione lavorativa;
- a disposizione del datore di lavoro: cioè pronto in qualunque momento
ad eseguire la prestazione richiesta dal datore, anche se al momento
non impegnato;
- nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni: cioè impegnato a
svolgere un'occupazione strettamente connessa alla propria professionalità.
Questa formulazione, pur prestandosi, nella pratica, a varie interpretazioni,
se letta unitamente ad altre normative e alla giurisprudenza formatasi in merito,
rende chiaro il concetto in base al quale rientra nell'orario di lavoro il tempo in
cui il lavoratore è fisicamente presente sul luogo di lavoro, a disposizione del
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
datore, per poter fornire immediatamente la sua opera in caso di necessità, anche se al momento non impegnato in attività lavorativa (si veda anche: Corte di
giustizia europea, sentenza 9 settembre 2003).
Al contrario, non rientrano nell'orario di lavoro, in generale, tutti quei momenti in cui il lavoratore non è soggetto al potere organizzativo e direttivo del
datore di lavoro, come il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro, le pause, i riposi intermedi (durante la giornata lavorativa), le soste di lavoro di durata
non inferiore a dieci minuti, a meno che non servano al recupero fisico degli
operai impegnati in lavori faticosi. Del pari non rientrano nell'orario di lavoro i
periodi di reperibilità, cioè quelli in cui il lavoratore non è in azienda e non sta
effettuando alcuna attività lavorativa, ma si impegna a presentarsi al lavoro a
richiesta del datore; questi periodi vengono solitamente compensati dall'indennità di reperibilità.
Tutto il tempo che non rientra nella definizione di orario di lavoro è considerato come "riposo".
5.1.2. Orario normale di lavoro
La legge stabilisce in 40 ore settimanali l'“orario normale” di lavoro.
La misura non è fissa, potendo essere ridotta dai contratti collettivi, che
hanno la facoltà di stabilire l'orario normale di lavoro per ogni settore, purché
non risulti superiore a tale limite legale.
Inoltre, l'autonomia collettiva può riferire tale limite massimo non alla singola settimana di lavoro, ma alla media delle settimane in un periodo definito
di tempo, comunque non superiore all'anno.
In pratica, ogni contratto collettivo può stabilire un periodo di tempo al termine del quale si computano le ore di lavoro svolte da ogni dipendente e si effettua la media settimanale di esse. Tale media è quella che fa fede ai fini del rispetto dell'orario normale, anche se in alcune settimane la prestazione è stata
superiore al limite settimanale o, in altre, inferiore.
In tal caso, si suole parlare di "flessibilità di orario", riferendosi ad un sistema basato su un orario multiperiodale, cioè costituito da settimane di diversa
"lunghezza" lavorativa e in cui il rispetto dei vari istituti legali e contrattuali
viene verificato non settimana per settimana, ma in base alla media delle ore
settimanali lavorate in un dato periodo.
La possibilità di ricorrere a tale sistema e le modalità di utilizzo sono definite dai singoli contratti collettivi.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Esempio
Orario normale di lavoro: 40 ore
Periodo di riferimento contrattuale: 3 mesi
Ore lavorate:
Gennaio
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
5^ sett.
40
46
34
48
40
Febbraio
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
42
37
45
50
Marzo
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
5^ sett.
25
45
44
47
38
Ore totali lavorate: 581
Settimane del periodo: 14
Ore settimanali medie: 41,50
Il lavoratore ha superato l'orario normale di lavoro mediamente di
1,50 ore ogni settimana.
Diverse attività lavorative vengono escluse dalla disciplina dell'orario normale settimanale, che può, quindi, essere stabilito dalla contrattazione collettiva
in misura superiore alle 40 ore: si tratta tuttavia di occupazioni marginali, quali
quelle che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia; dei
commessi viaggiatori e piazzisti; degli operai agricoli a tempo determinato; dei
giornalisti, pubblicisti e poligrafici; degli operatori nei servizi erogati in continuo (ad esempio, esattori autostradali, operatori ecologici, addetti delle società
di distribuzione di gas, energia e acqua, ecc.).
5.1.3 Lavoro straordinario
Le ore di lavoro prestate oltre il limite dell'orario normale sono considerate
"lavoro straordinario".
Il ricorso a prestazioni straordinarie, pur non essendo mai stato visto con favore dall’Ordinamento, in linea generale è ammesso, ma è soggetto alle limitazioni previste dalla contrattazione collettiva sulle modalità di esecuzione dello
stesso.
In particolare, i contratti disciplinano, tra l'altro: modo di richiesta di prestazione da parte del datore, motivi legittimi di rifiuto da parte del lavoratore, limiti massimi di ricorso allo straordinario.
Lo straordinario è sempre ammesso e non è computato nei limiti contrattuali (salvo diversa disposizione dei contratti stessi) nei seguenti casi:
- eccezionali esigenze tecnico-produttive con impossibilità di assunzione
di altri lavoratori;
- forza maggiore o pericolo grave e immediato per le persone o la produzione;
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
mostre, fiere e manifestazioni e relativo allestimento di prototipi o modelli (va in tali casi effettuata la comunicazione agli uffici competenti ex
legge n. 241/1990 e alle rappresentanze sindacali).
Se non esiste un contratto collettivo applicabile, si può ricorrere a prestazioni straordinarie entro il limite di 250 ore annue e previo accordo tra le parti.
Il datore di lavoro è tenuto a computare a parte il lavoro straordinario, evidenziandolo sul prospetto paga e sul libro unico del lavoro e compensandolo
con le maggiorazioni previste dai contratti collettivi.
Solitamente, questi prevedono la corresponsione della retribuzione oraria
maggiorata in percentuali diverse a seconda del differente disagio procurato dalla prestazione straordinaria (ad esempio diurno, sabato, notturno, festivo, ecc.).
Inoltre, i contratti collettivi hanno la facoltà di stabilire che i lavoratori possano usufruire di riposi compensativi in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive.
-
5.1.4. Banca ore
Rientra nel più ampio concetto di “flessibilità” dell’orario di lavoro il meccanismo della cosiddetta "banca ore", in base al quale il lavoratore che svolga
più ore rispetto al limite contrattuale settimanale potrebbe non essere immediatamente retribuito per tali prestazioni supplementari, accumulando le ore aggiuntive in un apposito conto individuale, dal quale potrà attingere altrettante
ore di riposi compensativi da godere nelle settimane comprese in un altro periodo dell’anno, in cui vi è evidentemente minore impegno e il lavoratore può
svolgere un orario inferiore a quello contrattualmente previsto.
Questi riposi vengono retribuiti e sottratti dal conto della banca ore del dipendente, senza andare ad intaccare i permessi annui per riduzione dell’orario
di lavoro contrattualmente spettanti.
Al termine di un periodo di tempo stabilito per contratto, le eventuali ore
ancora presenti sul conto vengono retribuite ed eliminate dalla banca ore.
Si parla, in questo caso, di "monetizzazione" delle ore straordinarie accumulate in banca ore che va eseguita secondo i criteri stabiliti dai contratti collettivi.
In particolare, i contratti possono prevedere una particolare maggiorazione
per lo straordinario accumulato in banca ore, che può essere maggiore o minore
di quella normale o ancora può essere già pagata al momento dell'inserimento
delle ore supplementari nell’apposito conto del dipendente.
I contratti collettivi prevedono, inoltre, i dettagli di tale meccanismo, tra i
quali: i dipendenti o le unità produttive alle quali si può applicare tale sistema,
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
l'eventuale facoltà di scelta del lavoratore in merito all'effettuazione di riposi
compensativi, i criteri per il pagamento diretto dello straordinario o per l'accumulo delle ore sul conto, le scadenze di pagamento, l'eventuale maggiorazione
per le ore accumulate sul conto o il pagamento parziale delle stesse all'atto della
loro effettuazione.
I contratti collettivi possono anche prevedere che le ore lavorate in più rispetto all'orario settimanale o giornaliero vengano retribuite direttamente come
straordinarie fino ad un certo limite ed entrino nel meccanismo della banca ore
solo oltre tale soglia.
Giova sottolineare che tutte le ore presenti in banca ore non possono essere
considerate come straordinarie finché non vengono monetizzate al termine del
periodo di riferimento. In altre parole, è solo l’operazione di monetizzazione
che conferisce alle ore in banca lo status di ore “straordinarie”.
Esempio
Riprendiamo l'esempio precedente e ammettiamo che il sistema della
banca ore si applichi a tutte le ore lavorate.
Nella colonna a fianco alle ore lavorate, inseriamo quella relativa alle
ore da accreditare o sottrarre dal conto del lavoratore:
Gennaio
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
5^ sett.
Banca ore
40
46
34
48
40
0
+6
-6
+8
0
+8
Febbraio
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
42
37
45
50
+2
-3
+5
+10
Marzo
1^ sett.
2^ sett.
3^ sett.
4^ sett.
5^ sett.
+14
25
45
44
47
38
-15
+5
+4
+7
-2
-1
Ore totali sul conto del dipendente: 21
Tali ore andranno retribuite come straordinarie sulla busta paga di
marzo.
5.1.5. Orario massimo di lavoro
La legge pone un limite massimo invalicabile all'orario di lavoro pari a 48
ore settimanali.
I contratti collettivi possono abbassare tale limite, ma non aumentarlo.
In realtà, anche questo limite non è assoluto, ma può essere riferito dalla
contrattazione collettiva ad una media delle ore lavorate in un periodo non superiore a 4 mesi.
In caso di obiettive ragioni tecniche od organizzative, i contratti possono
prolungare questo periodo fino a 6 o 12 mesi.
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
Al termine del periodo di riferimento, occorre quindi calcolare le ore mediamente lavorate e verificare che non siano mediamente superiori a 48 settimanali.
Ovviamente, per non incorrere in sanzioni, è necessario avere un sistema di
monitoraggio continuo delle prestazioni lavorative che indichi quali lavoratori
siano "a rischio" di superare le 48 ore medie in ogni momento.
Ai fini del computo della media vengono escluse le prestazioni di lavoro
straordinario compensate tramite riposo compensativo nello stesso periodo di
riferimento.
Più complicato è il caso di assenze dal lavoro, infatti la legge prevede che, in
caso di ferie o malattie, queste non si computino nella media.
Secondo il Ministero del Lavoro, ciò implicherebbe il dover considerare tali
assenze "neutre" ai fini di calcolo della media, in modo che ogni giorno di assenza faccia slittare in avanti di un giorno il termine del periodo di riferimento.
Tuttavia, ne deriverebbe, necessariamente, che ogni lavoratore dovrebbe avere
un proprio “periodo di riferimento” entro il quale l’eventuale superamento della
soglia andrà controllata, con complicazioni operative di non poco conto.
Si sottolinea, inoltre, che il Ministero fa rientrare nelle assenze neutre anche
quelle connesse a infortunio e gravidanza (si veda la Circolare Ministero del lavoro n. 8/2005).
Esempio 1
Riprendendo l'esempio precedente, seppure il limite di 48 ore sia stato valicato nella 4^ settimana di febbraio, la media delle ore settimanali del periodo è pari a 41,50 ed è quindi inferiore al limite massimo
di legge.
Esempio 2
Ammettiamo che il lavoratore dell'esempio precedente sia stato malato la seconda settimana di febbraio. Per verificare il rispetto del limite dell'orario massimo bisogna escludere la settimana di malattia ed
includere nel calcolo le ore lavorate nella prima settimana di aprile.
Ore lavorate:
Gennaio: 208, Febbraio: 137, Marzo: 199, Aprile (1^ sett.): 48
Ore totali: 592
Ore settimanali medie: 42,29
Il lavoratore ha rispettato il limite dell'orario massimo.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
5.1.6. Riposo giornaliero
Il lavoratore ha diritto ad un riposo di almeno 11 ore consecutive ogni 24.
Questo limite è inviolabile, tranne nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata (ad esempio le imprese di pulizia e la
ristorazione) o da regimi di reperibilità.
Pertanto, non è ammissibile un intervallo inferiore alle 11 ore tra la fine di
un turno di lavoro e l'inizio del successivo, né una distribuzione dell'orario di
lavoro che non consenta di usufruire del riposo minimo nell'arco delle 24 ore.
Inoltre, in caso di prestazione lavorativa superiore alle 6 ore, il dipendente
ha diritto ad una pausa intermedia dal lavoro non retribuita di durata stabilita
dai contratti collettivi, comunque non inferiore a 10 minuti.
Di conseguenza, viene anche determinata la durata massima della giornata
lavorativa, che non può superare le 12 ore e 50 minuti, fermo restando i limiti
dell'orario massimo di lavoro e quelli più restrittivi eventualmente imposti dalla
contrattazione collettiva.
I contratti collettivi nazionali possono tuttavia derogare a queste disposizioni, purché assicurino equivalenti riposi compensativi ai lavoratori o, in ogni caso, un'appropriata protezione.
In caso di interruzione del riposo giornaliero (o anche settimanale) per prestazioni da rendere in regime di reperibilità, lo stesso periodo di riposo decorre
nuovamente dalla cessazione della prestazione lavorativa, rimanendo escluso il
computo di ore eventualmente già fruite (Ministero del Lavoro, interpello n.
13/2008).
5.1.7. Lavoro notturno
Disposizioni speciali sono previste per i lavoratori notturni. È considerato
periodo notturno quello di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo
tra la mezzanotte e le cinque.
Il lavoratore notturno è colui che svolge abitualmente almeno tre ore di lavoro durante il periodo notturno sopra indicato, o chi viene individuato come
tale dalla disciplina collettiva, in mancanza della quale è comunque considerato
lavoratore notturno chi svolge tale lavoro per almeno 80 giorni l'anno (limite
che va riproporzionato per i lavoratori part-time).
I lavoratori notturni devono sottoporsi alla visita medica preventiva e periodica ogni 2 anni per verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno
e l'eventuale inidoneità allo stesso. Tale visita può essere effettuata tramite
strutture sanitarie pubbliche o dal medico competente ex D.Lgs. 81/2008, in
ogni caso a spese del datore di lavoro.
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
In caso di inidoneità al lavoro notturno, il lavoratore deve essere assegnato
al lavoro diurno in mansioni equivalenti, se disponibili, o secondo le indicazioni del contratto collettivo.
I lavoratori notturni non possono svolgere più di 8 ore di lavoro nell'arco
delle 24. Tale previsione può essere riferita dai contratti ad una media su un periodo più ampio, ma è importante considerare il fatto che per tali lavoratori l'orario massimo di lavoro non è quello previsto per la generalità dei dipendenti.
È fatta salva la possibilità della contrattazione nazionale di derogare a questi
limiti purché siano previsti equivalenti riposi compensativi o, comunque, una
protezione appropriata.
Non sono obbligati a prestare lavoro notturno: la madre di un bimbo di età
inferiore ai 3 anni o, in alternativa, il padre convivente; l'unico genitore affidatario di un figlio convivente fino a 12 anni; il lavoratore che abbia a carico un
disabile ex legge n. 104/1992.
Il datore di lavoro può comunque richiedere prestazioni notturne a tali lavoratori, ma non si può opporre ad un loro rifiuto.
5.1.8. Campo di applicazione
Non a tutti i dipendenti e a tutti i settori si applicano le norme di legge
sull'orario di lavoro; in particolare, restano esclusi dall'applicazione della normativa sull'orario di lavoro quei lavoratori che, per le caratteristiche proprie
dell'attività esercitata, determinano autonomamente il proprio orario di lavoro
o svolgono lavori di durata non determinabile a priori.
Si tratta, in particolare, di:
- dirigenti e personale con potere di decisione autonomo; devono ritenersi compresi in questa categoria non solo i dirigenti in senso stretto, ma
anche il cosiddetto personale dirigente minore. In particolare, è considerato "direttivo" il personale preposto alla direzione tecnica o amministrativa dell'azienda, o di un reparto di essa con diretta responsabilità
dell'andamento dei servizi e in generale tutte quelle figure professionali
che, pur prive di potere gerarchico, conservano ampia possibilità di iniziativa, di discrezionalità decisionale e di determinazione autonoma sul
proprio tempo di lavoro (Ministero del Lavoro, Circolare n. 8/2005);
- manodopera familiare;
- personale del settore liturgico;
- lavoratori a domicilio e tele-lavoratori.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Vi sono, poi, interi settori esclusi dal campo di applicazione del D.Lgs. n.
66/2003, non perché non siano soggetti ad una regolamentazione dell'orario di
lavoro, ma in quanto destinatari di discipline specifiche.
Tali settori sono:
- gente di mare (Direttiva 1999/63/CE e D.Lgs. n. 108/2005);
- personale di volo nella aviazione civile (Direttiva 2000/79/CE e
D.Lgs. n. 185/2005);
- lavoratori mobili, cioè personale viaggiante o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada, per via
aerea o navigabile, o a impianto fisso non ferroviario per conto proprio
o di terzi (Direttiva 2002/15/CE e D.Lgs. n. 234/2007). A questo proposito, il Ministero del Lavoro ha specificato (Interpello n. 27/2009)
che è necessario fare riferimento alla tipologia di trasporto effettuato
dal lavoratore e non all’attività dell’impresa;
- personale della scuola (D.Lgs. n. 297/1994);
- personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, nonché addetti al
servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività
operative istituzionali;
- addetti ai servizi di vigilanza privata (questo settore risulta pertanto privo di una disciplina legislativa, di modo che le norme in materia di orario di lavoro sono quelle dettate dalla contrattazione collettiva);
- servizi di protezione civile, nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli
Organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato. Tali settori
rimangono esclusi solo in presenza di particolari esigenze inerenti al
servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di protezione civili,
nonché degli altri servizi espletati dal Corpo nazionale dei Vigili del
fuoco, individuate con decreto ministeriale.
La disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 66/2003 si applica anche agli apprendisti maggiorenni che, pertanto, possono svolgere lavoro straordinario e notturno. Restano ovviamente immutati i limiti ben più severi previsti dalla legislazione specifica sul lavoro dei minori.
5.1.9 Sanzioni
Numerose sono le sanzioni previste per le violazioni di legge in materia di
orario di lavoro.
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
In particolare, per quanto riguarda il mancato rispetto del limite normale di
lavoro, è punibile con sanzioni amministrative il superamento delle 40 ore medie, così come in tema di orario massimo è sanzionabile il superamento delle 48
ore medie, anche qualora i contratti collettivi prevedano limiti inferiori.
Analogamente, è sanzionabile il ricorso allo straordinario per più di 250 ore
annue, salvo che i contratti prevedano un limite più alto (nel qual caso si applica il limite contrattuale e non quello di legge) e, comunque, escludendo dal
computo le ore straordinarie prestate nei casi eccezionali previsti dalla legge.
Ulteriori sanzioni amministrative sono previste nel caso di mancata concessione del riposo giornaliero (11 ore consecutive) e di durata massima del lavoro
notturno (8 ore medie ogni 24).
Più pesante è l'apparato sanzionatorio previsto per le altre violazioni in materia di lavoro notturno: infatti nei casi di adibizione illegale di lavoratori al lavoro notturno (donne in gravidanza e lavoratori che possono rifiutarlo) o di
mancata effettuazione delle visite mediche, si può incorrere nell'arresto o in
un'ammenda di natura penale.
5.2. Le pause
5.2.1. Durata minima
Come già anticipato, il D.Lgs. n. 66/2003 disciplina il diritto del lavoratore
ad un riposo intermedio durante l'orario di lavoro. Si tratta della prima regolamentazione della materia a livello legislativo, poiché, sino ad ora, di tali riposi intermedi si erano occupati solo i contratti collettivi.
In particolare, l'art. 8 di tale provvedimento dispone che «qualora l'orario di
lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un
intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti
collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo».
In difetto di disciplina collettiva, al lavoratore deve essere concessa una pausa, tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti.
Tenuto conto delle finalità che il legislatore ha inteso perseguire con l'introduzione dell'istituto generalizzato della pausa, si ritiene, in primo luogo, che essa debba essere collocata all'interno della prestazione lavorativa, non all'inizio
od alla fine della stessa, ed inoltre, che debba essere fruita in maniera continuativa.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
5.2.2. Turni di lavoro
L'art. 1 del D.Lgs. n. 66/2003 fornisce le definizioni di lavoro e di lavoratore
a turni, senza però dettare alcuna disciplina della fattispecie. Ai sensi della lett.
f), è lavoro a turni «qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in
base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o
discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore
differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane».
In base alla lett. g), è lavoratore a turni «qualsiasi lavoratore il cui orario di
lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni».
Poiché manca ogni ulteriore disciplina generale, il datore di lavoro è libero
di determinare se e come ricorrere al lavoro a turni, come suddividere i turni tra
i prestatori e come effettuare la distribuzione giornaliera e settimanale dell'orario. Tuttavia, rimangono fermi sia i vincoli in materia di durata normale e massima della prestazione lavorativa, sia i vincoli procedurali imposti dalla contrattazione collettiva.
Inoltre, ai sensi dell'art. 19, capoverso, della legge n. 977/1967, come modificato dall'art. 12 del D.Lgs. n. 345/1999, «gli adolescenti non possono essere
adibiti a lavorazioni effettuate con il sistema dei turni a scacchi; ove questo sistema di lavorazione sia consentito dai contratti collettivi di lavoro, la partecipazione degli adolescenti può essere autorizzata dalla Direzione provinciale del
lavoro».
5.2.3. Sanzioni
Per la rilevanza sociale dei divieti in materia di tutela dei minori, l'art. 26
della legge n. 977/1967 (come sostituito dall'art. 14 del D.Lgs. n. 345/1999) dispone che «l'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli (...) 19 è punita con
la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire cinque milioni».
5.3. Festività, ferie, permessi e riposi
5.3.1. Riposo settimanale
Sono numerose le occasioni in cui il lavoratore si può legittimamente assentare dal lavoro al fine di recuperare le energie psico-fisiche spese durante la prestazione lavorativa e poter condurre la propria vita familiare e sociale o godere
di periodi di vacanza.
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
Molto spesso, questi tempi di riposo godono di una tutela di rango costituzionale: ciò significa che si tratta di diritti assoluti, irrinunciabili, indisponibili e
imprescrittibili.
Innanzitutto, Il lavoratore ha diritto ad un riposo della durata di almeno 24
ore consecutive ogni 7 giorni.
Il riposo settimanale va goduto in collegamento con il riposo giornaliero di
11 ore; ne deriva che, in linea generale, il dipendente deve usufruire di almeno
35 ore ininterrotte di riposo ogni 7 giorni.
Il diritto al riposo settimanale, prima ancora di essere regolato dalla legge, è
sancito dalla Costituzione (art. 36) e, pertanto, deve essere obbligatoriamente
riconosciuto dal datore di lavoro ogni settimana e, specularmente, goduto dal
dipendente.
Tuttavia, anche il suddetto periodo di riposo può essere calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni: può essere – in buona sostanza non goduto in una settimana, purché venga poi recuperato nella settimana successiva, di modo che, in ogni periodo di 14 giorni consecutivi, risultino comunque goduti almeno due riposi.
Il D.Lgs. n. 66/2003 regolamenta le modalità di concessione del riposo per
alcuni settori particolari, quali le attività caratterizzate da periodi frazionati durante la giornata, lavoro a turni nei casi di cambio turno, alcune attività dei ferrovieri, e di altre categorie previste dai contratti collettivi.
Per questi dipendenti può essere derogata la cadenza settimanale del riposo
purché esistano degli interessi aziendali apprezzabili, si rispetti, mediamente, la
cadenza di un giorno di riposo ogni sei di lavoro e non si superino i limiti di ragionevolezza con particolare riguardo alla salute e sicurezza dei lavoratori.
Per tali settori è anche possibile derogare alle disposizioni sulla durata e la
consecutività del riposo settimanale, purché non si scenda sotto la soglia minima delle 24 ore o, se succede, sia previsto un adeguato riposo compensativo.
In linea generale, la legge prevede la coincidenza del riposo settimanale con
la domenica.
Esiste, però, un lungo elenco di attività e di contratti collettivi in cui, per
motivi di produzione, stagionalità, pubblica utilità o esigenza di fornire un servizio, si può derogare all'effettuazione del riposo domenicale, che può essere
spostato in altro giorno della settimana o previsto con un sistema di turnazione
dello stesso (si veda anche la legge n. 370/1934).
I lavoratori di religione ebraica o della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno possono, a richiesta, fruire del riposo sabbatico (da mezz'ora prima
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
del tramonto del sole del venerdì ad un'ora dopo il tramonto del sabato), invece
di quello domenicale. Non esistono però analoghe previsioni per le altre confessioni religiose.
In ogni caso, il riposo settimanale non è mai retribuito.
In caso di mancata concessione del riposo settimanale, il datore di lavoro si
espone a pesanti sanzioni amministrative e a potenziali cause civili da parte dei
dipendenti che, privati di un diritto assoluto che consente loro di recuperare le
energie spese, possono chiedere il risarcimento del danno biologico e alla salute.
Peraltro, nel corso del tempo, la giurisprudenza è venuta affermando che
quando il lavoratore, per esigenze della produzione, presti la propria opera per
sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per ogni settimana, ha diritto, oltre che al compenso per la prestazione domenicale (di norma stabilito dal contratto collettivo), anche ad un distinto
compenso per l’ulteriore penosità connessa al fatto di lavorare per sette e più
giorni consecutivi; tale compenso non può essere determinato con le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, a meno che non si tratti effettivamente
di lavoro prestato in più rispetto a quello ordinario, ma, semmai, con quelle del
lavoro festivo, oppure può essere determinato in via equitativa dal Giudice, se
non diversamente contemplato dal contratto applicato (Cass. nn. 12318/2011;
2610/2008, 9521/2004).
5.3.2. Festività
In occasione di alcune ricorrenze civili e religiose, i lavoratori, di norma,
non dovrebbero prestare attività lavorativa, percependo ugualmente la relativa
retribuzione. La regolamentazione fondamentale delle festività è contenuta nella legge n. 260/1949 e nella legge n. 90/1954, ma è naturale che, in tale materia, occorre prestare la massima attenzione anche alle disposizioni dei contratti
collettivi.
Le festività previste dalla legge sono le seguenti:
- Capodanno - 1º gennaio;
- Epifania - 6 gennaio;
- Lunedì dell'Angelo - giorno dopo Pasqua;
- Festa della Liberazione - 25 aprile;
- Festa del Lavoro - 1º maggio;
- Festa della Repubblica - 2 giugno;
- Assunzione - 15 agosto;
181
Diritto del lavoro e legislazione sociale
- Ognissanti - 1º novembre;
- Immacolata concezione - 8 dicembre;
- Natale - 25 dicembre;
- S. Stefano - 26 dicembre.
Il giorno 4 novembre, festa dell'Unità nazionale, non è considerato festivo,
ma agli effetti economici viene considerato come festività cadente nella prima
domenica di novembre.
Limitatamente all'anno 2011, il giorno 17 marzo (ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia) è considerato festivo ai sensi degli artt. 2 e 4, legge
n. 260/1949; il D.L. 5/2011 ha tuttavia stabilito che gli effetti economici e gli
istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre
2011 non si applichino a tale ricorrenza ma, in sostituzione, al 17 marzo.
Su tale assetto è tuttavia intervenuto l’art. 1, comma 24, del D.L. n. 138 del
13 agosto 2011, convertito in legge n.148/2011 stabilendo che, a decorrere dal
2012, con D.P.C.M., da emanarsi entro il 30 novembre dell’anno precedente,
sono stabilite le date in cui ricorrono le festività civili introdotte con legge dello
Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni (ad esclusione del 25 aprile, del 1° maggio
e del 2 giugno), in modo che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì
susseguente la domenica, o coincidano con la domenica.
In altre parole, la normativa, da attuarsi attraverso apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanarsi entro il 30 novembre di ogni anno, vuole che tutte le festività infrasettimanali, ad esclusione del 25 aprile, del
1º maggio e del 2 giugno, coincidano necessariamente col lunedì, venerdì o con
la domenica. In assenza del previsto Decreto, deve evidentemente ritenersi che
tali festività siano fatte salve anche se cadenti in giorni diversi da quelli sopra
menzionati.
A seconda della collocazione della festività e del sistema di paga utilizzato,
la retribuzione spettante in relazione alla giornata festiva viene calcolata in maniera differente.
- Festività cadenti dal lunedì al sabato: spetta ai dipendenti il pagamento
della normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compresi gli elementi accessori.
- Per i dipendenti retribuiti ad ore, il calcolo della media giornaliera va
eseguito prendendo come riferimento 1/6 dell'orario settimanale; per i
dipendenti a paga mensilizzata non viene corrisposta alcuna cifra in
quanto l'importo della festività è già compreso nella retribuzione mensi182
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
le (che non subisce alcuna decurtazione); per i lavoratori retribuiti a
cottimo, a provvigione o altre forme di compensi mobili bisogna calcolare il valore delle quote mobili corrisposte sulla media oraria delle ultime 4 settimane.
- Festività coincidenti con la domenica, con il giorno di riposo settimanale ovvero con altra festività stabilita dalla legge o dai contratti collettivi:
spetta il pagamento di un'aliquota giornaliera di retribuzione, normalmente calcolata dividendo la retribuzione mensile di fatto per il divisore
giornaliero stabilito dai contratti collettivi. Per i dipendenti a paga mensilizzata tale retribuzione si aggiunge a quella mensile.
- Festività lavorate: se un dipendente presta la sua opera in una giornata
festiva deve ricevere il trattamento retributivo per festività, come sopra
calcolato, più il pagamento delle ore di lavoro effettuate, maggiorate
secondo quanto previsto dai contratti collettivi.
- Lavoro domenicale: tutte le domeniche sono considerate festive dalla
legge, ma non danno diritto alla retribuzione a meno che non siano effettivamente lavorate: in tal caso, saranno i contratti collettivi a stabilirne la relativa maggiorazione.
- Sembra opportuno precisare che, salvo diversa ed espressa previsione
contrattuale, il diritto alla quota di retribuzione aggiuntiva, riconosciuto ai lavoratori retribuiti in misura fissa in caso di coincidenza di una
festività con la domenica o col giorno di riposo settimanale, non spetta
in caso di coincidenza della stessa con il sabato non lavorativo, poiché,
allorché il normale orario di lavoro sia concentrato nell'arco di cinque
giorni settimanali, il sesto giorno deve qualificarsi semplicemente, agli
effetti di tutti gli istituti contrattuali, come non lavorativo, feriale a zero
ore, e non anche festivo (si veda, per tutte, Cassazione n. 10132/1993,
nonché la Nota del Ministero del lavoro del 20 febbraio 2006).
I contratti collettivi possono stabilire ulteriori condizioni migliorative in merito alle festività, le più comuni delle quali si riportano di seguito:
- Santo Patrono: la legge prevede la giornata festiva solamente per Roma
il 29 giugno (SS. Pietro e Paolo), ma i contratti estendono questa previsione ai santi patroni delle varie città d'Italia. Quindi, la giornata dedicata al patrono è da considerarsi festiva per il luogo ove si festeggia. È
possibile scegliere tra una pluralità di patroni (della città, del quartiere,
della categoria di lavoratori, ecc.).
183
Diritto del lavoro e legislazione sociale
Pasqua: non è indicata nell'elenco delle festività di legge in quanto
sempre coincidente con la domenica. La conseguenza è che non spetta
alcun pagamento della giornata festiva ai lavoratori. Alcuni contratti
collettivi, tuttavia, includono la Pasqua nell'elenco delle festività, facendo sorgere il diritto al pagamento per i dipendenti cui si applicano
tali contratti.
- Sesta giornata: i lavoratori che adottano la distribuzione dell'orario su 5
giorni settimanali, di fatto, non godono delle festività che cadono nella
6^ giornata non lavorativa. Alcuni contratti, tuttavia, equiparano queste festività a quelle cadenti di domenica, dando luogo alla retribuzione
aggiuntiva.
Il lavoratori di religione ebraica hanno diritto, su richiesta, ad assentarsi dal
lavoro secondo il calendario delle proprie festività (Capodanno - Rosh Hashanà; digiuno di espiazione - Kippur; Festa delle Capanne - Succoth; Festa della
Legge - Simhat Torà; Pasqua - Pesach; Pentecoste - Shavuoth; Digiuno del 9 di
Av) emanato ogni anno dal Ministero dell'Interno, al posto di quello usato per
la generalità dei lavoratori. Non esistono però analoghe previsioni per le altre
confessioni religiose.
-
5.3.3. Ferie
I lavoratori hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per un periodo di ferie annue retribuite, la cui durata minima è stabilita dalla legge e la cui funzione è
quella di consentire al lavoratore il necessario recupero delle energie psicofisiche spese durante la precedente attività lavorativa.
Anche il diritto alle ferie è irrinunciabile, a mente dell'art. 36 della Costituzione, e non può essere sostituito da indennità economiche, salvo nel caso in
cui, a causa della cessazione del rapporto, il lavoratore non abbia potuto fruire
delle ferie sino a quel momento maturate.
Il D.Lgs. n. 66/2003 stabilisce in 4 settimane il periodo minimo di ferie annue per ogni lavoratore.
Tale periodo deve essere fruito almeno per metà entro l'anno di maturazione
delle ferie e per metà entro i 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.
Il periodo di svolgimento delle ferie è stabilito, secondo quanto disposto
dall'art. 2109 del c.c., dal datore di lavoro in base alle esigenze dell'impresa ed
in considerazione del suo potere organizzativo.
184
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Tuttavia, tale potestà non è assoluta, dovendo tenere conto – ove possibile –
anche degli interessi del lavoratore: in tal senso, il periodo di ferie dovrebbe essere continuativo, al fine di permettere il recupero delle energie psico-fisiche del
lavoratore, funzione tradizionale cui assolve l’istituto, che sarebbe vanificata
dalla concessione di periodi di ferie troppo frazionati. In ogni caso, per espressa
previsione di legge, a seguito di formale richiesta da parte del lavoratore, le due
settimane di ferie da godere entro l’anno di maturazione devono essere consecutive.
Il lavoratore può dunque richiedere di effettuare le ferie in un determinato
periodo, ma tale richiesta deve essere effettuata con congruo anticipo ed è comunque soggetta alla valutazione del datore di lavoro in merito alle esigenze
aziendali, che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, prevalgono
sempre rispetto a quelle manifestate dal dipendente.
I contratti collettivi prevedono le modalità di richiesta e concessione del periodo feriale, la durata minima del periodo di ferie continuative e possono allungare il periodo minimo annuale previsto dalla legge, oltre che stabilire scadenze differenti per l'effettuazione delle ferie.
Questione aperta a livello giurisprudenziale e dottrinale è quella volta a stabilire se le ferie maturino durante i periodi di sospensione dall’attività lavorativa. In linea generale, attesa la naturale funzione di recupero delle energie lavorative cui le ferie assolvono, si deve escludere la maturazione dell’istituto allorchè la tipologia di sospensione non pregiudica il riposo e/o lo svago del lavoratore: in tal senso, ad esempio, si ritiene che le ferie non maturino durante i periodi di cassa integrazione guadagni, di maternità facoltativa (congedo parentale), sciopero prolungato; per converso, bisogna riconoscerne la consueta maturazione durante la maternità obbligatoria, la malattia, l’infortunio, in quanto
eventi che precludono al lavoratore di poter disporre a proprio piacimento del
tempo di inattività forzata.
Come anticipato, il divieto di pagamento di un'indennità sostitutiva delle ferie non trova applicazione quando cessa un rapporto di lavoro o nel caso di
contratti a termine inferiori all'anno. In tali casi, le ferie residue non ancora godute vengono "monetizzate" e convertite in altrettante quote di retribuzione
giornaliera. Ovviamente, il dipendente non matura l'intera quota annuale di ferie, ma solo tanti dodicesimi di essa, quanti sono i mesi in cui ha prestato il suo
lavoro (i contratti collettivi disciplinano il computo dei periodi inferiori al mese). A parere del Ministero del Lavoro, possono anche essere pagate e non frui-
185
Diritto del lavoro e legislazione sociale
te le ferie previste dalla contrattazione collettiva che eccedono le 4 settimane di
legge (Circolare Ministero del lavoro n. 8/2005).
Nei casi di assenze prolungate (ad esempio per maternità) che rendono impossibile il godimento delle ferie all'interno delle scadenze previste, non esiste, a
parere del Ministero del Lavoro, un diritto automatico allo svolgimento delle
ferie al rientro del lavoratore, ma queste vanno concesse dal datore di lavoro nel
tempo da lui stabilito, secondo le normali modalità. Per giurisprudenza pressocchè costante, la malattia insorta durante il periodo di ferie, che risulti incompatibile con la naturale funzione di recupero delle energie psico-fisiche, ne
interrompe il godimento, dando diritto al recupero dei giorni di ferie non goduti. Tuttavia, la malattia non prolunga in automatico il periodo di ferie inizialmente previsto, potendo il datore di lavoro concedere il recupero dei giorni non
goduti nel tempo da lui stabilito, secondo le normali modalità. Non si applica
alcuna sospensione in caso di malattie di lieve entità che non pregiudicano lo
scopo delle ferie.
In linea generale, non è prevista la possibilità di effettuare ferie durante il periodo di preavviso che precede la cessazione del rapporto di lavoro; la giurisprudenza prevalente interpreta questa norma nel senso che il datore non può
ordinare al lavoratore di effettuare le ferie durante il preavviso, ma è lecito godere delle ferie in tale periodo se ciò risponde ad una richiesta del dipendente.
Nel caso di mancata concessione delle ferie entro i termini stabiliti dalla legge, il datore di lavoro è passibile di sanzioni amministrative e si espone al rischio di richiesta di risarcimento danni così come per la mancata concessione
dei riposi giornalieri e settimanali. Inoltre, occorre sottolineare che, in base ad
una discutibile interpretazione delle norme di legge, l’Inps pretende il pagamento dei contributi sulle ferie non godute entro il termine fissato dalla legge o dalla
contrattazione collettiva; nelle ipotesi di interruzione temporanea della prestazione di lavoro per le cause previste dalla legge (es. malattia, maternità, ecc.)
che si siano verificate nel corso dei 18 mesi, il termine rimane sospeso per un
periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento e riprende a decorrere
dal giorno in cui il lavoratore riprende l'attività lavorativa (Ministero del Lavoro, Nota n. 4908/2006).
186
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Esempio 1
Ferie annue contrattualmente spettanti al dipendente: 26 giorni
Ferie annue minime di legge: 24 giorni (2 settimane da 6 giorni lavorativi)
1º anno
2º anno
3º anno
TOTALE
ferie maturate
26
26
26
78
ferie godute
12
20
8
40
Al dipendente spettano ancora 78 - 40 = 38 giorni di ferie.
Di questi, i 2 giorni annui stabiliti dal contratto collettivo in aggiunta ai
24 di legge possono essere retribuiti, gli altri no, a meno che non
cessi il rapporto.
Quindi 6 giorni possono essere retribuiti, 32 no.
Per verificare il rispetto della normativa, occorre suddividere le ferie
per periodi di scadenza, ricordando che le sanzioni riguardano solo i
periodi minimi previsti dalla legge (2 settimane entro l'anno, 2 settimane entro 18 mesi).
Giugno 1º anno
Dicembre 1º anno
Giugno 2º anno
Dicembre 2º anno
Giugno 3º anno
Dicembre 3º anno
ferie
maturate
ferie
in scadenza
26
12
2 sett. 1º anno
26
12
12
12
2 sett. 2º anno
2 sett. 1º anno
2 sett. 3º anno
26
Confrontando le ferie godute con quelle in scadenza possiamo capire
se i limiti siano stati rispettati
ferie
ferie
ferie
godute in scadenza residue
Giugno 1º anno
0
Dicembre 1º anno
12
12
0
Giugno 2º anno
0
Dicembre 2º anno
Giugno 3º anno
Dicembre 3º anno
ferie
godute
20
8
ferie
in scadenza
12
12
12
ferie
residue
-8
-4
+8
Il calcolo globale delle ferie residue è il seguente:
ferie residue periodo precedente - ferie godute + ferie in scadenza
Tuttavia, se le ferie residue in un certo periodo sono superiori allo zero, vuol dire che il datore di lavoro è inadempiente.
187
Diritto del lavoro e legislazione sociale
5.3.4. Permessi
Spesso i contratti collettivi prevedono un monte ore annue di assenza retribuita a titolo di permessi per riduzione dell'orario di lavoro. In pratica, le parti
sociali si accordano per ridurre il numero di ore lavorative annue dei dipendenti, dando a questi e ai loro datori di lavoro la possibilità di scegliere i momenti
in cui fruire di tali riduzioni d'orario.
A differenza delle ferie, si tratta dunque di un istituto di origine prettamente
contrattuale, con le seguenti caratteristiche:
- i permessi non sono un diritto irrinunciabile del lavoratore e, quindi,
possono essere retribuiti in sostituzione del godimento;
- sono solitamente concessi per brevi periodi (4-8 ore, ma anche meno);
- non esistono limiti minimi, né scadenze di legge cui attenersi.
La concessione dei permessi avviene da parte del datore di lavoro che, solitamente, si basa sulle richieste dei lavoratori.
I contratti collettivi disciplinano le modalità di richiesta e concessione dei
permessi e le eventuali motivazioni per cui il datore sia tenuto a concederli obbligatoriamente (ad esempio, visite mediche in taluni contratti), oltre all'eventuale scadenza al di là della quale i permessi non possano più essere concessi, ma
vadano retribuiti.
Ulteriore previsione della contrattazione collettiva è quella di riservare alcune ore annue di permessi non retribuiti al soddisfacimento di esigenze particolari del dipendente che possono essere specificate o meno dal contratto.
È utile ricordare che, salvo i casi citati, non è necessaria alcuna motivazione
per la richiesta dei permessi.
Disciplina analoga è prevista per i permessi spettanti per le giornate di festività abolite dalla legge (S.Giuseppe; Ascensione; Corpus Domini; SS. Pietro e
Paolo).
In sostituzione di tali ex-festività i contratti prevedono, in generale, la concessione di 32 ore annue di permessi retribuiti.
Nei casi previsti dalla legge e dai contratti di assenze obbligatoriamente concesse a fronte di specifiche e certificate motivazioni (ad esempio donazione di
sangue, congedo matrimoniale, permessi studio, ecc.) non viene intaccato il
monte ore di permessi retribuiti, ma si applica la normativa specifica.
5.3.5. Permessi sindacali e aspettativa
La lunga stagione delle lotte operaie degli anni Sessanta non poteva concludersi senza il riconoscimento, per i lavoratori, di tutele sindacali all'interno
dell'azienda. Il diritto soggettivamente più esteso è quello di riunirsi durante l'o188
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
rario di lavoro per un numero massimo di 10 ore annue, c.d. diritto di assemblea. Esso spetta ai lavoratori dipendenti da azienda industriale, artigiana e
commerciale che abbia più di 15 addetti in unità produttiva o nelle unità produttive site nello stesso comune. Per le aziende agricole il numero si riduce a
cinque.
Riassumendo gli orientamenti generali dei numerosi interventi giurisprudenziali va segnalato, innanzi tutto, che le assemblee possono essere convocate
oltre che dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) anche dai Consigli di
fabbrica o dai Consigli dei delegati o dalle Rappresentanze Sindacali Unitarie
(RSU), mentre è poco accolta la tesi di estendere il diritto di convocazione ad
organismi sindacali esterni all'azienda.
Una volta che il datore di lavoro ne ha ricevuto richiesta, nei termini di preavviso stabiliti dalle clausole contrattuali, deve mettere a disposizione dei lavoratori un locale idoneo, all'interno dell'unità produttiva, o rimettersi alla scelta
dei lavoratori, purché questa consenta la continuazione dell'attività lavorativa
dei dipendenti non partecipanti all'assemblea, e non sia di pericolo per la sicurezza alle persone o agli impianti.
Il datore di lavoro, se non invitato, non ha diritto di partecipare alla riunione, e non può negare l'accesso in azienda, durante l'assemblea, a dirigenti sindacali esterni quando ciò gli sia stato preavvisato. Le ore di assemblea superiori
alle 10 ore annue non sono retribuite, al pari delle ore necessarie per le consultazioni referendarie il cui diritto è esercitabile fuori dell'orario di lavoro.
Seppur meno esteso soggettivamente, non meno importante è il diritto di difesa e di rappresentanza riconosciuto ai lavoratori che rivestono qualifiche dirigenziali.
Per quanto riguarda i soli dirigenti appartenenti alle RSA la legge conferisce
il diritto ad usufruire di permessi retribuiti nella misura di non meno di 8 ore
mensili; se l'azienda occupa meno di 200 dipendenti al dirigente spetta un'ora di
permesso annua per ogni lavoratore occupato.
L'utilizzo dei permessi è subordinato esclusivamente alla comunicazione
scritta, direttamente dalla RSA, inviata al datore di lavoro, per semplice presa
d'atto. Il permesso deve essere finalizzato ad un'attività propria del mandato,
quale può essere quell'organizzativa o di proselitismo o di rappresentanza nei
confronti dell'esterno o anche di partecipazione a riunioni aziendali o di trattative sindacali riguardanti i lavoratori dell'azienda; non sono retribuiti, invece, i
permessi concessi, in misura di otto giornate l'anno, ai dirigenti delle RSA per
la partecipazione a convegni o congressi di natura sindacale.
189
Diritto del lavoro e legislazione sociale
La misura dei permessi, retribuiti e non, sopra indicati, va suddivisa fra i vari dirigenti delle Organizzazioni sindacali.
I permessi retribuiti, finalizzati alla partecipazione di lavoratori facenti parte
degli organismi direttivi a riunioni delle Oo.Ss. a livello nazionale, provinciale
o territoriale, sono previsti dall'art. 30 dello Statuto e si differenziano da quelli,
prima indicati, di cui agli artt. 23 e 24 dello Statuto, per due ordini di ragione:
innanzitutto, i primi, si riferiscono a tutte le aziende indipendentemente dal
numero di addetti; in secondo luogo, il monte ore annuo e le modalità di esercizio del diritto sono rimesse alla contrattazione collettiva, che, come asserito
dalla stessa Corte di Cassazione, non potrà però subordinarlo a condizioni o
limiti. La vasta tutela sindacale si chiude con la facoltà concessa al lavoratore,
dipendente da qualunque azienda, che riveste una carica all'interno di Oo.Ss. a
livello nazionale o provinciale o territoriale, di richiedere di essere messo in aspettativa per tutto il periodo del mandato. Il periodo di sospensione è totalmente privo di copertura retributiva, comprese le mensilità aggiuntive e le ferie;
parimenti non maturano, durante l'assenza, l'anzianità di servizio ed il trattamento di fine rapporto.
I lavoratori collocati in aspettativa per motivi sindacali godono, invece, della
tutela assicurativa e previdenziale. Infatti, i periodi di aspettativa sono utili, su
richiesta del lavoratore, ai fini pensionistici; inoltre, gli assicurati sospesi dal lavoro per aspettativa politica o sindacale non retribuita conservano il diritto alle
prestazioni economiche di malattia e di maternità (obbligatoria e facoltativa)
per gli eventi insorti durante l'intero periodo di aspettativa stessa.
L'intervento dell'Istituto è tuttavia da escludere quando, per gli stessi eventi,
siano erogati a carico dell'organizzazione politica o sindacale emolumenti di
importo pari o superiore all'indennità: in caso di erogazioni di importo inferiore, farà carico all'Istituto la sola differenza tra i trattamenti, fino alla concorrenza dell'importo dovuto a titolo di indennità (art. 6, comma 2, legge n.
138/1943); il lavoratore conserva il diritto alla corresponsione degli assegni per
il nucleo familiare.
5.3.6. Chiamata a funzioni pubbliche elettive
L'art. 51, comma 3, della Costituzione prevede che: «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro».
Una concreta attuazione di tale principio sono gli artt. 31 e 32 dello Statuto
dei lavoratori che disciplinano, rispettivamente, le aspettative ed i permessi
190
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
spettanti a lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive. L'art. 32 è stato
successivamente abrogato e modificato dalla legge n. 816/1985.
Alle categorie di lavoratori di seguito indicate, pertanto, l'art. 31 della legge
n. 300/1970 riconosce il diritto di essere collocati in aspettativa per l'intera durata del mandato che sono chiamati a svolgere:
1) membri del Parlamento europeo;
2) membri del Parlamento italiano;
3) membri delle Assemblee regionali;
4) membri dei Consigli provinciali;
5) membri della Giunta provinciale;
6) presidente provinciale;
7) membri dei Consigli comunali;
8) sindaco in Comune con meno di 10.000 abitanti;
9) sindaco in Comune con più di 10.000 abitanti;
10) membri dei Consigli circoscrizionali;
11) membri dei Consigli delle Aziende municipali, provinciali o consortili;
12) membri delle Comunità montane;
13) membri delle assemblee delle ASL;
14) giudici popolari.
Il diritto alla conservazione del posto non preclude, ovviamente, l'ipotesi di
risoluzione per giusta causa o per giustificato motivo (ad esempio cessazione
aziendale).
Il lavoratore che chiede di essere collocato in aspettativa per esercitare una
delle cariche sopra indicate perde, dunque, il diritto alla retribuzione. Quanto
agli effetti di tale assenza sulla maturazione dell'anzianità di servizio e sul trattamento di fine rapporto dobbiamo operare le seguenti distinzioni:
- nelle ipotesi di cui ai punti 1, 2 e 3 non matura né l'una né l'altro;
- nelle ipotesi di cui ai punti 4, 7, 8, 10, 11 e 12 matura l'anzianità di servizio ma non l'accantonamento TFR;
- nelle ipotesi di cui ai punti 5, 6, 9 e 13 maturano entrambi;
- nelle ipotesi indicate in cui c'è maturazione del TFR, l'ente pubblico
procede a rimborsare il datore di lavoro con una quota pari ad un dodicesimo dell'indennità derivante dalla carica rivestita; se questa quota è
inferiore alla misura del TFR accantonato la differenza resta a carico
del lavoratore.
Se il lavoratore, durante l'assenza per svolgimento di cariche elettive, perde
il diritto alla retribuzione (peraltro ampiamente compensata dall'indennità di
carica) il legislatore si è preoccupato che non perda la copertura previdenziale.
Ha, infatti, previsto che i periodi di aspettativa sono, a richiesta dell'interessato,
191
Diritto del lavoro e legislazione sociale
considerati utili ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché a carico d'enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza
sostitutive dell'assicurazione predetta o che ne comportino comunque l'esonero.
È inoltre garantito, durante tale periodo, il diritto alle prestazioni di malattia.
Da un punto di vista pratico il datore di lavoro è tenuto a comunicare l'importo della retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito all'ente pubblico, di
modo che quest'ultimo provveda, su una posizione appositamente aperta, al
versamento dei contributi dovuti. Il versamento non è dovuto quando, in relazione all'attività espletata durante il periodo d'aspettativa, sono previste a favore
dei lavoratori forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia.
Tranne che nei casi indicati sopra ai primi tre numeri il lavoratore, in alternativa all'aspettativa, può richiedere permessi che vanno retribuiti come normali ore di lavoro. L'onere economico è, tuttavia, a carico dell'ente pubblico che
rimborsa al datore di lavoro l'importo comprensivo dei ratei delle mensilità aggiuntive, nonché il costo degli oneri contributivi su tali somme.
L'art. 4 della legge n. 816/1985 concede inoltre al lavoratore di usufruire di
un numero d'ore di permessi non retribuiti nella misura di 24 ore mensili.
5.3.7. Assenze in occasione di elezioni
La disciplina originaria (art. 119 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361), considerava i giorni necessari alle funzioni svolte negli uffici elettorali come ferie retribuite in aggiunta a quelle ordinariamente spettanti e maturate. Successivamente, la legge 21 marzo 1990, n. 53, oltre a ridisegnare l'ambito soggettivo
d'applicazione, esplicitamente prevede che i giorni che ricadono nel periodo di
durata delle operazioni elettorali sono da considerarsi giorni d'attività lavorativa a tutti gli effetti.
A dirimere la controversia sorta, poi, se la giornata della domenica dovesse
essere recuperata, dal lavoratore, con una giornata di riposo compensativo immediatamente successiva al termine delle operazioni elettorali, è intervenuta la
legge 29 gennaio 1992, n. 69 che, con un'interpretazione autentica della normativa precedente, prevede che i lavoratori «hanno diritto al pagamento di specifiche
quote retributive, in aggiunta all'ordinaria retribuzione mensile, ovvero a riposi compensativi, per i giorni festivi o non lavorativi eventualmente compresi nel periodo di svolgimento delle operazioni elettorali».
Le consultazioni elettorali che danno luogo ai permessi sono tutte quelle
previste da leggi statali o regionali, compresi quindi i referendum. Le norme si
192
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
applicano a tutti i lavoratori che svolgono funzioni negli uffici elettorali ivi
compresi i rappresentanti di lista o di candidati, ed i rappresentanti di partito
nelle occasioni referendarie.
La retribuzione spettante per le ore d'assenza per motivi elettorali è, quindi,
soggetta alle normali ritenute fiscali e alla normale contribuzione previdenziale,
diversamente dal compenso che i membri dei seggi elettorali ricevono per lo
svolgimento di tale funzione che è, invece, considerato alla stregua di un rimborso spese e pertanto esente da imposte o ritenute.
5.3.8. Congedi per volontariato
I lavoratori che fanno parte di organizzazioni di volontariato riconosciute
dalle regioni e dalle province autonome hanno diritto ad una flessibilità nel lavoro e nei turni particolare, normata dai C.C.N.L. di settore (art. 17, legge n.
266/1991). I maggiorenni che hanno stipulato un contratto di cooperazione internazionale di almeno 2 anni (volontari del servizio civile) possono chiedere di
essere collocati in aspettativa non retribuita. Il datore di lavoro ha la possibilità
di assumere un lavoratore in sostituzione con contratto a termine. I contributi
pensionistici di questi lavoratori vengono pagati dalla direzione generale per la
cooperazione e lo sviluppo su valori convenzionali stabiliti e rivalutati periodicamente (art. 31, legge n. 49/1987). I lavoratori della protezione civile possono
assentarsi, per prestare soccorso ed assistenza in caso di calamità naturali, e
vengono retribuiti, in caso di servizio effettivo, come se fossero al lavoro. Il datore di lavoro potrà chiedere il rimborso delle spese sostenute al fondo per la
protezione civile (nei limiti di 30 giorni consecutivi e massimo 90 giorni all'anno - D.P.R. n. 194/2001). I lavoratori del soccorso alpino hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per le operazioni di soccorso e per le esercitazioni.
5.3.9. Lavoratori studenti e diritto allo studio
Il diritto allo studio, sancito dall’art. 10 della legge 300/1970 (Stuto dei lavoratori), si concretizza, per il lavoratore, nella garanzia di non dover effettuare
straordinari nei riposi settimanali e di essere adibito al lavoro in turni tali da agevolare la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami. Deve trattarsi di corsi regolari di studio in scuole d'istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali. Il diritto assume però una ricaduta economica con la previsione del comma 2, laddove si consente al lavoratore studente di usufruire di permessi giornalieri retribuiti, in occasione delle prove d'esame.
193
Diritto del lavoro e legislazione sociale
Naturalmente, i contratti collettivi possono prevedere clausole più vantaggiose e, spesso, un monte ore globale di permessi retribuiti ch i lavoratori studenti possono richiedere per la frequenza a corsi istituiti presso istituti pubblici
o legalmente riconosciuti, diversi da quelli previsti all'art. 10 dello Statuto.
La materia si è arricchita con l'entrata in vigore dell'art. 5 della legge 8 marzo 2000, n. 53 che, in aggiunta alle disposizioni richiamate, offre ai lavoratori
dipendenti, con almeno cinque anni d'anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, la possibilità di richiedere una sospensione del rapporto di lavoro tramite congedi per la formazione finalizzata sia al completamento dei percorsi formativi scolastici (conseguimento del titolo di studio delle
scuole inferiori e superiori, del diploma universitario o di laurea), sia alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere dal datore di lavoro. Il periodo, continuativo o frazionato, non può essere superiore ad undici
mesi nell'arco dell'intera vita lavorativa. La fruizione del congedo, pur garantita
dalla conservazione del posto di lavoro, non dà diritto a retribuzione né alla
maturazione dell'anzianità di servizio. Al datore di lavoro è consentito, nel caso
di comprovate esigenze organizzative, di differire la fruizione del congedo. Anche questo periodo può essere riscattato ai fini pensionistici dal lavoratore.
5.3.10. Lavoratori tossicodipendenti
Data la rilevanza sociale che il fenomeno della tossicodipendenza ha raggiunto negli ultimi decenni del secolo scorso, con legge 26 giugno 1990, n. 162,
si è provveduto a garantire ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, per i
quali venga accertato lo stato di tossicodipendenza, la conservazione del posto
di lavoro per un periodo massimo di tre anni nel quale intendano accedere ai
programmi terapeutici e riabilitativi attuati presso i servizi sanitari delle unità
sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali.
La legge ha, poi, lasciato alla contrattazione collettiva l'indicazione delle modalità per esercitare tale facoltà o la previsione di condizioni di miglior favore; ad
es. in ordine alla durata o alle provvidenze economiche, tenendo conto che, di
norma, questa è un'ipotesi di sospensione senza maturazione di retribuzione diretta o indiretta.
Molto importante è anche la previsione legislativa che attribuisce ai lavoratori, familiari di persona dichiarata tossicodipendente, la facoltà di usufruire di
un'aspettativa non retribuita per l'intero periodo di trattamento riabilitativo,
qualora tale necessità sia attestata da dichiarazione del servizio sanitario addetto alla riabilitazione.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Qualora il datore di lavoro ritenesse necessario assumere un lavoratore in
sostituzione di un lavoratore tossicodipendente o del lavoratore familiare di tossicodipendente, può procedere ad un'assunzione a termine per tutta la durata
del trattamento.
5.3.11. Obbligo di leva e richiamo alle armi
Con la riforma del servizio militare è stato realizzato il passaggio dal servizio di leva obbligatorio ad un sistema interamente professionale e volontario
(legge 14 novembre 2000, n. 331). Di conseguenza, l'art. 7 del D.Lgs. 8 maggio
2001, n. 215 ha previsto che, a decorrere dal 1º gennaio 2005, le chiamate per lo
svolgimento del servizio di leva sono sospese, salvo il ripristino del reclutamento obbligatorio in caso di guerra o grave crisi internazionale in cui l’Italia risulti
coinvolta.
La disciplina contenuta nel codice civile e nelle leggi speciali in materia di
servizio militare va interpretata alla luce del principio costituzionale, contenuto
nell'art. 52, comma 2, Cost., secondo il quale l'adempimento degli obblighi di
leva non deve comportare pregiudizio alla posizione di lavoro del cittadino.
Ed infatti, a norma dell'art. 77, D.P.R. n. 237/1964, la chiamata alle armi
per adempiere gli obblighi di leva sospende il rapporto di lavoro e il lavoratore
ha diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo del servizio militare Il
diritto alla conservazione del posto deve essere riconosciuto anche ai lavoratori
che:
- soddisfino agli obblighi di leva prestando servizio civile (art. 6, legge n.
230/1998);
- prestino servizio volontario civile in Paesi in via di sviluppo (la completa equiparazione del servizio civile svolto alla prestazione del servizio
militare si realizza a seguito della concessione della dispensa definitiva
da parte del Ministero della difesa).
Il diritto alla sospensione del rapporto ed alla conservazione del posto di lavoro decorre dal momento in cui il lavoratore riceve la cartolina-precetto con la
quale viene effettivamente chiamato alle armi.
Durante il servizio di leva nessun onere di carattere economico è posto a carico del datore di lavoro. Il periodo di sospensione viene però computato
nell'anzianità lavorativa e può rilevare, come talora previsto dalla contrattazione collettiva, ai fini della determinazione degli scatti di anzianità.
Il lavoratore ha l'obbligo di ripresentarsi al datore di lavoro entro trenta
giorni dal congedo o dall'invio in licenza illimitata in attesa di congedo, per ri-
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
prendere servizio; qualora ciò non avvenga, egli sarà considerato dimissionario
(a meno che la mancata presentazione al lavoro entro detto termine sia dovuta
a comprovate cause di forza maggiore).
L'inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi in materia è punita, con la sanzione amministrativa da euro 103 a euro 516.
Disciplina diversa si applica nel caso di eventuale richiamo alle armi; tale
evento, infatti, come il servizio di leva, sospende il rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo del richiamo stesso, ma in tal
caso è previsto, a favore del lavoratore richiamato, anche un particolare trattamento economico consistente:
- per i primi due mesi, nell'erogazione di un'indennità mensile pari alla
retribuzione globale mensile a carico dell’Inps;
- successivamente a tale periodo e sino alla fine del richiamo, nel caso in
cui il trattamento economico militare sia inferiore alla retribuzione inerente all'impiego, in una indennità mensile (sempre a carico dell'Inps)
pari alla differenza tra i due trattamenti;
- nella corresponsione degli assegni familiari;
- nel versamento, effettuato dal datore di lavoro salvo successivo conguaglio, dei contributi per l'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e
i superstiti e per l'assegno per il nucleo familiare, nella misura dovuta
sull'ultima retribuzione mensile percepita al momento del richiamo.
Il trattamento per richiamo alle armi suesposto spetta anche ai lavoratori:
- con rapporto stagionale, limitatamente alla durata del contratto;
- in periodo di prova (che resta sospeso e riprende al termine del richiamo);
- assunti con contratto a tempo determinato (per i quali la decorrenza del
termine è sospesa);
- in preavviso di licenziamento (il trattamento economico spetta fino al
termine del richiamo);
- trattenuti sotto le armi dopo il compimento del normale periodo di leva.
Al termine del richiamo per congedo o invio in licenza illimitata in attesa di
congedo, il lavoratore ha l'obbligo di mettersi a disposizione del datore di lavoro entro il termine di:
- 5 giorni, se il richiamo ha avuto durata non superiore ad un mese;
- 8 giorni, se ha avuto durata superiore ad un mese ma non a 6 mesi;
- 15 giorni se ha avuto durata superiore a 6 mesi.
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Il lavoratore che ha ripreso servizio non può essere licenziato per un periodo
di 3 mesi, tranne che per giusta causa.
Il lavoratore che, senza giustificato impedimento, non osservi i termini indicati, è considerato dimissionario.
L'inosservanza dell'obbligo di conservazione del posto, durante il periodo di
richiamo alle armi, è punita con la sanzione amministrativa da euro 103 a euro
516.
5.4. La retribuzione
5.4.1. Il sinallagma contrattuale
Abbiamo visto che il rapporto di lavoro si risolve necessariamente in un contratto di tipo sinallagmatico o a prestazioni corrispettive, la cui causa consiste
nello scambio fra prestazione lavorativa e retribuzione. Essa rappresenta pertanto il momento centrale del sinallagma contrattuale e determina i limiti della
convenienza economica del rapporto per entrambe le parti: dal punto di vista
del datore di lavoro, per la rilevanza che il costo del lavoro assume fra i costi di
produzione; dal lato del lavoratore, considerata l'importanza essenziale della retribuzione (reddito) per il soddisfacimento delle esigenze personali e familiari.
La retribuzione è dunque un elemento indispensabile del contratto di lavoro,
tanto subordinato che autonomo. Nel contratto di lavoro subordinato, peraltro,
l’istituto della retribuzione risulta rafforzato da una serie di garanzie di carattere
costituzionale e legale poste dall’Ordinamento a tutela del prestatore di lavoro
quale parte “debole” del rapporto.
In particolare, l’art. 36 della Costituzione e l'art. 2099 del Codice Civile dettano le regole generali circa la quantificazione e la corresponsione della retribuzione, cui l’autonomia collettiva e individuale devono necessariamente attenersi.
5.4.2. Misura della retribuzione
In base all'art. 36, comma 1, della Costituzione, “il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”.
Dunque, per espressa e inderogabile volontà del Costituente, la retribuzione,
a prescindere dalla volontà delle parti, deve possedere le seguenti caratteristiche:
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
sufficienza: essa deve assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera dal bisogno e dignitosa, assolvendo a quella funzione di
"sostentamento" che si traduce nell’espressione della retribuzione “minima” legale; naturalmente, il concetto di sufficienza deve essere in ogni caso affiancato alla quantità e qualità del lavoro svolto (ad esempio,
nel contratto part-time la retribuzione sarà inevitabilmente riproporzionata in base al minor apporto lavorativo). La quantificazione di tale parametro avviene attraverso lo strumento della contrattazione collettiva,
secondo un processo giurisprudenziale di cui si dirà in seguito;
- proporzionalità: essa deve essere correlata alla quantità e qualità della
prestazione lavorativa, cioè adeguata alla durata e alla professionalità
della prestazione resa;
- determinatezza e determinabilità: in relazione alla proporzionalità e alla quantità e qualità del lavoro prestato, deve sempre essere possibile
individuare i criteri di calcolo della retribuzione;
- obbligatorietà: la retribuzione rappresenta un diritto irrinunciabile del
lavoratore ed un obbligo del datore di lavoro, la sua mancata corresponsione integrando giusta causa di dimissioni del lavoratore, oltre ad
eventuale risarcimento danni;
Da quanto precede, si evince che la retribuzione ha una natura complessa,
non essendo solo il corrispettivo della prestazione, ma assolvendo anche ad una
funzione previdenziale ed alimentare in senso lato.
Nella pratica, l'applicazione di questi principi astratti è demandata alla contrattazione collettiva, che, da sempre, assolve ad una fondamentale funzione tariffaria, stabilendo, per ciascun settore merceologico e quindi per ogni singolo
contratto, il salario minimo di riferimento per i singoli livelli di professionalità
previsti dal contratto stesso.
Tale concetto, che nella sua semplicità può sembrare persino scontato, è tuttavia il frutto di una lunga elaborazione giurisprudenziale di tipo “creativo”, attraverso la quale i Tribunali hanno colmato il vuoto legislativo in materia e assicurato nel tempo ai lavoratori di qualunque settore produttivo condizioni economiche eque e univoche.
Secondo l’art. 2009 c.c., infatti, la retribuzione del prestatore di lavoro dovrebbe “essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative,
con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In
mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è de-
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Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
terminata dal Giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni
professionali”.
Tanto è bastato alla giurisprudenza per sostituire alle norme dei contratti
corporativi, venuti meno con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, quelle dei contratti di diritto comune, conferendo a questi ultimi una natura
“parametrale” dalla quale è bene non discostarsi - al ribasso - nella prassi.
Inoltre, essendo tale meccanismo la diretta estrinsecazione della volontà costituente, ne deriva che esso si applica anche a datori di lavoro e lavoratori non
iscritti alle associazioni firmatarie del contratto collettivo applicabile, risolvendosi in nuce un potenziale conflitto con quanto stabilito dall’art. 39, comma 1,
della Costituzione.
Ogni datore di lavoro, pertanto, deve essere conscio del fatto che il trattamento economico da egli riservato ai propri collaboratori è sempre soggetto al
vaglio del Giudice e che questi, nel doverne eventualmente valutare i requisiti
costituzionali di proporzionalità e sufficienza, si affiderà immancabilmente al
contratto collettivo ritenuto applicabile.
A tal proposito, se è vero che la retribuzione costituzionalmente garantita
corrisponde, in linea generale, a quella determinata dai contratti collettivi, tuttavia nell’Ordinamento non vi è alcun criterio legale di scelta in ipotesi di una
pluralità di fonti collettive applicabili (contratto nazionale, territoriale, aziendale). Pertanto, nella scelta del parametro collettivo da utilizzare per la determinazione della “giusta” retribuzione, il Giudice di merito rimane libero di fare riferimento – previa idonea motivazione – invece che al contratto collettivo nazionale, a quello territoriale o aziendale, anche se peggiorativi rispetto al primo
e – addirittura - anche se intervenuti in epoca successiva alla conclusione del
rapporto di lavoro di che trattasi (da ultimo si veda Cass., sez. lavoro, sentenza
n. 1415/2012).
Inoltre, è bene puntualizzare che, secondo l’orientamento giurisprudenziale
consolidato, in tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36
Cost., ad assumere valore minimo e inderogabile sono soltanto quelle componenti del trattamento economico che costituiscono espressione, per loro natura,
della “normale” retribuzione, con esclusione, quindi, di ogni compenso accessorio, e persino delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima. L’attribuzione di
valore inderogabile - da parte del Giudice del merito - ad eventuali componenti
aggiuntive della retribuzione stabilite dalla contrattazione collettiva non è di per
sé automatica, ma presuppone un’indagine giudiziale volta ad accertare
l’adeguatezza dell’intero trattamento alle caratteristiche qualitative della presta199
Diritto del lavoro e legislazione sociale
zione resa (si veda, da ultimo, Cassazione sentenza n. 153 dell’11 gennaio
2012).
Nel caso in cui il Giudice non ritenga di adottare come parametro i minimi
salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, deve comunque fornire specifica
indicazione delle ragioni che sostengono la diversa misura da lui ritenuta conforme ai criteri di proporzionalità e sufficienza stabiliti costituzionalmente. Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità, la determinazione di una retribuzione inferiore ai minimi contrattuali di categoria non può, in ogni caso, trovare giustificazione nel richiamo a condizioni socio-economiche ambientali o
territoriali, ancorchè peculiari del mercato del lavoro nel settore di riferimento.
La determinazione di una retribuzione superiore ai minimi contrattuali indica invece, secondo la Corte di Cassazione, la volontà, tacitamente manifestata
dal datore e accettata dal lavoratore, di derogare in meglio, ai sensi dell'art.
2077, secondo comma, c.c., il trattamento economico di quest'ultimo, con la
conseguenza che spetta eventualmente al datore di lavoro provare l'invalidità di
questa volontà: le pattuizioni individuali, infatti, non possono determinare per
il lavoratore un trattamento meno favorevole rispetto a quello derivante
dall'applicazione del contratto collettivo di categoria.
Resta da segnalare che, nella stesura delle formulazioni dei contratti collettivi, le parti sociali non operano sulla base di uno schema unitario, ma secondo
criteri legati alle vicende storiche ed alle situazioni contingenti proprie di ciascun settore contrattuale. In tal senso, la tecnica seguita nel rinnovo dei contratti, che privilegia di fatto una stratificazione normativa di clausole appartenenti a
periodi diversi, implica la necessità di adottare particolare cautela per stabilire il
significato che le parti stipulanti hanno inteso dare ai termini utilizzati.
5.4.3. Forme, tempistica e composizione della retribuzione
Secondo il disposto dell'art. 2099 c.c. la retribuzione può essere stabilita:
- "a tempo" (detta anche "ad economia"), se l'ammontare della retribuzione è determinato in funzione della durata della prestazione lavorativa;
- "a cottimo", se l'ammontare della retribuzione è determinato in funzione del risultato della prestazione lavorativa;
- "a compartecipazione" se l'ammontare della retribuzione è (in parte)
determinato in funzione degli utili dell'impresa;
- con provvigioni o con prestazioni in natura.
200
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
La retribuzione "a tempo" costituisce una tecnica di determinazione della retribuzione in base alla quale essa viene calcolata moltiplicando il compenso
stabilito per una unità di tempo (ora, giorno, mese) per il numero delle unità
temporali di lavoro svolto.
Tale tecnica di determinazione della retribuzione si fonda sulla previsione
della quantità di lavoro svolto mediamente, in una data unità di tempo, da un
lavoratore di normale capacità.
La retribuzione "a cottimo", ormai caduta in disuso, costituisce una tecnica
di determinazione della retribuzione secondo la quale essa viene calcolata moltiplicando il compenso stabilito per una unità di risultato atteso dal lavoratore
(es.: lavorazione al tornio di un determinato pezzo) per il numero di unità effettivamente prodotte in un dato periodo.
Tale tecnica di determinazione della retribuzione consente generalmente al
lavoratore di normale capacità ed operosità di conseguire un compenso superiore a quello che avrebbe percepito con la retribuzione "a tempo".
Il sistema previsto dai contratti collettivi non è mai a cottimo integrale o puro, essendo quasi sempre previsto un sistema di cottimo misto, onde assicurare
comunque al lavoratore un minimo di retribuzione.
Ed infatti, nel cottimo misto, il compenso è determinato dai seguenti elementi:
- la paga base, che deve essere comunque corrisposta al lavoratore a prescindere dal risultato della prestazione lavorativa;
- l'utile di cottimo garantito, consistente nella quota percentuale della paga base che viene attribuita al lavoratore a condizione che sia stato raggiunto il livello minimo di produzione preventivamente stabilito o che
comunque il mancato raggiungimento di tale minimo sia dipeso da
cause non imputabili alla volontà e alla capacità del lavoratore;
- l'utile effettivo di cottimo, che consiste in un ulteriore compenso progressivamente crescente attribuito al lavoratore allorchè sia superato il
livello minimo di produzione pattuito.
A norma dell'art. 2101 c.c., i contratti collettivi disciplinano altresì i casi in
cui le tariffe di cottimo non possono diventare definitive se non dopo un dato
periodo di esperimento (assestamento). Una volta assestate, le tariffe possono
essere modificate solo se intervengono mutamenti delle condizioni di lavoro e
in funzione degli stessi.
Il sistema di retribuzione a cottimo è tuttavia obbligatorio (ex art. 2100 c.c.):
201
Diritto del lavoro e legislazione sociale
a)
quando il lavoratore è vincolato all'osservanza di un determinato ritmo
produttivo in conseguenza dell'organizzazione del lavoro adottata dall'azienda;
b) quando la valutazione della prestazione del lavoratore è fatta in base al risultato della misurazione dei tempi di lavorazione.
E' altresì obbligatoria la retribuzione a cottimo per i lavoratori a domicilio.
E’ invece vietato retribuire a cottimo gli apprendisti.
Ove i lavoratori siano retribuiti a cottimo, l'imprenditore deve comunicare
loro:
a) preventivamente, i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di
cottimo, le lavorazioni da eseguirsi, il relativo compenso unitario;
b) successivamente, i dati relativi alla quantità di lavoro eseguita e al tempo
impiegato.
Altra forma di retribuzione, per la verità più in uso verso i lavoratori autonomi che svolgono attività di mediazione ed agenzia ovvero associati in partecipazione, ma perfettamente legittima -qualora integrativa della retribuzione a
tempo - anche nei confronti dei lavoratori dipendenti, è quella “a compartecipazione”, con la quale il collaboratore è remunerato mediante:
- attribuzione, ex art. 2099, comma 3, c.c., di provvigioni sul valore di
uno o più affari conclusi o semplicemente promossi dal lavoratore;
- partecipazione agli utili o ai prodotti dell'azienda (art. 2099, comma 3,
c.c.). L'art. 2102 c.c., dispone che, in assenza di diverse previsioni del
contratto collettivo, la misura degli utili deve essere determinata in base
agli utili netti dell'impresa quali risultano dal bilancio approvato e pubblicato per le società di capitali soggette a tali formalità).
L'art. 2099, comma 3, c.c., prevede inoltre che il datore di lavoro ed il lavoratore possono stabilire che la retribuzione sia costituita, anzichè da denaro, da
prestazioni in natura, come la concessione del vitto e dell'alloggio o prevedere
l'attribuzione di una quota dei prodotti raccolti o trasformati.
Nella retribuzione in natura rientrano, però, anche molti benefici attribuiti
dalle aziende ai loro dipendenti o solo ad alcuni di essi.
La casistica al riguardo è vastissima e va dagli omaggi alla possibilità di utilizzare mezzi di trasporto aziendali, dalla predisposizione del servizio mensa alla partecipazione a convegni o viaggi premio, all'attribuzione di prestazioni
previdenziali o assistenziali integrative delle forme obbligatorie, all'offerta di
beni o servizi aziendali a condizioni agevolate, all'iscrizione a corsi di aggiornamento professionale.
202
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
Sotto il profilo della tempistica, si suole distinguere la retribuzione in tre distinte tipologie, a seconda del momento in cui essa matura o viene materialmente erogata:
- retribuzione diretta: è quella parte di retribuzione che il lavoratore percepisce a scadenza periodica e corrisponde alla prestazione lavorativa
svolta in base al tempo, al modo e alla qualità;
- retribuzione indiretta: è quella parte di retribuzione che il lavoratore
matura in assenza di prestazione lavorativa, ad esempio per ferie, festività, permessi retribuiti, malattia, gravidanza, infortunio;
- retribuzione differita: è quella parte di retribuzione che il lavoratore matura durante lo svolgimento dell'attività e che viene erogata a scadenze
diverse o ad eventi prestabiliti, come la tredicesima, la quattordicesima,
il premio di produzione ed il trattamento di fine rapporto.
La legge (art. 1, legge n. 4/1953) dispone che il datore di lavoro è tenuto a
consegnare ai propri dipendenti, all’atto della corresponsione della retribuzione,
un prospetto paga, il cui obbligo è limitato ai soli operai ed impiegati, ma non
sussiste nei confronti dei dirigenti.
Come già accennato, tale obbligo, oggi, può ritenersi assolto con la consegna al lavoratore di copia del libro unico del lavoro.
Infatti, nel predetto prospetto, dovranno essere indicati:
- il nome ed il cognome del dipendente;
- la qualifica;
- il periodo cui la retribuzione si riferisce;
- gli elementi di cui la retribuzione si compone ed eventuali trattamenti
erogati per conto di terzi (assegni per il nucleo familiare, indennità di
malattia, maternità, ecc.);
- le singole trattenute.
La legge non ha previsto un particolare modello di prospetto paga, consentendo ai datori di lavoro di utilizzare prospetti conformi ai propri sistemi amministrativo-contabili. Non essendo previsto un modello unico di prospetto paga, si ritiene generalmente ammessa la possibilità di utilizzare numeri, sigle o
codici convenzionali in alternativa alla qualifica ed alla causale dei singoli importi; nel prospetto devono comunque essere contenuti tutti gli elementi che
compongono la retribuzione in denaro, escludendo quella corrisposta in natura,
che andrà indicata solo nella misura un cui determini un incremento della retribuzione imponibile ai fini fiscali e previdenziali; inoltre, dovrà essere indicato
203
Diritto del lavoro e legislazione sociale
l’ammontare degli emolumenti corrisposti per lavoro notturno, festivo e straordinario, relativo al periodo di retribuzione cui il prospetto si riferisce.
I cedolini paga devono essere consegnati spillati o in busta chiusa e non devono contenere informazioni lesive della riservatezza. Gli uffici addetti alla
predisposizione e alla consegna dei cedolini sono, infatti, tenuti a tutelare la
privacy dei lavoratori, limitando l'inserimento di informazioni sulla sfera privata e impedendo l'indebita conoscenza dei dati da parte di persone non autorizzate (Nota Garante Privacy del 25 giugno 2009, n.325). E’ ammessa la trasmissione telematica del prospetto paga, ma sempre nel rispetto delle condizioni
tecniche di tutela della privacy.
In caso di mancata o ritardata consegna del prospetto paga, di omissione o
inesattezza delle registrazione apposte, il datore di lavoro è passibile di una
sanzione amministrativa da euro 125,00 a euro 770,00 (art. 5 legge n. 4/1953
come sostituito dall’art. 10, D.Lgs. n. 758/1994).
E’ importante sottolineare che, per giurisprudenza ormai costante, non sussiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita
dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti paga. Pertanto, è sempre
possibile accertare l’insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga. La sottoscrizione
della busta paga per quietanza non ha, infatti, valore confessorio e non può impedire al lavoratore di azionare le sue pretese retributive, non contenendo detta
sottoscrizione alcuna volontà abdicativa all'esercizio dei diritti (Cass. n.
14411/2011). Stesso discorso vale per la dicitura “per ricevuta”: tale sottoscrizione, infatti, apposta dal lavoratore alla busta paga e non accompagnata da altre dichiarazioni, non implica, in maniera univoca, il concreto pagamento della
somma indicata nel documento.
La legge dispone che la retribuzione sia corrisposta in moneta avente corso
legale, nel momento in cui avviene il pagamento (art. 1277 c.c.), ma è quanto
mai opportuno sottolineare che, per effetto dell’art. 12 della legge n. 201/2011,
dal 1° gennaio 2012 il limite all’uso del contante per i vari pagamenti (comprese le retribuzioni) è stato ridotto a 999,99 euro. L’importo deve ritenersi riferito alla somma complessiva del trasferimento: pertanto, è vietato anche suddividere “artificiosamente” un unico importo di valore pari o superiore a
1.000,00 euro in più pagamenti in contanti di importi inferiori (ad esempio, corrispondendo la retribuzione in più acconti), relativi alla stessa transazione economica (sul punto si veda con attenzione la Circolare MEF n. 2 del 16 gennaio
204
Capitolo 5 – Svolgimento del rapporto di lavoro
2012). La violazione del divieto comporta sanzioni fino al 40% dell’importo
della transazione.
Indipendentemente dal termine entro il quale la retribuzione deve essere corrisposta, indicato dai contratti collettivi o dalle prassi aziendali, trova applicazione la regola della post-numerazione, secondo la quale il lavoratore viene pagato dopo l’esecuzione della prestazione. Anche tale regola, tuttavia, può essere
legittimamente derogata dalle parti qualora intercorra un particolare rapporto di
fiducia tra datore di lavoro e prestatore.
Il principio generale contenuto nel nostro Ordinamento (art. 1182 c.c.) secondo cui il luogo di adempimento delle obbligazioni coincide con il domicilio
del creditore, in materia di retribuzione risulta invertito, essendo previsto che,
qualora il luogo del pagamento della retribuzione non sia determinato dalle
convenzioni o dagli usi, l'obbligazione retributiva dovrà essere adempiuta nel
luogo in cui l’attività lavorativa è svolta, ovvero al domicilio del debitore.
In linea generale, si ritiene che la retribuzione debba essere erogata al lavoratore alla scadenza contrattualmente prevista. Pertanto, nel caso in cui il datore
di lavoro corrisponda in ritardo la retribuzione, avrà l’obbligo di pagare, in aggiunta al compenso spettante al prestatore, gli interessi di mora secondo quanto
stabilito dal contratto collettivo applicabile.
Qualora invece il pagamento delle retribuzioni avvenga a seguito di sentenza giurisdizionale, è possibile che il datore di lavoro sia condannato all’ulteriore
versamento di interessi determinati nella misura pari al tasso legale, nonchè della rivalutazione monetaria.
Delineato questo quadro generale, occorre peraltro evidenziare che nel nostro Ordinamento non esiste una definizione unitaria del concetto di retribuzione, che presenta risvolti differenti a seconda che lo si consideri dal punto di vista della disciplina giuridica del rapporto di lavoro (legale e contrattuale), della
legislazione previdenziale o, infine, della legislazione tributaria.
La retribuzione è normalmente composta da numerosi elementi, direttamente collegati alla esecuzione della prestazione lavorativa o alle assenze dal lavoro, tutelate dalla legge, dal contratto collettivo o dagli istituti preposti.
Essa si presenta dunque con una struttura complessa, all’interno della quale
diventa di fondamentale importanza capire quali elementi abbiano carattere
strettamente retributivo e quali no. La natura, retributiva o meno, di determinate componenti, infatti, ne determina anche il relativo trattamento giuridico, fiscale e previdenziale.
205
Diritto del lavoro e legislazione sociale
In generale, hanno natura retributiva tutti gli emolumenti corrisposti al lavoratore che:
- siano dipendenti dal rapporto di lavoro;
- siano determinati o determinabili nel loro ammontare e abbiano carattere di elargizione obbligatoria.
Si devono, pertanto, ritenere escluse dalla nozione di retribuzione quelle utilità corrisposte dal datore di lavoro per sua determinazione unilaterale, a titolo
di cortesia o liberalità in relazione ad eventi particolari.
La giurisprudenza è pervenuta alla convinzione che nel nostro Ordinamento
non esiste un criterio di omnicomprensività della retribuzione, cioè un principio
secondo il quale, per retribuzione utile ai fini del calcolo dei vari istituti legali e
contrattuali debba necessariamente farsi riferimento a tutto ciò che il lavoratore
riceva dal datore di lavoro. Tale nozione "omnicomprensiva" rileva solo quando sia stata espressamente recepita dalla legge ai fini del calcolo di particolari istituti (come nel caso del t.f.r., del compenso per festività, del risarcimento del
danno per illegittimo licenziamento) ma, in tutti gli altri casi, occorre fare esclusivamente riferimento alla base retributiva che la contrattazione collettiva o individuale ha previsto al fine del calcolo dei vari istituti.
Ciò premesso, tornando alla struttura della retribuzione, occorre dire che essa si compone di un coacervo di elementi stabiliti dalla legge, dai contratti collettivi ai vari livelli (accordi interconfederali, contratti di categoria, accordi integrativi territoriali, accordi aziendali), dall'accordo individuale fra datore di lavoro e lavoratore e, infine, di compensi erogati unilateralmente dal datore di lavoro (salvo accettazione del lavoratore).
In linea generale, si suole distinguere fra:
- elementi fissi, che sono quelli corrisposti con carattere di continuità,
che compongono la retribuzione globale sulla base della quale vengono
calcolati gli elementi variabili;
- elementi variabili, che sono tutte quelle attribuzioni retributive eventuali, saltuarie od occasionali legate alle particolari modalità di esecuzione
della prestazione in base al tempo (ad esempio straordinario), alla tipologia (ad esempio maggiorazione per turni) ed alla qualità (ad esempio
indennità di funzione).
5.4.4. I principali elementi della retribuzione
Esaminiamo ora in particolare gli elementi fissi:
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Paga base o minimo tabellare: può assumere vari nomi a seconda della
storia dei contratti collettivi e costituisce, insieme alla contingenza, il
cosiddetto “minimo” stabilito in relazione al livello, mansione e qualifica del lavoratore; in base al Protocollo interconfederale del 23 luglio
1993, esso dovrebbe essere aggiornato di regola con cadenza biennale.
Indennità di contingenza: istituita dalla contrattazione collettiva per
compensare i lavoratori della perdita di potere di acquisto delle retribuzioni per effetto del progressivo aumento del costo della vita, veniva
aggiornata automaticamente in base al c.d. meccanismo della scala mobile. Per tale motivo, fu accusata di alimentare processi inflattivi a catena, finchè, con il Protocollo del 31 luglio 1992, le parti sociali decisero
di congelarla in cifra negli importi in atto al 1º novembre 1991 (data
dell'ultimo scatto), risultanti dall'aumento registrato dell'indice del semestre maggio-ottobre 1991 rispetto al semestre precedente.
E.d.r. (Elemento Distinto della Retribuzione) ex Protocollo 31 luglio
1992: a seguito del congelamento della contingenza, le parti stipulanti a
livello interconfederale hanno stabilito, con il Protocollo 31 luglio 1992,
l'erogazione alla generalità dei lavoratori (con l'esclusione dei dirigenti
e del personale domestico) di una somma forfettaria a titolo di "elemento distinto dalla retribuzione", nella misura di euro 10,33 (lire 20.000)
mensili per 13 mensilità, a partire dal mese di gennaio 1993. Secondo la
formulazione del Protocollo tale somma "resterà allo stesso titolo acquisita per il futuro nella retribuzione". I contratti collettivi di categoria
ne stabiliscono generalmente la computabilità nei vari istituti legali e
contrattuali, salvo la quattordicesima mensilità.
Indennità di vacanza contrattuale: lo stesso Protocollo 23 luglio 1993
ha determinato l'istituzione di un elemento provvisorio della retribuzione - denominato indennità di vacanza contrattuale - da corrispondere a tutti i lavoratori quando il contratto collettivo loro applicato sia
scaduto e non sia stato rinnovato. In particolare, decorso un periodo di
3 mesi dalla data di scadenza del C.C.N.L., a tutti i lavoratori spetta un
importo commisurato al 30% del tasso di inflazione programmato da
applicare sui minimi retributivi (inclusa l'indennità di contingenza); trascorsi ulteriori 3 mesi, detto importo sarà pari al 50% dell'inflazione
programmata. L'indennità di vacanza contrattuale cesserà di essere erogata dalla data di decorrenza dell'accordo di rinnovo.
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Diritto del lavoro e legislazione sociale
Scatti o aumenti di anzianità: costituiscono un'integrazione periodica
della retribuzione che compensa l'anzianità di lavoro presso la stessa
azienda ed hanno normalmente una decorrenza biennale o triennale;
possono essere calcolati in cifra fissa o in percentuale rispetto a minimo
e contingenza e possono o meno essere soggetti a rivalutazione;
- Superminimi collettivi o individuali: si tratta di somme erogate in base
ad accordi tra le parti. Possono essere assorbibili o meno negli aumenti
previsti in sede di rinnovo contrattuale o connessi ad un superiore inquadramento, ed in tal senso è utile che l'eventuale motivazione della
corresponsione sia prevista per iscritto.
La somma di questi elementi dà la retribuzione mensile di fatto, generalmente utile per il calcolo degli elementi variabili, fra cui:
- Compenso per lavoro straordinario, notturno e festivo: normalmente
le prestazioni di lavoro straordinario, notturno e festivo vengono compensate, oltre che con la quota della normale retribuzione oraria, con
una maggiorazione fissata in misura percentuale dalla contrattazione
collettiva. In qualche caso, il lavoro notturno o domenicale è compensato anche con importi stabiliti in cifra fissa e, dunque, sotto forma di
indennità. L’esatta definizione delle condizioni di applicabilità delle
maggiorazioni e l'individuazione degli elementi retributivi che entrano
a far parte della relativa base di computo è di esclusiva competenza
contrattuale, dovendosi precisare che, in genere, nell'ipotesi di concorso
di più maggiorazioni (ad esempio per lavoro straordinario e notturno),
le diverse percentuali stabilite non sono fra loro cumulabili; troverà pertanto applicazione la percentuale più elevata.
- Premio di produttività: nei contratti collettivi sono spesso previste attribuzioni patrimoniali ad integrazione della normale retribuzione, denominate genericamente premi. Particolare diffusione hanno assunto,
fra gli altri, i premi di produttività, altrimenti detti premi di partecipazione, premi di risultato, ecc. L'entità del premio è variabile in quanto in genere - calcolata sulla base di "indicatori", previamente definiti tra
direzione aziendale e rappresentanza sindacale, atti a misurare l'efficienza dell'azienda nel suo complesso o della singola unità produttiva.
- Indennità varie: la contrattazione collettiva spesso prevede particolari
voci retributive che assumono il nome di "indennità". Con tale denominazione si indica una varietà di attribuzioni patrimoniali, che possono avere lo scopo di compensare il lavoratore per i disagi o rischi con-
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nessi a particolari caratteristiche della prestazione (indennità per lavori
disagiati, nocivi, pericolosi, pesanti; indennità di cassa o per maneggio
denaro) ovvero per le difficoltà incontrate in relazione al luogo della
prestazione (indennità di disagiata sede, per lavoro in alta montagna,
ecc.). Altre indennità hanno la funzione di sostituire prestazioni in natura (ad es.: indennità sostitutiva della mensa nel comparto industriale
ovvero indennità sostitutiva del vitto e dell'alloggio nel settore alberghiero). Anche in questo caso criteri e modalità di erogazione sono
normalmente stabiliti dai contratti collettivi di categoria o aziendali. In
taluni casi la corresponsione di indennità particolari è prevista dalla
legge: così, ad esempio, per l'indennità di mansione per i centralinisti
ciechi (art. 9, legge n. 113/1985) e per l'indennità di rischio da radiazione per i tecnici di radiologia medica (legge n. 460/1988). Anche le
indennità possono essere stabilite in valore assoluto o in percentuale rispetto ad altri elementi della retribuzione e competono, in via di principio, per il tempo di effettiva utilizzazione del lavoratore nelle condizioni che ne giustificano l'attribuzione. Vediamo di seguito le particolari
caratteristiche di alcune delle indennità che più di frequente si incontrano nei contratti collettivi:
indennità di cassa o maneggio denaro: ne è prevista generalmente l'erogazione ai lavoratori le cui mansioni comportino in via continuativa
maneggio di denaro per riscossioni o pagamenti con connessa responsabilità in caso di ammanchi;
indennità di mensa: secondo le previsioni dei contratti collettivi di categoria, in particolare nel settore industriale, le aziende hanno facoltà di
predisporre per i propri dipendenti un servizio mensa. In numerose fattispecie - sia stato organizzato o meno il servizio di cui sopra - le aziende corrispondono un'indennità sostitutiva, per obbligo contrattuale o
unilateralmente. In tal caso, per espressa disposizione legislativa, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, o della corrispondente indennità sostitutiva, non entra a far parte della retribuzione
utile ai fini del calcolo degli istituti legali e contrattuali del rapporto di
lavoro subordinato, salvo che accordi o contratti collettivi, anche aziendali, diversamente stabilendo, dispongano se, ed in quale misura, la
mensa debba essere riconosciuta come retribuzione in natura;
indennità di trasferta: al lavoratore temporaneamente inviato in trasferta (e cioè comandato occasionalmente a prestare la propria opera in
luogo diverso da quello del normale svolgimento dell'attività lavorativa)
può essere attribuita un’indennità a natura mista, in parte volta a risarcire forfetariamente le spese di viaggio, vitto e alloggio e le altre spese
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vive strettamente necessarie per l'espletamento della missione e, in parte, a remunerare il maggior disagio della prestazione svolta fuori sede:
tale indennità, detta diaria, trasferta o missione, di norma giornaliera,
a causa della sua natura mista è soggetta a un particolare regime fiscale
e contributivo, che la ritiene imponibile solo oltre un certo tetto fissato
dalla legge.
- Elementi ultramensili: si tratta delle cc.dd. “retribuzioni differite”, ovvero di elementi di natura retributiva corrisposti con periodicità superiore a quella mensile. Si tratta normalmente di elementi erogati con
periodicità annuale e generalmente previsti dalla contrattazione collettiva. Fra essi spicca la gratifica natalizia o tredicesima mensilità, che
consiste in una quota aggiuntiva di retribuzione generalmente corrisposta nel mese di dicembre, in applicazione di clausole contenute nella
generalità dei contratti collettivi di categoria. Il diritto alla corresponsione di tale elemento della retribuzione matura sotto forma di ratei
mensili e va commisurato al servizio prestato nel periodo 1º gennaio 31 dicembre. Pertanto, nel caso di inizio o di cessazione del rapporto di
lavoro nel corso dell'anno devono essere liquidati tanti dodicesimi della
gratifica natalizia o tredicesima mensilità per quanti sono i mesi di servizio prestati. Ai fini della determinazione della gratifica natalizia sono
utili il periodo di effettivo servizio e quelli espressamente equiparati dalla legge o dai contratti collettivi quali, ad esempio, il periodo di congedo di maternità, quello di assenza dal lavoro in caso di infortunio e di
malattia, il periodo delle ferie.
I contratti collettivi di alcuni settori (es.: alimentari, commercio, credito)
prevedono la corresponsione nel corso dell'anno di una quattordicesima mensilità o di ulteriori mensilità aggiuntive, calcolate secondo i criteri indicati dai
contratti collettivi stessi, ai quali pertanto bisogna fare riferimento per la relativa disciplina.
La quattordicesima mensilità viene generalmente corrisposta nel mese di luglio con riferimento ad un periodo di maturazione a cavallo d'anno che va dal
1º luglio dell'anno precedente al 30 giugno dell'anno di erogazione.
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