Analisi ottica dei dipinti in falso colore. Questa tecnica di analisi, denominata anche infrarosso colore è utilizzato dal restauratore o dallo storico dell’Arte per individuare sul dipinto zone che hanno subito restauri postumi, ma sufficientemente antichi perché non sia reperibile la documentazione a riguardo. Per essi di solito si è raggiunto un grado di accordo cromatico fra zona restaurata e zona di colore originale tale che la riparazione sia in pratica invisibile. Infatti, il risultato di un perfetto accordo cromatico è stato ottenuto il più delle volte empiricamente ignorando la natura chimica del pigmento originale, non essendo ancora a disposizione del restauratore i moderni mezzi di analisi non invasiva. La tecnica del falso colore per identificare zone restaurate con pigmenti diversi dagli originali è in sostanza una tecnica fotografica. Ricorrendo a metodi fotografici tradizionali, la tecnica consiste nella ripresa fotografica della superficie del dipinto impiegando una speciale pellicola per foto a colori che presenta la peculiarità che la sua curva di sensibilità è estesa nell’infrarosso vicino. In alternativa, si può utilizzare la tecnica più moderna di ripresa mediante una macchina fotografica digitale. In questo caso, gli elementi sensibili alla radiazione elettromagnetica (Pixels) sono costituiti di silicio. I pixels dal punto di vista elettronico sono microscopici diodi nei quali si genera una carica elettrica proporzionale alla intensità della luce che li illumina. Nel loro insieme essi costituiscono un mosaico esteso sulla superficie rettangolare che sostituisce quella della pellicola fotografica nelle camere tradizionali. Il silicio assorbe la radiazione elettromagnetica, oltre che nel visibile, nella zona dell’infrarosso vicino fino a, circa, 1.100 nanometri. Nella pellicola, l’annerimento in ogni zona dell’immagine negativa, ottenuta dopo lo sviluppo, è proporzionale alla luminosità della zona corrispondente della scena ripresa. Nella camera digitale, a sua volta, la carica elettrica che si genera in ogni pixel è proporzionale alla quantità di luce alla quale esso è stato esposto. La risoluzione dell’immagine- cioè, in pratica, la possibilità di ingrandimento nella stampa su carta- dipende dal numero di pixels con quali è formata l’immagine (Tipicamente, da 3 a 7 milioni). Come è noto, le moderne fotocamere permettono una eccellente ripresa a colori. Ciò si ottiene mediante un secondo mosaico di filtri microscopici che è sovrapposto in modo perfettamente corrispondente a quello dei pixels sottostanti. Più esattamente, ogni elemento del mosaico di filtri è costituito da due strati filtranti (si ricordi che filtri giallo + ciano producono il verde, ecc). A seconda della sua composizione, ogni filtro doppio lascia dunque passare la componente di radiazione rossa, verde o blu, ottenendosi, così, la scomposizione del colore nelle tre componenti R, G, B. L’immagine osservata sul visore della camera è formata dall’insieme dei punti luminosi rossi, verdi e blu la cui luminosità è controllata dai pixels di corrispondente colore di silicio. Si noti che per ottenere un’immagine analoga a quella dell’occhio, è necessario sopprimere la componente infrarossa dell’immagine reale mediante un filtro di soppressione dell’infrarosso. In connessione a ciò, ricordiamo che nelle fotocamere commerciali di migliore qualità quella che è indicata come condizione di ripresa notturna consiste semplicemente nella possibilità di eseguire la fotografia senza il filtro per infrarosso. Sia che si adoperi la fotografia su pellicola che quella digitale, il principio della tecnica in falso colore consiste nell’ottenere un immagine del dipinto escludendo la componente di luce blu- che con la tecnica tradizionale si ottiene interponendo davanti all’obbiettivo un filtro giallo-e aggiungendo la componente infrarossa. Il caso che si usi la pellicola a colori è illustrato in figura 1. La pellicola risponde come indicato nella stessa figura. Il verde è reso come blu, il rosso come verde e l’infrarosso come rosso. Si ottiene così un nuovo colore che è detto falso poiché è formato con il contributo della riflessione dalla superficie in esame della radiazione infrarossa alla quale l’occhio dell’uomo è cieco. Poiché la riflessione dell’infrarosso è diversa in genere anche per le superfici che noi vediamo dello stesso colore, ecco che allora con questo metodo le zone ricoperte da un pigmento dello stesso colore ma di natura diversa appaiono di colore diverso. Fig. 2. . fig. 2 La tecnica del falso colore può essere applicata anche nel caso che si esamini una stratigrafia al microscopio ottico, Fig.3. In questo modo, l’eventuale esistenza di pigmenti di natura diversa da quella originale o la discriminazione fra pigmenti diversi è messa in evidenza. Fig. 3 Un’altra tecnica di analisi ottica che può essere confusa con quella del falso colore consiste nell’esame della fluorescenza ottica eccitata con l’ultravioletto (U.V.). In essa il dipinto è illuminato con luce U.V. e esiste allo scopo la lampada di Wood nella quale il bulbo di vetro contiene vapori di mercurio che, per effetto della scarica elettrica, emettono la radiazione U.V. caratteristica del mercurio. Questa radiazione è a energia maggiore (cioè a lunghezza d’onda minore) della radiazione visibile emessa dagli atomi più leggeri dei pigmenti a diverse lunghezze d’onda di valore caratteristico di ogni elemento. In pratica, si ottiene che per effetto della illuminazione U.V. le zone che hanno subito ritocchi o restauri con pigmenti diversi dall’originale emettono di solito un fluorescenza visibile che identifica le zone stesse. Si noti che, in genere, le zone identificate con il falso colore sono le stesse di quelle rivelate con la fluorescenza ottica. Più in generale, è da attendersi che zone di rifacimento o di restauro, per effetto delle variazioni nelle proprietà di assorbimento dei raggi X e nell’infrarosso vicino, si corrispondano nelle analisi radiografiche e nelle riflettografie I.R.. Da ciò deriva che, quando possibile, sia conveniente eseguire i diversi tipi di analisi e procedere a un riscontro dei risultati ottenuti nei diversi casi. Alcuni esempi di risultati di tali indagini sono riportati nel testo indicato in bibliografia Scienza e Restauro di M. Matteini e A. Moles. Come ulteriore esempio abbiamo riportato la figura 4. Fig. 4 Nell’immagine in U.V. sono evidenti i restauri e le zone di pulitura Abbiamo precedentemente utilizzato il termine digitale per uniformarci all’uso corrente. Rileviamo, comunque, che digitale è esattamente lo stesso che numerico e il suo uso dipende dalla abitudine italiana di usare termini di origine inglese (In inglese digit significa cifra). Piuttosto, è importante avere chiara la differenza tra registrazione digitale e registrazione analogica. La registrazione di un’immagine o di un suono, per esempio, è basata sulla misura di una grandezza fisica che vari in modo direttamente dipendente, rispettivamente, dall’intensità luminosa di ogni punto o dall’intensità e dalla frequenza del suono in ogni istante ed è per sua natura analogica. Cioè, l’annerimento delle diverse zone del negativo dell’immagine fotografica varia in modo analogico a quello della luminosità dell’immagine riprodotta, così pure la magnetizzazione di un nastro che scorre con velocità costante riproduce in modo analogico la variazione di pressione nell’aria nel tempo, che corrisponde al suono e che, a sua volta, è stata trasformata in modo analogico in un segnale elettrico da un microfono, oppure serve a generare le microscopiche variazioni nel profilo del solco tracciato sulla superficie vinilica dei dischi di musica dei nostri nonni. La principale limitazione di una registrazione analogica è, in generale, che essa non si conserva immutata nel tempo o, per esempio in una trasmissione radio, può essere modificata o mescolata a segnali di rumore. Un disco di musica ascoltato ripetute volte perde fedeltà di riproduzione perché a ogni passaggio della puntina di lettura il solco si appiattisce. Oppure possiamo considerare che le foto degli archivi inevitabilmente ingialliscono o sbiadiscono. Eccetera. Per trasformare la registrazione analogica in registrazione numerica, o digitale, nel caso più semplice di un’immagine in bianco e nero, preso ancora come esempio, in linea di principio dobbiamo misurare e registrare il livello di annerimento di ogni zona convenientemente piccola dell’immagine. Ciò in teoria si potrebbe fare esaminando con scansione regolare- punto per punto e riga per riga- utilizzando un apparecchio ottico detto densitometro l’intera immagine. In questo modo, l’immagine è trasformata in una, così detta, matrice di numeri che, con una risoluzione dipendente dallo strumento ottico utilizzato, rappresentano il livello di grigio di ogni punto della fotografia. Analogamente, la risoluzione spaziale della registrazione della fotografia cosi ottenuta in via digitale ha un valore finito dipendente dalla larghezza fisica di ogni riga sull’immagine e dalla distanza fra due punti consecutivi di misura su la stessa riga. E’ chiaro che la trasformazione da registrazione analogica in digitale sarebbe in pratica ineseguibile con la procedura manuale descritta. Essa è perfettamente realizzabile in tempi microscopici con l’utilizzo dei calcolatori elettronici. Si consideri, per esempio, la diffusione dei compact disk per la registrazione di immagini e suoni in modo digitale (Si noti che in Francia sono chiamati disque numeric). Il vantaggio fondamentale del metodo digitale è che il dato registrato, seppure con una approssimazione che dipende dagli strumenti e che corrisponde al numero di cifre del numero che esprime la misura del dato stesso, è virtualmente immodificabile. Infatti per esempio l’apparato elettronico che restituisce, il suono originale, legge la serie di numeri e opera la conversione inversa, cioè questa volta digitale-analogica, di quella del processo di registrazione digitale. Inoltre, la trasmissione di segnali audio e video (per esempio nella televisione) in via digitale piuttosto che analogica offre grandissimi vantaggi in termini di definizione e di livello di rumore. E’ evidente che l’attuale sviluppo della elettronica digitale è stato reso possibile dal progressivo perfezionamento degli strumenti elettronici e dai metodi dell’Informatica. Per entrambi i casi il grado di sofistificazione e di raffinatezza raggiunto implica una preparazione specifica assolutamente al di sopra del livello elementare di queste note. Accenniamo tuttavia alle idee fondamentali a riguardo della rappresentazione dei numeri che rende in pratica possibile il così detto calcolo automatico (o elaborazione con calcolatori). Abbiamo appreso nelle scuole elementari che la rappresentazione dei numeri è basata fin da tempi antichi sul 10. Inoltre ci è stato insegnato che la notazione posizionale delle cifre - da 0 a 9- dovuta agli arabi, con le quali siamo abituati a rappresentare un numero, prendendo per semplicità un numero intero, rappresenta ordinatamente da destra le unità, le decine, le centinaia.... cioè, il numero di volte che le potenze 100, 101, 102...figurano e debbono essere sommate per ottenere il numero dato. Questa è la rappresentazione decimale. Si rifletta al fatto che in questa rappresentazione le cifre del numero possono essere ottenute come resto di successive divisioni per 10 e, pertanto, possono essere una qualsiasi da 0 a 9. La notazione decimale è basata sul fatto che abbiamo 10 dita e essa implica che per ciascuna delle 10 cifre dobbiamo inventare un segno differente che permetta di rappresentarle. La base sulla quale può essere realizzata in genere la rappresentazione dei numeri può essere costituita da qualsiasi numero positivo, intero, maggiore di 1. Il numero più piccolo con queste caratteristiche è 2. In questo caso, i numeri sono ottenuti nella rappresentazione binaria. Per essa vale ancora la notazione posizionale: solo che adesso in un numero intero le posizioni da destra a sinistra indicano le potenze di 2 ed essendo, questa volta, le cifre quelle che si ottengono dalle successive divisioni per 2, gli unici valori possibili sono 0 e 1. Per esempio, il numero 5 nella notazione binaria è scritto 101 (N.B. non leggere “centouno” ma “ uno zero uno”). Per il cervello dell’uomo apprendere i 10 segni convenzionali che rappresentano le cifre nella notazione decimale non offre alcuna difficoltà. D’altra parte, sarebbe estremamente scomodo usare la notazione binaria che implicherebbe lunghissime serie di 1 e 0 anche per numeri piccoli come ,per esempio, quelli che nella notazione decimale si scrivono con sole 2 cifre. Per un calcolatore, invece, la situazione è quella contraria: è più semplice identificare le due cifre 0 e 1 con due stati (Tipicamente: acceso/spento ,on/off ,si/no,ecc.) e considerata la velocità enorme di calcolo operare in tempi brevissimi nonostante il numero di operazioni molto più grande richiesto nella rappresentazione binaria rispetto a quella decimale. Se nell’esempio precedente per la misura del livello di grigio, volessimo indicare la precisione della misura rappresentata nella notazione decimale, per indicare, per esempio, una precisione del 1 ‰ possiamo dire che la rappresentazione e a 3 cifre. Se usiamo la notazione binaria, invece, dobbiamo dire che il livello di grigio è misurato con 10 cifre (Infatti 210= 1024 ≅ 1000). Nel linguaggio spiccio in uso fra gli informatici si direbbe a 10 bit (bit indica le cifre 1 e 2), inoltre nello stesso linguaggio 8 bit vengono indicati con il termine 1 bite (Ma i Francesi usano il termine non inglese octet). Una volta che un’immagine (o un suono) sia registrata in modo digitale è possibile operare qualsiasi opportuna operazione numerica per trasformarla, o elaborarla. Per esempio, la si può ingrandire o rimpicciolire, focalizzare o “Non A Fuoco” sfocalizzare, ripulirla di elementi da “A Fuoco” cancellare,ecc. Il vantaggio della procedura digitale è che essa è sempre reversibile o indefinitivamente applicabile ai dati iniziali che restano invariati. Quest’argomento è estremamente complicato perché richiederebbe una trattazione matematica troppo complessa per i nostri scopi. A solo titolo di esempio, accenniamo al processo di Rappresentazione Digitale rifocalizzazione. Con riferimento alla figura 5 supponiamo che i punti neri di un’immagine siano perfettamente a fuoco; cioè al di fuori di 0 5 5 5 0 0 essi si dovrebbe avere idealmente il bianco. Se 5 60 5 l’immagine è sfocalizzata, possiamo 0 100 0 rappresentare il difetto dicendo che una parte 5 5 5 0 0 0 dell’informazione da i punti neri si estende in un certo intorno e quindi il punto è rappresentato Matrice di “rifocalizzazione” come un alone sfumato. Applicando la − 5 − 5 − 5 correzione numerica indicata nella stessa figura − 5 + 40 − 5 5 possiamo ottenere di riportare sistematicamente su ogni pixel i contributi dei pixel periferici e correggere, così, in via digitale − 5 − 5 − 5 l’effetto di sfocalizzazione dovuto al difetto della ripresa. Fig. 5