1 La fenomenologia dell’intercultura
Ci sono diversi termini che in molti casi non vengono usati con
molta precisione e quindi talvolta si incrociano. Presentano
diversi punti di vista relativi alle questioni di migrazione.
1.1
Pedagogia per stranieri
Soltanto dopo alcuni anni dall’arrivo dei primi
lavoratori stranieri (in tedesco chiamati Gastarbeiter,
letteralmente tradotto lavoratore ospite: un termine che segnala
la precarietà del lavoratore ) in Germania la pedagogia per
stranieri iniziò a cimentarsi con i nuovi problemi sociali posti
dall’immigrazione di lavoratori nel campo della scuola materna,
della scuola e della formazione per adulti.
Agli inizi mosse i primi passi come pedagogia speciale
o pedagogia per i figli d’immigrati, contribuendo a diffondere
il pregiudizio che i bambini stranieri nell’età dell'obbligo non
fossero in grado di frequentare le classi normali delle scuole
statali. Questo approccio pedagogico riduceva però l’“alterità“
degli stranieri e dei loro figli all’etnia ed alla lingua,
sottovalutando il fatto che questi soggetti provenivano dalle
classi sociali più umili o appartenevano a minoranze etniche e
religiose: Fattori che rendono ancora più complesso il rapporto
con la scuola.
L’esistenza dei Gastarbeiter è contrassegnata da 3
ordini di fattori: cultura e lingua, ceto sociale basso e
migrazione che rendono più pesanti le condizioni dell’incontro
tra due mondi. 1 La pedagogia per stranieri si è occupata non
solo di bambini e giovani, ma anche di adulti soli e gruppi
1
Cfr.: L. Akgün , Ausländerberatung, in: N. Belardi (a cura di) Beratung.
Eine sozialpädagogische Einführung, Beltz, Weinheim und Basel, 1996, p.
132
9
familiari, ghettizzati nelle sottoculture dei cosiddetti quartieri
"difficili".
Il sommarsi dei deficit di apprendimento provocati dalle
difficoltà linguistiche con le conseguenze sociali, culturali e
psichiche della migrazione, con il problema del rapporto con i
nativi e con le istituzioni del paese ha però ben presto
evidenziato i limiti di una pedagogia per stranieri dall’orizzonte
così limitato." Per una decina d’anni si è avuta una pedagogia
per stranieri che ha dedicato la sua riflessione al problema
ormai familiare degli immigrati. All’inizio degli anni 80 questa
fase si è conclusa con una critica alla pedagogia per stranieri,
che nel frattempo si è sviluppata in forma più matura come
pedagogia interculturale"2
1.2
Pedagogia dell’integrazione
Nella discussione pedagogica, il concetto di
integrazione sociale, negli Stati Uniti ed in Germania, si
riferiva "dapprima a minoranze etnico-razziali, soprattutto negli
Stati Uniti, più tardi ai figli degli immigrati e solo recentemente
in modo sempre più accentuato anche agli handicappati". 3
In questo contesto, è interessante constatare che in Italia lo
sviluppo era diverso e l’integrazione dei portatori di handicap
veniva promossa già a partire dagli anni settanta, mentre allora
l’integrazione di immigrati non era ancora di attualità.
L’esperienza fatta con l’integrazione di individui portatori di
handicap può fornire impulsi preziosi per l’integrazione di
bambini immigrati.
2
Cfr.: F. Hamburger, Interkulturelle Pädagogik, in: R.Bauer, (a cura di)
Lexikon des Sozial- und Gesundheitswesens, Band 2, Oldenbourg, München
1992, p. 1027
3
Cfr.: E. Kobi, Was bedeutet Integration, in: H. Eberwein (a cura di),
Handbuch Integrationspädagogik. Kinder mit und ohne Behinderung lernen
gemeinsam,Weinheim/Basel, Beltz 1997, p.74
10
In Germania il concetto di "pedagogia dell’integrazione"
indica una nuova prospettiva dell’educazione e metodi di
insegnamento innovativi strettamente collegati alla critica della
pratica emarginante delle scuole differenziali. In questo senso,
il concetto di pedagogia dell’integrazione è "un concetto
sostitutivo in cui è logicamente compreso il superamento della
pedagogia differenziale. Il suo obiettivo infatti è proprio il
superamento delle istituzioni discriminanti e delle concezioni
pedagogiche su cui poggiano.4 E’ solamente dal 1980 che in
Germania vengono discussi e sottoposti a sperimentazione
progetti di pedagogia dell’integrazione. Non si è ancora però
giunti al sistema adottato in Italia, dove insegnanti di sostegno
accompagnano
l’azione
dell’insegnante
titolare
nell’integrazione degli scolari in difficoltà. Questo ritardo non è
causato solo da motivi di natura finanziaria. Vi sono diverse
ragioni che concorrono ad ostacolare questo sistema:
innanzitutto la formazione professionale che non prepara a
forme di collaborazione educativa, e in secondo luogo, il ruolo
e l’autopercezione degli insegnanti, che in Germania sono
ancora caratterizzati da lineamenti molto individualistici. Gli
insegnanti tedeschi sono ancora oggi "dei combattenti solitari";
che non hanno ancora imparato a cooperare ed a lavorare in
team.5
Quindi, di educazione all’integrazione si parla anche nel
campo della pedagogia scolare e prescolare. Sulla base dei
grandi studi empirici svolti negli anni ‘80, risulta oramai
assodato che l’integrazione nelle fasi scolare e prescolare è
possibile e vantaggiosa per tutti, infatti le prestazioni dei
bambini non disabili non risultano peggiorate ed i genitori
parlano in maniera molto positiva della scuola dell’integrazione
6
.
Il concetto pedagogia dell’integrazione è arricchito dagli
apporti di numerosi autori fra i quali Freinet, Petersen,
Montessori e Freire. E’ interessante notare che la pedagogia
montessoriana, con un vasto movimento di scuole materne e
elementari, è più diffusa in Germania che in Italia.
1.3
Pedagogia interculturale
Come già illustrato in precedenza, la pedagogia
interculturale nel mondo di lingua tedesca ha avuto origine
negli anni Settanta dallo sforzo di superare la pedagogia per
stranieri, troppo ispirata ad un’ottica compensativa che
considera, dal punto di vista tedesco, gli stranieri come
"problema“ e non riesce a rappresentarsi come una pedagogia
rivolta a uomini e donne di diversa nazionalità e cultura che
devono vivere insieme in uno stesso territorio. I problemi allora
in primo piano riguardavano quindi l'apprendimento linguistico.
Si trattava di trovare il modo con cui far imparare con successo
la seconda lingua, possibilmente rimuovendo la lingua materna.
Le esperienze hanno poi dimostrato come la pura promozione
linguistica non fosse affatto sufficiente a favorire davvero
l'integrazione dei bambini stranieri.
Solo in un secondo momento sono entrati in campo altri
elementi di riflessione riguardanti la formazione dei pregiudizi,
l’emarginazione, la stigmatizzazione, gli influssi del rapporti
col gruppo dei pari, la radicalizzazione dei singoli gruppi, i
problemi di identità e i relativi problemi psichici 7.
6
4
Cfr.: op. cit. p. 55
5
Cfr.: G. Kreie, Integrative Kooperation. Ein Modell der Zusammenarbeit,
in: H. Eberwein (a cura di) Handbuch Integrationspädagogik,
Weinheim/Basel, Beltz, 1997, p. 285
11
Cfr.: U. Preuß- Lausitz, Integrationsforschung. Ergebnisse und weiße
Flecken in H. Eberwein op.cit. p. 299
7
Cfr.:A. Portera in: W. Jaede/A.Portera (a cura di) Ausländerberatung,
Kulturspezifische Zugänge in Diagnostik und Therapie, Freiburg,
Lambertus, 1986, p. 89
12
Oggi la discussione sulla pedagogia interculturale
costituisce parte integrante della pedagogia in tutte le società
moderne, poiché le minoranze etniche costituiscono parti
integranti di queste società8.
Friesenhahn propone una traccia delle coordinate della
pedagogia interculturale:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
è la risposta pedagogica alla società multiculturale,
si fonda su un concetto di cultura allargato ed egualitario,
che difende l’uguaglianza del valore di tutti gli uomini di
tutte le culture,
sostiene la possibilità di una convivenza pacifica e
collaborativa di tutti gli uomini
propugna un concetto aperto dell’apprendimento politicointerculturale,
dispone di una consapevolezza politica che va al di là
dell’apprezzamento paternalistico di forme di folclore o
esotismo,
rifiuta l’identificazione con una singola istanza pedagogica,
con un’istituzione determinato o con una sola materia
d’insegnamento,
assume una posizione problematicistica, sempre in
movimento, che assume una funzione trasversale a diversi
campi della pedagogia,
si ricollega ai concetti di orientamento comune, lavoro
collettivo e Community Education,
si riconosce come contributo all'educazione alla pace ed alla
comprensione reciproca a livello internazionale.”9
8
Cfr.: F. Hamburger, Interkulturelle Pädagogik, in: R.Bauer (a cura di)
Lexikon des Sozial- und Gesundheitswesens. Band 2 München, Oldenbourg,
p. 1027
9
Cfr.: G. F. Friesenhahn, Zur Entwicklung interkultureller Pädagogik, Berlin
1988, p.140
13
Per concludere, accenniamo alle molteplici ambiguità del
concetto interculturale così come lo sta elaborando Dicktopp:
"Che cosa significa qui la parola inter? Ci rimanda a qualcosa
che ha il compito di educare alla mediazione, alla comprensione
e alla tolleranza reciproca tra due o più culture? Oppure la
parola inter significa che esistono comunanze tra due o più
culture sulle quali l’educazione può costruire e promuovere?
L’educazione interculturale non mira allora in prima istanza
alla tolleranza, ma soprattutto al legame di solidarietà. Oppure
la parola inter rimanda al fatto che l’educazione è basata su un
fondamento comune, uguale per tutte le culture? Allora
l’educazione, considerando le proprie connessioni interne, non
dovrebbe neppure preoccuparsi delle differenze culturali".10
Sono domande radicali che toccano le radici della
pedagogia e della sua visione dell’uomo. La questione di base è
la seguente: Come viene trattata la diversità dalla pedagogia? Il
rapporto con capacità diverse, presupposti ed atteggiamenti
diversi è il tema centrale nella discussione relativa
all’integrazione degli individui, alla promozione di persone con
capacità
superiori
alla
media,
alla
coeducazione,
all’integrazione di bambini immigrati ecc.
Una risposta semplificata, proposta da diversi sistemi scolastici,
era la seguente:
Con provvedimenti speciali devono essere creati i
presupposti necessari affinché questi bambini possano essere
istruiti insieme ai bambini “normali”. La realizzazione pratica
avveniva sotto forma di scuole o classi speciali.
Al primo ostacolo, in questo caso un handicap fisico o psichico,
se ne aggiungeva un altro, che nella maggior parte dei casi
10
Cfr.: K. H. Dickopp, Aspekte einer theoretischen Begründung von
interkultureller Erziehung, in: H. Reich/F.Wittek (a cura di) Migration,
Bildung, Pädagogik, alfa, Essen, 1984, p. 57
14
creava più difficoltà nella vita quotidiana: l’emarginazione
sociale.
In Italia ci si accorgeva, prima che in altri paesi, che
questo trattamento speciale non favoriva, ma ostacolava
addirittura l’integrazione. Tramite provvedimenti particolari si
voleva realizzare uno standard minimo di prestazione,
necessario per l’introduzione in una classe “normale”. Questo
concetto è profondamente inumano, in quanto tutte le persone
dovrebbero corrispondere a certe norme per trovare accesso alla
società “normale” ed alle istituzioni dei “normali”. La diversità
però è una caratteristica del genere umano. Se esiste una norma
del genere umano, allora è quella della diversità. La normalità
non è costituita dall’uniformità, ma dalla diversità e dalla
molteplicità dell’esistenza umana, e delle espressioni sociali e
culturali. L’uguaglianza è richiesta invece nel senso di
uguaglianza di diritti all’interno di una società. Una delle basi
fondamentali dei sistemi formativi delle società moderne, è il
diritto di formazione ed a partecipazione alla vita sociale e
culturale per tutti.
Negli ultimi anni, la comunicazione interculturale
all'interno delle scienze linguistiche si è affermata come una
disciplina speciale ed al tempo stesso interdisciplinare, con forti
collegamenti con la sociologia, la psicologia, la pedagogia e
l’etnologia.
A partire dalla teoria pragmatica della comunicazione
fondata dalla scuola linguistica di Palo Alto, si è iniziato a
considerare con occhio più attento e traendone importanti
conseguenze scientifiche e pratiche la differenza sostanziale tra
gli aspetti contenutistici e relazionali che esistono in ogni
comunicazione.11 In passato, si riteneva che bastasse
11
Cfr.: P. Watzlawick et al., Pragmatics of Human Communications, New
York, Norton, 1967, p. 72
15
comunicare qualcosa ad un soggetto di un’altra cultura in una
lingua per lui comprensibile per poter essere correttamente
compresi. Oggi è invece evidente che non è importante solo
quel che si dice, ma anche come lo si dice e la cornice
contestuale nella quale avviene l’interazione. Questa differenza
fondamentale tra l’aspetto contenutistico e quello relazionale è
l'assioma fondamentale della teoria della comunicazione
formale.
Un’altra tesi, altrettanto fondamentale, sostiene che
"non si può non comunicare". Non è quindi possibile, anche
quando non ci si intende linguisticamente, non lasciar filtrare
alcuna comunicazione, visto che anche la non comunicazione è
una forma di messaggio, che magari segnala solo che non si
vuole o non si è in grado di comunicare. Nel rapporto tra
residenti ed immigrati il rifiuto di comunicazione da parte degli
residenti può costituire una forma di aggressione, in quanto il
significato di questo comportamento spesso equivale a dire: „tu
non sei degno della mia attenzione, per me non esisti“.
Un ruolo completamente diverso assume invece la
„comunicazione non verbale“:
E’ proprio nella comunicazione tra persone che non
parlano la stessa lingua, che assumono particolare importanza i
gesti, la mimica ed il linguaggio del corpo: le forme più
importanti della „comunicazione non verbale“. Ma poiché le
diverse culture assegnano valenze diverse a questi elementi
comunicativi, si può facilmente comprendere come risulti
difficile per gli stranieri esprimersi in queste forme di
comunicazione. Anche la comunicazione non verbale diventa
impossibile proprio quando sarebbe invece importante per
riuscire a farsi capire in un altro contesto linguistico.
La forma più complessa e complicata di comunicazione
consiste nella “metacomunicazione“. Con metacomunicazione
si intende la capacità di comunicare su forme e contenuti della
16
comunicazione stessa. In caso di conflitti, attraverso la
metacomunicazione possono essere chiariti i seguenti punti:
Il conflitto è causato da un fraintendimento linguistico o
meno?
Si tratta di un conflitto di interessi e quindi non di un
problema comunicativo?
Si tratta di problemi legati alla comunicazione non verbale
come per esempio un comportamento che in una cultura
straniera non è adatto alla situazione?
E' solo di recente che si è iniziato a studiare la
comunicazione interculturale all’interno delle discipline
linguistiche, però nel frattempo in molti paesi sono stati attivati
corsi di studio collegati all’economia, alla lingua e alla cultura
di paesi lontani. I diplomati di questo tipo di corsi, acquisiscono
un elevato grado di specializzazione e hanno buone possibilità
d'impiego nei settori politico-economici. Anche la pedagogia
interculturale potrebbe trarre profitto dalle esperienze acquisite
nell’ambito della comunicazione interculturale.
17
1.4
Pedagogia antirazzista
Descrizioni di altri popoli e razze appartengono alle
tradizioni scritte più antiche dell’umanità. Non sempre questi
rapporti sono costruiti secondo criteri scientifici e soprattutto in
correlazione con guerre hanno contribuito in parte a giustificare
le aggressioni. I nemici spesso sono stati descritti come incivili,
violenti e rozzi, in modo da far apparire la conquista come una
liberazione da barbarie ed ignoranza. Questi descrizioni e
rapporti redatti da conquistatori e condottieri sono serviti anche
come delimitazione del proprio gruppo rispetto agli altri e
hanno contribuito sensibilmente all’identificazione con esso. A
differenza del più recente razzismo di stampo hitleriano,
l’obiettivo di norma non era l’annientamento di persone e
gruppi etnici, ma la loro sottomissione ed il loro
incorporamento nell’impero. Dopo una sottomissione avvenuta
con successo, l’appartenenza ad un determinato gruppo etnico
non aveva più una grande importanza. Appartenenti a popoli
sottomessi potevano salire la scala sociale ed arrivare persino
fino alla cima del potere. Gli attributi negativi assegnati a
stranieri e soprattutto a nemici non erano legati
indissolubilmente a caratteristiche fisiche o genetiche di un
popolo, ma erano associati alla condizione di nemico, che
poteva essere modificata tramite la sottomissione o con
l’ausilio di trattative. L’impero (da quello romano a quello
austro-ungarico) è storicamente composto da tanti gruppi etnici
e da tanti paesi. Con la formazione degli stati nazionali, questa
situazione cambiò radicalmente, e si cercò di istituire stati
nazionali, nei quali paese, popolo, lingua e stato avevano le
stesse identiche caratteristiche. Nel nazionalsocialismo tedesco
venne intrapreso il crudele tentativo di istituire con violenza un
impero “etnicamente puro”.
18
Dall‘altra parte, le rappresentazioni romanticizzate ed
idealizzate di culture straniere testimoniano quanto sia difficile
osservare oggettivamente ciò che non conosciamo. Quella del
„nobile selvaggio“, è tutt’ora una visione largamente diffusa.
Su questi nobili selvaggi e sul loro ambiente naturale sono
proiettati speranze e desideri che nella società moderna non
sono realizzabili.
La pedagogia interculturale si confronta sempre con
forme latenti o manifeste di razzismo, sia quando si rivolge a
individui o a gruppi che producono comportamenti razzisti, sia
quando si rivolge alle vittime del razzismo che ricercano le
motivazioni dei comportamenti subiti. Molto spesso si
riscontrano tutti questi casi nello stesso gruppo di bambini ed
adolescenti all’interno delle istituzioni di educazione e
formazione. La lotta contro il razzismo non è però unicamente
compito della pedagogia o della psicologia. Modelli di analisi e
di intervento con una fondazione limitata ad esse non sono
solamente poco efficaci, ma corrono anche il rischio di favorire
il mantenimento di tali situazioni, in quanto tendono a
minimizzare le forme estreme di manifestazione ed a fare
apparire superflua la radicale messa in discussione delle
correnti politiche che sostengono indirettamente o direttamente
il razzismo.
L’uso scorretto dello strumento pedagogico con
l’intento di razionalizzare una politica guidata da interessi
nazionalistici, ha una lunga ed ingloriosa tradizione. Basti
ricordare l’uso dell’educazione religiosa nel periodo coloniale.
La conversione e l’educazione dei „pagani“ servì sotto più punti
di vista solo agli interessi economici delle forze coloniali.
All’inizio della fase di colonizzazione prevalse
l’esplorazione di terre e popoli sconosciuti di norma senza
19
l’ausilio di armi. L’opposizione di alcuni popoli
all’adattamento forzato di una nuova fede religiosa servì spesso
come pretesto per la sottomissione bellica. Atrocità realmente o
apparentemente compiute da parte degli indigeni verso
missionari o altri intrusi stranieri fornirono la giustificazione
morale per l’intervento delle forze coloniali. Avidità, crudeltà,
crimini e sete di potere vennero nascosti sotto la copertura di
giustificazioni morali. Tanto più crudeli ed ingiuste furono le
azioni, tanto più grandi furono gli sforzi per trovare
giustificazioni. Questo era tra l’altro necessario per mantenere
vivi la disponibilità ed il sostegno della popolazione nei paesi
d’origine dei colonialisti in caso di missioni belliche. Un
esempio eclatante in proposito è la seguente disputa storica: ma
gli indiani sono uomini o animali? Questa controversia venne
sostenuta anche all’interno della chiesa cattolica tra Gesuiti e
Vaticano, e non fu una questione unicamente accademica. I
Cristiani possono liberamente sottomettere ed uccidere gli
animali senza minaccia di punizione. I colonialisti si
scagionarono quindi moralmente dall’aver asservito in modo
brutale un intero continente. I molteplici tentativi di trovare
giustificazioni morali per guerre e sottomissioni, hanno
contribuito alla formazione ed alla diffusione di stereotipi e
pregiudizi negativi. La presunta inferiorità di alcune razze
rafforzò le pretese di dominio. La dottrina della razza fondata
su principi scientifici, largamente diffusa nel 19o secolo, trovò
il suo triste apice nello sterminio sistematico durante il
nazismo. Temi e concetti di questa dottrina vengono ripresi
ancora tutt’oggi. Con l’ausilio di metodi oggettivi si
esaminarono le differenze tra le razze che di seguito vennero
presentate dettagliatamente. A differenze oggettive, quali per
esempio. il colore della pelle, si associarono giudizi morali e fu
così costruito uno schema di subordinazione, di superiorità ed
inferiorità. Nello stesso contesto nacquero tesi molto popolari,
per esempio quelle legate a Lombroso circa il presunto legame
20
tra la forma del cranio e le qualità caratteriali. La misurazione
del cranio e delle linee del viso era un metodo riconosciuto e
diffuso, con il quale si pensò di poter diagnosticare persino
disturbi psichici ed inclinazioni criminali. Insieme alla dottrina
della razza si sviluppò la dottrina sulla genetica, la cui
interpretazione e realizzazione criminale servirono alla
creazione della razza ariana pura nel periodo del nazismo.
L’eliminazione sistematica di portatori di deficit con la
giustificazione cinica di “vite che non valgono la pena di essere
vissute” e l’olocausto non erano solo azioni criminali di singole
persone, ma l’espressione di un atteggiamento largamente
diffuso. Il termine razzismo non include quindi soltanto la
sottomissione di determinate razze, ma anche di gruppi etnici,
nonché di persone, che a causa di determinate caratteristiche,
quali ad esempio un handicap fisico, sono soggette a
persecuzione. Gli elementi basilari del razzismo sono i
seguenti:
1. Da caratteristiche esteriori riguardanti gli appartenenti ad
una razza, ad una religione o ad un gruppo etnico si
traggono conclusioni circa la loro personalità complessiva.
2. Da queste deduzioni semplici e stereotipiche vengono
formulati giudizi, nella maggior parte dei casi, spregiativi.
3. Questi giudizi servono a giustificare azioni disprezzabili ed
illegittime.
4. Servono inoltre alla delimitazione del proprio gruppo nei
riguardi degli “altri” e con questo della propria identità.
Proprio per questo motivo adolescenti con una scarsa stima
di sé sono molto ricettivi rispetto alle idee radicali e
razziste.
21
Questi giudizi offrono spiegazioni apparentemente semplici
a situazioni molto complesse. Un esempio tipico è l’opinione
diffusa che l’Africa sia povera perché gli africani sono pigri.
Il tema del nazionalismo e razzismo da sempre largamente
dibatuto e´ stato oggetto di numerose ricerche pedagogiche dei
ultimi anni. Nella stessura di queste note si e`fatto in particulare
riferimento a Walter Lorenz.12
Lorenz fa presente che la diffusione di idee razziste ha
un’altra radice politica, oltre a quella connessa alla fioritura
dell’epoca coloniale: la formazione degli stati nazionali. Con il
formarsi degli stati, la delimitazione territoriale rispetto agli
altri stati nazionali diventò molto importante. I nuovi confini
territoriali dell’Europa postnapoleonica crearono Stati la cui
popolazione apparteneva a diversi gruppi etnici e che all’inizio
non si considerarono membri della “popolazione di stato”. Per
la formazione di un’identità nazionale serví la delimitazione nei
confronti degli “altri”, degli “stranieri”, dei “non-appartenenti”.
Il concetto nazione inteso in questo senso significa, a livello dei
provvedimenti sociali, la distinzione tra “autorizzato” e “non
autorizzato”, per quanto riguarda la cittadinanza. Nacque così
un sistema complesso di accesso ai servizi e alle disposizioni
nell’ambito sociale, sanitario e formativo che non si orientò, in
primo luogo, alla necessità della persona, ma alla sua posizione
sociale. Una distinzione analoga molto accentuata si riscontrò
anche nell’aiuto caritatevole della chiesa: da una parte la
miseria peccaminosa cagionata dalla propria colpa, dall’altra le
disgrazie immeritate. In base a questa distinzione venne
12
Cfr.: W, Lorenz, L`educazione della nazione, La politica dell’identità
nazionale, in; A. Aluffi, W. Lorenz (a cura di), Per una pedagogia
antirazzista, Edizioni Junior, Bergamo 1999
22
stabilita la dimensione dell’azione di aiuto. Soltanto grazie alla
creazione dell’assistenza pubblica queste distinzioni divennero
meno importanti. La pressione circa la suddivisione delle
risorse diminuì ed il concetto di aiuto destinato a tutti,
indipendentemente da posizione sociale e valutazione della
persona, riuscì a diffondersi maggiormente.
La storia europea dell’assistenza sociale è anche
caratterizzata da strategie per eliminare ed isolare diversità ed
anomalie: i manicomi e gli istituti chiusi e l’uccisione di tutti i
“diversi” nell’epoca del nazismo sono gli esempi più svariati
dell’emarginazione.
“Queste strategie politico-sociali armonizzano con una
visione nazionalistica dello stato, legando i presupposti per il
diritto al sostegno ed alla solidarietà all’appartenenza a
determinati gruppi, e con questo contribuiscono a sciogliere ed
a frammentare la solidarietà.
Il concetto della “cittadinanza europea” suscita qualche
speranza: in effetti, si potrebbe formare una nuova versione di
cittadinanza che si allontana dai modelli nazionalistici,
eliminando la distinzione tra individualismo e collettivismo,
particolarismo ed universalismo, liberalismo ed essenzialismo
contenuta in essi.”13
La storia europea degli stati nazionali contiene
caratteristiche di entrambe le concezioni. Lorenz distingue tra
una versione democratica-rivoluzionaria della nazione che
nacque dalla Rivoluzione francese e sottolinea l’importanza del
13
Cfr.: W, Lorenz, L`educazione della nazione, La politica dell’identità
nazionale, in; A. Aluffi, W. Lorenz (a cura di), Per una pedagogia
antirazzista, Edizioni Junior, Bergamo 1999, p. 105
contratto sociale tra i cittadini come base dei loro diritti
individuali, della libertà e degli obblighi, indipendentemente
dalle loro diversità, e tra una versione “nazionalistica”,
caratteristica della formazione della nazione italiana e tedesca,
che deduceva la solidarietà nazionale dal postulato di
un’ereditarietà culturale comune. La costruzione rivoluzionaria
di una nazione non si riferisce alla omogeneità culturale ed alla
“purezza”.
Onde evitare che la pedagogia venga utilizzata come alibi
o come ritocco cosmetico per quanto riguarda le ricuse
all’interno della società, si deve riconoscere l’importanza di
un’esposizione dettagliata dei nessi politico-sociali nello
sviluppo del razzismo e delle funzioni di esso.
1.5
Pedagogia etnologica
Concludendo, ancora alcune osservazioni relative al
termine pedagogia etnologica. Una descrizione dettagliata del
termine e del suo significato per la teoria e la pratica della
pedagogia interculturale non è possibile, in quanto non esiste
ancora nessuna disciplina scientifica che regola questo ramo
della pedagogia 14. Conosciamo però tanti studi empirici
riguardanti l’educazione e le relazioni di gruppo in altre culture,
che si basano su principi etnologici e che sono diventati
importanti per la pedagogia. Già molti classici della pedagogia,
come per esempio Rousseau, non sono riusciti a sottrarsi dal
fascino di rapporti di viaggio e di romanzi su terre lontane
(Robinson Crusoe). A partire dall’inizio di questo secolo, le
altre culture sono state esaminate da un punto di vista
psicoanalitico, arricchendo così le nostre idee pedagogiche. Si
14
Cfr.: K. Müller, A. K.Treml (a cura di), Ethnopädagogik. Sozialisation
und Erziehung in tradizionellen Gesellschaften, Reimer, Berlin 1992 p. 35
23
24
pensi soltanto al significato dei riti di iniziazione, riti di
transizione ed ai cambiamenti di status. La stessa cosa vale per
le nostre conoscenze relative al significato dei rapporti con
coetanei e lo sviluppo della sessualità durante il periodo della
pubertà e dell’adolescenza.
1.6
Per una rifondazione scientifica dell’intercultura
La posizione degli stranieri che vivono e lavorano nei
paesi Europei è argomento di dibattito e scontro nell’arena
politica. La Germania per esempio rifiuta da sempre lo status di
paese di immigrazione e la negazione di questa realtà di fatto ha
come conseguenza progetti poco chiari e contraddittori sotto il
profilo pedagogico. Così, ad esempio, in Baviera si è cercato di
suddividere i bambini stranieri in base alle nazionalità e di
scolarizzarli in classi speciali. Comunque, questa strategia si è
realizzata solamente nelle grandi città.
Attualmente in Germania si stanno moltiplicando anche
nei partiti e nei gruppi conservatori le voci dissenzienti che
vorrebbero riconoscere la realtà della società multiculturale. "Il
concetto della società multiculturale vorrebbe combinare i
vantaggi di due strategie: il diritto ad una partecipazione con gli
stessi diritti (e quindi integrazione) ed il diritto
all’autodeterminazione culturale, non solo nell'ambito privato,
bensì come parte integrante della cultura pubblica".15
Quale significato può avere la teoria per la pedagogia
interculturale e per la sua pratica? Da una parte, la teoria serve
per la comprensione e lo sviluppo della scienza stessa, dall’altra
15
Cfr.: F. Hamburger, Erziehung und Sozialarbeit im Migrationsprozess, in:
J.M.Gorzidi, H. Müller (a cura di), Handbuch zur interkulturellen Arbeit,
Wiesbaden, World University Service/Gewerkschaft Erziehung und
Wissenschaft/Institut für Sozialforschung Mainz,1993 p. 56
25
per la sua delimitazione da altre discipline. La storia dello
sviluppo della pedagogia interculturale dimostra che negli
ultimi due secoli, si è riscontrato un cambio dei paradigma
nell’area linguistica tedesca. Il termine originario di „pedagogia
degli stranieri“ legato ad obiettivi quali “integrazione“ ed
“assimilazione“, si è trasformato nel concetto di “apprendere in
modo interculturale“, “pedagogia interculturale“ e “comunità
etnica”16
Inoltre, le teorie della pedagogia interculturale possono
fornire affermazioni verificabili sulle persone direttamente
colpite. In Italia esiste una discussione scientifica importante
sulle necessità socio-pedagogiche degli immigranti: nel
momento in cui l’immigrazione diventa realtà, oltre ai bisogni
elementari, quali cibo, alloggio ed occupazione, le necessità di
comunicazione, di apprendimento, di orientamento, di
autoeducazione in un paese fino ad ora sconosciuto
caratterizzato dai propri codici linguistici, da schemi di
comportamento e da norme diverse, assumono un’importanza
vitale. Per quanto riguarda l’Italia, si può constatare che un expaese d’emigrazione è diventato un paese d’immigrazione e
questo fenomeno richiede una ricerca ed una formulazione di
teorie più approfondite. Teorie di questo tipo devono rispondere
ad almeno quattro esigenze: socializzazione anticipata,
socializzazione attiva, socializzazione rivolta verso l’obiettivo
nonché socializzazione del rifiuto, che si manifesta quando la
lingua e la cultura originaria incominciano ad opporre
resistenza nei confronti della nuova società.17
16
Cfr.: H. Schweitzer, der Mythos vom interkulturellen Lernen,
Münster/Hamburg, 1994, p. 2
17
Cfr.: D. Demetrio, Hypothesen für eine Theorie der sozialpädagogischen
Bedürfnisse für Einwanderer, in: M. Borelli, G. Hoff (a cura di)
Interkulturelle Pädagogik im internationalen Vergleich, Pädagogischer
Verlag, Baltmannsweiler, 1987, p. 38 e segg.
26
2 Pedagogia interculturale e scienze
dell’educazione
2.1
Verso l’interdisciplinarietà
Nella parte successiva di questo libro tratteremo dei
problemi e temi attuali della pedagogia interculturale
attenendoci a quattro filoni di analisi.
In primo luogo ci occuperemo dei rapporti
interdisciplinari che la pedagogia interculturale intrattiene con
la sociologia e la psicologia. Passeremo poi ad analizzare il
rapporto a doppio binario che lega la pedagogia interculturale
alle diverse fasi della vita di un individuo ed i contributi che la
ricerca biografica può a sua volta apportare alla comprensione
della pedagogia interculturale.
In seguito prenderemo in esame le istituzioni all’interno
delle quali la pedagogia interculturale svolge un ruolo decisivo
(prescuola, scuola, istituzioni extrascolastiche), senza però
dimenticare che essa dovrebbe costituire un principio fondante
da estendere a tutta la società. Infine getteremo un ultimo
sguardo d’insieme sulla pedagogia interculturale nella sua
accezione di nuova frontiera dell’educazione.
Come abbiamo già ricordato sopra, sociologia e
psicologia sono le discipline che influenzano in modo
particolare la pedagogia interculturale. E’ opportuno ribadire
che questo studio si propone come contributo pedagogico, e
quindi in questa sede dobbiamo purtroppo rinunciare ad una
riflessione approfondita sulle condizioni politiche, economiche
e giuridiche, che pur condizionano in maniera drammatica la
situazione dello straniero ed il suo rapporto con gli abitanti del
paese d’immigrazione.
27
I quesiti che dovremmo trattare prevederebbero una
trattazione esaustiva delle condizioni socio-economicopolitiche esistenti nel paese ospite. Dovremmo allora iniziare
col chiederci: ci troviamo in una nazione con un’unica lingua e
una popolazione omogenea? Oppure in un paese con diverse
lingue ed etnie? Le minoranze dispongono di diritti
riconosciuti? O abbiamo a che fare con un paese in cui la
multiculturalità è ormai una pratica quotidiana? Il panorama
politico influenza pesantemente la cornice giuridica,
contribuendo ad interpretare in modo restrittivo o estensivo
quanto previsto dalle leggi sull’immigrazione e sulla
cittadinanza, concedendo o negando ai migranti i diritti civili
incluso quello di voto e l’integrazione all'interno del sistema
scolastico, sociale e sanitario. Anche la cornice economica
influenza la posizione degli stranieri rispetto al mercato del
lavoro ed alle difese del lavoratore. E bisognerebbe allora
chiedersi: gli stranieri sono stati assunti solo come forza lavoro
a basso costo e per un periodo di tempo determinato o sono
stati accolti come nuovi cittadini che lavorano e vivono nel
paese ospite? Tutte queste domande, che non possono trovare
risposte approfondite all'interno di uno studio pedagogico,
influiscono però in modo determinante sulle esperienze
pedagogiche quotidiane.
2.2
Il contributo della sociologia
Se prendiamo in esame la sociologia, il primo concetto
che si rivela di fondamentale importanza per la pedagogia
interculturale è quello di integrazione. L’integrazione è il
contrario della segregazione e comporta che una minoranza
possa entrare a far parte di una maggioranza, acquisendone gli
stessi diritti e mantenendo però le proprie peculiarità culturali.
28
Nei casi riusciti questo accade senza che il sistema sia messo in
pericolo, attraverso la cooperazione delle parti coinvolte, che si
propongono un’unità di intenti che generi un nuovo equilibrio.
La minoranza etnica diventa parte a pieno titolo di una
maggioranza già esistente, senza però dover rinunciare alla
propria storia e alle proprie radici.
Integrazione significa l’unione di parti diversi per
arrivare ad una totalità e può essere interpretata in maniere
diverse. Sul piano pragmatico la parola integrazione assume
spesso significati diversi e in parte anche contraddittori.
Integrazione vene spesso intesa come assimilazione da parte
degli stranieri.
Assimilazione significa l’adattamento della minoranza
alla maggioranza. Per realizzare ciò è necessario diventare
“simili”, rinunciando ai propri usi e costumi. In casi estremi,
l’assimilazione comporta anche la rinuncia alla propria
religione e tradizione. In questo caso si può anche parlare di
integrazione, l’insieme delle parti piccole diventa una totalità,
le caratteristiche delle parti piccole o delle parti nuove di una
società spariscono e si adattano alle caratteristiche delle parti
più grandi. Gli immigranti si adeguano alla cultura, ai valori ed
alle norme della maggioranza. Questo processo può essere
definito acculturazione.
avvenuta. Se l’integrazione viene intesa, o meglio malintesa, in
questo modo la società del paese d’accoglienza non cambia,
rimane rigida e monoculturale. Le possibilità di reazione degli
immigrati possono essere descritte come segue:
Monocoltura:
Una possibilità è il tentativo di soddisfare le aspettative
della maggioranza della popolazione. Le insicurezze vengono
compensate con un comportamento estremamente adattato.
L’immigrante diventa non raramente il “nativo migliore”. Solo
una grande sicurezza di sé permette piccole violazioni delle
regole relative al comportamento. In una società individualista,
queste piccole violazioni sono caratteristiche d’identità molto
importanti. Chi ad esempio vuole sempre essere completamente
corretto nei suoi rapporti con l’amministrazione pubblica o con
le persone al posto di lavoro, rischia di essere bollato come
sottomesso.
Un’altra possibilità è il tentativo di opporre resistenza
alle aspettative. Non si cerca di assumere le norme ed i valori
della nuova società, ma si resta fedele alle proprie tradizioni.
Una conseguenza può essere l’emarginazione e la creazione di
un ghetto. I problemi si accentuano in entrambi i casi, se i
bambini di immigranti rifiutano l’atteggiamento dei genitori e
prendono una propria decisione.
Ciò significa che una nuova cultura prende il posto della
cultura originaria. Questo processo presuppone che si manifesta
una deculturazione, cioè il fatto di disimparare atteggiamenti e
comportamenti abituali. Disimparare non deve necessariamente
significare dimenticare, in certe situazioni, gli immigrati
assumono automaticamente un certo atteggiamento. Se il
comportamento automatico ed istintivo corrisponde alle norme
ed ai valori della nuova cultura, si parla di assimilazione
Patchwork:
Un’altra concezione di integrazione non intende
quest’ultima come assimilazione o adattamento delle piccoli
parti alla maggioranza che comporta la scomparsa di diversità e
molteplicità. L’integrazione viene intesa come l’introduzione di
parti piccole in una totalità già esistente. Questa società è
caratterizzata da elementi diversi e inizialmente sconosciuti,
l’accettazione di diversità è una delle caratteristiche più
importanti. La diversità culturale degli immigranti viene
29
30
tollerata dalla maggioranza della popolazione o addirittura
considerata come un arricchimento. Non avviene però un vero
scambio tra le culture, ogni gruppo conserva le proprie
caratteristiche, com’è avvenuto ad esempio con gli ebrei in
Germania e nell’Europa dell’est durante certi periodi storici e
prima del fascismo. Nel corso della storia, che i potenti hanno
spesso introdotto appartenenti di altre culture nel proprio paese
per favorire determinati sviluppi. La causa della migrazione non
era quindi la tensione economica o politica nel paese d’origine,
ma un vortice di richiamo del paese d’accoglienza.
Melting pot:
Altre società, come ad esempio quella nordamericana, si
sono viste come un rifugio per appartenenti a diversi gruppi
etnici e religiosi. Una caratteristica importante di queste società
è la loro multiculturalità, nel senso che da diversi elementi
culturali si è formata una nuova cultura “mista”. Sappiamo però
che la realizzazione pragmatica di questa ideazione sociale non
funziona senza difficoltà. Il concetto di “cittadino” assume però
un’importanza fondamentale. L’appartenenza alla cultura non
dipende dalla razza, dalla religione o dall’origine culturale, ma
dalla cittadinanza. Il presupposto base per il funzionamento di
una società di questo tipo non è la conformità di razza, di
visione del mondo ecc., ma l’accettazione di una forma di
società pluralistica e democratica che si basa su un sistema di
diritti e doveri civili. Eventuali conflitti vengono risolti
ricorrendo al sistema legale. Il riconoscimento di questo sistema
legale è un altro presupposto per l’accettazione degli
immigranti come membri della società. Ovviamente non è
accettabile se una minoranza tenta di sottrarsi alle norme
democratiche o di imporre le proprie regole non democratiche.
lingua spagnola (Hispanics) funge come esempio, in quanto
rappresentano il 40 % delle persone che ogni anno immigrano
legalmente negli Stati Uniti (dati del 1991).
Negli Stati Uniti vivono ca. 18,8 milioni di “Hispanics”.
Parlano lo spagnolo, però provengono da paesi diversi e sono
quindi caratterizzati da esperienze e tradizioni diverse. Parlare
di un gruppo omogeneo di spagnoli sarebbe quindi un errore.
I seguenti dati caratterizzano l’origine diversa:
Mexico: 11,8 milioni 62,5 %
Puerto Rico: 2,3 milioni 12,2
America centrale, Sudamerica: 2,1 milioni 11,2 %
Cuba 1,0 milioni 5,3 %
Altri 1,6 milioni 8,5 %
I motivi ed i sfondi socioculturali possono essere molto
diversi a seconda del paese d’origine anche all’interno di questo
gruppo relativamente omogeneo in tema linguistico. Ad
esempio, l’esperienza di vita e la socializzazione di un cubano è
generalmente molto diversa di un puertoricano.
L’82 % degli hispanics vive in otto stati degli Stati Uniti:
California 21 %
Texas 20 %
New York 11%
Florida 6 %
Illinois 4 %
Arizona 3 %
Colorado 3 %
New Mexico 3 %
I dati demografici testimoniano quanto sia difficile la situazione
di partenza per queste società. La situazione degli americani di
200.000 hispanics immigrano ogni anno legalmente negli Stati
Uniti, corrispondono al 40 % di tutti gli immigranti legali. Altri
200.000 immigrano clandestinamente.
31
32
La popolazione dei hispanics è aumentata del 61 % dal 1970 al
1980.
L’85 % degli studenti hispanics è iscritto nelle scuole statali, il
70 % frequenta una scuola segregata. Le conoscenze scolastiche
sono sensibilmente sotto la media degli Stati Uniti. L’età media
degli hispanics negli Stati Uniti è di 25,1 anni rispetto a un’età
media di 32,6 della popolazione complessiva statunitense. 18
Circa la stessa cosa vale anche per l’Europa, soprattutto per i
paesi d’immigrazione relativamente nuovi come l’Italia. Gli
immigranti che si spostano per motivi di lavoro sono per la
maggior parte giovani uomini.
Questi dati rispecchiano un fenomeno valido anche per
l’Europa. I dati nazionali relativi all’immigrazione non danno
informazioni sulla concentrazione e la divisione all’interno del
paese e anche all’interno delle città. Ad esempio, se in un
determinato quartiere la percentuale degli immigrati è così
elevata che solo una piccola parte dei bambini comprende la
lingua d’insegnamento, le conseguenze per il lavoro didattico
sono diverse rispetto a classi con pochi bambini stranieri.
Il secondo modello presenta il grande svantaggio che
parte da una visione statica di società e cultura. Suscita
l’illusione che questo patchwork funzioni bene, se tutti i
partecipanti rispettano le regole e non abbandona la propria
“macchia” ben delimitata sul tappeto patchwork. Questa
concezione non è conforme alla realtà di società dinamiche. Un
problema evidente riguarda i bambini nati da un matrimonio
misto: A seconda quale cultura e lingua cresceranno? A quale
macchia del patchwork appartengono?
Le conseguenze più brutali di questo modello si
manifestano nei conflitti in zone multietniche, come è successo
ad esempio nei Paesi Balcanici. L’approccio “Patchwork" viene
interpretato assegnando ad ogni gruppo una determinata zona
geografica
all’interno
dello
Stato.
L’atteggiamento
profondamente disumano che prevede l’istruzione di zone
etnicamente pure ed il concetto della “pulizia etnica”, sono un
tentativo terribile di mantenere in vita, ricorrendo a metodi
violenti, uno Stato multiculturale dove la popolazione è
costretta a vivere in ghetti separati.
Nessuno dei tre modelli descritti è applicabile per
l’Europa, in quanto i presupposti storici e sociali sono troppo
diversi.
Il primo modello non corrisponde ad una società
democratica e moderna. Ha le proprie origini nell’ideologia
razzista e fascista, cioè nell’unitarietà e nella purezza del
popolo, nonché nella conformità tra popolo, nazione e stato.
Tutto quello che è straniero si deve adattare oppure viene
ripudiato.
Il modello del “melting pot” parte dal presupposto di un
miscuglio di culture. Da questo miscuglio nasce qualcosa di
nuovo che unisce i singoli elementi. Si potrebbe pensare che in
questo modo anche i conflitti etnici e razzisti potessero sparire,
ma le esperienze fatte negli Stati Uniti ci insegnano che non è
proprio così. Le tendenze di richiudersi fra di loro di diversi
gruppi dimostrano che per sentirsi appartenenti ad un
determinato gruppo o per aderire a movimenti radicali non è
determinante sapere parlare o capire la lingua degli antenati.
Un altro svantaggio di questo modello è, che non
corrisponde più alla situazione storica e culturale dell’Europa
attuale. L’accettazione reciproca delle tradizioni culturali dei
paesi membri dell’Unione Europea è uno dei presupposti base
per la realizzazione del processo di unificazione. Questo
18
Cfr.: E. Garcia, The Education of Linguistically and Culturally Diverse
Students: Effective Instructional Practices, National Center for Research on
Cultural Diversity and second Language learning, Santa Cruz, 1991, p. 10
33
34
processo di unificazione dipende anche dal mantenimento
dell’equilibrio fragile delle forze culturali.
Un altro presupposto base è rappresentato dal
superamento delle differenze nella legislazione dei diversi stati
nazionali. Con l’apertura dei confini è stato fatto un grande
passo verso l’unità delle norme della vita civile. Garantendo
un’alta sicurezza legale ed un’elevata assicurazione di
uguaglianza, giustizia e fratellanza, i singoli cittadini si
sentiranno sempre meno insicuri e minacciati. Il ricorso a
concetti nazionalistici ed atteggiamenti radicali diventano così
superflui. E’ una condizione molto importante per
un’interazione libera e priva di pregiudizi tra gli appartenenti a
diverse etnie, culture e gruppi linguistici.
Si dovrebbe quindi aspirare alla realizzazione di un
modello di interazione. Né la divisione in singole macchie sul
tappeto “Patchwork”, né la fusione delle singoli parti fino
all’irriconoscibilità ci sembrano auspicabili, l’unica soluzione
valida è un’interazione libera e priva di pregiudizi e lo scambio
positivo e costruttivo che si basa sul principio di diritti e doveri
uguali per tutti.
Gli aspetti sociologici sovramenzionati riguardano
modelli politici e sociali per società multiculturali. Di seguito
vengono rappresentati alcuni concetti sociologici utili per la
comprensione della situazione dei migranti.
I due concetti chiave più utili ai nostri fini sono quelli di
individualizzazione e pluralizzazione. Per individualizzazione si
intende il processo messo in moto nelle società moderne da
fattori quali l’industrializzazione, la secolarizzazione,
l’urbanizzazione, che sta progressivamente portando allo
scioglimento dei legami sociali tradizionali con tutti i problemi
e le contraddizioni che necessariamente accompagnano il
cambiamento. Se è vero che molte persone godono oggi di una
libertà maggiore che in passato, è anche vero che il prezzo da
pagare comporta un aumento dei rischi connessi all’insicurezza
del posto di lavoro, allo straniamento dovuto alla perdita dei
valori di riferimento classici e al crescente isolamento. Rispetto
agli immigrati, soprattutto se provenienti dalle culture del sud
del mondo o da regimi politicamente autoritari, questo processo
innesca nel nuovo paese un‘acuta situazione di ambivalenza: gli
individui dispongono sì di maggior libertà personale, o la loro
vita non è più minacciata, ma al tempo stesso si ritrovano anche
improvvisamente liberi anche da quei legami sociali che in
patria erano vitali.
Il concetto di pluralizzazione sottolinea invece come le
possibilità di realizzazione individuale e sociale si siano
moltiplicate e permettano la strutturazione di percorsi ed
itinerari personali a patto di possedere gli strumenti culturali e i
mezzi materiali idonei al perseguimento dei propri obiettivi. La
pressione sul singolo, affinché si adatti all’ordine istituito non è
più così forte come in passato. Se queste nuove opportunità
sono di grande importanza per tutti i cittadini di un paese,
ancora più importanti si rivelano per gli stranieri provenienti
dai paesi più poveri e organizzati in modo molto tradizionale,
per i quali costituiscono non solo un cambio culturale, ma
anche un’accelerazione storica. Un turco anatolico che arriva in
Germania o un berbero nordafricano che si trasferisce in Italia
attraversano nel corso di questo viaggio, come in una sorta di
macchina del tempo, anche diversi decenni di sviluppo socioeconomico, ritrovandosi così a vivere in un arco di tempo
brevissimo cambiamenti che nel paese d’origine richiederanno
probabilmente diverse generazioni. Queste accelerazioni
storiche hanno ripercussioni anche sui cittadini del paese ospite,
che viaggiando all’indietro sulla stessa macchina del tempo,
dovranno confrontarsi con i comportamenti tradizionali dei
nuovi arrivati, con sistemi di pensiero e comportamenti forse
una volta presenti ma ormai superati della propria società
tradizionale.
35
36
Con il concetto di status si intende l’attribuzione di una
determinata posizione all’interno di un sistema sociale. A
questa attribuzione si collegano aspettative reciproche sui modi
di comportamento e le forme di comunicazione tra chi detiene
le diverse posizioni all’interno del sistema stesso. Per
funzionare il sistema ha bisogno di un consenso minimo
sull’attribuzione delle posizioni di individui o gruppi all’interno
del tessuto sociale. Se questo non avviene, sono inevitabili
continue lotte e conflitti per l’acquisizione di status, che
producono
pesanti
oneri
individuali
(malattia,
tossicodipendenza, delinquenza) e disintegrazione sociale.
I migranti si trovano molto spesso in una situazione di
insicurezza per quanto riguarda la propria posizione sociale.
Questa situazione assume molto spesso un aspetto opprimente,
in quanto la definizione di status sociale è una parte molto
importante per l’identità dell’individuo. Dato che l’insicurezza
dei genitori si trasmette sui bambini e sulla loro ricerca
d’identità, questo aspetto è da considerare nel lavoro
pedagogico nell’ambito scolastico ed extrascolastico. Le cause
di questa insicurezza sono le seguenti:
•
•
•
Un esempio concreto per queste difficoltà è il fatto che
uomini provenienti da una società patriarcale hanno spesso
difficoltà ad accettare una donna come superiore o come
rappresentante di un ente. Se queste persone si intromettono
nell’educazione dei figli, come ad esempio avviene nel caso di
assistenti sociali o di insegnanti, possono nascere conflitti. Dal
punto di vista dell’immigrato, una persona straniera e
addirittura una donna si intromette nella fascia di potere
riservata al capo della famiglia. Viene considerato una
violazione del proprio onore e dell’autorità del padre. Oltre alla
definizione diversa del ruolo del padre di famiglia nelle diverse
culture d’origine, si manifesta un’altra discrepanza
socioculturale: una diversa concezione delle questioni private e
delle questioni di interesse pubblico. In società moderne,
l’educazione dei figli è regolata da leggi e istituzioni. Se i
genitori non rispettano l’obbligo scolastico, l’obbligo di
sorveglianza e l’obbligo di educazione, le istituzioni pubbliche
devono intervenire. Gli immigrati di paesi in via di sviluppo
considerano interventi di questo genere molto spesso come un
libero arbitrio dello stato, un abuso, una discriminazione o una
vessazione.
Lo status sociale ricoperto nel paese d’origine non vale più.
Nella maggior parte dei casi la migrazione verso il paese
d’accoglienza comporta uno stato sociale inferiore rispetto a
quello del paese d’origine.
Nella nuova cultura, lo stato sociale viene definito a
seconda criteri diversi e ciò crea una grande insicurezza
negli immigranti.
La propria definizione relativa alla posizione nella società
non corrisponde sempre alla definizione valida nel paese
d’accoglienza e ciò crea malintesi nei rapporti con le scuole.
L’attribuzione di un determinato status nelle società
moderne è un processo costante e continuo, che avviene sulla
base di diversi criteri. Alcuni non sono determinabili
dall’individuo, altri dipendono invece dalle sue decisioni e dalle
sue prestazioni. Ovviamente sussistono grandi differenze nel
peso conferito dalle diverse culture a questi criteri. Mentre nei
circuiti culturali postindustriali i fattori almeno in parte
determinabili a livello soggettivo (livello di istruzione,
professione e reddito) operano un influsso decisivo sullo status,
nelle società tradizionali sono i fattori non determinabili
37
38
individualmente (età e sesso) quelli che assumono un peso
preponderante.
I movimenti migratori provengono in gran parte dai circuiti
culturali tradizionali e preindustriali e si dirigono verso le
società industriali e postindustriali. Qui i migranti si scontrano
con un sistema di attribuzione di status a loro estraneo e
sconosciuto. La conseguenza di ciò sono equivoci e conflitti.
Poiché la conoscenza di questi criteri è estrema importanza per
l’agire pedagogico, qui di seguito vogliamo offrirne una
sintetica descrizione.
È comune a tutte le società che la parentela di sangue o
acquisita (per esempio attraverso il matrimonio) influenzi lo
status. Nelle società moderne questo vale solo per la cerchia
familiare più stretta, mentre in quelle dominate da una cultura
agricola il senso è molto più ampio. Il clan e la famiglia
allargata assumono qui anche la funzione di assistenza
materiale in caso di malattia o vecchiaia dei loro membri. Di
conseguenza il controllo sociale in queste comunità è molto
alto. Tutti i membri si sentono reciprocamente responsabili e si
preoccupano che i valori e le norme comuni vengano rispettati.
Ciò è importante per il mantenimento della coesione del gruppo
ed è l’unica assicurazione in caso di necessità.
I bambini e gli adolescenti figli di migranti incontrano
grandi difficoltà nei paesi di adozione, poiché esistono delle
profonde contraddizioni tra i valori e le norme della maggior
parte delle culture di provenienza preindustriali delle famiglie e
la cultura moderna del loro nuovo paese. I conflitti che ne
derivano si evidenziano da fatti apparentemente secondari. Un
esempio di questi giorni: il capo velato delle ragazze
musulmane in Francia è diventato un simbolo per il
riconoscimento della cultura di origine e un caso di conflitto tra
autorità scolastiche e famiglie.
39
In molte famiglie migranti emergono dei conflitti
intrafamiliari se i giovani si adattano alla cultura moderna.
Entrambe le parti, la famiglia e la società, mettono i ragazzi
sotto pressione. Elementi che scatenano il conflitto riguardano
l’abbigliamento, la foggia dei capelli e la musica ascoltata dai
ragazzi. Questi fattori esterni diventano simboli di un
atteggiamento esistenziale e di una precisa Weltanschauung. La
spinta all’adattamento operata dalla società si esercita in
molteplici modi, a volte in forme particolarmente sottili.
Scherno, emarginazione e disprezzo dei coetanei a scuola e nel
tempo libero sono alcuni dei mezzi messi in atto, a volte a
livello inconscio. I ragazzi coinvolti si ritrovano in una
situazione senza uscita : desiderano assumere uno status
possibilmente elevato e trovare riconoscimento nella società in
cui vivono, devono garantirsi una carriera scolastica e
professionale e possono farlo solo se accettano e internalizzano
il sistema di valori e di norme corrispondente. Al tempo stesso,
desiderano anche il riconoscimento, l’affetto ed il sostegno
della loro famiglia e perciò devono accettare anche valori e
comportamenti, che in parte confliggono con quelli della
società.
L’integrazione nei due sistemi richiede uno sforzo psichico
molto elevato che molti bambini non riescono a sostenere.
Alcuni reagiscono con il radicale rifiuto di una delle due
culture. Questo provoca sicuramente conflitti e difficoltà con
l’identità rifiutata, ma al tempo stesso una liberazione dal
conflitto interiore che viene spostato all’esterno con la
creazione di un nemico che deve essere combattuto.
Se il ragazzo opta per il sistema dei valori della famiglia,
quasi inevitabilmente entra in conflitto con la scuola, poiché
questa come istituzione educativa della società moderna incarna
tutto ciò che può minacciare l’equilibrio interiore. Gli
insegnanti che non conoscono questa realtà reagiscono
sentendosi personalmente coinvolti e delusi. Tutto il sostegno e
40
gli aiuti che offrono cozzano contro un rifiuto e questo provoca
rassegnazione, delusione e spesso ostilità nei confronti del
bambino. Si crea un circolo vizioso, in cui il bambino si vede
riconfermato che la società moderna è ostile e disumana. Di
conseguenza, il suo rifiuto trova una giustificazione e il
conflitto interiore è risolto. Questa soluzione gli costa
comunque un prezzo molto alto in termini di successo
scolastico e di opportunità per il suo futuro lavorativo. Per
comprendere appieno questi ragazzi bisogna non dimenticare
mai che per loro la sicurezza emozionale e il sostegno delle
persone di riferimento sono molto più importanti che la
promessa astratta di un futuro successo lavorativo.
Le figlie dei migranti di norma vivono i conflitti provocati dalle
due culture di riferimento in modo molto più acuto dei loro
fratelli. Nella cultura di origine ci si aspetta che le ragazze si
preparino al futuro ruolo di madre e casalinga. Una formazione
scolastica e professionale prolungata viene spesso considerata
superflua e a volte addirittura nociva.. La condotta delle figlie
diventa quindi una questione che riguarda tutta la famiglia,
poiché può minare per sempre il suo buon nome in patria e
nella cerchia di amicizie tra connazionali. Per le ragazze e le
donne delle famiglie migranti sono perciò indispensabili
programmi di intervento, che però non possono prescindere
dalle seguenti considerazioni:
Esempi di tali possibilità di contatto sono le attività
organizzate per il tempo libero o le offerte formative nei
centri culturali. Spesso i contenuti offerti in questi corsi
sono di natura assolutamente tradizionale : ad esempio un
corso di cucito può rappresentare la premessa per la
costruzione di un rapporto di fiducia e la base per corsi di
avviamento professionale. Una frequente critica imputata a
questo tipo di offerte è che non riescono a spezzare, ma
addirittura consolidano i modelli dei ruoli assegnati alle
donne. Nella pianificazione di offerte pedagogiche bisogna
soppesare i pro e i contro relativi al singolo caso. Un
esempio emblematico, tratto dalla mia esperienza
professionale, può chiarire come spesso sia necessaria una
politica dei piccoli passi per riuscire ad effettuare un lavoro
efficace.
Si tratta di un piccolo esempio del lavoro quotidiano di un
operatore sociale può illuminare questi processi:
1. Le famiglie delle ragazze devono essere coinvolte, affinché
si possa istituire un clima di fiducia tra i pedagogisti o gli
operatori sociali e le famiglie. Se questo non avviene alle
ragazze verrà vietata la partecipazione al programma.
2. Deve essere creata una cornice idonea a contatti sociali
positivi. Gli incontri con donne della propria cultura e della
cultura “altra” sono molto importanti per riuscire ad evadere
dall’isolamento vissuto nel chiuso della propria famiglia.
Il padre di Laura S., preoccupato per la figlia ventenne,
si era rivolto al servizio di consulenza psicologica. Laura era
triste e abbattuta, niente sembrava più rallegrarla anche se
prima era sempre stata una ragazza contenta. Nel corso del
colloquio è risultato quanto segue:
Laura era cresciuta in Sicilia con la madre fino all’età di 10
anni e poi aveva raggiunto il padre in Germania, dove l’uomo
si trovava già da 15 anni. I genitori non l’avevano più mandata
a scuola, perché doveva aiutare la mamma nel governo della
casa e a fare la spesa. La ragazza aveva imparato più
velocemente della madre un po’ di tedesco smozzicato e ben
presto era diventata indispensabile nelle occasioni di tutti i
giorni. I genitori avevano incontrato delle difficoltà con le
autorità poiché la figlia non aveva assolto l’obbligo scolastico.
Il problema si risolse facendo figurare che Laura fosse
41
42
ufficialmente tornata in Italia. In realtà la ragazza stava
sempre a Colonia con i genitori. I genitori non ritenevano che
Laura avesse ancora bisogno della scuola, perché tanto si
sarebbe sposata. Così, Laura era praticamente segregata in
casa, non aveva alcun contatto con i coetanei e stava
esclusivamente con i genitori. Laura, come buona e docile
ragazza di famiglia, non sentiva questa condizione come
limitante e non riusciva ad esprimere la sua depressione. I miei
consigli di offrire alla ragazza possibilità di contatti esterni
furono decisamente rifiutati da tutta la famiglia. Dai genitori
con la motivazione che ciò avrebbe solo creato confusione
nella ragazza, troppo timida per intraprendere qualcosa
insieme ad i coetanei. Inoltre Laura avrebbe dovuto sposarsi in
Italia e perciò sarebbe stato meglio che non avesse stretto
alcun legame in Germania. Qualcuno avrebbe potuto
corromperla e rovinarne il buon nome . Laura stessa aveva
paura degli estranei e perciò preferiva restare chiusa in casa.
I miei consigli, vissuti come minacciosi per
l’andamento della loro vita familiare apparentemente molto
armonica, portarono quasi alla rottura del contatto. Quello che
la famiglia si aspettava da me era una medicina contro la
depressione e non dei suggerimenti sull’educazione della figlia.
Con molta fatica, anche attraverso alcune visite a domicilio,
necessarie affinché la madre potesse convincersi che non
tramavo qualcosa di losco con la figlia, riuscii ad ottenere che
Laura frequentasse un corso di cucito con un gruppo di donne
italiane. Non ho mai visto rifiorire nessuno come Laura in quel
gruppo di donne. Il contenuto del corso era secondario, per la
ragazza importanti erano i discorsi, le amicizie e il sostegno
delle donne più grandi ed esperte. Naturalmente, questo non
risolveva i problemi della mancata formazione scolastica e
professionale e Laura non era ancora neanche lontanamente
una donna emancipata, ma la sua situazione era indubbiamente
migliorata.
43
Ciò che è generalmente valido per lo svantaggio delle
donne nella società, vale in misura molto maggiore per le mogli
e le figlie di migranti, che risultano doppiamente discriminate,
da un lato come donne e dall’altro come straniere.
2.3
Il contributo della psicologia
Già con le ultime considerazioni, il punto di vista
sociologico è scivolato verso un punto di vista più prettamente
psicologico. Quindi ora ci interroghiamo sull’apporto che può
offrire la psicologia all’oggetto della pedagogia interculturale.
In primo luogo ci occuperemo del contributo della
psicologia sociale. Molte persone percepiscono gli stranieri
sulla base di stereotipi, il che significa che li vedono, vivono e
giudicano superficialmente sulla base di alcune caratteristiche
esterne: nazionalità, colore della pelle, aspetto, nome, religione.
Quando queste considerazioni sono condivise da più persone o
gruppi di persone ci troviamo di fronte a stereotipi sociali, che
a loro volta costituiscono e contribuiscono a fondare i
pregiudizi. Si definiscono pregiudizi sociali tutte le prese di
posizione emozionali e quindi razionalmente incontrollabili
assunte verso singoli o gruppi. Un altro aspetto è che, come la
parola pregiudizio indica già, questi giudizi vengono fatti prima
di conoscere i fatti concreti e che anche dopo la conoscenza di
fatti che implicitano una revisione del pregiudizio questo molto
spesso non viene modificato.
Sintetizzando sì può dire che i pregiudizi:
•
Sono giudizi che non si basano su informazioni concrete;
44
•
•
“Facilitano“ la vita quotidiana nel senso che offrono delle
risposte semplici per situazioni complessi.
Sono molto resistenti a cambiamenti, anche perché non si
basano tanto su fatti ma più su affetti.
Per il lavoro pedagogico concreto, è molto importante
affrontare il tema dei meccanismi e delle funzioni degli
stereotipi e dei meccanismi del pregiudizio. Uno dei compiti
più difficili della pedagogia scolastica ed extrascolastica, è il
rapporto con le diverse forme di rifiuto di bambini immigrati
attraverso i compagni di scuola ed con i pregiudizi dei genitori.
Questo fenomeno non riguarda solamente i bambini stranieri,
ma anche tutti gli altri che in un modo o l’altro potrebbero
essere emarginati. I bambini di solito assumono gli
atteggiamenti dei genitori e dell’ambiente sociale che li
circonda. Non solo gli atteggiamenti politici e sociali trasmessi
dai genitori pero` esercitano una grande influenza, ma anche lo
sviluppo psichico dei bambini stessi è un fattore molto
importante. Questo spiega perché in certi bambini, i cui genitori
non presentano nessun tipo di atteggiamento xenofobo, si
riscontrano pregiudizi negativi nei confronto degli stranieri.
Il tema dei pregiudizi dibatuto largamente nei ultimi
decenni e`stato oggetto di numerose ricerche. Nella stesura di
queste note si fa`particolare riferimento a Nando Belardi, che
offre una spiegazione psicologica del fenomeno.19
I pregiudizi sociali influenzano la costruzione del
sistema di norme dei singoli gruppi, ma assumono anche
un'importante funzione - sia pur deformata - di percezione e
categorizzazione nel sistema di orientamento sociale,
nell‘articolazione degli interessi e nella giustificazione politica
dei singoli e dei gruppi. E‘ soprattutto nelle situazioni di crisi
19
economica e sociale, che i pregiudizi entrano massicciamente
nelle ideologie politiche, poiché la disposizione e la
disponibilità umana al pregiudizio viene pilotata verso presunti
capri espiatori in modo da far passare sotto silenzio altre
circostanze più gravi.
Nei rapporti interpersonali il pregiudizio è una forma di
inimicizia, diretta contro interi gruppi o singoli membri di certi
gruppi. Per coloro che nutrono un pregiudizio, questo fatto
riveste una precisa funzione irrazionale e affettiva.20
Allo sviluppo del carattere del bambino, rappresentato
come il risultato del conflitto tra istinti, norme sociali e
comportamenti dei genitori, contribuiscono i processi di
identificazione, proiezione, idealizzazione e razionalizzazione,
che acquistano il ruolo di meccanismi di difesa e confronto con
l'ambiente circostante.
Proprio attraverso l'identificazione e l'idealizzazione
delle norme e degli obiettivi del proprio gruppo di riferimento,
il bambino giunge molto presto all'assunzione affettiva di
atteggiamenti politici di base, che a questa età - e spesso
neppure più tardi - non possono essere controllati
razionalmente.
Per il mondo scolastico, queste riflessioni hanno un’importanza
su due livelli:
1. A livello di insegnanti e di personale
La capacità di esaminare i propri pregiudizi sul loro contenuto
razionale è un’importante competenza professionale degli
insegnanti. Non vale ovviamente solo per quanto riguarda il
lavoro con bambini immigrati, ma per i rapporti con qualsiasi
forma di emarginazione. Dato che l’insegnante funge da
20
Cfr.: N. Belardi, Psychologische Grundlagen, Soziale Arbeit, Bd.2
Diesterweg, Frankfurt 1980 p. 68
22
45
Cfr: G. Allport, Treibjagt auf Sündenböcke, Bad Nauheim, 1968, p. 22
Cfr.: G.W.Allport, Treibjagt auf Sündenböcke, Bad Nauheim 1968, p. 24
46
modello per i bambini, il suo comportamento assume
un’importanza fondamentale.
2. A livello istituzionale:
La scuola ha il compito di agire in modo compensatorio.
Questo significa che situazioni di partenza diverse, dovute a
origini e provenienza di singoli bambini, non devono essere
accentuati, ma, al contrario, attraverso provvedimenti speciale
si deve cercare di mitigarli. I successi scolastici inferiori di
bambini immigrati non devono essere semplicemente attribuiti
a lacune linguistiche. Proprio questi problemi legati alla lingua
straniera devono essere un motivo in più per motivare gli
insegnanti e l’istituzione scuola stessa ad assistere
maggiormente a questi bambini.
Dato che la pedagogia interculturale non comprende
solo l’attività con i bambini immigrati, è importante soffermarsi
sugli aspetti della xenofobia. La comprensione di meccanismi e
sfondi per comportamenti xenofobi è la base fondamentale per
progettare ed applicare provvedimenti pedagogico-didattiche.
La condanna morale di comportamenti aggressivi da parte di
adolescenti nei confronti di minoranze non è ovviamente
sufficiente. La realizzazione di progetti pedagogici nell’ambito
scolastico ed extrascolastico viene spesso resa difficile da
atteggiamenti contrari di singoli gruppi di coetanei. Visto che
per gli adolescenti il gruppo di coetanei e la loro accettazione è
di estrema importanza, ci si sofferma sugli aspetti psicologici di
questi atteggiamenti. Si vuole ancora una volta sottolineare che
i destinatari della pedagogia interculturale non sono solamente i
bambini immigrati, ma tutti i bambini che ne hanno bisogno.
Nelle scuole e nell’attività con adolescenti si deve includere nel
lavoro pedagogico anche i bambini e gli adolescenti che
presentano atteggiamenti xenofobi. Di regola, questi
atteggiamenti non sono semplici imitazioni del comportamento
di adulti, ma hanno le loro radici in una profonda insicurezza
personale e in difficoltà nella ricerca d’identità. Provvedimenti
47
di tipo cognitivo non sono quindi sufficienti, è importante
studiare gli aspetti psicologici dato che le radici del problema si
trovano nell’ambito emozionale ed affettivo.
Il concetto del capro espiatorio è molto utile per
comprendere la dinamica che si può sviluppare in situazioni del
genere. L’uso originario del termine capro espiatorio risale alla
storia religiosa ebraica.Il meccanismo è praticamente sempre lo
stesso: i gruppi sociali che vedono minacciata la propria
posizione, cercano un gruppo esterno o un singolo emarginato
su cui indirizzare in forma proiettiva le proprie aggressioni.
Questo gruppo esterno, ridotto a pura figura negativa, sarà
additato come colpevole della crisi che sta attraversando il
gruppo dominante.
"Le energie aggressive di una persona o di un gruppo si
concentrano su un altro individuo, gruppo od oggetto, anche se
la violenza dell'attacco e dell'accusa è in parte o del tutto
ingiustificata. Le pratiche del capro espiatorio derivano da
normalissime opinioni, preferenze e pregiudizi. Soprattutto
sotto la pressione di delusioni e povertà, falsamente interpretate
attraverso dimostrazioni primitive, esplodono gli eccessi di
tutte le cacce spietate ai capri espiatori" 22.
Se facciamo riferimento ai pregiudizi sociali trattati in
questo capitolo, si possono determinare alcune delle condizioni
che scatenano la caccia al capro espiatorio." La scelta della
vittima è fatta in modo che essa abbia spiccate caratteristiche
che la distinguano dal proprio gruppo (colore della pelle,
religione, lingua, culto, caratteristiche nazionali). La vittima
inoltre ha pochissime possibilità di ritorsione, essendo più
debole. Un capro espiatorio è un capro da abbattere. Di regola
la vittima viene attaccata e demoralizzata fin dall'inizio e molto
raramente può restituire il colpo. Infine, il pregiudizio e la
48
caccia alle streghe vengono favoriti dal fatto che la vittima sia
portata di mano. " 23
Esistono numerose ricerche scientifiche che dimostrano
come i pregiudizi funzionino da filtri. Infatti l'individuo tende a
raccogliere le informazioni che confermano le sue concezioni.
Le informazioni che invece se ne discostano non vengono da lui
prese in considerazione o vengono trasformate in modo da
corrispondere alle sue credenze. La tendenza alle percezione
selettiva (e inconscia) è presente nella maggior parte degli
esseri umani e quindi "normale", però il grado di selettività
varia da soggetto a soggetto.
Sotto diversi punti di vista, questi risultati di ricerca
sono di grande importanza per la pratica pedagogica. Per
l’insegnante è molto utile conoscere i meccanismi menzionati
per riuscire a trattare meglio i problemi legati all’emarginazioni
di singoli bambini o di interi gruppi di bambini.
3 Un modello investigativo: l’approccio
biografico
3.1
Le prospettive dell’approccio biografico
La ricerca sui curricoli e sulle biografie ci dimostra
quanto sia importante isolare determinati problemi nelle
corrispondenti fasi della vita per comprendere a fondo le loro
implicazioni nelle biografie individuali. Nella stesura di queste
note si è fatto in particolare riferimento a Nando Belardi.24 Nel
presente capitolo cercheremo di analizzare l’importanza dello
sviluppo individuale e familiare in rapporto alle problematiche
connesse al fenomeno migratorio.
Analisi:
1. Sul piano dell’analisi si possono esaminare le cause per la
necessità di emarginare altri. Quali difficoltà e debolezze di
coloro che favoriscono l’emarginazione sono la causa del
loro comportamento e come si potrebbe aumentare la loro
autostima in modo costruttivo?
2. Sul piano delle azione pedagogiche-didattiche
Nel rapporto con i bambini colpiti da atteggiamenti di rifiuti
è molto importante un comportamento di sostegno solidale.
Sul piano didattico, si cerca di far comprendere i meccanismi
di questi processi e di trasmettere informazioni e nozioni su
possibili conseguenze
3.2 Infanzia e famiglia
Uno degli approcci più importanti sui disturbi della
socializzazione è stato sviluppato nei anni settanta da
psicoanalisti come Horst Eberhard Richter, che collegavano il
punto di vista psicoanalitico con l'osservazione sociologica dei
ruoli. Questo approccio teorico muove dall’assunto che
attraverso il „meccanismo di proiezione“ ed il „meccanismo di
transfer molti genitori deviano sui figli tensioni e conflitti
inconsci, assegnando loro dei ruoli determinati.
Nel primo meccanismo, la proiezione narcisistica
(narcisismo = essere innamorati di se stessi) i genitori imputano
al bambino caratteristiche o tendenze, che in realtà hanno
24
23
Cfr.: N. Belardi, Psychologie, Diesterweg 1980, p. 128 segg.
N.Belardi et al. Beratung, Weinheim und Basel 1996, p.26 segg.
Cfr.: op.cit. p. 74
49
50
origine dai loro conflitti personali. In questo caso, i genitori non
"scambiano" il figlio per un altra persona come succede nel
caso di „transfer“, ma addirittura per se stessi. e senza
un’intenzione consapevole cercano nel figlio determinati aspetti
del proprio io.
Nel caso della “proiezione” il figlio non viene scambiato
con un altra persona ma con se stessi.
La proiezione narcisistica funziona come una specie di lavagna
luminosa, con la quale vengono proiettato I propri conflitti su
un altra persona.
“Un caso di proiezione narcisistica normale e quotidiana
è quella che porta i genitori a sperare che il figlio consegua gli
obiettivi che essi non sono riusciti a raggiungere; il figlio
diventa una continuazione positiva del loro io e attraverso il suo
successo vogliono riscattare i propri fallimenti”25
Nel caso di famiglie di migrante si può molto spesso
osservare che i bambini si adattano più velocemente dei
genitori alla nuova situazione nel paese d’accoglienza. Questo
adattamento comprende soprattutto le conoscenze linguistiche e
l’accettazione degli usi e costumi del paese straniero. Nei
rapporti con autorità e istituzioni, questi bambini assumono
molto spesso un ruolo di mediatore tra i genitori e la nuova
società, fungendo da interprete o sbrigando le pratiche con le
autorità. Soprattutto per quanto riguardo società con
un’organizzazione tradizionale, da cui provengono la maggior
parte degli immigrati in Europa, i contatti esterni della famiglia
spettano alla competenza del padre. Se i bambini hanno più
successo nei rapporti con la società, e se riescono a migliorare
la propria posizione sociale grazie a successi scolastici e
professionali, l’autorità del padre subisce una notevole perdita.
Da una parte viene soddisfatto la progettazione narcisistica del
padre, dall’altra parte viene messo in discussione il suo ruolo di
padre di famiglia. Soprattutto nella pubertà, un periodo di
passaggio per i bambini ma anche per i genitori e di
ridefinizione dei propri ruoli e del rapporto reciproco, questa
situazione può causare gravi conflitti ed esperienze traumatiche.
Mentre è previsto di assegnare prima o poi queste “relazioni
con l’esterno” ai figli maschi, alle figlie non spetta neanche in
età adulta un ruolo di questo genere.
Se le figlie vogliono riuscire ad imporsi ed avere un
certo successo sociale nel paese d’accoglienza, devono
accettare modo di comportamento difficilmente assegnati dai
propri genitori, in quanto sono in contrasto con il ruolo
tradizionale previsto per la donna. Visto che i due ruoli nella
società, quello del paese d’origine e quello del paese
d’accoglienza, stanno in netto contrasto, le giovani donne non
hanno altra via d’uscita che decidersi per uno dei due.
Comunque sia la decisione, per i coinvolti comporta sempre
una perdita e lutto. Particolarmente grave è se avviene una
rottura con la propria famiglia. Nel lavoro pedagogico
scolastico ed extrascolastica si necessitano quindi
provvedimenti e programmi per questi situazioni particolare
delle ragazze provenienti da famiglie di immigrati.
La proiezione può avere contenuti sia positivi che
negativi. Nell’ultimo caso, la persona oggetto di proiezione
funge anche da capro espiatorio per i propri fallimenti.
Richter riporta come esempio per la proiezione di
fantasie positive la storia di una madre, che da giovane ha
sofferto molto perché non era attraente e che vede crescere e
diventare sempre più bella la figlia. La madre vive i successi
della figlia come i propri. Il pericolo per lo sviluppo della figlia
in questo caso deriva dal fatto che la madre vuole controllare
totalmente la vita della figlia e creare una star. In questo modo
25
: Cfr.: H. E. Richter, Eltern, Kind und Neurose, rororo, Reinbek, 1970, p.
77
51
52
la madre tenta di compensare la propria frustrazione impedendo
l’emancipazione alla propria figlia.26
“Le differenze nella tipologia della proiezione narcistica si
basano sul fatto che i genitori possono :
a.) proiettare la propria immagine nel suo totale
b.) proiettare l’aspetto positivo
c.) proiettare l’aspetto negativo
sul proprio figlio”27
Al contrario della proiezione, nel caso di transfer, viene
descritto un processo nel quale si manifesta un’assegnazione di
caratteristiche, originariamente riscontrate presso altre persone,
ad esempio quando i genitori pensano di scoprire presso i propri
figli caratteristiche che hanno visto in altre persone. Può
succedere che al figlio vengono assegnati caratteristiche
negative o positive che in realtà hanno poco e niente a che fare
con esso.
In seguito vengono illustrate alcune costellazioni nelle
quali si manifesta il meccanismo del transfer. Questo ha una
grande importanza per il tema della migrazione, in quanto ad
essa è spesso legato un lungo periodo di separazione dalla
famiglia o una perdita definitiva di membri della famiglia.
Laddove il bambino ha le funzioni di un altro partner (transfer)
possono sussistere le seguenti possibilità:
Il bambino come sostituto di una figura dei genitori (del
genitore)
Il bambino come sostituto del partner della coppia
26
Cfr.: H. E. Richter, Eltern, Kind und Neurose, rororo, Reinbek, 1970, p.
78
27
Cfr.: op.cit. p. 77
53
Il bambino come sostituto di un fratello o sorella (del genitore)
Nel caso di “transfer” vengono attribuite al bambino
caratteristiche positive o negative di altre persone. Di solito si
tratta di persone con le quali esisteva o esiste un rapporto
emozionale molto stretto, un legame affettivo, in alcuni casi
anche a causa di eventi traumatici. Un caso di “transfer”
normale e quotidiano avviene, quando i genitori “scoprono” nel
proprio figlio somiglianze con un parente o un amico che
spesso si limitano a particolari aspetti fisici e non riguardano il
carattere o la psiche del bambino. Se tramite questo
meccanismo le caratteristiche “trasferite” da altre persone
impediscono ai genitori di percepire il figlio considerando tutti
gli aspetti della la sua personalità, questo può creare serie
difficoltà per lo sviluppo sociale, emozionale, psichico e, in
casi gravi anche fisico, del figlio. Per lo sviluppo della
personalità, o in senso freudiano dell’io i genitori fungono
anche come una specie di specchio. Il bambino cerca di trovare
la propria identità e l’immagine di se stesso attraverso il
feedback da parte dei genitori. Se questa immagine rispecchiata
però è turbata e falsificata da immagini di altre persone,
nascono grave difficoltà per la crescita e lo sviluppo del
bambino. Questo non avviene soltanto in casi di “transfer” di
caratteristiche negative, ma anche quando vengono attribuite
caratteristiche positive, perché in entrambi i casi viene impedito
lo sviluppo individuale ed autonomo del bambino.
Il “transfer negativo” spesso è causato da paure
inadeguate dei genitori, che temono che il figlio sviluppi un
carattere simile ad una persona odiata. Spesso bastano piccole
assomiglianze superficiali per far scattare una dinamica
pericolosa. Tramite l’effetto della profezia che si autoavvera
può succedere che inizia uno spiraglio disastroso verso il basso.
Il figlio si sente costretto ad essere così come credono o
temono- i genitori, mentre quest’ultimi si sentono confermati
54
nella propria paura ogni qualvolta che il figlio reagisce nel
modo “previsto”. I genitori che vivono in una società straniera
temono spesso di perdere i propri figli in questa società che
attira i giovani e questo fa paura ad adulti ed anziani. I genitori
che non condividono o accettano i valori ed il modo di vivere di
questa società cercano di proteggere i propri figli dai pericoli,
mentre spesso i figli non vogliono essere protetti, ma
partecipare a tutto quello che sembra offrire la società moderna.
i conflitti tra genitori e figli che nascono da questo contrasto si
focalizzano di norma su cose apparentemente marginali: Il
modo di vestirsi, la capigliatura, la musica preferita ecc. Queste
cose però non sono marginali perché hanno un significante peso
simbolico. Sono simboli per un modo di vivere, e per i genitori
sono la prova che i figli hanno scelto un modo di vivere da loro
contestato. In seguito però può succedere, che tramite il
meccanismo di transfer vengono attribuite al figlio anche altre
caratteristiche ed atteggiamenti, ritenuti da parte dei genitori
negativi e tipici per la cultura o subcultura nella quale cerca di
entrare il figlio. La paura dei genitori li fa vulnerabili e
ipersensibili in confronto di ogni piccolo segnale, che
assomiglia a cose odiate. Tramite il meccanismo di transfer, il
figlio viene sommerso da caratteristiche negative a lui attribuite
e rischia di annegare e diventare proprio cosi come i genitori
temevano che lui diventasse. Forme di “transfer positivo”
avvengono particolarmente in casi di perdita di persone a causa
di morte o separazione involuta. La separazione dalla famiglia e
dagli amici non costituisce l’eccezione in casi di migrazione,
anzi è una delle caratteristiche di questo fenomeno.
Semplificando, si potrebbe dire che la paura e la
insicurezza sono fattori di rischio per il meccanismo di transfer
negativo, mentre la tristezza e la nostalgia portano
tendenzialmente a forme di transfer positivo, e cioè verso la
tendenza di vedere nel proprio figlio o partner, caratteristiche di
persone amate che non sono più vicine. Entrambi i casi
assumono un aspetto particolare in situazioni di migrazione, ed
entrambe le forme possono ostacolare lo sviluppo della
personalità e del se del bambino, se diventano talmente
importanti, che i genitori scambiano il figlio per un’altra
persona.
Per diversi aspetti questi modelli sono importanti per la
pedagogia interculturale:
Possono servire come base per l’analisi pedagogica della
situazione di partenza. Il primo passo di ogni intervento
pedagogico è un’analisi profonda della situazione di partenza.
Solo in un secondo momento possono essere sviluppati e
realizzati concetti d’azione che devono essere esaminati circa la
loro efficacia. Se avviciniamo il modello di Richter alle
condizioni particolari che la migrazione comporta per le
famiglie, si delineano le seguenti tendenze:
Le famiglie soggette a migrazione sono molto spesso
sottoposte a lunghi periodi di separazione. Nel caso di una
migrazione dovuta a motivi di lavoro, sono soprattutto i giovani
uomini a lasciare il paese d’origine. Solo in una seconda fase
sono raggiunti da mogli e bambini, mentre i genitori delle
giovani coppie rimangono quasi sempre nel loro paese
d’origine. Di regola, la famiglia rimane incompleta.
In tutte le fasi ci sono condizioni che rendono i coinvolti
particolarmente sensibili per i meccanismi di proiezione e
transfer sovradescritti. Ad esempio, durante i lunghi periodi di
assenza del padre, i bambini molto spesso assumono il ruolo di
sostituzione del padre. Entrano molto velocemente nel mondo
degli adulti e se, in un secondo momento si trasferiscono dal
padre, incontrano difficoltà notevoli ad accettare il proprio
ruolo di bambino. Con l’aumento della durata della separazione
aumenta anche la tendenza che l’immagine che il partner o il
bambino si fa della persona assente si allontani sempre di più
dalla realtà e diventi un miscuglio di desideri, proiezioni e
transfer. Questo non crea poche difficoltà nei casi di una
55
56
ricongiunzione della famiglia di breve o lunga durata. Durante
il periodo di separazione nascono immagini, idee e speranze
che non corrispondono alla realtà e quindi comportano
delusioni per entrambe le parti. Per i bambini ma anche per i
genitori sono situazioni opprimenti che possono diventare
insopportabili. Come coloro che sono rimasti a casa si fanno
un’immagine irreale degli assenti, succede anche viceversa. La
migrazione è molto spesso considerata una soluzione di
passaggio e di conseguenza molti desideri e molte speranze
vengono rinviati al periodo della riconciliazione prevista nel
paese d’origine o nel paese d’accoglienza, a seconda dei
progetti. E’ quasi inevitabile che a questo “ristagno” di desideri
segua una delusione, in quanto non si realizzano tutti.
Le esperienze dei profughi di guerra e dei perseguitati
per motivi politici sono spesso traumatiche. I membri della
famiglia sono morti o dispersi, e un incontro futuro diventa
molto improbabile. A tutte le difficoltà incontrate in un paese
straniero, si aggiungono lutto, dolore e un futuro incerto. Il
lavoro pedagogico con questi bambini prevede che il
superamento di questi trauma abbiano l’assoluta priorità su altre
esigenze, come ad esempio le prestazioni scolastiche. Il primo
obiettivo è la realizzazione dei presupposti necessari per lo
sviluppo fisico e psichico e la capacità e disponibilità
d’apprendimento dei bambini. Solo in un secondo passo
possono essere definiti e prefissati passi e obiettivi scolastici
concreti.
3.3
Modelli familiari e biografie di migranti
Per comprendere appieno i cambiamenti che
intervengono nei nuclei familiari che affrontano l’esperienza
della migrazione e le pressioni a cui sono sottoposti, è utile
anticipare qualche riflessione sul percorso ideale della famiglia
classica.
Negli ultimi anni, l’accentuazione della divisione tra vita
familiare e lavoro, il prolungarsi del periodo di formazione e
un’aspettativa di vita più alta hanno provocato una
ristrutturazio del ciclo di vita familiare, che ha dato origine ad
un assetto pressoché sconosciuto nella società preindustriale.
La vita familiare, oggi più che mai, richiede un continuo
processo di apprendimento, poiché le necessità e le
problematiche che si presentano nei suoi diversi stadi esigono
dei continui cambiamenti di ruolo da parte di tutti i membri
della famiglia, per poter continuare ad esistere in quanto tale.
Qui di seguito vediamo come si delinea la storia di una famiglia
tipo nella società attuale:
1. La coppia senza figli forma una famiglia (ancora)
incompleta.
2. Il primo bambino si trova ancora in fase prescolare.
3. Fa parte della famiglia almeno un bambino in età scolare.
4. Fase adolescenziale
5. Il figlio più grande ha più di 20 anni; eventuali altri figli si
trovano in una delle fasi precedentemente descritte, perciò la
famiglia
può
trovarsi
a
vivere
diverse
fasi
contemporaneamente.
6. Riduzione della famiglia con la partenza del primo figlio da
casa.
7. I genitori sono di nuovo soli
8. Terza età28
A questi cambiamenti possono aggiungersi altre esperienze
transitorie o traumatiche, ad esempio un licenziamento, gravi
malattie, separazioni, seconde nozze o problemi economici. Nel
28
57
Cfr.: N.Belardi / M. Fisch, Altenhilfe, Weinheim/Basel, Belz 1999 p.82
58
caso di migrazione spesso si aggiungono o moltiplicano questi
fattori con i seguenti:
Conoscenze limitate della lingua ufficiale
Emarginazione
Difficoltà scolastiche dei figli
Difficoltà di trovare lavoro e/o casa.
Questi avvenimenti molto spesso rappresentano degli
eventi critici nella vita, che provocano la necessità di avvalersi
di consulenze specialistiche. Ora analizzeremo in modo
necessariamente schematico alcune fasi della biografia della
famiglia media, rivolgendo particolare attenzione a questi
cosiddetti eventi critici:
Nel caso di famiglie migranti, bambini e adolescenti
spesso si vedono costretti a cambiare le persone con le quali
relazionano durante i primi anni di vita. Mentre i genitori
emigrano nel nuovo paese, essi rimangono con i nonni o altri
parenti. A volte accade invece che i bambini vengono mandati
all’estero da parenti emigrati per farli crescere in un paese dove
si suppone esistano possibilità lavorative maggiori e per
garantire quindi al resto della famiglia rimasta in patria un
reddito integrativo. Se i bambini vivono assieme ai genitori nel
paese ospitante, trascorrono parte della loro giornata in un asilo
o un asilo nido. In ognuna delle ipotesi considerate la loro
infanzia si divide tra istituzioni e mondi linguistici differenti,
tra l'idealizzazione della patria da una parte e la realtà del paese
ospite dall'altra.
L’asilo e l’ingresso a scuola dei bambini comportano
per la famiglia un aumento dei rapporti con il mondo esterno,
ma anche ulteriori problemi soprattutto per gli immigrati.
Questi non dispongono delle esperienze che nel rapporto col
mondo scolastico sono necessari per aiutare i figli e per poter
partecipare pienamente al mondo scolastico. Se hanno figli di
età diversa, le famiglie si trovano a confronto diretto, a volte
anche per un periodo di due decenni, con scuola, voti, profitto,
concorrenza, riunioni dei genitori, colloqui con gli insegnanti.
Oggi l’organizzazione dei processi di apprendimento è diversa
rispetto al paese di origine, e i ragazzi a scuola imparano cose
completamente
sconosciute
ai
genitori,
che
cosí
progressivamente perdono sia il vantaggio cognitivo in campo
scolastico e professionale, sia la loro autorevolezza nei
confronti dei figli. Anche questo fattore può causare il bisogno
di un intervento di aiuto dall’esterno
Moscato, identifica tre diverse modalità con cui i
bambini si confrontano con le esperienze dell’emigrazione:
59
60
• bambini che restano in patria in una famiglia incompleta;
• bambini che seguono i genitori nell’emigrazione;
• bambini nati nel paese ospite e che fanno successivamente
ritorno in patria con tutta la famiglia o una parte di essa 30.
Ovviamente queste tre diverse esperienza possono
condurre a concetti di identità molto diversi fra di loro.
In mezzo ai tanti movimenti pendolari della famiglia, la donna
sembra essere il punto più stabile. Spesso i bambini raccontano
dei tempi quando il padre "non c'era" 31.
I processi di mutamento sociale a cui abbiamo
accennato prima fanno sì che non si possa continuare a parlare
di una infanzia o una gioventù, poiché nel caso dei giovani si
assiste oggi ad una "precocità" e al tempo stesso ad un
"ritardo". I ragazzi cercano i loro modelli ormai al di fuori delle
famiglie d’origine.
Molti conflitti all’interno di famiglie di migranti sono
basati su contrasti nel modo di vedere e vivere la sessualità, tra
genitori e figli. I figli tendono di orientarsi al gruppo dei
coetanei, i genitori invece a modelli vissuti nel paese di
provenienza.
Le accresciute esigenze in campo lavorativo e l'aumento
della durata della formazione scolastica e professionale hanno
contribuito ad allungare la fase adolescenziale, che non è più da
considerarsi come una semplice fase di passaggio (da uno status
all'altro), ma come una vera e propria fase della vita, più o
meno lunga, ma tendenzialmente più lunga che in passato.
Occupandosi di individui che hanno più di 18 o 20 anni, gli
scienziati sociali parlano di fase postgiovanile o
postadolescenziale, che può protrarsi fino alla fine del terzo
decennio di vita.
30
Cfr.: M. T. Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica, Brescia,
Editrice La Scuola, 1994, p. 172
31
Cfr.: op.cit. pp. 174 segg.
33
Cfr.: op. cit. p. 61
Bisogna sottolineare a questo proposito che la
disoccupazione giovanile riguarda soprattutto quei soggetti che
hanno concluso - o abbandonato - la sola scuola dell'obbligo o
una scuola speciale e che partecipano ai programmi di
preparazione o/e formazione professionale degli uffici di
collocamento. Il numero dei figli di migranti che rientrano in
questo gruppo è, sia in Germania sia negli Stati Uniti, al di
sopra della media.
Ma anche una qualifica professionale oggi non
rappresenta più una garanzia di sicurezza lavorativa a vita. Non
si può prevedere quale degli attuali tipi di lavoro avrà ancora un
futuro. Queste dinamiche economiche stanno portando verso un
paradosso di qualifica: i "giovani e i loro genitori cercano di
combattere la svalutazione delle qualifiche con sforzi ancora
maggiori e tempi di qualifica più lunghi". E questo crea un
circolo vizioso: l'ampliamento del sistema formativo conduce
ad una dilatazione della fase giovanile e a maggiori esigenze
(imprenditoriali) sul piano delle qualifiche. Tutto ciò provoca
una svalutazione delle " qualifiche offerte, spingendo verso
ulteriori sforzi di qualifica, che a loro volta allungano la
gioventù intesa come fase di preparazione" 33.
I processi di cambiamento sociale colpiscono in
particolare modo gli adolescenti. In una realtà che fa sì che la
fase giovanile assuma il carattere di una fase di vita vera e
propria, i giovani cercano modelli di identità all’interno del
gruppo dei loro coetanei, il cosiddetto peer-group.
Il conflitto generazionale ben noto in passato nelle
societa`moderne sembra di essere diminuito nei ultimi anni. Gli
anni 80 e 90 in differenza dei anni 60 e 70 non sono stati
caratterizzati da forme di protesta o rivolte da parte dai giovani
36
Cfr.: N. Belardi, Supervision, Paderborn 1992, p. 126 segg.
61
62
contro il mondo degli adulti. Anzi in questi anni si poteva
constatare una forte tendenza da parte dai adulti di “imitare” le
forme di vita giovanili. Forse è per questo che i giovani nella
fase del distacco non sentono più l’esigenza di doversi costruire
mondi e valori alternativi, oltretutto perché gli stili di vita del
mondo adulto non sono più assimilabili ad un unico modello.
Molti genitori sanno che non possono più fungere da ideale e
non lo pretendono.
Per molti immigranti questo non vale. I genitori sono
cresciuti ancora in società tradizionali nelle quali i giovani
devono rispettare gli adulti e cercano di raggiungere questo
status privilegiato. Mentre nella società moderna sembrano
privilegiati i giovani, che senza assumere molta responsabilità
hanno a disposizione tutto quello che possono offrire I paesi
materialmente ricchi e la società del tempo libero.
Oggi una parte degli adolescenti convive più a lungo
con la propria famiglia, perché non ha ancora terminato la
formazione o/e perché gli alloggi adeguati alle loro esigenze
sono pochi. Solo un piccolo gruppo di adolescenti invece lascia
la famiglia relativamente presto.
Molti di questi aspetti riguardano solo in parte le famiglia
di migranti, in quanto questi ultimi vivono in un mondo
suddiviso in più componenti. Valori tradizionali e norme
provenienti dal paese d’origine ed un’unione familiare più forte
comportano una maggiore conformità all’interno della famiglia.
Dall’esterno però, i bambini vengono influenzati e caratterizzati
dai “peer-groups“. Se per esempio bambine islamiche vengono
a scuola portando un foulard, insegnanti e studenti faranno i
loro commenti. In ogni caso, i figli di migranti molto
tradizionalisti subiscono maggiori tensioni; possono affrontare
il conflitto generazionale oppure sottomettersi.
63
3.4
Anzianità e problemi interculturali
La maggior parte dei migranti rimarrà nel paese di
imigrazione in quanto i bambini vivono qui, si ha un
appartamento e l’assistenza sanitaria di norma è migliore che
nel paese d’origine. Nell’anno 2020 in Germania per esempio
vivranno ca. 1,5 milioni pensionisti con un passaporto straniero,
che avranno bisogno di assistenza geriatrica e di rispettive
istituzioni sociali.
In Italia, questo fenomeno sarà di attualità con un certo
ritardo rispetto alla Germania. Attualmente in Italia si può
constatare una fase d’immigrazione prevalentamente di uomini
giovani. La seconda fase sarà caratterizzata per esperienza dal
raggiungimento delle famiglie. Nella terza fase si capirà
presumibilmente che la maggior parte degli immigranti non
realizzerà mai il progetto originario relativo al ritorno nel paese
d’origine dopo la fase di guadagno.
Quali conseguenze comportano queste riflessioni di
carattere medico, psicologico e sociologico per la pedagogia
interculturale relative ai migranti di una certa età e delle loro
famiglie? L’aumento dei migranti, dovuto alle aspettative di
vita maggiori sovramenzionate, comporta che devono essere
messe a disposizione istituzioni specializzate e persone istruite
nella madrelingua per l’assistenza di migranti anziani e confusi,
in quanti circa due terzi di essi vivranno in istituti di assistenza
ospedaliera per oltre 10 anni. Il fatto di assumere presso istituti
di assistenza e di cura personale di madrelingua, è una novità
per l’Italia (e la Germania). In paesi con una tradizione più
lunga in termini di migrazione, viene praticato già da tanto
tempo. Nella parte sud-ovest degli Stati Uniti si assume
personale specializzato che parla anche spagnolo o cinese. In
certe istituzioni londinesi si necessita di personale in grado di
64
parlare dialetti africani o indiani. I referti psicologici
sottolineano il fatto, che tanti migranti di una certa età si
sentono anche poco realizzati intellettualmente e di
conseguenza si identificano (e vengono identificati anche dalla
società) con il modello deficitario. Contemporaneamente
assistono al fatto che il coetanei italiani si identificano piuttosto
con l’immagine della persona anziana attiva. Ciò significa che
si riproduce la rottura culturale anche su questo livello.
Dal punto di vista sociologico emerge, che le strutture di
comunicazione ed assistenza solitamente applicate nelle
famiglie composte da tre generazioni non esistono. Dall’altra
parte, l’assistenza pubblica non può compensare questo deficit
e la conseguenza è un impoverimento sociale.
Pertanto, anche un ritorno nel paese d’origine è fuori
discussione per la maggior parte dei migranti, come dimostra
l’esperienza tedesca. Le ragioni sono molteplici: la casa, la base
economica ed i contatti sociali non esistono più nel paese
d’origine, e l’assistenza medica è molto migliore nel paese
d’accoglienza. Anche i bambini rimangono in Italia, in quanto
si sono integrati molto meglio che la generazione dei genitori.
65
4 I luoghi della pedagogia interculturale
Il presente capitolo analizza il contributo offerto dalla
pedagogia interculturale al lavoro delle istituzioni. Intendiamo
trattare delle offerte nell’ambito delle strutture prescolastiche,
della scuola, dell'attività socio-educativa destinata ai giovani,
dell'assistenza sociale, della consulenza e dei problemi legati
alla sanità.
4.1
Organizzazioni ed istituzioni pedagogiche
In Italia esistono migliaia di scuole e di istituzioni
pedagogiche, la cui qualità ed efficacia dipendono largamente
dalle relative modalità organizzative. Finora nella letteratura
pedagogica a questo aspetto è stata dedicata scarsa
attenzionePer questo motivo è giunto il momento di prendere in
considerazione nella pedagogial’esame delle forme di
organizzazione. Nella stessura di queste note si e` fatto in
particolare riferimento a Nando Belardi.36Con organizzazione si
intende una costruzione sociale con compiti definiti membri e
una struttura interna, che attraverso la specializzazione dei
compiti e la suddivisione del lavoro rende possibile un agire
sistematico volto al conseguimento di determinate finalità. Per
comprendere meglio il concetto di organizzazione è opportuno
introdurre anche quello di istituzionalizzazione. Con
istituzionalizzazione si intendono i modelli di azione e di
rapporto correnti, in cui il comportamento umano viene
classificato a seconda del tipo, normato e stabilito sul lungo
66
periodo. In accordo a Mayntz 37, possiamo suddividere le
organizzazioni a seconda dei loro sistemi di obiettivi :
1. Organizzazioni, in cui vengono prodotte prestazioni
misurabili, come le imprese di produzione e servizi;
2. Organizzazioni, il cui scopo consiste invece nel curare,
cambiare, aiutare, accudire, o influenzare pedagogicamente
la persona. Oltre agli ospedali e a molte istituzioni di
pubblica utilità, anche le scuole e le istituzioni
sociopedagogiche appartengono a questo tipo di
organizzazione.
Qui di seguito si vuole accennare brevemente alla storia
della scienza dell’organizzazione, in modo particolare alla
consulenza e allo sviluppo dell’organizzazione.
Alla base dell’analisi delle organizzazioni si trovano gli
studi dell’ingegnere americano Taylor, che ha introdotto
nell’industria il sistema del cottimo. In seguito ha pubblicato le
sue riflessioni, in accordo alle quali i processi produttivi
devono essere pianificati e deve avere luogo una separazione tra
pianificazione e realizzazione della produzione. Nell’ottica
odierna si tratta di un modello di aumento delle prestazioni
meccanicistico e molto orientato al profitto. Poco tempo dopo il
sociologo tedesco Weber sviluppa il concetto di burocrazia.
Caratteristica della moderna società industriale – al contrario di
quanto avveniva nella vecchia società agricolo-corporativa – è
una gestione burocratica che si basa sulla carta scritta (atti). A
questo punto, la particolare attività professionale dei
collaboratori dell’amministrazione presuppone una formazione
specifica (carriera). Il lavoro nell’amministrazione avviene
secondo regole stabilite (prescrizioni di servizio, percorsi di
37
Cfr.: R. Mayntz, Soziologie der Organisation, Reinbeck, Rowohlt, 1963,
p. 59
67
servizio), in un tessuto gerarchico, che considera solo il diritto e
la legge e non la persona. In accordo a questo modello
burocratico funzionano ancora oggi la maggior parte delle
istituzioni nel servizio statale, nell’economia e nella scuola.
Taylor e Weber studiano entrambi processi di
organizzazione più razionali e pianificati, poiché rappresentano
l’emergente società industriale burocratizzata. Negli anni Venti,
il sociologo Mayo scoprì, analizzando l’efficacia
dell’illuminazione sul lavoro, che non l’oggettivo aumento
della potenza di luce impiegata, quanto la stima e l’attenzione
contenute nelle richieste poste loro avevano fatto aumentare gli
sforzi dei lavoratori. Questo cosiddetto “effetto-Hawthorne”
portò alla scoperta scientifica che i rapporti emozionali possono
far migliorare i risultati del lavoro sia in termini qualitativi che
quantitativi.
Questo
diede
impulso
al
cosiddetto
movimentodelle human relations, che rivolgeva i propri sforzi a
sostenere gli obiettivi dell’organizzazione nell’ industria e
nell’amministrazione attraverso una migliore motivazione e
rapporti informali più economici, senza pensare ancora a
cambiamenti organizzativi.
A questa fase fece seguito il movimento delle human
ressources, che promuoveva riforme più ampie delle
organizzazioni. Ora i luoghi di lavoro dovevano essere
strutturati in modo tale da incrementare il potenziale umano e
da andare incontro alle aspirazioni di autorealizzazione degli
occupati. In seguito fu elaborata la vera propria scienza
dell’organizzazione sulla base dei lavori dello psicologo Lewin.
Successivamente le nozioni tratte dalla dinamica di gruppo di
Lewin e dei suoi collaboratori furono trasferite anche a speciali
corsi di formazione rivolti agli interessati provenienti dal
settore economico e sociale (corsi di formazione sulle
dinamiche di gruppo), in quella sede fu scoperto casualmente
anche il feed-back, vale a dire il sistematico messaggio di
68
ritorno dei modi di comportamento nei processi dei gruppi.
Soprattutto nel libro di Bennis, Benne e Chin, pubblicato nel
1961 furono sistematicamente analizzate e descritte le strategie
di cambiamento per le organizzazioni profit e non profit. Un
pensiero guida sociologico e psicologico utile alla pedagogia è
che i problemi dei sistemi non sono di natura tecnico o sociale,
ma di natura “sociotecnica” 38. In questo approccio dello
sviluppo delle organizzazioni si discutono diverse strategie di
cambiamento, tra le quali si preferiscono per la pianificata
trasformazione delle organizzazioni quelle normativorieducative, cioè quelle strategie di cambiamento orientate ai
valori e alla formazione continua.
Il successivo evolversi dello sviluppo delle
organizzazioni in Europa ebbe luogo più nell’ambito del
sistema sociale e sanitario che nella scuola. Nel panorama
scientifico di si è giunti a partire dagli anni Settanta a diversi
approcci interessanti sulla “consulenza alle istituzioni” e
“analisi sociale” che in parte si rifanno anche a progetti di
modelli e ricerca sulla prassi. In accordo a questi concetti è una
persona esterna che come change agent (consulente delle
organizzazioni,
supervisore)
deve
introdurre
questa
trasformazione.
Secondo un altro punto di vista invece le organizzazioni
possono essere guidate razionalmente solo in parte, poiché
presentano contraddizioni al loro interno e non hanno un
obiettivo univoco. I collaboratori delle organizzazioni non
possono essere comandati o manipolati a piacere. Le loro
opinioni e preferenze non determinano direttamente l’azione,
poiché intervengono molti altri fattori: vantaggi lavorativi,
colleghi e colleghe, norme di gruppo, vincoli di ruolo, errori di
38
direzione e di costruzione dell’organizzazione stessa. Ad ogni
modo le organizzazioni sono anche capaci di apprendere,
formando per esempio il personale. Ciò costituisce possibilità e
necessità di una riforma della scuola.
Il consulente delle organizzazioni americano Schein
trasferisce alle istituzioni complesse come le organizzazioni il
modello a tre livelli della dinamica di gruppo di Lewin :
“sciogliere”, “cambiare” e “ricongelare”. A livello ideale,
all’inizio
si
dovrebbe
procedere
ad
un’analisi
dell’organizzazione, che comprende tutti i dati raggiungibili di
una determinata istituzione (informazioni, documenti,
organigrammi, piani di servizio e di qualifiche, modelli di
flusso, interviste ai collaboratori) per descriverla nel suo stato
di fatto. È dai risultati di questa analisi che può evidenziarsi il
bisogno di consulenza. In realtà, una richiesta di consulenza
può avvenire anche senza analisi preventiva, però per ottenere
dati in qualche misura oggettivi, dopo la richiesta si dovrebbe
in ogni modo organizzare l’analisi dell’organizzazione.
La consulenza e lo sviluppo delle organizzazioni
presuppongono entrambi il consenso e la collaborazione delle
persone coinvolte nelle rispettive istituzioni. Di solito hanno
perciò luogo sedute informative preventive che cercano di
ovviare alle naturali riserve e alle paure degli interessati . Lo
sviluppo delle organizzazioni è da intendersi come processo più
complessivo e a lungo termine, poiché passa attraverso la
consulenza ad una istituzione e dà corpo a proposte per il
cambiamento della stessa. Va da sé che tutto ciò non può essere
svolto da un’unica persona.
Ad ogni modo non esiste un concetto univoco di
sviluppo delle organizzazioni, ma ci sono diversi approcci
41
Cfr.: W. Bennis/ K.D. Benne/R. Chin, Änderung des Sozialverhaltens,
Stuttgart, 1975, p. 62
Cfr.: A. Büssing, Organisationsstruktur, Tätigkeit und Individuum.
Untersuchungen am Beispiel der Pflegetätigkeit, Bern, 1992, p. 19
69
70
pragmatici. A partire dagli anni Settanta si è costituito un vero e
proprio movimento per lo sviluppo delle organizzazioni. Nella
letteratura specialistica si trovano le seguenti caratteristiche
definitorie : trasformazione pianificata, di lungo periodo e
complessiva che si riferisce più ai gruppi che agli individui.
Questa trasformazione viene perseguita attraverso una serie di
misure mirate, apprendimento mutuato dall’esperienza, ricerca
azione con l’aiuto di specialisti (il più delle volte esterni) quali
change agent e cercando di ottenere la massima partecipazione
di tutti i soggetti coinvolti e dei sottosistemi di organizzazione.
I concetti di consulenza delle organizzazioni e consulenza delle
istituzioni vengono a volte equiparati con quello di sviluppo
dell’organizzazione. Nel dibattito internazionale si è però
affermato il termine sviluppo delle organizzazioni
(organizational development). Rispetto agli obiettivi, assumono
lo stesso rango sia quelli qualitativi (sociali e umani) che quelli
quantitativi (economici). La letteratura più recente sullo
sviluppo delle organizzazioni non distingue quasi più tra
obiettivi a scopo di lucro e di utilità sociale. Proprio l’aumento
dei soggetti privati che offrono servizi nel settore sociale
conferma questo punto di vista che travalica i confini. Alla base
della maggior parte delle definizioni di sviluppo delle
organizzazioni ci sono i seguenti presupposti : l’organizzazione
deve essere flessibile, capace di andare incontro alle necessarie
riforme. La produttività massima si raggiunge, soddisfacendo
nella stessa misura attraverso l’organizzazione del lavoro i
bisogni istituzionali e individuali. La collaborazione si dimostra
più produttiva della competizione.
Una tale trasformazione organizzativa può avvenire in
forma pianificata o non pianificata. Di solito nella scuola la
trasformazione organizzativa avviene sulla base di stimoli
provenienti dall’esterno, per esempio attraverso una nuova
legislazione, attraverso cambiamenti nelle modalità di
71
finanziamento o attraverso personale più qualificato.
L’autonomia scolastica introdurrà una tale trasformazione
“dall’alto”. Non si sa ancora se questa trasformazione sarà
pianificata e produttiva. L’autonomia scolastica ha da una parte
finalità pedagogiche: autonomia, flessibilità e regionalizzazione
con conseguenze positive per la vita scolastica quotidiana
(orario, impiego degli insegnanti, lezione, composizione delle
classi, didattica e distribuzione delle risorse), ma da questo
processo possono anche derivare difficoltà e problemi, perché il
passaggio da una situazione fortemente gerarchica e da una
guida centralizzata a una maggiore partecipazione e
autodeterminazione non sempre avviene in modo indolore.
Molte riforme in ambito pedagogico hanno però anche radici
economiche, che spesso non sono da valutare in modo così
positivo. Infatti, se la riforma è stata pianificata soprattutto per
motivi di costi, perché si sa che il sistema tradizionale è troppo
inefficiente e troppo caro, ma anche perché l’amministrazione
delle scuole finora è costata troppi soldi. Una tale riforma si
accompagna spesso ad altre misure: nella pedagogia un’azione
maggiormente rivolta a logiche di impresa si annuncia con le
parole d’ordine certificazione di qualità, controlling,
management sociale, supervisione, consulenza alla direzione,
aumento dell’efficienza, compilazione del bilancio, sviluppo
del personale e orientamento al mercato. Dal punto di vista
scientifico-organizzativo si tratta pero solo di settori parziali
dello sviluppo delle organizzazioni, che in un’ottica di human
ressources devono influenzare positivamente il personale: qui
di seguito si vogliono presentare e discutere alcuni aspetti tratti
dalla scienza delle organizzazioni utili per le scuole che stanno
cambiando.
Quali altri elementi centrali dello sviluppo
dell’organizzazione possono essere di interesse per la riforma
della scuola? Tra i molteplici approcci dello sviluppo delle
72
organizzazioni per l’innovazione delle odierne istituzioni
sociali è importante soprattutto l’analisi sui fenomeni “non
pianificabili” delle organizzazioni. Così le istituzioni informali
servono alla “riduzione della complessità”. Poiché nelle
istituzioni burocratiche iperorganizzate, come per esempio le
scuole tradizionali, le strutture vincolanti vengono corrette
attraverso forme di comunicazione informale. D’altro canto,
strutture informali e caotiche possono costituire una minaccia
per la capacità di prestazioni delle istituzioni poco strutturate.
Oltre al già citato approccio burocratico e alle human relations,
esistono ancora molti altri criteri interpretativi che permettono
di capire le organizzazioni: il punto di vista aziendale interpreta
le organizzazioni come sistemi per l’adempimento di compiti,
nell’ottica behaviourista le organizzazioni vengono intese come
sistemi decisionali. Nella visione della teoria dei sistemi si
trovano in primo piano considerazioni più complessive:
Processi interni e di organizzazione globale, processi di
scambio con l’ambiente, ecc. 41. Qui di seguito vogliamo
analizzare più diffusamente questi approcci che sono da
intendersi come reciprocamente integrati.
Il modello dei processi delle organizzazioni aiuta a
comprendere meglio la storia dello sviluppo delle scuole con i
loro specifici problemi di struttura. Una volta fu fondata una
scuola o riunita con istituzioni esistenti. La prima direzione
scolastica e le insegnanti con più anzianità di servizio davano il
loro marchio di fabbrica all’istituzione, con la quale venivano
messi sullo stesso piano. In questa fase pionieristica il lavoro
era organizzato quasi a livello familiare. Attraverso
l’ampliamento delle attività il reclutamento di nuovo personale
docente si giunge necessariamente a una fase di
differenziazione, caratterizzata da divisione del lavoro,
gerarchizzazione e burocratizzazione. Qualche volta le scuole
non riescono a sopportare molto bene l’aumento del loro
73
personale. Così sembrano esistere grandezze “sfavorevoli”, ad
esempio quando i collegi docenti sono numericamente troppo
limitati e pertanto c’è troppo poca flessibilità.
Col concetto di “micropolitiche” si fa riferimento al
fatto che in molte organizzazioni nella lotta tra i membri
dell’organizzazione stessa per le scarse risorse spesso vengono
usate coalizioni, tattiche, compromessi, trucchi o strategie di
scambio. Questo concetto rimanda dunque piuttosto ad un tipo
di comportamento informale di gruppo che ad una forma di
esercizio di potere o addirittura alla politica in senso stretto 43
Relativamente nuovo è l’approccio della cultura delle
organizzazioni. Ciò significa che in ogni organizzazione si sono
costituiti delle norme e dei valori fondamentali che influenzano
i processi interni e la realizzazione degli obiettivi. La cultura
dell’organizzazione si differenzia molto da scuola a scuola, per
esempio tra una scuola cittadina e una scuola di campagna, tra
una scuola privata, una scuola elementare e un liceo. Ma anche
all’interno di uno stesso tipo di scuola possono influenzare la
cultura le peculiarità edilizie, lo stile relazionale del personale,
la provenienza degli allievi e degli insegnanti, la percentuale
degli alunni stranieri e le relative subculture, ma anche le
qualità direttive della dirigenza. Per una riforma della scuola
bisogna perciò conoscere e tenere in conto la cultura
dell’organizzazione (obiettivi speciali, valori, miti e
autodefinizioni). 59
43
Cfr.: O. Neuberger, Mikropolitik. Der alltägliche Aufbau und Einsatz von
Macht in Organisationen, Stuttgart, 1995, p. 16
74
Le scuole possono entrare in crisi a causa di fattori
interni (cambi di personale e di dirigenza, alto livello di
malattia, fluttuazioni, nuove generazioni di studenti, variazioni
dell’influenza dei genitori) ed esterni (cambiamenti delle
risorse, mancanza di personale, autonomia, trasformazione
delle modalità decisionali).
L’attività insegnante è sempre collegata con la
comunicazione, ma anche con l’organizzazione e la
pianificazione, d’altro lato questi contenuti restano ancora
marginali nella formazione. Spesso non trovano una
collocazione adeguata neanche nella vita scolastica. Soprattutto
i direttori e i dirigenti scolastici non sono formati per i compiti
che li attendono con la nuova autonomia scolastica. Le seguenti
regole e indicatori possono essere utili per la pianificata
trasformazione delle scuole
-
-
-
Le organizzazioni sono sistemi complessi con un proprio
senso; esse tendono all’autoconservazione e all’isolamento
verso l’esterno. Le organizzazioni constano soprattutto di
strutture comunicative.
Un sistema organizzativo può essere modificato e
sviluppato solo a livello complessivo. Allo stesso tempo
l’intervento in un settore specifico provoca cambiamenti di
natura positiva e negativa negli altri sottosistemi.
L’organizzazione fornisce, quando i suoi rappresentanti
esprimono il desiderio di una riforma, spesso anche la
diagnosi del disturbo. Spesso viene anche nominato il
possibile responsabile e viene richiesta solamente una
“ricetta”
per
il
cambiamento.
I
consulenti
dell’organizzazione dovrebbero allora essere scettici. Se il
sistema o i suoi rappresentanti conoscono già il disturbo e il
problema, perché non hanno allora predisposto da soli la
risoluzione del problema?
75
-
-
-
Validi consulenti delle organizzazioni si comportano
similmente ai supervisori. Essi evitano le ricette e l’aiuto
esterno e puntano di più sul potenziale autonomo di aiuto
dell’istituzione.
Il processo e la struttura di una organizzazione si
condizionano reciprocamente. Tutti i processi partono ogni
volta dalla situazione precedente. I sistemi riescono nella
maggior parte dei casi quindi a riferirsi solo a se stessi. Essi
vedono e operano solamente così come è stato da sempre.
La supervisione e la consulenza delle organizzazioni
aiutano perché “infastidiscono”. Solo attraverso la presenza
di un’istanza esterna può realizzarsi una differenza tra ciò
che è stato fino ad ora e ciò che è ora. I supervisori e i
consulenti delle organizzazioni riescono a causare anche
senza coscienza e senza volontà “disturbi” di questo tipo,
perché non conoscono le regole del sistema e perciò fanno
delle gaffes. 46
Lo sviluppo delle organizzazioni occupa già da anni un
suo posto riconosciuto nelle teorie dell’organizzazione e del
management dell’economia e dell’amministrazione. Il suo
successo in questi settori ha fatto sì che per un lungo tempo
essa fosse completamente ignorata dalle istituzioni
pedagogiche, anche perché in quella seda mancava ancora
completamente l’impulso alla razionalizzazione. La carenza di
informazione, riflessioni etiche e semplici pregiudizi possono
aver contribuito a questo lungo disinteresse. Per lungo tempo si
è ingiustamente sospettato lo sviluppo delle organizzazioni di
perseguire solo un abbassamento dei costi e una
razionalizzazione tecnica, confondendolo con le pratiche dei
metodi di management tipiche della consulenza aziendale.
46
Cfr.: H.C. Vogel / B. Bürger / G. Nebel / H.J. Kersting, Werkbuch für
Organisationsberater, Aachen, 1994, pp. 55 segg.
76
Lo sviluppo delle organizzazioni prevede anche una
nuova ripartizione e una riorganizzazione delle risorse
disponibili nelle istituzioni esistenti. Ovviamente lo sviluppo
delle organizzazioni non può offrire alcuna guarigione
miracolosa. La sua riuscita non dipende solo dalle condizioni
istituzionali e dalla disponibilità personale dei collaboratori, ma
anche dalle abilità multiprofessionali (specifiche, di
supervisione, di conoscenza delle dinamiche di gruppo e della
teoria dell’organizzazione) del consulente stesso, che devono
consentirgli di acquisire, senza entrare nei conflitti interni,
l’accettazione delle persone coinvolte all’interno della scuola
(direzione, insegnanti, studenti, genitori), ma anche all’esterno
tra le autorità scolastiche.
Qui di seguito si vogliono analizzare concretamente,
applicate ai singoli campi, istituzioni e temi pedagogici, le
teorie e le strategie di cambiamento della scienza
dell’organizzazione fino ad ora illustrate
77