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■ ■ ■ Medicina Allo studio una nuova classe di molecole promettenti per la cura della schizofrenia
Un cervello senza scissioni
Si riducono gli effetti collaterali e si bersaglia un diverso neurotrasmettitore
di Pietro Pierangeli
I
l trattamento della schizofrenia è approdato a un nuovo traguardo.
È allo studio infatti la prima molecola che appartiene a una nuova
classe terapeutica attualmente codificata con la sigla LY2140023.
Il trial clinico sull’uomo, avviato da un gruppo di ricerca dell’azienda americana Eli Lilly, ha suscitato l’interesse della comunità mondiale di psichiatria perché agisce su un nuovo neurotrasmettitore, mai preso in considerazione finora.
Lo studio, compiuto su 196 soggetti schizofrenici, e
le aspettative riposte su questa nuova molecola, non
sono rimasti delusi. Secondo quanto riportato dalla
rivista Nature, infatti, il nuovo composto ha dimostrato di avere un’efficacia paragonabile all’olanzapina, il trattamento più avanzato in circolazione, ma
le speranze di un salto in avanti nel trattamento della schizofrenia si concentrano principalmente sull’incidenza ridotta degli effetti collaterali. «In termini
di sviluppo di farmaci questo è un notevole progresso, il più importante ottenuto dal 1952 quando fu introdotta per la prima volta la clorpromazina», commenta Solomon Snyder neurofarmacologo della
Johns Hopkins university di Baltimora che ha partecipato alla ricerca. La clorpromazina, nonostante
i suoi notevoli effetti collaterali tra cui tremore similparkinsoniano, oltre a garantire una migliore qualità di vita ai pazienti schizofrenici ne ha permesso la re-integrazione
sociale. I farmaci di seconda generazione come l’olanzapina ne hanno semplicemente migliorato il profilo di sicurezza, anche se molti
pazienti abbandonano ancora la terapia a causa degli importanti effetti collaterali. «Il trial ha fatto registrare casi di insonnia e instabilità emotiva legate all’uso della nuova molecola, ma il diverso meccanismo di azione fa ben sperare per il futuro», aggiunge Snyder. Secon-
do l’Organizzazione mondiale della sanità la schizofrenia colpisce circa l’1% della popolazione mondiale, e sono in linea con questa percentuale i dati sui pazienti italiani, che sono circa 500 mila. Attualmente i
farmaci in uso agiscono tutti diminuendo il livello di dopamina, un neurotrasmettitore nel cervello che funziona tramite l’attivazione di specifici recettori. La nuova molecola, che sarà a disposizione degli psichiatri non prima di tre anni, invece, una volta all’interno dell’organismo si
trasforma andando ad agire su un altro neurotrasmettitore: il glutammato. L’idea che il glutammato
sia in qualche modo implicato nella schizofrenia è
nata osservando gli effetti della PCP (feniciclidina o
benctazina), un anestetico chirurgico utilizzato come sostanza psichedelica negli anni 60. La PCP
provoca, infatti, effetti molto simili alla schizofrenia
e il suo meccanismo d’azione coinvolge proprio i recettori del glutammato. Da questa scoperta è nata
l’idea di cambiare il neurotrasmettitore bersaglio e
concentrarsi sul glutammato. «Nonostante i progressi fatti con i farmaci di seconda generazione, un
paziente su due risponde in maniera non soddisfacente alla terapia e un 15% non risponde del tutto»,
afferma Emilio Sacchetti, direttore del dipartimento
di psichiatria dell’Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia. «Per questo tutti gli studi su nuovi
target molecolari sono di grande interesse e il glutammato è il neurotrasmettitore che alimenta le
maggiori speranze da questo punto di vista. Anche il nostro dipartimento sta rivolgendo i suoi principali studi di genetica molecolare proprio su alcuni recettori del glutammato. E la genetica potrà aiutare, in
un futuro, a sviluppare farmaci su misura, una volta individuato il target più efficace». Nel trial della durata di quattro settimane l’efficacia
della nuova molecola è stata testata su circa 200 pazienti e messa a
confronto con quella di olanzapina e placebo. (riproduzione riservata)
■ ■ Salute Rischi uguali a quelli dei fumatori
■ ■ Tendenze Potenzia muscoli e respirazione
Il tabacco da masticare
nasconde molte insidie
Con la danza del ventre
il parto diventa dolce
di Galeazzo Santini
L
a lotta al tabacco si sta
estendendo a tutte le parti
del mondo, ma in diversi
paesi si vanno riscoprendo vecchi
riti ancestrali di ricorso al tabacco.
Una delle forme di tabagismo che
almeno finora avevano ottenuto
qualche successo è quella del tabacco da masticare, in particolare
il famoso snus degli svedesi. Negli
Stati Uniti e in Australia diversi ricercatori hanno concluso che
questa masticazione può indurre
il fumatore a eliminare il vizio della sigaretta. Gli scienziati dell’U-
nione europea la pensano esattamente al contrario. Uno studio
molto recente, svolto proprio da
un gruppo di ricercatori svedesi,
ha dimostrato che chi si dedica allo snus raddoppia il rischio di
contrarre il cancro del pancreas,
rispetto a coloro che non hanno
mai consumato tabacco sotto nessuna forma. Un’altra équipe ha
controllato le urine di 420 normali fumatori e 182 utilizzatori di tabacco senza fumo e ha dimostrato
che quest’ultimo sistema nel migliore dei casi provoca lo stesso rischio di contrarre malattie cancerogene. (riproduzione riservata)
di Andrea Torti
L’
ultima novità per la preparazione al parto è rappresentata dalla danza del
ventre. Finora questo ballo veniva eseguito nelle palestre americane solo dalle donne che volevano perdere peso, ora però gli
istruttori di danza hanno inserito
nei loro programmi corsi speciali destinati alle mamme in attesa.
I movimenti pelvici richiesti da
questo ballo orientale rafforzano infatti i muscoli addominali, i più importanti per mantenere
la giusta posizione al momento
del parto. Per le donne che non
frequentano le palestre è stato
creato Prenatal Bellydance, un
dvd di esercizi. Un altro vantaggio derivante dalla pratica di questa danza è il miglioramento della respirazione, essenziale per il
parto. (riproduzione riservata)
“
Lampi
nel buio
Chiunque può essere
ragionevole, ma esser
sani di mente è raro
Oscar Wilde
”
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